119 Si v.: R. RIZ, Il trattamento medico e le cause di giustificazione, cit., pp. 81 e 86; R. RIZ, Il consenso dell’avente diritto, cit., pp. 346 e s. e 351; M. ROMANO, Considerazioni in tema di responsabilità contrattuale del medico per violazione del dovere di informazione, nota a Cass. civ., Sez. II, 8 agosto 1985, n. 4394, in Giur. it., 1987, I, 1, c.
1138; G. DALLA TORRE, Sperimentazione e consenso. A proposito delle ‹‹norme di buona pratica clinica››, in Iustitia, 1992, p. 340; A. SCALISI, Il consenso del paziente al trattamento medico, nota a Cass. pen., 13 maggio 1992, n. 5639, in Dir. fam., cit., pp. 443
e 452; L. CHIEFFI, Ricerca scientifica e tutela della persona, cit. pp., 147 e s., 191 e s. e
197; M. FORZIATI, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il ‹‹contatto sociale›› conquista la Cassazione, nota a Cass. civ., Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589, in Resp. civ. e prev., 1999, p. 667; A. NARDONE, Tutela della salute e nuove tecnologie. La
telemedicina, cit., pp. 157 e 161 e ss.; l.r. Abruzzo, 2 aprile 1985, n. 20, ult. cit.; l.r.
Liguria, 26 aprile 1985, n. 27, ult. cit.; l.r. Basilicata, 29 marzo 1991, n. 6, ult. cit. Cfr. anche d.lgs. d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in G.U., 29 luglio 2003, n. 174, art. 82.
Per quanto riguarda la giurisprudenza, si v. innanzitutto Cass. civ., Sez. III, 15 novembre 1999, n. 12621, in Infoutet, cit., e in G. BELLAGAMBA - G. CARITI - A. DEL
RE, La tutela della salute. Trattamenti sanitari e responsabilità nella giurisprudenza
costituzionale, civile, penale e amministrativa, cit., p. 63, ma qui s.m. Il caso riguarda una
donna che ‹‹che nel maggio 1983 era stata ricoverata … per perdite ematiche, e sottoposta ad intervento chirurgico di laparatomia dal primario … per sospetta gravidanza extra - uterina, accertandosi però che si trattava di normale gravidanza intra – uterina››. ‹‹Il [primario], senza richiederle il consenso, aveva quindi proceduto ad annessiectomia sx, essendo l’annesso ‹di volume più che doppio e di aspetto micropolicistico›; che dopo pochi giorni era stato necessario svuotare la cavità uterina, con perdita del feto››. Si conveniva quindi il primario e la relativa USL ‹‹affinché fossero condannati ai danni››. ‹‹Radicatesi il contraddittorio, l’adito Tribunale rigettava la domanda e la sentenza, impugnata dalla soccombente, era confermata dalla Corte d’appello …, che osservava: a) [l’attrice] non aveva dedotto in causa l’errore diagnostico relativo alla gravidanza extra - uterina, e comunque esso appariva incolpevole; b) l’annessiectomia, pur mancandone la necessità, era stata effettuata senza il consenso della donna (in quanto priva di coscienza, per effetto dell’anestesia), ma tale appariva lo stato dell’annesso da non potersi ragionevolmente pretendere [dal primario], in quel momento, un comportamento diverso››. Davanti alla Cassazione, tra gli altri motivi, ‹‹la ricorrente si duole che la Corte abbia ritenuto non postulabile il consenso di essa … per il fatto di trovarsi sotto anestesia, omettendo in tale modo di considerare che l’intervento demolitorio, comportante l’interruzione della gravidanza, non era giustificato da ragioni di ‹grave emergenza›››. La medesima Corte ha ritenuto di dover adottare le conclusioni della Corte di appello, ritenendole ‹‹immuni da errori logici e giuridici››, secondo la quale: ‹‹Pacifico essendo che la [ricorrente] non aveva prestato il consenso per l’intervento di annessiectomia, essa versando in stato d’incoscienza, la situazione rilevata dal chirurgo, che consisteva nel fatto che l’annesso di sinistra era policistico, iperemico, congesto, con modica torsione dell’ovaio sul proprio asse, avrebbe potuto essere fronteggiata - ‹in ipotesi›, secondo le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio - mediante ‹semplice fissaggio dell’annesso con più punti al fine d’impedire ulteriore torsione e (...) puntura delle microcisti. Tuttavia tale intervento parziale avrebbe potuto trovare valida applicazione solo a condizione che non si fosse verificata, ovvero potesse verificarsi, la necrosi dei tessuti interessati, bensì solo una situazione di congestione›. Ebbene … l’esame istologico eseguito aveva bensì escluso, a dire del consulente tecnico, che vi fossero processi necrotici in atto, e tuttavia
‹la scelta dell’annessiectomia, in luogo dell’eventuale intervento riparatore, appar(iva), allo stato, giustificata dal quadro clinico degenerativo in atto, mentre non vi (erano) elementi per ritenere che un intervento di tipo parziale avrebbe potuto portare ad esiti positivi per la paziente›. In ogni caso, trattandosi di colpa professionale, sarebbe occorsa ‹la dimostrazione della colpa grave ex artt. 2236 c.c., come deriva(va) dal fatto che la diagnosi e l’intervento di che trattasi implicavano soluzione di problemi di speciale difficoltà, accentuata dall’assoluta immediatezza della soluzione medesima, essendo già in atto l’apertura peritoneale›. Di qui appunto la mancanza di responsabilità del [primario] per avere asportato l’ovaio di sinistra senza necessità e senza il consenso della [ricorrente]››. Sempre secondo la Cassazione, ‹‹essendo principio giurisprudenziale che l’esigenza del consenso al trattamento medicochirurgico viene meno quando ricorrono i presupposti dello stato di necessità …, il secondo giudice, in definitiva, altro non fece che estendere tale postulato al - non dissimile - caso in cui una situazione siffatta, senza colpa ovvero senza colpa rilevante ai fini della responsabilità, sia soltanto supposta … Notasi appena, per concludere, che la subordinata considerazione in punto di limitazione della responsabilità ex art. 2236 c.c., non si pone in contrasto col principio … a tenore del quale ‹la disposizione dell’art. 2236 cod. civ., che, nei casi di prestazioni che implichino la soluzione di problemi tecnici particolarmente difficili, limita la responsabilità del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave, non trova applicazione per i danni ricollegabili a negligenza o imprudenza, dei quali il professionista, conseguentemente, risponde anche solo per colpa lieve. Pertanto il medico risponde dei danni conseguenti alla violazione, per negligenza, del dovere di informazione del paziente sui possibili esiti dell’intervento chirurgico, al quale egli è tenuto in ogni caso›. … Invero, il consenso della [ricorrente] mancò non per negligenza od imprudenza del sanitario, ma, al più, secondo il convincimento del giudice del merito, per un fatto d’imperizia non rilevante ex art. 2236 c.c.››. Sempre in giurisprudenza, si v. ancora: Cass. civ., Sez. III, 15 gennaio 1997, n. 364, in Infoutet, cit.; Cass. pen., 13 maggio 1992, n. 5639, in Dir. fam., ult. cit.; Ass. Firenze, 18 ottobre 1990, in Foro it., cit., c. 241.
Cass. pen., Sez. I, 11 luglio 2002, n. 26446, in Foro amm. C.d.S., 2003, p. 2908, con osservazioni di R. IANNOTTA, inCass. pen., cit., p. 1945 e ss., con nota di G. MARRA, Ritorno indietro di dieci anni sul tema del consenso del paziente nell’attività medico- chirurgica, con nota di G. IADECOLA, Ancora in tema di rilevanza penale del consenso (e del dissenso) del paziente al trattamento medico chirurgico, p. 2659 e ss., ed in Infoutet,
cit., relativamente ad un caso di asportazione di un tumore maligno già sospettato dal chirurgo senza che lo stesso ne parlasse al paziente ed ai suoi familiari, avendo invece ricevuto il consenso del medesimo paziente alla sola riduzione di un’ernia e ad un’esplorazione della cavità addominale, al quale sono succedute complicazioni ed infine morte del paziente, ha ritenuto invece che ‹‹il chirurgo preparato, coscienzioso, attento e rispettoso dei diritti altrui non opera per passare il tempo o sperimentare le sue capacità: lo fa perché non ha scelta, perché quello è l’unico modo giusto per salvare la vita del paziente o almeno migliorarne la qualità. Sembra lecito, allora, prospettare l’esistenza di uno stato di necessità generale e, per così dire, ‹istituzionalizzato›, intrinseco, cioè, ontologicamente, all’attività terapeutica. Ne consegue che quando il Giudice di merito riconosca, in concreto, il concorso di tutti i requisiti occorrenti per ritenere l’intervento chirurgico eseguito con la completa e puntuale osservanza delle regole proprie della scienza e della tecnica medica deve, solo per questa ragione, anche senza fare ricorso a specifiche cause di liceità codificate, escludere comunque ogni responsabilità penale dell’imputato, cui sia stato addebitato il fallimento della sua opera››. Si v. anche, Trib. Termini Imerese, 31 ottobre 2002, in Foro it., cit., c. 194 e ss., con nota di F. SERRAINO, relativamente al caso di dimissioni di un malato prossimo alla morte per il quale non c’era più niente da fare ed al quale le medesime terapie palliative si sarebbero potute praticare a casa.