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3. La teoria e la critica della traduzione

3.2 Dal dopoguerra al Secondo Congresso

3.2.1 Sedjučenko

I contributi teorici e le discussioni in campo traduttivo vengono sostanzialmente interrotti nel periodo del conflitto mondiale e della temporanea sospensione della Sezione dei Traduttori, e riprendono solo nel 1948, l’anno a cui risale la pubblicazione del libro di G. Serdjučenko92, Očerki

po voprosam perevoda (Saggi sulle questioni traduttive)93. Mentre la seconda parte della trattazione è dedicata all’analisi sintattica e terminologica di alcune traduzioni da e verso le lingue dell’URSS, la prima affronta questioni metodologiche, la cui impostazione rivela quanto il discorso politico abbia avuto il sopravvento sull’aspetto artistico.

Serdjučenko, infatti, suddivide la sua trattazione in due capitoli: il primo è interamente consacrato ai punti di vista di Belinskij, Černyševskij e Dobroljubov sulla traduzione, il secondo a Marx, Engels e Lenin. Al’tman già nel 1936 aveva sottolineato la necessità di fondare le teorie traduttologiche sulle riflessioni dei critici democratici premarxisti. Dopo che Ždanov nella delibera sulle riviste “Zvezda” e “Leningrad” ha definitivamente consacrato Belinskij e i critici rivoluzionari- democratici, contrapponendoli alla corrente dell’arte per l’arte94, per la traduttologia diventano dei punti di riferimento imprescindibili. Infatti, a questo proposito, Serdjučenko indica che:

ora che l’arte della traduzione è assurta al rango di scienza […] è necessario prendere in considerazione e recuperare le dichiarazioni sulla traduzione proposte nei lavori dei grandi critici- democratici95.

La breve esposizione proposta dall’autore sulle riflessioni dei tre critici si riassume sostanzialmente nell’indicazione che l’arte deve servire gli ideali della società. Di conseguenza, la traduzione non è un’attività da svolgersi “per svago né per un qualche piacere estetico” 96, e il traduttore, che “svolge un importante lavoro politico”, è chiamato a “contribuire alla piena fioritura della cultura socialista dei popoli dell’URSS”97. In modo altrettanto schematico, l’autore

92

Georgij Petrovič Serdjučenko (1904–1965), linguista e saggista.

93 Serdjučenko 1948. 94 Doklad Ždanova 1940. 95 Serdjučenko 1948: 6. 96 Serdjučenko 1948: 10. 97 Serdjučenko 1948: 4-5.

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passa poi a presentare le dichiarazioni di Belinskij, Černyševskij e Dobroljubov sulla traduzione, concentrandosi sui due aspetti caratterizzanti la pratica sovietica di questo settore: l’importanza accordata alla scelta dei testi da tradurre e il rifiuto dell’approccio letterale. Così, l’espressione di Černyševskij “Scegliere e tradurre” sintetizza il concetto in base al quale, se la letteratura deve svolgere un ruolo di propaganda, da quella straniera è necessario selezionare solo le opere significative dal punto di vista sociale98. Nello stesso modo in cui Čukovskij all’inizio degli anni Trenta aveva sviluppato la propria riflessione per fornire un assetto teorico alla pratica editoriale sovietica inaugurata da Gor’kij, ora Serdjučenko si avvale delle affermazioni dei tre critici per avvallare la politica culturale nei confronti della letteratura straniera.

Il saggio di Serdjučenko non offre spunti di riflessioni né contributi al pensiero traduttologico, ma si limita ad estrapolare alcune considerazioni dagli autori precedentemente consacrati e approvati nel discorso politico, per poi adattarli forzatamente alla propria disciplina allo scopo di indicare la direzione da assumere nella pratica. L’autore del saggio, pur riconoscendo che Belinskij si pronuncia a favore di una massima precisione nella resa di un testo straniero, imposta l’argomentazione in modo tale da poter concludere che egli “capiva perfettamente come la traduzione non sia una sostituzione meccanica delle parole di una lingua con le parole di un’altra”99 e che “lungi dal pretendere la letteralità, valutava sempre la possibilità e la necessità di apportare cambiamenti nel testo tradotto”100. Serdjučenko, dopo aver affermato che la stessa posizione è stata affermata anche da Černyševskij e Dobroljubov, conclude asserendo che l’insegnamento dei grandi maestri prescrive un metodo traduttivo agli antipodi della fedeltà letterale. Se la selezione dei testi deve basarsi sui compiti socio-politici affidati alla letteratura, conseguentemente l’approccio libero alla traduzione, il secondo principio costantemente ribadito, non può che essere ideologicamente connotato.

Non a caso, S. Maršak durante una riunione della sezione dei traduttori del 1948, afferma:

Qualche tempo fa, ho letto in una recensione che il traduttore di Kipling non aveva restituito lo spirito dell’imperialismo. Questo mi ha destato delle perplessità. Io, per prima cosa, in quei versi non vedevo lo spirito dell’imperialismo, e secondariamente, deve forse il poeta-traduttore contaminare il nostro lettore con questo spirito dell’imperialismo? Se si fosse trattato di un’antologia, allora si sarebbe dovuta fornire una rappresentazione esatta di Kipling e affermare che era un imperialista. Ma non so se la richiesta di questo

98 Serdjučenko 1948: 19. 99 Serdjučenko 1948: 11. 100 Serdjučenko 1948: 12.

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critico sia corretta o meno, cioè se il poeta debba restituire queste tendenze imperialiste con il chiaro obiettivo di infettare il lettore. Credo che il lettore non ne abbia bisogno101.

Maršak, convinto sostenitore dell’approccio libero al testo, viene insignito, l’anno successivo, del premio Stalin per le sue traduzioni dei sonetti di Shakespeare da cui, secondo A. Achmatova, il poeta ha eliminato ogni riferimento al tema dell’omosessualità102.

Mentre per i critici prerivoluzionari, la sola arte possibile è quella che tratta tematiche socio-politiche, in Unione Sovietica il confine tra la sfera politica e quella artistico-culturale è impercettibile a tal punto che un saggio sulla traduzione dedica uno spazio consistente alle figure di Marx, Engels e Lenin. Infatti, Serdjučenko afferma che:

l’elaborazione di una teoria scientifica della traduzione ci obbliga a raccogliere, studiare e utilizzare con particolare cura e attenzione le numerose indicazioni presenti nei classici del marxismo-leninismo sulla traduzione103.

Di fatto, queste asserzioni di principio non trovano una reale conferma nella trattazione e nell’argomentazione. L’autore non può fare altro che elencare semplicemente i passaggi in cui Marx ed Engels hanno affrontato il tema della traduzione nei loro scritti, ma non sviluppa, a partire da queste informazioni, delle considerazioni e delle riflessioni sulla pratica traduttiva. Questo dimostra che il riferimento ai classici del marxismo sia diventato un passaggio obbligato per qualunque tipologia di argomento trattato e, al contempo, una procedura fine a se stessa che non necessita di ulteriori elaborazioni.

Nell’affrontare la figura di Lenin, Serdjučenko ne evidenzia il rifiuto della resa letterale e della restituzione parola per parola, riportando il passo in cui il leader sovietico risponde energicamente alle accuse di P. Skvorcov104 in merito alla traduzione del Capitale in lingua russa:

Il signor Skvorcov afferma che io “non ho capito” Marx, mi accusa di aver “tradotto liberamente”. […] Il mio peccato mortale consisterebbe nel fatto che ho proposto Marx con le “mie parole”105.

101

RGALI, f. 2854, op. 1, ed. chr. 114, l. 46.

102

L. Čukovskaja, Zapiski ob Anne Achmatovoj, YMCA Press, Paris, 1980, II, pp. 15-16, cit. in Friedberg 1997: 135-136.

103

Serdjučenko 1948: 22.

104

Pavel Nikolaevič Skvorcov (1848-1914), economista marxista, autore di saggi di economia politica e agricola.

105 V. Lenin, Nekritičeskaja kritika, in Id., Polnoe sobranie sočinenij, Moskva, 1958-1970, III, p. 616, cit. in Serdjučenko

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Lenin, come ricorda l’autore del saggio, ha ripetutamente sottolineato l’importanza di utilizzare una lingua semplice e accessibile che non ostacoli la comprensione del lettore comune e che possa favorire il ruolo di propaganda della letteratura. Per ottenere la massima chiarezza possibile nell’esposizione, secondo Lenin, non si deve ricorrere ai prestiti dalle altre lingue né alle parole di origine latina. Evidenziare l’avversione del leader bolscevico per il lessico straniero si rivela particolarmente opportuno in questo momento storico in cui l’ideologia sovietica ha assunto dei tratti marcatamente nazionalistici e, parallelamente, ha preso il via la campagna contro il

nizkopoklonstvo, vale a dire l’atteggiamento servile nei confronti della cultura occidentale, le cui

conseguenze si ripercuoteranno in ambito traduttivo.