Presidente. — È aperta la discussione sul tema dodicesimo :
Se non converrebbe fondare una Rivista del credito popolare, nella quale si esaminassero i problemi tecnici che si attengono al risparmio e al credito popolare, e si seguissero le vicende delle nostre istituzioni in Italia e all'estero.
Do la parola al relatore.
Sanguinetti. — Nel convegno di Bologna, accennando ai mezzi di efficace propaganda per la diffusione del credito popolare, si pose innanzi dall'onorevole Fortunato il con-cetto di fondare un giornaletto del credito popolare. Allora
quest'idea non si discusse,ia si additò soltanto: tuttavia parve che la proposta, ottima per sè stessa, potesse essere s t u -diata dapprima in seno al Comitato e portata poi al prossimo Congresso, ciò che appunto oggi facciamo. Le ragioni che militano a favore di essa sono molte : fra le principali, il bi-sogno di uno scambio d'idee, la necessità di risolvere, col concorso di tutti gli interessati in queste istituzioni, molti problemi di natura amministrativa e contabile, i quali si presentano frequentemente nell'andamento amministrativo delle nostre Banche. Oggi noi non abbiamo un organo no-stro ; vediamo invece che lo hanno le Istituzioni popolari del Belgio, vediamo che le piccole Banche popolari di Francia, istituite da quell'ottimo Padre Lodovico, che noi
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tutti applaudimmo al terzo Congresso di Bologna, hanno
V Union Économique, fondata già da tre o quattro anni, nella
quale si studiano temi di effettiva importanza per le nostre Istituzioni e si è già ottenuto un ottimo successo. Si doman-derebbe dunque perchè in Italia, dove contiamo ben centoset-tanta Banche popolari, in cui ne vediamo sorgere ogni giorno di nuove, in cui abbiamo bisogno di diffondere certe idee, le quali non possiamo qui discutere, perchè realmente non si attengono a principii generali, ma più a specialità prati-che, perchè non potremmo fondarla anche noi una Rivista? D'altra parte, noi dobbiamo conoscerci l'un l'altro; e qual migliore occasione di un giornale, in cui ciascuno di noi, senza nessuna pretesa, ma per quella pratica che ha acqui-stata, per quegli studii che può aver fatto, ponga in comune le proprie idee? Secondo noi a questo giornale potrebbero collaborare liberamente e direttamente gli amministratori delle Banche. Quanto alla parte economica, noi abbiamo già un fondo di 12,000 lire per la propaganda del credito popolare; abbiamo poi un contributo annuo. Si accennava ieri che non si sarebbe potuto votare il bilancio, perchè, in dipendenza di questo concetto della fondazione della Ri-vista, il bilancio si sarebbe aggravato.
Ma non possiamo far calcolo sulle 6000 lire d'avanzo patrimoniale dell'Associazione, e sul fondo di propaganda di 12,000 lire, aumentato dei rispettivi interessi? Del resto, un giornaletto che fosse di otto o dieci pagine e si pub-blicasse mensilmente, non porterebbe un onere troppo grave, e riescirebbe utilissimo. Ma bisogna innanzi tutto che cia-scuno di noi si proponga di collaborarvi, perchè il Comitato può bensì fondare la Rivista, può assumerne la direzione, ma non è il Comitato quello che deve esclusivamente man-tenerla coi proprii lavori, perchè allora verrebbe anche meno lo scopo che questo giornale debba essere l'unione di tutte le idee, di t u t t e le proposte che possono emanare dalle sin-gole Banche.
Ravà. — Per amore di verità debbo dire che un gior-nale quale l'amico Sanguinetti lo desidera, noi l'abbiamo già nella Rivista eli beneficenza .che tutti conosciamo, alla quale non mi perito di rendere qui le dovute lodi, lodi in cui spero converremo tutti. Questa Rivista già tre anni è stata, non
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so se ufficialmente, ma offic iosamente, un organo dell'Associa-zione delle Banche popolari italiane; essa per la prima pubblicò
in extenso le relazioni del nostro presidente, essa fece
un'il-lustrazione di tutte le Banche popolari italiane che si pre-sentarono all'Esposizione di Milano. Ora io credo che l'As-sociazione potrebbe incaricare il Comitato di vedere se, sotto la sua direzione, potesse il direttore della Rivista di
bene-ficenza unire una parte strettamente relativa al Credito
po-polare. Non dissimuliamoci che se in Italia ci è una certa tendenza a moltiplicare gli organi di pubblicità, molte volte conseguita che questi organi non hanno la vitalità che si desidererebbe. Di più, noi vediamo ancora che l'Associazione delle Banche popolari, e l'ha mostrato oggi stesso, tende ad appoggiare altre istituzioni di previdenza, o cooperative, come le case operaje: quindi un periodico il quale, oltre al cre-dito popolare, sì interessi di altre quistioni relative alla previdenza, mi pare meriti d'essere scelto come organo dell'Associazione; sia pure per mezzo di speciali supple-menti.
Presidente. — Da tempo il Comitato ha l'idea di questa modesta Bivista. Siamo associati e riceviamo regolarmente la Rivista tedesca diretta dallo Schulze, la Rivista belga ed al-trettali, e abbiamo la persuasione della grande utilità di que-sto scambio d'idee tecniche e di esperienze che una Rivista offre alle Istituzioni cooperative. Tuttavia non ci siamo mai nascosta la grave difficoltà di poter con onore redigere una Rivista somigliante. Trattasi, siccome il mio amico San-guinetti ha esposto, non solo di tener conto degli esperi-menti nazionali, ma anche dei forestieri, e di dare a questa rivista un carattere di continua modernità. Dovrebbe tenere in evidenza e illustrare tutti gli esperimenti più notevoli intorno alle nostre istituzioni. È idea opportunissima quella che i collaboratori di questa Rivista potrebbero essere anche e specialmente gli stessi direttori e amministratori delle nostre Banche : cosi avviene anche in Germania, e la Rivista tedesca quasi in ogni numero reca qualche rapporto o di direttore o di amministratore di Banche; sono esperienze messe in comune che giovano a tutti. Ma bisogna però che vi sia anche un segretario di redazione, il quale tenga conto delle esperienze estere e le illustri. Il Comitato
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rebbe di poter affrontare questa responsabilità : perù qui sorgono parecchi quesiti. Deve essere un Bollettino officiale, distinto, che non abbia nulla di comune con altre Riviste, oppure deve il Comitato, senza impegnare il Congresso con una od altra Rivista esistente, studiare una fusione ? L'e-gregio Ravà dice: c'è la Rivista di beneficenza. Io stimo molto questo giornale, ma oggi ci giungono da più parti continue offerte di altre Riviste, le quali s'impegnerebbero, ove il
Comitato rinunziasse a pubblicare un Bollettino speciale, a inserire gratuitamente un Bollettino officiale steso sotto la responsabilità del Comitato. Perciò non crederei opportuno d'impegnare il Congresso ad esaminare fin da ora se il Bol-lettino debba essere distinto, o fuso in una o in altra Rivista. A me parrebbe che se il Congresso crede che sia opportuno fondare questo Bollettino, che andrà perfezionandosi col tempo, si lasci una certa libertà all'iniziativa del Comitato. È certo che si t e r r à conto dei desiderii espressi; ma più oltre non credo che il Comitato potrebbe impegnarsi in questa questione.
Minelli. — Approvo l'idea di una Rivista, ma non credo che convenga fonderla con altre esistenti Riviste. Dev'essere un Bollettino esclusivo per le Banche popolari.
Berti Ferdinando. — Nessuno più di me pregia la Rivista
di beneficenza; nessuno meglio è persuaso che, come c'è una
Rivista tedesca e una belga, cosi le Banche popolari de-vano avere un organo proprio per l'esposizione delle proprie idee e lo studio di bisogni proprii. Ma non sono men vere le ragioni di opportunità che ha messe innanzi l'onorevole no-stro presidente. Assemblee come le nostre non sono fatte per entrare in dettagli eccessivi; debbono fissare delle mas-sime e dei criterii, affidandone l'effettuazione a quel Comitato che gode intera la nostra fiducia. Quindi io direi di accogliere in massima la proposta che ci fa il Comitato, lasciandogli fa-coltà di attuarla nel modo che crederà migliore.
Presidente. — Parendomi che tutti gli oratori conven-gano nella proposta del relatore, la metto ai voti:
« Il Congresso, riconosciuta l'utilità della pubblicazione « di un Bollettino del credito popolare in Italia, incarica il « Comitato degli studii e delle pratiche relative. »
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Presidente. — Ora viene il tema settimo, affidato all'o-norevole Vacchelli:
Ordinamento del risparmio e partecipazione che può avervi lo Stato. Quali provvedimenti debbano essere accolti dalle Banche popolari per agevolare ulteriormente la collezione dei pìccoli
risparmi.
Do la parola al relatore.
Vacclielli. — L'ordinamento del risparmio è un tema massimo, perchè il risparmio è quella miniera dalla quale noi abbiamo tratti i mezzi per compiere il molto che dalle Istituzioni di credito popolare si è venuto operando in questi anni dacché l'Italia si è ricostituita a libertà. Noi siamo sempre stati fidi a questo concetto, che le forze nostre do-vevamo attingerle alla miniera del risparmio. Io rammento che vi f u un perìodo in cui prevaleva l'idea che si dovesse invece far conto sulla emissione dei biglietti di circolazione ; ma le Banche popolari, pure soddisfacendo, dove la necessità 10 ha voluto per le piccole contrattazioni, a qualche emis-sione di piccoli biglietti, non si sono mai abbandonate a quest'onda della circolazione fiduciaria, sempre hanno r i -posta la loro fede nella miniera del risparmio.
Le Banche popolari sono semplicemente organismi per raccogliere e far circolare il risparmio.
Ciò nullameno esse non sono tutto nel tema del rispar-mio, e noi ben volentieri riconosciamo che abbiamo in quest'opera compagne le Casse di risparmio. Però oggi che 11 tema dell'ordinamento delle Casse di risparmio ha de-stato tanto interesse nell'opinione pubblica di tutto il no-stro paese, il Congresso delle Banche popolari, legato da vincoli di schietta fratellanza colle Casse di risparmio, non poteva raccogliersi senza che il tema fosse proposto e di-scusso in mezzo a noi.
Così, parlando dell'ordinamento del risparmio, noi t r a t -tiamo una questione, la quale, se interessa grandemente le Casse di risparmio, interessa non meno anche noi ; perchè si tratta d'ordinare appunto il modo con cui esercitare questa miniera, dalla quale, come dissi, abbiamo tratto e trarremo le forze per adempiere l'opera nostra.
Il rifiorimento degli Istituti di risparmio data da un
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secolo f a ; da circa sessant'anni ha cominciato a dare utili frutti. L'opera di raccogliere i risparmi è per sè stessa di natura privata, non crea rapporti di diritto pub-blico, ma di diritto civile; e perciò non ha punto bisogno di essere regolata da disposizioni fuor del diritto comune. Tuttavia quando diciamo Casse di risparmio, intendiamo Istituti i quali compiano queste operazioni senza nessun utile loro; ma chi si assumerà una gestione che non gli deve fruttare utile alcuno ? Devono essere i privati, devono essere i Comuni, deve essere lo Stato? Ecco il tema. E il tema è stato risoluto diversamente nei diversi Stati d'Eu-ropa. Nella Svezia, in una parte della Svizzera l'iniziativa privata, la spontanea azione popolare ha pensato senz'altro a ordinare questi Istituti. Altrove invece, come in Francia e in Inghilterra, lo Stato vi ha preso una parte più diretta. In Austria lo Stato ha promosso la fondazione di questi Isti-tuti, ma una volta promossi, pur conservando su di essi una certa autorità come si confaceva alla natura sua di governo assoluto, lì lasciò poi alla loro lìbera e distinta ammini-strazione. Di recente prevalse in generale il sistema della spontanea formazione delle Casse di risparmio, che in al-cune parti d'Italia sono state costituite da Società popolari, in altre per iniziativa dei Comuni, dappertutto abbando-nate ad amministrazioni autonome.
Quale di questi modi è il migliore? Anzitutto, per pro-muovere la fondazione delle Casse di risparmio, credete voi che valga meglio l'azione dello Stato o quella popo-lare? Quando una cosa si deve fare' dallo Stato, noi ben sappiamo che bisogna che un'iziativa percorra ben molte vie auliche prima che si possa tradurre in effetto, e poi sarà il pensiero di uno, di due, di dieci che si dedica a questo scopo. Ma se noi invece facciamo appello all'azione popo-lare, troviamo qua e là, nelle cento città italiane, una quan-tità di persone, le quali, per il desiderio del bene, si occu-pano di costituire queste Casse, e postochè ne furono fondate e danno dei buoni frutti, imitano i primi esempii ed emulano quelle iniziative. Quindi a me pare indubitato che per promuovere le Casse di risparmio vale assai me-glio affidarsi ai generosi istinti dell'azione individuale e popolare, che non all'opera diretta dello Stato. Quanto al
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sap-piamo che lo Stato non può esercitare un efficace con-trollo nell'andamento loro: per esperienza sappiamo che quando lo Stato ha voluto esercitare un controllo sull'an-damento delle Società commerciali, si assumeva una gra-vissima responsabilità morale senza potervi influire in modo condegno. Immaginarsi che lo Stato da un ufficio cen-trale, per quanto composto di persone capaci, possa sorve-gliare il minuto andamento di una quantità di Istituti sparsi in tutte le parti d'Italia, è errore gravissimo. Il controllo dello Stato, e per natura sua e per l'esperienza che n'ab-biam fatto, è assolutamente inefficace in confronto di Isti-tuti che conservino qualche autonomia nell'andamento loro, e vale sempre meglio il controllo dell'opinione pubblica e degli interessati che di leggieri possono conoscere u n ' a -zienda limitata per importanza di estensione.
La quistione s'aggrava riguardo agli impieghi. Perchè se noi lasciamo che le Casse di risparmio si costituiscano autonome, si trovano sparse in ogni luogo, raccolgono i depositi e poi li impiegano in operazioni agrarie e di va-ria natura, ma in guisa da ritornarli al luogo da cui li ebbero tratti. Invece dove lo Stato si fa l'autore e il diret-tore di tutte le Casse di risparmio, tutto il denaro che è portato ad esse affluisce allo Stato e ne viene impiegato in rendita o in opere di utilità generale, ma certo non di u t i -lità locale. Non vale a fecondare i bisogni minuti dell'a-gricoltura, dell'industria, che ci sono pure in ogni parto d'Italia. Anzi una volta che si ordinino le Casse di risparmio in questo modo, si apporta un danno, e un danno g r a -vissimo, alle piccole industrie e alla piccola agricoltura. Se non ci fossero le Casse, è belisi vero che questi capitali resterebbero giacenti, o almeno circolerebbero ben poco; ma d'altra parte, la fiducia reciproca alimentata dalla r e -ciproca conoscenza fra chi ha capitali e chi ne bisogna, agevolerebbe pure talun impiego in vantaggio dell'agricol-tura e delle industrie locali. Per contro, volta che è reso agevole dalla istituzione delle Casse di risparmio il dare a frutto i capitali, questi sono attratti al centro, e i biso-gni locali non trovano più modo di ottenere soddisfazione, tanto più se le Casse di risparmio sono accentrate dallo
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Stato. Allora non solo non riescono di vantaggio, ma t o r -nano assolutamente di danno. Richiamo l'attenzione vo-stra sopra questo punto, perchè in Italia, specialmente per ciò che concerne il credito agrario, abbiamo bisogno di ritornare i capitali nello stesso luogo d'onde li togliamo; al-trimenti è impossibile che vediamo a rifiorire quella grande e principale alimentatrice delle forze del nostro paese, eh' è l'agricoltura.
Quanto alla solidità ed alla facilità di superare le crisi, non voglio ricordare i molteplici esempi che ci hanno of-ferto le Casse di risparmio di Europa; questo mi basta af-fermare che in quei luoghi dove le Casse di risparmio sono affidate al credito dello Stato, accentrate e dirette dallo Stato, esse hanno subito nel modo più grave l'influenza delle crisi politiche. Dove invece le Casse di risparmio sono state costituite e serbate autonome, abbiamo veduto gravissime crisi politiche passare sopra il loro capo senza che il loro credito e l'andamento delle operazioni si scuo-tesse affatto, oppure si scuoscuo-tesse con gravità corrispondente. Che se lo Stato si prese un'ingerenza limitata sulle Casse di risparmio, limitata e media fu pure l'influenza su di esse della crisi. Ricordando questi semplicissimi fatti, a me pare che sarà difficile di non trovarci d'accordo nel formu-lare il desiderio che le Casse di risparmio possano costituirsi autonome senza bisogno dell'ingerenza dello Stato, lascia-tane la responsabilità ai loro amministratori, il controllo all'opinione pubblica locale e a quegli altri ordinamenti di controllo degli interessati che la legge potrà regolare en-tro la cerchia del diritto comune.
Sarà tanto più facile venire a questa conclusione poiché il nuovo Codice di commercio ha abbandonato affatto per-le Società commerciali l'autorizzazione governativa; sic-ché sarebbe certamente cosa strana e che contrasterebbe con la corrente nuova delle idee questa, che mentre le Casse di risparmio si sono costituite sempre senza bisogno dell'intervento del Governo, anche quando per le Società commerciali questo intervento era necessario, si volesse esigere ora l'autorizzazione governativa, quando per le So-cietà commerciali vi si è rinunciato. Insomma per quanto concerne la fondazione e l'ordinamento delle Casse di
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-sparmio non si tratta di scegliere un nuovo modo, ma di continuare in quello nel quale l'Italia ha già vissuto per sessantanni ; in questi sessantanni accumulando continua-mente esperienze felicissime.
Si è data, non lo nego, qualche Cassa la cui amministra-zione non è proceduta bene ; ma questi casi, inevitabili in qua-lunque ordinamento, furono rai-issimi e non mai senza riparo.
Questa soluzione circa l'ordinamento fondamentale delle Casse di risparmio apporta come semplice conseguenza la risoluzione anche dell'altra quistione, della quale si è tanto preoccupata in questi mesi l'opinione pubblica ; la qui-stione cioè se sia da devolversi una parte degli utili delle Casse di risparmio ad un altro scopo speciale e determinato. Una volta che noi domandiamo che sia riconosciuta la piena autonomia delle Casse di risparmio, è impossibile non rico-noscere anche la loro piena autonomia nel disporre degli utili che possono avere.
Del resto, o signori, vi piaccia considerare che tutte le istituzioni perchè possano soddisfare allo scopo per cui sono fondate, importa che si dedichino esclusivamente a questo scopo, e a questo facciano convergere tutte le loro forze. Ora le Casse di risparmio che cosa si propongono ? Si pro-pongono di provocare la formazione dei capitali, raccogliendo i piccoli risparmi, e di impiegarli a benefizio delle industrie locali. Ma per raccogliere questi capitali bisogna dare ai depositanti il maggior interesse possibile ; perchè poi meglio fecondino l'industria e l'agricoltura bisogna darli al minore interesse possibile. Quindi l'ideale delle Casse di risparmio è quello di non aver utili, appunto perchè soltanto col non dare dividendo a nessuno possono interamente raggiungere il loro scopo di dare il più possibile d'interesse ai depositanti, e di domandare il meno possibile d'interesse alle persone che loro chiedono delle sovvenzioni. Io credo proprio che l'ideale di una Cassa di risparmio sia questo, che meno quel tanto d'utili che potrà abbisognare, sopratutto in principio, allo scopo di accumulare un fondo di riserva per le perdite even-tuali, del resto essa si proponga di non fare guadagno di sorta.
Credo che le Casse di risparmio facciano oggi degli utili per 5,300,000 lire, ma siccome avranno un 70,000.000 su per giù di capitale patrimoniale, in quei 5,000,000 annui
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entra per 3,500,000 l'interesse del loro patrimonio. 11 di più, sopra una giacenza di 700,000,000 annui di depositi, capirete bene che non si può dire un frutto esagerato. Ma questi utili, se pure vi sono, devono essere rivendicati e lasciati liberamente alla disposizione delle singole strazioni, tanto più che dal momento che queste Ammini-strazioni si sono fondate per il pubblico bene, troveranno