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Segue. Annullabilità e rescissione

La restituzione delle prestazioni di fare nella patologia del contratto

7. Segue. Annullabilità e rescissione

Quando il contratto è annullabile, la legittimazione ad avvalersi del rimedio spet-ta solo alla parte nell’interesse della quale lo stesso è sspet-tato previsto dalla legge (l’in-capace, il contraente la volontà del quale risulta viziata, il rappresentato quando il rappresentante agisce in conflitto di interessi o contrae con se stesso)48. Occorre, allora, operare un’analisi differenziata in base alla circostanza che la parte legittimata a far valere l’annullabilità del contratto abbia eseguito la prestazione di fare (solvens) o l’abbia invece ricevuta (accipiens).

Se la parte legittimata ha eseguito la prestazione, può ottenere la restituzione del suo valore commisurato al prezzo di mercato: si ripropone qui la soluzione indicata in relazione alla nullità del contratto. A differenza di quanto si è osservato in merito alla risoluzione per inadempimento – che il contraente deluso può ottenere solo a condizione di non essere a sua volta inadempiente – su questo terreno la parte pro-tetta non è vincolata dal contratto, di cui può ottenere l’annullamento anche se non ne ha rispettato i termini: in sintonia con tale presupposto, i rimedi legali non le assicurano la posizione in cui si sarebbe trovata se il contratto fosse stato attuato

46 Cfr. Cass., 2 aprile 2009, n. 8040, in Rep. Foro it., 2009, Arricchimento senza causa, 21; Cass., 27 giugno 2006, n. 14807, in Rep. Foro it., 2006, Arricchimento senza causa, 4; Cass., 27 febbraio 2002, n. 2884, in Vita not., 2002, p. 306, in Riv. giur. edil., 2002, I, p. 889 ed in Contratti, 2002, p. 982, con nota di E. Va-glio, Costruzione di immobile abusivo: nullità dell’appalto e azione di ingiustificato arricchimento; Cass., 13 aprile 1995, n. 4269, in Riv. giur. edil., 1996, I, p. 50. In senso conforme v. anche Cass., sez. un., 19 ottobre 1990, n. 10183 (obiter), cit. nt. 5: l’appaltatore che conclude un contratto nullo per la violazione delle norme sull’intermediazione della mano d’opera deve restituire il corrispettivo ricevuto, ma è legittimato ad esercitare nei confronti del committente l’azione di arricchimento senza causa, «nei limiti del vantaggio da esso conseguito». In relazione ad una fattispecie in cui la condotta dell’appaltatore integrava un illecito pe-nale, risulta diversamente orientata Cass., 14 dicembre 2011, n. 26853, in Rep. Foro it., 2011, Possesso, 13:

«nessun indennizzo può essere preteso da un terzo costruttore che abbia realizzato l’opera, su un fondo al-trui, in violazione della normativa edilizia…essenzialmente perché quell’indennizzo sarebbe in contrasto con i principi generali dell’ordinamento ed in particolare con la funzione dell’amministrazione della giusti-zia considerato che l’agente finirebbe con il conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudigiusti-ziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l’attività penalmente illecita e che in via diretta gli è precluso dagli artt. 1346 e 1418 c.c.». Sul punto v. anche Cass., 23 maggio 2012, n. 8156, in Rep. Foro it., 2012, Possesso, 23: la sentenza esclude che l’appaltatore abbia diritto ad ottenere la restituzione del valore dell’opera, in quanto quest’ultima era da un lato abusiva; dall’altro, costruita con materiali che avrebbero dovuto essere rimossi perché non utilizzabili in base alla legislazione di settore. Siccome, dunque, il committente non aveva conseguito alcun effettivo arricchimento, l’azione esercitata dall’appaltatore ai sensi dell’art. 2041 c.c. viene rigettata.

47 Cfr. Cass., 18 luglio 2002, n. 10427, cit. nt. 5; Cass., 23 maggio 1987, n. 4681, cit. nt. 5.

48 Cfr. art. 1441, comma 1° c.c.

(interesse positivo), ma la riconducono nella situazione in cui si sarebbe trovata se non avesse concluso l’accordo annullabile (interesse negativo).

Il risarcimento del danno eventualmente dovuto dalla controparte compensa le spese sostenute e le occasioni di guadagno perse a causa dell’affidamento riposto nell’efficacia del contratto. Coerentemente, l’equivalente pecuniario delle opere compiute o dei servizi resi, la restituzione dei quali viene domandata, merita di es-sere commisurato al loro valore di mercato determinato con riferimento al momen-to della conclusione del contratmomen-to: se, infatti, non avesse concluso l’accordo annul-labile, la parte protetta avrebbe potuto negoziare l’esecuzione della prestazione per un corrispettivo oscillante intorno al suo valore medio di mercato.

In sintesi, siccome il contratto non vincola la parte legittimata a far valere l’an-nullabilità [come, invece, vincola la parte che domanda la risoluzione] la legge pro-tegge il suo interesse negativo, collocandola nella situazione in cui si sarebbe trovata se non avesse concluso l’accordo; in sintonia con questo presupposto, l’oggetto dell’obbligazione restitutoria si identifica con la somma che il solvens avrebbe potuto ricavare se, non avendo concluso il contratto viziato, avesse collocato la prestazione sul mercato.

Se invece la parte legittimata a far valere l’annullabilità del contratto ha ricevuto la prestazione, la restituzione incontra diversi limiti. Quando l’annullamento dipen-de da incapacità di agire, la prestazione ricevuta dal contraente incapace è suscetti-bile di essere restituita solo nella misura in cui sia «stata rivolta a suo vantaggio» (art.

1443 c.c.). La misura della restituzione è limitata al vantaggio che ne ha ricavato l’accipiens, sicché l’oggetto della corrispondente obbligazione viene determinato an-che alla luce della destinazione an-che la prestazione ha ricevuto49. Nel contesto di tale valutazione assumono rilevanza non solo fattori idiosincratici relativi alla sfera patri-moniale ed organizzativa dell’accipiens, ma anche vicende successive al momento in cui la prestazione è stata ricevuta: il presupposto della regola, infatti, si ravvisa nella presumibile inidoneità del contraente incapace ad utilizzare la prestazione in modo economicamente produttivo.

Quando l’annullabilità dipende da un vizio del consenso dell’accipiens, la restitu-zione “per equivalente” del valore dell’opera o del servizio risulta incompatibile con la funzione del rimedio: quella di salvaguardare le parti dalle conseguenze che po-trebbero derivare dalla scorretta formazione delle rispettive volontà50. Il meccanismo delle restituzioni, infatti, tende a riproporre lo scambio prefigurato dal contratto

49 Cfr. E. Bargelli, Il sinallagma rovesciato, cit. nt. 4, p. 232 ss.; G. Marini, Il contratto annullabile, in Tratt.

contratto, diretto da V. Roppo, VI, Rimedi-1, Giuffrè, 2006, p. 387 s.; C. Manzini, Il vantaggio dell’incapace, in Riv. dir. civ., 1980, I, p. 649 ss.; U. Breccia, La ripetizione dell’indebito, cit. nt. 38, p. 477 ss.; E. Moscati, Indebito (pagamento e ripetizione dell’), in Enc. dir., XXI, Giuffrè, 1971, p. 95 ss.

50 Sul punto v. ancora E. Bargelli, Il sinallagma rovesciato, cit. nt. 4, p. 251 ss.

annullabile: se la parte tutelata fosse obbligata a restituire l’equivalente pecuniario della prestazione ricevuta, verrebbe di fatto a compensare il compimento di un’ope-ra o la prestazione di un servizio in relazione ai quali non ha espresso un valido consenso.

Anche con riferimento a questa ipotesi, tuttavia, è da ritenere che il solvens sia legittimato a esercitare un’azione di arricchimento senza causa (art. 2041 c.c.). Si ripropongono, qui, considerazioni analoghe a quelle già espresse in relazione alla restituzione delle prestazioni di fare conseguente alla nullità del contratto illecito o illegale. Se si applica rigorosamente la disciplina dell’arricchimento senza causa, non si ripropone lo scambio sanzionato dalla legge con l’annullamento del contratto; si circoscrive, invece, l’estensione della deroga al principio in base al quale ogni sposta-mento patrimoniale deve essere giustificato. L’accipiens non è obbligato a restituire la prestazione ricevuta sulla base di un accordo al quale non ha validamente accon-sentito; egli si limita a corrispondere un’indennità commisurata alla minor somma tra il proprio arricchimento e l’impoverimento della controparte. In precedenza, si è sostenuto che l’arricchimento senza causa non è idoneo a governare la restituzione delle prestazioni di fare conseguente all’applicazione dei rimedi contrattuali51. Pro-prio per questa ragione, tuttavia, l’istituto può essere applicato quando la parte che ha ricevuto la prestazione non ha espresso validamente il proprio consenso: il sol-vens, infatti, non ottiene la restituzione della prestazione eseguita, ma viene inden-nizzato del proprio impoverimento, o, se minore, dell’arricchimento conseguito dalla controparte.

Ipotizziamo che il gestore di uno stabilimento industriale concluda un contratto di manutenzione con un imprenditore specializzato, il quale, ingannandolo, gli pro-mette un incremento di efficienza dei macchinari superiore al 20%. Il contratto è annullabile per dolo dell’appaltatore, ma il committente del servizio – che pur non riscontrando alcun incremento di efficienza fruisce, a seguito dell’esecuzione della prestazione, di macchinari correttamente lubrificati – è tenuto a indennizzare l’ap-paltatore ai sensi dell’art. 2041 c.c. Per evitare che l’applicazione della disposizione possa comportare a carico del committente il rischio di un’imposizione dello scam-bio52, è sufficiente intendere il suo arricchimento in una prospettiva rigorosamente patrimoniale: la prestazione arricchisce il committente non in considerazione del suo valore, ma nella sola misura in cui contribuisce ad evitare spese che egli avrebbe altrimenti sostenuto.

Quando il contratto è rescindibile, il criterio incentrato sul valore di mercato della prestazione si presta, invece, ad essere applicato indifferentemente tanto se la

51 V., supra, § 1.

52 In relazione al quale cfr. P. Trimarchi, L’arricchimento senza causa, cit. nt. 1, p. 11 ss.

parte legittimata ha eseguito l’opera o il servizio (solvens), quanto se li ha ricevuti (accipiens)53. Tale criterio, infatti, appare quello maggiormente idoneo a sanare la situazione di squilibrio che in concorso con altri elementi giustifica l’applicazione del rimedio.

Ipotizziamo che un appaltatore abbia eseguito un servizio per un corrispettivo inferiore alla metà del prezzo di mercato a causa del suo stato di bisogno, del quale il committente ha approfittato. A seguito della rescissione, egli otterrà la restituzione della prestazione eseguita, commisurata al suo valore di mercato: su tale valore, del resto, dovrà essere parametrata l’offerta di riduzione ad equità grazie alla quale il committente può evitare la pronuncia di rescissione (art. 1450 c.c.). In entrambe le evenienze (sentenza di rescissione od offerta di riduzione ad equità) lo squilibrio tra le prestazioni contrattuali viene sanato e il rapporto viene ricondotto a valori in linea con quelli di mercato.

Si può ancora ipotizzare che – avendo assolutamente bisogno di un servizio per poter adempiere un’obbligazione contratta nei confronti di un partner commerciale, ed evitare, così, il deterioramento di un rapporto di importanza “vitale” – il commit-tente pattuisca con l’appaltatore un prezzo superiore al doppio del valore di mercato della prestazione. Anche in questo caso, la restituzione (del prezzo esorbitante, e) del valore di mercato della prestazione consente di sanare integralmente lo squilibrio del rapporto contrattuale al quale la rescissione reagisce. Non diversamente, l’offerta di riduzione ad equità formulata dall’appaltatore per evitare la rescissione assumerà quale essenziale punto di riferimento il valore di mercato della prestazione.

53 Consideriamo, in questa sede, la sola rescissione del contratto concluso in stato di bisogno. In relazione all’altra variante del rimedio, la restituzione per equivalente dell’opera o del servizio resi a favore del contra-ente in stato di pericolo assume la forma dell’«equo compenso», la determinazione del quale è rimessa alla prudente valutazione del giudice: cfr. art. 1447, 2° comma c.c.