1.4.3) Yakko
Nella storia dello Yoshiwara e, più in generale, di Edo la figura dello yakko (悛) ha avuto la sua parte di popolarità e influenza. Gli edochiani erano noti per la loro tendenza a scaldarsi facilmente, e tra la classe degli hatamoto (踰鑚)72, in qualità di servitori, e quella dei cittadini comuni nacquero dei
personaggi dediti al gioco d'azzardo e alle malefatte: gli yakko. In principio, yakko indicava il malvivente, colui che maltrattava i deboli e si approfittava dei problemi altrui. Con il passare del tempo, si vennero a distinguere due tipologie di yakko: gli hatamotoyakko (踰鑚悛), considerati i “cattivi”, e i machiyakko ( 悛) o otokodate ( 停 ), i “buoni”. I primi non cambiarono rispetto agli yakko predecessori, mentre gli
otokodate erano considerati dalla popolazione come degli eroi. Erano noti e apprezzati per il senso di
giustizia e per lo spirito cavalleresco che li contraddistingueva, e in un certo senso ricordano il personaggio di Robin Hood e gli ideali che rappresenta (vedi fig. 6).
Figura 6: Banzuiin Chōbē (瀲⺿㾱
鰭⇐, 1622-1657), il più famoso otokodate della storia. Fu
ucciso da una gang rivale di hatamotoyakko. Opera di Utagawa Kuniyoshi (1798-1861).
Queste due tipologie di yakko si organizzavano in gruppi, ognuno con un proprio capo, e non perdevano l'occasione per sfidarsi e scontrarsi, ovunque si trovassero: in un bagno pubblico, in un
chaya o in mezzo alla strada. Il loro atteggiamento bellicoso (completo di omicidi) e il loro attaccamento
al proprio gruppo sono gli stessi che identificano le gang e le guerre tra di esse che accadono tutt'oggi. Le scorribande e gli scontri di questi yakko arrivarono anche dentro le mura dello Yoshiwara creando non pochi disordini.
72 Gli hatamoto corrispondevano al rango più elevato di samurai. Erano sotto il diretto controllo del bakufu ed erano gli unici samurai ai quali era concesso parlare direttamente con lo shōgun.
1.4.4) Clienti
I clienti dello Yoshiwara non appartenevano a nessuna classe sociale specifica, o meglio venivano considerati come se fossero tutti uguali. Chiunque poteva andare a visitare il quartiere e diventare un cliente. I piaceri in vendita erano molti e alla portata di tutti i tipi di tasche. Dai ranghi più bassi di prostitute a quelli più elevati di cortigiane, dal sakè più scadente a quello di pregiata qualità, dagli intrattenimenti pacchiani a quelli più raffinati: lo Yoshiwara era strutturato appositamente per accontentare tutti. Come per ogni regola, però, anche qui c'era un'eccezione: il denaro. Infatti, i trattamenti migliori venivano riservati solo a chi disponeva di ingenti capitali, come i daimyō. Questi, come anche i samurai di alto rango, volevano passare inosservati e facevano in modo da non essere riconosciuti, portando calcato sul capo un amigasa, o alzando il colletto della veste, o nascondendo la metà inferiore del volto con un ventaglio. Tuttavia, all'ingresso dello Yoshiwara e negli ageya venivano richieste loro l'identità e le credenziali, e non potevano mentire. Per volere del bakufu, che non apprezzava che i suoi daimyō frequentassero il quartiere, ogni ageya era obbligato a porre fuori dall'ingresso un cartello con scritto il nome del signore che stavano intrattenendo. In questo modo, era facile per il bakufu contattare i daimyō nel caso di bisogno. In seguito, furono imposte delle sanzioni ai
kutsuwa che accettavano dei daimyō come clienti. Questo provvedimento comunque non fu un efficace
deterrente, giacché gli incontri clandestini tra daimyō e cortigiane continuarono. Altro tentativo, dimostratosi altrettanto inefficace, di porre un fine a queste visite dei signori feudali allo Yoshiwara, sempre da parte del bakufu, fu un'ordinanza73 che vietava loro l'ingresso al quartiere.74
1.4.5) Cortigiane e prostitute
Il termine yūjo ( 悄) viene tradotto in italiano con prostituta, ma per un'interpretazione corretta bisogna tener conto che questa professione è vista in modo diverso nell'Italia contemporanea75 (e in
generale, in Europa). In Italia, la prostituta è una figura negativa, una donna di malaffare, spesso una straniera costretta a svolgere questo umiliante e malsano lavoro per volere di terzi che la rendono una “schiava del sesso”. Per lo Stato la prostituzione è illegale, per la società è immorale, e per la tradizione cattolica che segna, volente o nolente, il nostro Paese è un peccato (che può essere espiato). In passato, come vedremo con le kamuro, in Giappone la prostituzione non era vista come un male, ma come un possibile via per uscire dalla miseria, per guadagnare qualcosa e per sfamarsi. Inoltre, la yūjo non era semplicemente una prostituta, ma anche una cortigiana, ovvero una donna di una cultura elevata e dai costumi sessuali libertini. Era una donna capace di intrattenere non solo con il corpo, ma anche con la propria classe, la propria conoscenza e le proprie abilità artistiche. Per molte donne di altre classi, la giovane e affascinante cortigiana era un modello da imitare e da invidiare: era lei che dettava le mode,
73 In realtà, fu un'unica ordinanza riproposta due volte: una nel 1693 e l'altra nel 1735. 74 Cfr. SEIGLE, Yoshiwara..., p. 59.
75 Durante il Sacro Romano Impero, la prostituzione (maschile e femminile) era legale e pubblica, e soprattutto la prostituta non era soggetta a discriminazioni morali. In Italia, la prostituzione ha continuato a essere praticata legalmente fino al 1958 quando le case di tolleranza vennero chiuse.
che definiva gli stili di eleganza e grazia, che si distingueva per comportamento e linguaggio. In altre parole, tradurre semplicemente yūjo con prostituta nell'accezione che abbiamo noi italiani oggi, è errato. Bisogna innanzitutto fare una distinzione tra prostituta e cortigiana. Inoltre, bisogna ricordare che esistevano delle prostitute al di fuori delle mura dello Yoshiwara, note come shishō ( 抓) o baijo (廝悄). Le donne che praticavano la prostituzione all'interno dei quartieri di piacere erano dette, invece, kōshō (苗抓). Le shishō erano malviste dalle kōshō solo perché rubavano loro possibili clienti, ma la società non le discriminava. Infatti, le shishō erano spesso donne che si prostituivano per aiutare economicamente la propria famiglia.
Furono però le kōshō a segnare l'arte, la letteratura, la moda, la società urbana e la lingua del periodo Tokugawa. Infatti, spesso con yūjo s’intende la kōshō.
I ranghi delle cortigiane sono variati nel tempo e nonostante la classe più nota in Europa sia quella della geisha, questa nacque solo verso la fine del Settecento. Come già visto nell'introduzione a questo capitolo, il prototipo delle cortigiane fu la shirabyōshi. Verso la fine del XVI secolo e l'inizio del XVII secolo, la figura della shirabyōshi, all'interno dei quartieri di piacere di Kyōto e Ōsaka, scomparì in favore di due ranghi di cortigiane: la tayū e la tenjin. A Edo la tenjin era nota come kōshi. Invece, dalle prostitute (comprese anche le yuna) che venivano scoperte mentre praticavano illegalmente la loro professione fuori dalle mura dello Yoshiwara, nacque la classe delle sancha. In seguito, intorno alla metà del Settecento i ranghi di tayū e kōshi scomparirono dando origine alle oiran ( 矴), mentre le
sancha acquisirono prestigio diventando chūsan o hirusan (迚濯). Verso la fine dello stesso secolo le oiran furono surclassate dalle geiko ( 敕) o onnageisha (悄 )76, poi conosciute semplicemente
come geisha. Quest'ultime erano artiste che vendevano le proprie capacità d’intrattenimento – la propria abilità artistica di danzatrici, musiciste, cantanti, poetesse – e non il proprio corpo. Quest'ultima è la grande differenza con le sue predecessore; infatti, la tayū, la kōshi e la oiran si concedevano al proprio cliente, anche se dal terzo appuntamento in poi.
Anche tra le prostitute esisteva una gerarchia. Durante i primi anni, nello Yoshiwara esistevano le
tsubone (楡), le hashi ( ) e infine le kirimise (勉 達). Quest'ultime erano le prostitute da mezz'ora e le più economiche di tutte (costavano circa 50-100 mon, quindi intorno ai € 6,30-12,70).
Il mondo delle prostitute e delle cortigiane è molto vasto, e inoltre capita di imbattersi in differenze tra ranghi e titoli solo spostandosi da una delle tre città principali all'altra: Kyōto, Ōsaka e Edo (e poi Tōkyō)77. Come già anticipato, in questo paragrafo mi soffermerò solo su alcuni ranghi di cortigiane che
esistevano nello Yoshiwara prima del 1750. A esse aggiungerò la figura della kamuro, l'apprendista cortigiana.
76 Durante il periodo Tokugawa esistevano anche gli otokogeisha, soprattutto noti come taikomochi.
77 Solo per dare un'idea della moltitudine di ranghi e titoli: umecha, shinzō, furisodeshinzō o furishin,
tomesodeshinzō o tomeshin, bantōshinzō o banshin, chūsan, yobidashi chūsan, heyamochi, zashikimochi, oshaku (hangyoku a Tōkyō, o maiko a Kyōto), ecc.
1.4.5.a) Tayū e kōshi