Le intensioni sono definite come l’insieme di estensioni che un’espressione espressa all’interno dell’intensione ha in ognuno dei possibili mondi. Come av- viene con tutti i verbi, che prendono clausole come loro argomenti, la relazione descritta `e fra un individuo e l’intensione di una proposizione. Quest’ultima equivale all’insieme degli assegnamenti dei valori di verit`a definiti dalla valu- tazione della proposizione in ogni possibile mondo. Quindi le intensioni delle clausole rappresentano l’oggetto delle credenze di Barack, che non saranno pi`u contraddittorie ma al massimo inaccurate rispetto al mondo reale. Ma ci`o comporta che ogni proposizione necessariamente vera sar`a vera in tutti i mondi, rendendo di fatto identiche le intensioni. Sembra dunque improbabile che la nozione di intensione definita in questo modo sia adeguata a catturare il senso di un espressione inteso come qualcosa di↵erente al riferimento.
2.4 Semantica lessicale e pragmatica
Finora il significato delle espressioni `e stato espresso in termini di riferimento. Una criticata abbastanza frequente all’approccio definito da Montague, ma pi`u in generale alle semantiche formali, riguarda il problema dell’equivalenza fra le proposizioni. Quando il significato di una frase `e espresso attraverso condizioni di verit`a, ogni sostituzione di elementi che preservi la verit`a in tutti i contesti intensionali ed estensionali `e permessa. Ci`o pu`o portare alla formazione di strane e contro-intuitive proposizioni in linguaggio naturale. Come ad esempio nelle espressioni:
1. Should we take the lion back to the zoo? 2. Should we take the bus back to the zoo?
In queste espressioni una conoscenza extra-linguistica, spesso definita in ter- mini di aspetti pragmatici del linguaggio, potrebbe suggerire di assegnare un valore “poco probabile” alla prima delle due espressioni e un valore certo alla seconda. E’ importante notare qui come le difficolt`a non risiedano nella co- noscenza della lingua o delle strutture sintattiche, bens`ı nella possibilit`a di costruire il “corretto” schema concettuale rilevante per la sua interpretazione. Da ci`o deriva la necessit`a di distinguere fra le rappresentazioni formali del significato dell’espressione, da un lato, e quelle degli aspetti pragmatici legati alla sua interpretazione dall’altro.
Rappresentare la componente pragmatica utile all’interpretazione equi- vale a definire i diversi livelli di conoscenza del mondo: lessicale, cultura- le/situazionale etc., ed soprattutto i loro legami. Questi livelli di conoscenza sono alla base delle diverse possibili costruzioni degli stati mentali. Trala- sciando la visione proposta da Saussure sull’arbitrariet`a del legame fra paro- la(morfema) e significato, `e possibile associare a tale legame una connotazione pragmatica cos`ı da potergli associare un’interpretazione. Rimane tuttavia la questione sui confini interni della conoscenza, o meglio fra conoscenza lessicale ed enciclopedica.
Definire quale sia il limite fra conoscenza lessicale ed enciclopedica `e diffi- cile. Se non esistesse nessuna di↵erenza o se essa fosse soltanto illusoria, come suggerito da Lako↵, allora tutta l’informazione verrebbe collassata all’intero del lessico con notevoli difficolt`a nel trattamento composizionale del significa- to. L’alternativa sarebbe trattare queste conoscenze come due entit`a distinte e utilizzare due meccanismi separati per la loro manipolazione. Detto in altre parole impiegare una metodologia per gli aspetti composizionali, e una per l’interpretazione concettuale.
Nelle sezioni precedenti, infatti, l’attenzione per la composizione del si- gnificato `e stata rivolta principalmente sulla definizione della sua dinamica interna al sistema formale in uso. Guidati dal principio di composizionalit`a. gli approcci descritti costruivano il significato di un’espressione a partire dalle sue componenti pi`u piccole. Tuttavia in una successiva definizione proposta da Fodor e Pylyshyn si sottolinea un’ulteriore importante aspetto di questo principio:
“A lexical item must make approximately the same semantic contribution to each expression in which it occurs.”
La questione `e qui spostata sul contributo della singola componente lingui- stica, aldil`a del suo riferimento e del suo valore di verit`a, alla costruzione del significato dell’espressione. Lo studio del significato delle pi`u piccole parti costituenti le espressioni linguistiche prende il nome di semantica lessicale.
Il significato delle unit`a lessicali6 `e assunto come empiricamente giusti-
ficabile attraverso il significato di espressione di cui fanno parte. In questa assunzione l’approccio composizionale diventa quindi un utile strumento di indagine. Soprattutto, l’uso di tale principio permette di non assimilare l’ana- lisi lessicale e la relativa grammatica a qualche forma generica di enumerazione fra le possibili relazioni di entit`a indipendenti. Ipotesi questa dell’indipenden- za che difficilmente trova riscontro non solo negli studi psicologici-cognitivi ma anche in quelli di natura prettamente linguistica. Anzi assumere un certo grado di dipendenza potrebbe facilitare l’analisi delle anomalie e delle contraddizioni. All’interno della semantica lessicale infatti dovrebbero trovare posto gli elementi per rivelare eventuali contraddizioni. Infatti se nei sistemi formali l’incompatibilit`a fra due costituenti `e trattata essenzialmente attraverso un sistema di tipi che impedisce la costruzione di strutture logiche paradossali. Estendere tale approccio anche sul piano pragmatico richiede una conoscenza che vada oltre la semplice organizzazione gerarchica, e che descriva la realt`a con conoscenza extra-linguistica espressa in termini di assiomi.
Si consideri la combinazione nome-aggettivo come proposta da Quine per gli esempi “red apple” e “pink grapefruit”. Nel primo caso l’aggettivo red si riferisce all’esterno del frutto mentre nel secondo caso pink al suo interno. Il contributo o↵erto dall’aggettivo non `e facilmente semplificabile in una forma
6 Rimane comunque aleatoria la definizione formale di cosa sia un’unit`a lessicale e soprattutto quale sia il suo contenuto.
2.4 Semantica lessicale e pragmatica 35
prefissata in quanto esso varia in base alla sua composizione. Alcuni autori come Montague, Keenan, e Kamp proposero di considerare gli aggettivi come funzioni ad-nominali; cio`e come elementi che mutano le propriet`a del nome al quale sono associati in un particolare modo. Ma ancora un tale approc- cio conduce alla necessit`a di dover specificare tutti i possibili casi e si perde quindi la possibilit`a di risolvere la questione della sistematicit`a della capacit`a linguistica. Pi`u recentemente Pustejovsky propose nella sua teoria di lessico generativo7 di scomporre il significato lessicale in un insieme di dimensioni
semantiche, ovvero unit`a atomiche di significato e concettualizzazione. Per Pustejovsky, il semplice enumerare i sensi non permette di cattura- re le (presunte) relazioni semantiche fra i di↵erenti sensi di un espressione polisemica. Egli infatti sottolinea come ad essere modificate sia in realt`a la struttura semantica, denominata struttura di qualia, ad essa associata. Questa struttura, articolata su pi`u dimensioni, definisce una certa entit`a come un in- sieme di fatti: le dimensioni posso essere relative alle parti costituenti, aspetti funzionali, di contesto, o riguardanti le origine del termine. Tuttavia, anche se tale approccio sembra funzionare bene per alcuni esempi, esso sottende alcuni problematiche importanti.
I problemi maggiori nell’applicare l’analisi proposta da Pustejovsky riguar- dano il processo d’inferenza e il piano ontologico. Tale teoria attribuisce infatti una relazione inferenziale fra le parti in esame. Nella frase “the red apple”, per esempio, l’inferenza porta a attribuire la caratteristica di rosso alla buc- cia della mela. Essenzialmente questa metodologia pu`o essere assimilata ad un processo di “unificazione” monotono operato su informazione non confutabile. Le inferenze quindi si trasformano in implicazioni necessarie, ipotesi questa poco plausibile nella realt`a. Ma quanto appena discusso non `e l’unico pro- blema evidenziato nella teoria. Ulteriore fonte di preoccupazione, forse molto pi`u difficile da trattare, riguarda invece l’individuazione degli aspetti salienti da utilizzare nelle strutture di qualia. Nell’esempio precedente si evidenziano alcune caratteristiche di un aggettivo, ma ci`o che pu`o essere rilevante per un aggettivo che indica un colore pu`o non essere rilevante per un altro genere di aggettivo che descrive magari il gusto. Risulta in generale molto difficile selezionare sia le dimensioni sulle quali costruire le strutture semantiche sia selezionare alcuni loro sotto-insiemi per operare modifiche al loro interno.
Nonostante le intuizioni alla base dell’approccio sviluppato da Pustejovsky meriterebbero ulteriori approfondimenti, le problematiche appena descritte hanno limitato non poco la di↵usione di questa teoria.
7 La teoria di Pustejovsky pu`o essere vista come una variante dell’approccio basato sulla generazione selettiva. Tale approccio descrive i vincoli semantici che una certa parola impone sull’ambiente sintattico. Per esempio il verbo to eat preferisce come suo oggetto diretto un cibo. Quindi nella frase John eats the orange la scelta del giusto senso per orange dovrebbe preferire la sua accezione di frutto invece che quella di colore.