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4. Applicazione protocollo metodologico

5.5 Seminari format

Gli unici due studi sperimentali con trial non controllato hanno applicato un intervento di trattamento che consisteva in un seminario formativo rivolto ai partecipanti (Flarity et al., 2013; Meadors & Lamson, 2008).

Lo studio di Flarity et al. (2013) prevedeva la somministrazione di un questionario comprendente la scala “Professional Quality of life” (ProQOL). Questa è stata eseguita prima del seminario, per rilevare i livelli di compassion fatigue e compassion satisfaction e al termine del programma per rilevare nuovamente questi valori e valutare l’efficacia del seminario. Il contenuto del programma includeva informazioni relative alla compassion fatigue quali: origine, segni e sintomi, fattori associati all’assistenza infermieristica, prevenzione e trattamento. Inoltre il seminario comprendeva la dimostrazione di cinque aree d’intervento, considerate le abilità che dovrebbero

sviluppare i professionisti della cura al fine di prevenire e minimizzare la compassion fatigue. Queste abilità sono: Self-regulation, Intentionality, Self-care, Connection, Perceptual maturation; le quali sono state esplicate dettagliatamente nel capitolo “2.2.1 Compassion fatigue e coping”. I risultati del questionario “ProQOL” somministrato al termine del programma mostrano un incremento della percentuale dei livelli elevati di compassion satisfaction, che risulta essere pari al 61%. Questo dato mostra un incremento del 10.2% rispetto al questionario somministrato prima del seminario. Al contempo si può rilevare una diminuzione della percentuale dei livelli moderati di compassion fatigue, che risulta essere pari al 40.7%. Questo risultato mostra un abbassamento della percentuale pari al 16.9%. Questi dati sottolineano l’efficacia del seminario. In particolare questo programma permette di acquisire consapevolezza rispetto alla presenza della condizione di compassion fatigue, dunque la conoscenza di questo stato emotivo che può affliggere gli operatori sanitari e il conseguente accesso alle possibili risorse e strategie di coping, che permettono di prevenirlo o minimizzarlo. Questi meccanismi di coping includono il supporto sociale dei colleghi, l’utilizzo dell’abilità ottimistica, l’introspezione che permette di rilevare ed essere coscienti delle emozioni e dei sentimenti che si provano e l’auto-cura che consente di ricaricare l’energia utilizzata per assistere i pazienti sofferenti (Flarity et al., 2013).

L’altro studio che prevedeva un seminario di intervento simile, è stato effettuato da Meadors et al. (2008). Questo studio includeva la somministrazione di due scale di valutazione (SRRS e ICS), sia prima di effettuare il seminario, che al termine di questo. Le scale di valutazione avevano lo scopo di rilevare i fattori stressanti e i livelli di stress del campione posto in analisi. I dati emersi, prima della partecipazione al seminario, hanno rilevato che i partecipanti con basso livello di stress, ritengono di avere sufficienti risorse di coping per gestire situazioni di stress e sofferenza sul posto di lavoro, di praticare regolarmente attività di svago e avere abitudini alimentari sane. Al contrario, chi è risultato avere alti livelli di stress riferisce di non avere risorse di coping per affrontare momenti di sofferenza e dolore e che ciò, inevitabilmente, implica provare sentimenti di disagio anche al di fuori del lavoro.

I partecipanti hanno poi assistito ad un seminario volto al riconoscimento e alla consapevolezza della compassion fatigue, che includeva i temi relativi ai sintomi di questa condizione e le strategie di coping da attuare per farvi fronte, al fine di minimizzarla o eliminarla. Il questionario post seminario, ha rilevato che i partecipanti mostravano minore tensione e nervosismo. Ciò sarebbe scaturito dall’acquisizione di risorse e strategie di coping che permettono di affrontare situazioni di disagio come la compassion fatigue. In generale la consapevolezza dell’esistenza di questa condizione, con la possibilità di poter accedere a risorse concrete, ha permesso di accrescere negli operatori sanitari un senso di rilassamento. Queste risorse di coping sono simili allo studio analizzato precedentemente, difatti includono le relazioni sociali sul luogo di lavoro, l’ottimismo, l’introspezione e l’auto-cura. Questi risultati positivi sottolineano l’efficacia del seminario di intervento volto alla conoscenza della compassion fatigue (Meadors & Lamson, 2008).

6. Discussione

Come si è potuto rilevare dai risultati analizzati in precedenza, in ambito ospedaliero la morte rappresenta un evento a cui l’infermiere è esposto quasi inevitabilmente nel corso della sua carriera. Seppur di fatto il paziente, nella maggior parte dei casi, risulta essere un estraneo per il professionista, la sua morte suscita dolore che a lungo andare può portare disagio a livello emotivo. Si è visto inoltre, che gli infermieri ospedalieri, esposti di frequente a morte, hanno ripercussioni significative sui livelli di stress (Shorter & Stayt, 2010) e possono mostrare sintomi dolorosi, quali tristezza, pianto, abbattimento, senso di colpa e rabbia (Wilson & Kirshbaum, 2011); che a lungo andare possono portare ad uno stato di esaurimento fisico, emotivo e spirituale, che caratterizza la condizione di compassion fatigue. Come si è potuto evidenziare dai risultati osservati precedentemente, la compassion fatigue è una realtà presente all’interno degli ambiti delle cure ospedaliere. Dalle percentuali di compassion fatigue riportate nei diversi studi presi in analisi (Allie & Brits, 2018; Flarity et al., 2013; Mason et al., 2014; Yoder, 2010), si può stimare che all’incirca il 40% degli infermieri viene colpito da questa condizione e che una delle cause scatenanti risulta essere proprio l’esposizione frequente a morte. Come riportato nel capitolo “2.1.2 Sintomi”, i sintomi associati a questa condizione risultano essere considerevoli, tra questi vi è depressione, fatigue, perdita della capacità empatica, indifferenza verso il proprio lavoro e i pazienti, fino ad arrivare all’abbandono della professione infermieristica (Aycock & Boyle, 2009; Coetzee & Klopper, 2010; Charles R. Figley, 1995; Lombardo & Eyre, 2011; Showalter, 2010; Todaro-Franceschi, 2013). Pertanto è di fondamentale importanza ricercare degli interventi che possano essere applicati, al fine di prevenire o minimizzare questa condizione invalidante. Si suppone che trattare la compassion fatigue sia nell’interesse dell’infermiere, così come dei pazienti e del datore di lavoro, per quanto riguarda la qualità delle cure fornite. Interventi volti ad affrontare questa condizione sono disponibili, pertanto l’obiettivo di questa revisione bibliografia era di ricercare le strategie di coping che l’infermiere può attuare per fronteggiare la compassion fatigue. La letteratura trovata ed analizzata ha permesso di rilevare svariati meccanismi di coping che vengono attuati dagli infermieri ospedalieri, per fronteggiare situazioni che implicano un elevato coinvolgimento emotivo e che sono considerate fonte di stress. Inoltre si è potuto analizzare l’efficacia dei seminari formativi, che consentono ai professionisti della cura di acquisire maggiore consapevolezza della condizione di compassion fatigue, delle cause e dei possibili interventi.

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