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Compassion fatigue: strategie di coping attuate dal personale infermieristico ospedaliero per fronteggiare la morte del paziente

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Academic year: 2021

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Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana

Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale

Corso di laurea in Cure Infermieristiche

Lavoro di Tesi

(Bachelor Thesis)

di

Giorgia Baiocco

Compassion fatigue: strategie di coping

attuate dal personale infermieristico

ospedaliero per fronteggiare la morte del

paziente

Direttrice di tesi:

Stefania Viale

Anno accademico: 2018-2019

Manno, 15 gennaio 2019

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Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana

Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale

Corso di laurea in Cure Infermieristiche

Lavoro di Tesi

(Bachelor Thesis)

di

Giorgia Baiocco

Compassion fatigue: strategie di coping

attuate dal personale infermieristico

ospedaliero per fronteggiare la morte del

paziente

Direttrice di tesi:

Stefania Viale

Anno accademico: 2018-2019

Manno, 15 gennaio 2019

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ABSTRACT Background

I decessi dei pazienti in ambito ospedaliero sono eventi ricorrenti con cui inevitabilmente l’infermiere professionista si confronta. La morte di un paziente può generare nell’infermiere profonde ripercussioni sul piano fisico, cognitivo, emotivo, comportamentale e spirituale. Pertanto l’esposizione a morte e dolore possono portare a compassion fatigue, condizione caratterizzata da esaurimento emotivo, che implica notevoli conseguenze sulla salute dell’infermiere e sulla qualità dell’assistenza fornita ai pazienti. Sorge quindi il bisogno di incrementare lo sviluppo di strategie di coping in grado di prevenire o minimizzare condizioni di disagio emotivo con conseguente accrescimento del benessere psicofisico.

Obiettivi

Lo scopo della ricerca è identificare quali siano le strategie di coping che l’infermiere può attuare di fronte all’insorgenza della condizione di compassion fatigue, venutasi a creare in seguito alla ripetuta esposizione a dolore e morte di pazienti in ambito ospedaliero. Gli obiettivi del lavoro sono quelli di identificare in che modo il decesso del paziente possa costituire un evento stressante per l’infermiere, comprendere in quale maniera possa instaurarsi una condizione di disagio psicologico come la compassion fatigue e analizzare le strategie di coping per farvi fronte.

Metodo

È stata effettuata una revisione sistematica della letteratura utilizzando le banche dati PubMed, CINHAL (EBSCO), MEDLINE. Gli articoli utili trovati sono stati 8. La ricerca è costituita dalle seguenti tappe metodologiche: formulazione della domanda di ricerca, formulazione dei criteri di inclusione ed esclusione, ricerca e selezione degli articoli, valutazione della qualità degli studi, analisi dei risultati e infine la discussione di questi ultimi.

Risultati

La letteratura analizzata evidenzia l’efficacia del coping per far fronte alla condizione di compassion fatigue, essendo stata riscontrata una correlazione positiva tra l‘attuazione di strategie di coping ed il benessere psicofisico dell’infermiere. Due studi, attraverso un seminario formativo, hanno incrementato nei partecipanti risorse interne personali quali: l'ottimismo, l'umorismo, la dimensione spirituale, le capacità cognitive e l'intelligenza emotiva. Sei articoli, hanno evidenziato ulteriori strategie di coping quali: il supporto dei colleghi, l’importanza dell'esperienza accumulata negli anni lavorativi e la realizzazione di strategie di auto-cura. Il distacco emotivo, seppur considerato una strategia di coping non adattiva, è risultato essere funzionale in cinque studi.

Conclusioni

Occorre una forte opera di sensibilizzazione al problema della compassion fatigue ed un significativo investimento in formazione considerando che l’infermiere che attua strategie di coping promuove il mantenimento/miglioramento del proprio benessere personale e professionale.

Parole chiave

(4)

Sommario

1. Introduzione

1

! 1.1 Motivazione personale 1! 1.2 La ricerca 1! 1.3 Scopo e obiettivi 1! 1.4 Metodo di lavoro 2!

2. Quadro teorico

3

!

2.1 Definizione di compassion fatigue 3! 2.1.1 Differenze tra compassion fatigue e burnout 3!

2.1.2 Sintomi 4!

2.1.3 Raccolta dati 5!

2.1.4 Chi è a rischio? 5!

2.1.5 Compassione, empatia e compassion fatigue 6! 2.1.6 Morte quale evento stressante per l’infermiere 7!

2.2 Definizione di coping 8!

2.2.1 Compassion fatigue e coping 9!

3. Metodologia

12

!

3.1 Scelta della metodologia 12!

3.2 Evidence-Based Practice 12!

3.3 Tappe metodologiche 13!

4. Applicazione protocollo metodologico

16

!

4.1 Domanda di ricerca 16!

4.2 Criteri di inclusione ed esclusione 16!

4.3 Ricerca e selezione degli articoli 17!

4.4 Valutazione della qualità degli studi 19!

4.5 Sintesi dei risultati 20!

5. Risultati

29

!

5.1 Caratteristiche degli articoli selezionati 29!

5.2 Prevalenza di compassion fatigue correlata all’evento morte 30!

5.3 Coping adattivo 31!

5.4 Coping non adattivo 34!

5.5 Seminari formativi 35!

6. Discussione

37

!

6.1 Interpretazione dei risultati 37!

6.2 Limiti degli studi 39!

6.3 Implicazioni per la pratica professionale 40!

7. Conclusioni

44

!

(5)

7.2 Riflessioni personali 45!

8. Ringraziamenti

46

!

9. Bibliografia

47

!

10. Allegati

50

!

10.1 Sintomi della compassion fatigue 50!

10.2 The Professional Quality of Life Scale 51!

10.3 Nursing Stress Scale 52!

10.4 The Index of Clinical Stress 53!

10.5 Moral Distress Scale 53!

10.6 Utrecht Work Engagement Scale 54!

10.7 The Social Readjustment Rating Scale 55!

10.8 In der Schweiz wohnhafte Patienten, die in einem Schweizer Spital

verstarben 56!

10.9 E-mail per la richiesta di riferimenti bibliografici rispetto i dati della

tabella “Gestorbene im Spital“ 57!

10.10 Valutazione degli articoli Duffy 58!

10.11 Risultati valutazione Duffy 61!

Indice delle tabelle e delle figure

Tabella 1: Differenze tra compassion fatigue e burnout 4

Tabella 2: Pazienti svizzeri deceduti in ospedale 7

Tabella 3: Domanda di ricerca secondo il metodo PICO 16

Tabella 4: Criteri di inclusione ed esclusione 16

Tabella 5: Tabella dettagliata del processo di ricerca degli articoli 17

Tabella 6: Checklist valutazione di Duffy 19

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1. Introduzione

1.1 Motivazione personale

Il lavoro di tesi (LT) che ho deciso di presentare, al termine del mio percorso di Bachelor in Cure Infermieristiche, indaga in modo approfondito, tramite una ricerca della letteratura bibliografica, le strategie di coping che l’infermiere in ambito ospedaliero può attuare per far fronte alla condizione di compassion fatigue, venutasi a creare in seguito alla ricorrente esposizione ad eventi luttuosi.

Nel corso degli stage eseguiti ho avuto modo di confrontarmi svariate volte con il decesso dei pazienti e a livello personale mi sono ritrovata a dover far fronte alla morte di due familiari a me molto cari. Il confronto con la morte può far scaturire svariate emozioni che se non percepite ed analizzate, possono rappresentare una fonte di disagio che va ad influenzare il benessere psicofisico dell’infermiere e di conseguenza anche le prestazioni lavorative. Nel mio futuro personale e lavorativo mi dovrò confrontare con questo evento, proprio perché imprescindibile. Dunque il mio auspicio è di poter usufruire di molteplici strategie di coping, che mi permettano di sviluppare e mantenere le capacità emotive e comportamentali necessarie, per poter far fronte a lungo termine a questo evento doloroso e inevitabile.

L’operato che segue è stato sviluppato ai fini del conseguimento del Bachelor in Cure Infermieristiche, presso il Dipartimento di economia aziendale, sanità e sociale della Scuola Universitaria della Svizzera italiana.

1.2 La ricerca

In ambito ospedaliero la morte del paziente è un evento ricorrente con cui l’infermiere inevitabilmente si confronta nel corso della propria carriera. Si tratta di una circostanza che può generare un profondo effetto sul personale infermieristico, suscitando risposte fisiche, cognitive, emotive, comportamentali e spirituali (Wilson & Kirshbaum, 2011). Pertanto l’infermiere che si trovi a confrontarsi con l’evento morte può provare dispiacere, depressione, rabbia o senso di colpa (Papadatou, 2000). Inoltre, una frequente esposizione a morte e dolore può portare l’infermiere a sperimentare elevati livelli di stress con conseguente distacco emotivo dal paziente. In altri termini un tale stato costituisce una seria minaccia per il benessere psicofisico dell'infermiere e genera un impatto negativo sulla qualità dell’assistenza e delle prestazioni lavorative in genere (Khalaf et al., 2017). La condizione di disagio tipica dei professionisti della cura che assistono pazienti che soffrono, che sono gravemente malati e che muoiono viene denominata compassion fatigue (Sabo, 2006). L’infermiere è un promotore e sostenitore della salute in generale, per i pazienti ma anche per se stesso. La conoscenza è il primo passo per uno stile di vita sano, pertanto avere a disposizione svariate risorse di coping potrebbe risultare fondamentale per mantenere il proprio benessere individuale e di conseguenza un elevato standard di cura per i propri pazienti.

1.3 Scopo e obiettivi

Lo scopo principale è di ricercare quali strategie di coping possano essere attuate dall’infermiere che lavora in ambito ospedaliero, al fine di far fronte alla condizione di compassion fatigue, venutasi a creare in seguito alla ricorrente esposizione a morte. Gli obiettivi della mia tesi sono:

• Incrementare le mie conoscenze relative all’evento morte ed alle conseguenze psicofisiche che tale evento causa sull’individuo.

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• Comprendere in che modo il decesso del paziente possa costituire un evento stressante per l’infermiere e identificare in quale maniera possa instaurarsi una condizione di disagio psicologico come la compassion fatigue.

• Approfondire il tema della compassion fatigue e analizzare le strategie di coping per farvi fronte.

• Crescere dal punto di vista personale per poter alimentare il mio benessere psicofisico, la motivazione professionale e la qualità delle cure prestate nel mio futuro lavorativo come infermiera professionista.

1.4 Metodo di lavoro

Questa tesi di Bachelor revisiona in modo sistematico la letteratura disponibile sulle strategie di coping che si possono attuare per fronteggiare la condizione di compassion fatigue. Procederò quindi con una ricerca di testi di riferimento ad interesse infermieristico sulle banche dati, siti internet certificati e libri. Il lavoro di tesi è composto da tre parti principali. Nella prima parte, di quadro teorico, saranno forniti gli strumenti necessari al lettore per affrontare il tema della compassion fatigue e per comprendere le strategie di coping che si possono attuare al fine di prevenire e minimizzare le ripercussioni sul benessere psicofisico dell’infermiere. La seconda parte riguarda la metodologia del lavoro di tesi, dove vengono presentate le tappe metodologiche e l’applicazione del protocollo. Infine, la terza parte è dedicata all’analisi dei risultati e alla loro discussione, per terminare con le conclusioni del lavoro.

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2. Quadro teorico

Lo scopo di questo capitolo è di accompagnare il lettore nel tema della compassion fatigue, in particolare ciò che comporta questa condizione e come può essere prevenuta, minimizzata o trattata, attraverso meccanismi di coping.

2.1 Definizione di compassion fatigue

Il termine “compassion fatigue” è emerso per la prima volta circa venti anni fa, in uno studio inerente al burnout che colpiva la professione infermieristica. L’infermiera Carla Joinson (1992) lo usò per definire la “perdita della capacità di prendersi cura”, che era stata rilevata in alcune infermiere di pronto soccorso. Il termine indica uno stato di profondo consumo fisico, psichico e spirituale, accompagnato da un significativo dolore emotivo (Joinson, 1992). L’intensa cura da parte dell’infermiere e l’identificazione con la sofferenza del paziente, contraddistinguono la compassion fatigue, che spesso porta all’esaurimento emotivo (Papadatou, 2000).

Molteplici fattori di stress ambientale come il carico di lavoro e la complessità dei bisogni dei pazienti (dolore, lesioni traumatiche e disagio emotivo), possono portare gli infermieri a provare stanchezza, depressione, rabbia, apatia e distacco (Boyle, 2011). Inoltre, dallo studio di Joinson (1992), emerse che in situazioni di stress l’infermiere può provare anche disturbi somatici come mal di testa, insonnia e problemi gastrointestinali (Joinson, 1992). Negli anni a seguire, il maggior esponente che trattò il tema della compassion fatigue fu il professore di psicologia e salute mentale Charles Figley. Egli (1995) inizialmente coniò il termine “stress traumatico secondario” (STS) e lo definì come una condizione comprendente sintomatologie di tipo post-traumatico, ovvero l’insieme di reazioni comportamentali ed emotive dovute all’esposizione ad eventi traumatici, sperimentati da terzi o in seguito all’aiuto fornito a persone sofferenti (Charles R. Figley, 1995). In seguito lo stesso autore citò la condizione di compassion fatigue e la definì come un insieme di sentimenti di profonda solidarietà e comprensione per qualcuno colpito da dolore, caratterizzata da un forte desiderio di alleviarne la sofferenza o eliminarne la causa (Charles R. Figley, 1995). Dunque la compassion fatigue descrive una condizione di stress cumulativo che tende ad aumentare con il tempo, soprattutto se l’infermiere colpito ignora i propri sintomi e non soddisfa i propri bisogni emotivi.

La compassion fatigue è caratterizzata da uno stato progressivo di disagio emotivo. Evolve dal disagio compassionevole (compassion discomfort), allo stress della compassione (compassion stress) fino alla fatica della compassione (compassion fatigue); uno stato in cui l’energia compassionevole impiegata dall’infermiere supera la capacità dello stesso di recuperare da questo dispendio energetico, con conseguenze fisiologiche e psichiche negative. Se questo fenomeno non viene affrontato nelle fasi iniziali può portare alterazioni permanenti nelle capacità dell’infermiere di assistere e curare un paziente (Boyle, 2011).

2.1.1 Differenze tra compassion fatigue e burnout

Negli anni a venire, in seguito alla prima citazione dell’autrice Joinson nel 1992, il fenomeno della compassion fatigue non venne definito totalmente come una condizione a sé stante, nonostante fosse stato osservato negli operatori sanitari e riportato in letteratura. Pertanto, il termine compassion fatigue veniva usato in modo intercambiabile con il fenomeno del burnout. Difatti la compassion fatigue veniva considerata come una forma di burnout specifica per gli operatori sanitari (Todaro-Franceschi, 2013). In seguito le due sindromi vennero definite come entità separate, nonostante condividano svariate somiglianze.

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Le strategie di sopravvivenza fallite ed il mancato raggiungimento degli obiettivi, possono generare entrambe le condizioni. Il burnout nasce quando il raggiungimento dell’obiettivo non viene soddisfatto, mentre la compassion fatigue si instaura quando gli interventi di cura non hanno successo e dunque insorgono nell’infermiere sentimenti di angoscia e senso di colpa. Con entrambe le condizioni si provano sentimenti di frustrazione, impotenza e diminuzione del morale (Sabo, 2006).

La compassion fatigue si distingue dal burnout principalmente per tre motivi: fattori scatenanti (eziologia), cronologia e risultati (Boyle, 2011). Il burnout è generato dai conflitti che si instaurano all’interno dell’ambiente di lavoro. Questi conflitti possono includere disaccordi con dirigenti o colleghi di lavoro, insoddisfazione per il salario, sovraccarico lavorativo o condizioni di lavoro inadeguate. La compassion fatigue, invece, deriva dalle relazioni che gli infermieri instaurano con i loro pazienti e i rispettivi familiari e nasce dall’impegno e dall’investimento emotivo nella relazione con questi ultimi. Inoltre il burnout ha un’insorgenza graduale e progressiva, che tende via via a consumare l’operatore a tal punto che questo si sente sopraffatto dal proprio lavoro (Boyle, 2011). Invece la compassion fatigue ha un esordio improvviso e acuto e può insorgere anche in seguito ad una singola esposizione ad una condizione acuta di dolore e sofferenza (Charles R. Figley, 1995). Mentre l’infermiere colpito da burnout si ritira gradualmente, l’infermiere con compassion fatigue cerca di dare sempre di più ai pazienti bisognosi, fino ad avere conseguenze psicofisiche decisamente negative. Entrambi i risultati, tuttavia, hanno in comune un senso di esaurimento fisico ed emotivo interiore (Boyle, 2011). Tabella 1: Differenze tra compassion fatigue e burnout

Variabile Burnout Compassion fatigue

Eziologia Risposta a fattori di stress lavorativi o ambientali: superiori, colleghi, carico di lavoro, processo decisionale, risorse inadeguate.

Conseguenze dell’assistere e fornire cure a coloro che soffrono.

Cronologia Insorgenza graduale nel tempo Insorgenza improvvisa e acuta Risultati Stress emozionale cronico che

può portare al ritiro in se stessi e, nei casi più gravi, condurre all’abbandono della professione.

Squilibrio delle capacità empatiche e dell’obiettività determinato dalla tenacia nel voler fornire assistenza. Ritiro in se stessi, e, nei casi più gravi abbandono della professione.

Fonti: Bush, 2009; Charles R. Figley, 1995; Sabo, 2006; Showalter, 2010 2.1.2 Sintomi

Diversi autori hanno descritto i sintomi della compassion fatigue. Questi vengono suddivisi per categorie: emotivi, fisici, sociali, professionali e spirituali. Dunque questa condizione di disagio può influire negativamente sulla globalità delle sfere biopsicosociali dell’individuo (Aycock & Boyle, 2009; Coetzee & Klopper, 2010; Charles R. Figley, 1995; Lombardo & Eyre, 2011; Showalter, 2010; Todaro-Franceschi, 2013). È stata realizzata una tabella per esporre nel dettaglio i sintomi suddivisi per categorie (vedi allegato 9.1). Le manifestazioni emotive principali comprendono sbalzi d’umore, irrequietezza, rabbia, ansia, apatia, depressione. I sintomi fisici includono una sensazione di aumento dei disturbi somatici e notevole fatica cronica. Per quanto riguarda i sintomi sociali, invece, possono insorgere sentimenti di isolamento, sofferenza e ritiro in se stessi. A livello lavorativo, le manifestazioni di compassion fatigue, possono portare ad evitare

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determinati pazienti, ad una ridotta capacità empatica ed a fenomeni di assenteismo per malattia. Infine i sintomi della sfera spirituale possono consistere in una diminuzione del discernimento, quindi della capacità di distinguere il bene dal male, ed in una mancanza di consapevolezza spirituale (Aycock & Boyle, 2009; Coetzee & Klopper, 2010; Charles R. Figley, 1995; Lombardo & Eyre, 2011; Showalter, 2010; Todaro-Franceschi, 2013). Ciascuno di questi sintomi potrebbe confermare l’insorgenza di compassion fatigue, tuttavia è importante ricordare che solo la concomitanza di più sintomi sopra elencati, può accertare nell’individuo tale condizione (Lombardo & Eyre, 2011). Pertanto gli effetti cumulativi della compassion fatigue non trattata possono avere conseguenze negative sulla salute fisica, psicologica, professionale e sociale (Bush, 2009).

2.1.3 Raccolta dati

La raccolta dati relativa alla presenza o meno di compassion fatigue, è basata sulla valutazione della sintomatologia descritta nel capitolo “2.1.2 Sintomi”. La scala maggiormente utilizzata per valutare la presenza di compassion fatigue è “The Professional Quality of Life Scale” (ProQOL) (H. E. Stamm, 2009) (vedi allegato 9.2). Questo test misura, in autovalutazione, gli effetti positivi e negativi del fornire assistenza a persone sofferenti valutando il grado di compassion fatigue, compassion satisfaction e burnout. Il test è composto da 30 domande riguardanti esperienze professionali positive e negative, avute nell’ultimo mese, a cui si può attribuire un punteggio. La “ProQOL” viene utilizzata per l’indagine su popolazioni di operatori sanitari

(B. H. Stamm, 2002).

Diversi studi presi in considerazione includono anche “Nursing Stress Scale” (NSS), “The Index of Clinical Stress” (ICS), “Moral Distress Scale”, “Utrecht Work Engagement Scale” (UWES) e “The Social Readjustment Rating Scale” (SRRS). Si tratta di scale di valutazione che vengono usate per rilevare il livello di stress e i fattori stressanti di un determinato campione posto in analisi (vedi allegati da 9.3 a 9.7). Queste però non pongono l’attenzione sui dati relativi ai livelli di compassion fatigue, come la “ProQOL”. 2.1.4 Chi è a rischio?

La compassion fatigue si instaura nei professionisti che sono a contatto con la sofferenza altrui. Questi professionisti includono i primi soccorritori (vigili del fuoco, polizia e paramedici), infermieri, medici, psicoterapeuti e volontari che si prendono cura di vittime di trauma (Todaro-Franceschi, 2013).

Gli infermieri sono particolarmente a rischio di compassion fatigue, poiché giornalmente si trovano a doversi confrontare con la sofferenza dei pazienti e delle loro famiglie. In particolare sembra che i più colpiti da questa sindrome siano gli infermieri impiegati in reparti in cui sono ricoverati pazienti con malattie gravi che spesso presentano una prognosi infausta (Todaro-Franceschi, 2013).

Diversi sono i fattori che possono contribuire all’insorgenza della compassion fatigue. Secondo l’autrice Boyle (2011) questi sono: stati affettivi dell’infermiere; aspettative cognitive e capacità individuali di elaborare le informazioni; meccanismi di difesa; effetti dello stress sulle competenze personali di aiuto, sulle credenze ideologiche e sui sistemi di significato; abilità di coping e tecniche relative alla gestione dello stress; esperienze di sofferenza simili nella propria vita (Boyle, 2011).

Figley (1995) sostiene che la capacità di compassione e l'empatia sono al centro dell’assistenza infermieristica, ma, allo stesso tempo, possono determinare l'insorgere della compassion fatigue (Charles R. Figley, 1995). Dunque queste due abilità sono sicuramente risorse imprescindibili che permettono di fornire assistenza di qualità ai malati, ma vengono considerate “armi a doppio taglio”, poiché costituiscono anche

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caratteristiche di vulnerabilità per l’infermiere. All’inizio della carriera professionale, l’operatore sanitario ha la falsa illusione di essere protetto dal dolore e dalla perdita di coloro che cura e che riuscirà a mantenere l’obiettività e l’equilibrio, tutto questo grazie alla formazione e alla preparazione ricevuta (B. H. Stamm, 2002). Purtroppo ciò non è sempre così, difatti la compassion fatigue è una conseguenza naturale e non prevedibile dell’essere quotidianamente a contatto con pazienti sofferenti (Charles R. Figley, 1995). Naturalmente questo non è generalizzabile, infatti svolgere una professione di aiuto non include unicamente conseguenze negative. Vi sono sensazioni positive che un soggetto può provare lavorando con persone traumatizzate o sofferenti. Il concetto di compassion satisfaction, descrive le sensazioni positive che si provano aiutando gli altri e svolgendo il proprio lavoro (B. H. Stamm, 2002). Questo termine, nella professione infermieristica, viene utilizzato per descrivere la soddisfazione che deriva dal prendersi cura dell’altro. Inoltre, per rafforzare il principio di soggettività individuale, le teorie dello stress e del coping affermano che non è unicamente un determinato fattore a definire o caratterizzare una situazione come stressante o meno, bensì è la reazione, individuale, alla causa scatenante che definisce la risposta di coping e di conseguenza lo stabilirsi dello stress (Zani & Cicognani, 1999). Le risposte di coping adattive sono approcci orientati all’azione e risoluzione del problema, mentre i meccanismi di coping inefficaci (evitamento, rifugiarsi nell'apatia, tendere a ritrarsi, abusare di cibo o sostanze) portano all’instaurarsi della frustrazione e dello stress cronico (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006).

Fattori di stress personali, strategie di coping non adattive e mancanza di supporto adeguato costituiscono tutti elementi che possono portare l’infermiere in una condizione di compassion fatigue (Bush, 2009).

2.1.5 Compassione, empatia e compassion fatigue

La compassione e l’empatia sono elementi imprescindibili di carattere naturale, che dovrebbero distinguere l’infermiere professionista. La compassione è un istinto innato che non va creato, bensì coltivato al fine di perfezionare le nostre capacità (Lief, 2007). La compassione implica tre fattori: la consapevolezza, la benevolenza e l’apertura. Il primo fattore implica la valutazione cosciente del proprio essere, tralasciando chi desidereremmo essere o chi dovremmo diventare secondo terzi. La benevolenza è un potenziamento della consapevolezza, specificamente diventando più sinceri con se stessi si apprezza maggiormente la propria natura. Esercitando entrambi gli elementi si sviluppa una maggiore apertura, che permette alla compassione di manifestarsi (Lief, 2007). La compassione si fonda sull’empatia, ossia sull’opportunità di essere toccati dalla sofferenza altrui. Vi sono differenti livelli di empatia, chi è notevolmente compassionevole è talmente turbato dal dolore dell’altro da sentirsi ferito e talvolta in condizione di disagio. Invece chi è meno sensibile al dolore solitamente viene considerato possedere strategie per affrontare con forza la vita e la morte. Vi è infine un equilibrio, che anziché cedere o evitare la sofferenza, coinvolge l’accettazione della complessità dell’esistenza, che permette di dare spazio all’autenticità della compassione dedicandosi alla volontà e all’impegno di aiutare il prossimo, alleviandone ove possibile il dolore e la sofferenza (Lief, 2007). Tuttavia diversi autori e ricercatori hanno osservato che gli aspetti principali della relazione terapeutica quali, compassione, empatia e impegno, sono sì componenti fondamentali dell’assistenza infermieristica ma altresì giocano un ruolo importante nell’insorgenza dello stress. Difatti la compassion fatigue sorge nel momento in cui l’infermiere instaura una relazione empatica con un paziente sofferente e assimila inconsciamente il disagio vissuto dal malato. L’interiorizzazione del dolore dei pazienti può far scaturire sentimenti di auto-colpa e impotenza per l’infermiere, soprattutto se queste situazioni si verificano ripetutamente nel tempo (Bush, 2009). È stato dimostrato

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che gli individui che mostrano alti livelli di risposta empatica al dolore, alla sofferenza o all’esperienza traumatica di un paziente, sono maggiormente vulnerabili all’esperienza della compassion fatigue (Charles R. Figley, 1995). Al contrario, la compassion satisfaction rispecchia l’aspetto positivo di aiutare coloro che vivono condizioni di sofferenza e stress (Sabo, 2011).

2.1.6 Morte quale evento stressante per l’infermiere

Curare ha un costo, i professionisti della salute, che accolgono dolore e sofferenza dei loro pazienti, possono avere paura, provare dolore e sofferenza simili perché si preoccupano (Charles R. Figley, 1995). Gli infermieri sono particolarmente vulnerabili alla condizione di compassion fatigue. Spesso entrano a far parte delle vite dei pazienti, in momenti critici e delicati, diventando compagni e osservatori durante la loro sofferenza. La capacità empatica relazionale, unita all’esposizione continua a sofferenza e dolore cumulativo, colloca gli infermieri al centro di un ambiente caratterizzato da tristezza e perdita (Boyle, 2011). Pertanto gli infermieri che lavorano in ospedale sono inevitabilmente esposti a quesiti che circondano la vita e la morte. A confermare ed avvalorare questo fenomeno, i dati dell’Ufficio Federale di Statistica Svizzera riportano che negli ultimi otto anni, mediamente il 39.6% dei decessi avvenuti in Svizzera, è accaduto in ambito ospedaliero (Erwin K. Wüest - Office fédéral de la statistique, 2018). Questo dato indica che poco meno della metà della popolazione Svizzera, a prescindere dalle cause e dalla volontà del singolo, decede in una struttura ospedaliera.

Tabella 2: Pazienti svizzeri deceduti in ospedale

Anno Decessi in ospedale Totale dei decessi Percentuale decessi ospedalieri di tutti i decessi 2017 25’809 66’971 38.5% 2016 25’714 64’964 39.6% 2015 26’087 67’608 38.6% 2014 25’592 63’938 40.0% 2013 26’105 64’961 40.2% 2012 25’450 64’173 39.7% 2011 25’199 62’091 40.6% 2010 25’147 62’649 40.1%

Fonte: Erwin K. Wüest - Office fédéral de la statistique, 2018 L’infermiere prova quasi inevitabilmente dolore dopo la morte di un paziente, ma questo viene spesso ignorato. L’esposizione costante alla sofferenza altrui e l’intento di sopprimere i sentimenti associati alla morte, possono comportare pesanti rischi per l’infermiere tra cui la condizione di compassion fatigue. Questa influisce negativamente sul benessere psicofisico dell’infermiere e sull’efficienza dell’assistenza infermieristica. Il professionista perde la capacità di fornire lo stesso livello di compassione per i pazienti e le proprie famiglie, come aveva fatto fino a quel momento (Brosche, 2007). La professione infermieristica include l’assistenza a persone sofferenti, affette da malattie croniche e con esito spesso mortale. Talvolta questa circostanza può generare nell’infermiere una sensazione di incapacità (Wilson & Kirshbaum, 2011).

Nel frangente in cui un paziente muore, gli infermieri devono essere pronti a trattare la morte come parte integrante del loro lavoro. Ci si aspetta che essi rimangano calmi e composti e che si occupino delle formalità legate al caso (Brosche, 2007).

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nell’infermiere, queste risposte emozionali vengono spesso represse. Doka (2002) definisce questo fenomeno “dolore senza diritti”, qualcosa che è nascosto o proibito, poiché esprimere reazioni al dolore è percepito come inopportuno o non professionale dal sistema sanitario vigente (Kenneth J. Doka, 2002). Gli infermieri non si permettono di mostrare le proprie emozioni ai loro pazienti e col passare del tempo questa privazione porta all’instaurarsi della compassion fatigue (Wakefield, 2000). Il tentativo di creare una relazione basata sull’empatia e la fiducia con il paziente, in concomitanza allo sforzo di non farsi coinvolgere in maniera eccessiva da quest’ultimo e dal contesto che lo circonda, è un motivo importante di stress per il professionista. Cercare di trovare il giusto livello di coinvolgimento con il paziente morente è uno dei ruoli più difficili da svolgere per gli infermieri (Wakefield, 2000).

2.2 Definizione di coping

Il coping è definito come un processo adattivo che implica gli sforzi di un individuo per far fronte (to cope) ad una circostanza stressante, al fine di eliminare, ridurre o tollerare gli effetti negativi prodotti dalla situazione stessa. Si tratta dunque di un processo che tende all’adattamento alla condizione (fronteggiamento efficace che sventa o riduce la fonte di stress) o all’accomodamento (strategia che rende per lo meno tollerabile lo stress) (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006).

Il coping è un variabile transazionale che è in funzione del soggetto e del contesto. È caratterizzato da diversità intra-individuali, quindi diverse modalità di affrontare la stessa situazione tra individuo e individuo e differenze inter-individuali, cioè quando la stessa situazione viene affrontata in modo diverso e in momenti differenti dallo stesso soggetto (Zani & Cicognani, 1999). La valutazione e il coping dipendono da caratteristiche interne, come salute, energia, sistema personale di credenze, obiettivi della vita, autostima, abilità professionali, sociali e di problem-solving (Brunner, Suddarth, Smeltzer, & Nebuloni, 2010).

Dunque la diversità di reazione può essere determinata da caratteristiche oggettive della circostanza, o dal modo di interpretarla da parte del soggetto, in base al suo trascorso e alle sue variabili di personalità (Zani & Cicognani, 1999). La complessità nella lettura dello stress e del coping, sta nello spostare l’attenzione individuale posta sul soggetto e sul contesto verso il loro incontro situazionale. Si può dedurre che solitamente quando l’individuo valuta di poter modificare la situazione domina la funzione attiva, mentre quando interpreta la circostanza di difficile soluzione prevale quella palliativa. Talvolta la funzione attiva può essere preponderante rispetto quella palliativa o viceversa (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006).

Il coping svolge due ruoli: modificare la situazione problematica (problem focused coping) e modificare le reazioni emotive provocate dalla condizione stressante (emotion focused coping). In ogni tentativo di far fronte allo stress, queste due funzioni sono sempre presenti ed interdipendenti (Zani & Cicognani, 1999). Il coping centrato sull’emozione tenta di migliorare lo stato emotivo dell’individuo, diminuendo così il livello di stress, mentre il coping centrato sul problema tende ad apportare cambiamenti diretti al contesto, al fine di rendere la situazione gestibile con maggiore efficacia (Brunner et al., 2010). Generalmente si tende a descrivere maggiormente efficaci le strategie indirizzate alla risoluzione del problema, piuttosto che all’evitamento. Ciononostante, alle volte, i quesiti oggettivamente “impossibili” da risolvere, portano il soggetto a focalizzarsi prevalentemente sulla diminuzione dell’impatto emotivo negativo e di conseguenza questo permette di provare livelli inferiori di stress. Diversamente, gli individui che dinnanzi un problema “impossibile” tendono a ricercare la soluzione a tutti i costi,

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finiscono per scontare un tributo superiore in termini di disagio personale. La tendenza duratura ad evitare i problemi, alla lunga, non si dimostra produttiva. Bensì le strategie di coping volte a risolvere i problemi, risultano a medio-lungo termine più efficaci (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006).

Rispetto al coping, è importante distinguere i concetti di strategia, stile e risorsa. Le strategie di coping sono le modalità di cui il soggetto dispone e che può attuare per affrontare la situazione.

Vi sono otto diverse strategie di coping: affrontare direttamente il problema; pianificazione; distanziamento; autocontrollo; ricerca di sostegno sociale; accettazione della responsabilità; evitamento; rivalutazione positiva.

Gli stili di coping includono le tendenze relativamente stabili degli individui che sono in relazione con le caratteristiche di personalità: a dipendenza della situazione, ogni persona può affrontare attivamente il problema o tendere all’evitamento. Gli stili sono soggetti a variazioni nel tempo e in base alle situazioni specifiche.

Le risorse di coping sono tutti quei fattori materiali, simbolici o sociali, a cui il soggetto può far riferimento per far fronte allo stress. Come la formazione culturale, le capacità (intelligenza, creatività), le abilità specifiche (skill), le risorse materiali (denaro) e sociali (familiari, amici, supporto istituzionale) (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006).

2.2.1 Compassion fatigue e coping

La gestione della compassion fatigue deve essere molteplice e comprendere la prevenzione, la valutazione e la minimizzazione delle conseguenze (Charles R. Figley, 1995). Il punto centrale di ogni intervento per gestire la compassion fatigue, è la necessità di riconoscere la sua presenza in modo proattivo (Boyle, 2011).

In letteratura, vengono considerate diverse strategie di prevenzione e intervento, volte a mantenere o ristabilire il benessere psicofisico dell’infermiere.

L’autrice Todaro (2013) riconosce tre fasi principali di intervento: essere consapevoli delle proprie sensazioni (o della ferita che deve guarire); riconoscere le scelte e le azioni che possono essere intraprese per affrontare la condizione; occuparsi di se stessi e degli altri (Todaro-Franceschi, 2013).

Nella prima fase è importante che l’infermiere si renda conto di cosa lo irrita o lo intristisce durante la giornata lavorativa. Nel secondo stadio, in base alle cause che hanno scaturito la compassion fatigue, bisogna riconoscere le azioni che vanno intraprese al fine di affrontare questa condizione. Infine, l’ultima fase comprende l’auto-cura, cioè occuparsi di se stessi e di come si interagisce con gli altri. Ciò include qualsiasi attività che permette di soddisfare i propri bisogni; come partecipare a meditazione, yoga, ritiri, programmi di educazione e programmi di assistenza volti agli operatori sanitari (Todaro-Franceschi, 2013). L’intervento principale risulta essere la prevenzione o minimizzazione della ricorrenza di compassion fatigue, attraverso la consapevolezza dell’esistenza di questa condizione.

Anche secondo l’autrice Boyle (2011) ci sono tre categorie principali di intervento in caso di compassion fatigue. Queste sono l’equilibrio tra lavoro e vita privata, l’istruzione e programmi di lavoro (Boyle, 2011).

L’equilibrio tra lavoro e vita privata permette agli infermieri di investire tempo ed energie per prendersi cura di se stessi al fine di curare gli altri. Si tratta di stabilire un piano di auto-cura che ha lo scopo di migliorare e mantenere uno stato di calma (Boyle, 2011). Questa pratica viene anche definita “egoismo responsabile” o “cura compassionevole per se stessi”. Dunque affinché i curanti possano offrire cure di qualità ai loro pazienti, devono

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praticare la riflessione e la consapevolezza interiore per soddisfare i propri bisogni emotivi (Bush, 2009).

Uno stile di vita sano e regolare caratterizzato da esercizio fisico, rilassamento, mantenimento di un adeguato sonno e alimentazione e supporto da parte degli altri, sono fondamentali per l’equilibrio della propria vita e del lavoro, poiché la concentrazione è focalizzata su attività piacevoli e soddisfacenti e non unicamente sul lavoro. La meditazione è un’altra strategia di auto-cura (Boyle, 2011). Diventare consapevoli delle proprie risposte agli stimoli stressanti permette di non cadere in comportamenti inefficaci e dannosi per l’infermiere stesso (es. automedicazione con alcool o sostanze stupefacenti) o per gli altri (es. incolpare i colleghi, lamentarsi, inveire contro gli altri). L’equilibrio tra vita personale e lavoro richiede l’introspezione da parte dell’infermiere in concomitanza con l’azione, elementi che permettono di garantire la longevità professionale (Boyle, 2011).

Per quanto riguarda l’istruzione, è fondamentale che la sensibilizzazione al tema della compassion fatigue sia integrata in tutti i programmi di studio per infermieri universitari, affinché vi sia una maggiore consapevolezza dei bisogni emotivi che possono affliggere l’energia del professionista in cure infermieristiche. Dunque dei programmi di formazione che aumentino le competenze di supporto emotivo nella pratica infermieristica e degli incontri interdisciplinari di gruppo che integrino la prospettiva umanistica nell’assistenza sanitaria. Queste risultano essere eccellenti modalità per sviluppare strategie di coping personali (Boyle, 2011).

La terza categoria è costituita dai programmi di intervento forniti sul posto di lavoro. Si tratta di incontri che affrontano il disagio emotivo degli infermieri e possono essere molto efficaci nel ridurre la compassion fatigue. Gli obiettivi di questi programmi sono: la riduzione dei conflitti interpersonali lavorativi, la diminuzione del turnover infermieristico e l’aumentata collaborazione e soddisfazione interprofessionale. Tuttavia, attualmente, vi sono poche strutture o sistemi sanitari che offrono queste opportunità per gestire i bisogni emotivi che induce talvolta la pratica infermieristica (Boyle, 2011).

Uno dei programmi che viene spesso citato in letteratura è “Accelerated Recovery Program” (ARP) (Gentry, J. E, Baranowsky, A. B, & Dunning, K, 2002). Si tratta di un protocollo di trattamento che prevede cinque aree di intervento, che hanno lo scopo di incrementare le abilità dei curanti e ridurre al minimo la compassion fatigue. Queste aree sono: capacità di resilienza; autogestione e cura di sé; relazioni con gli altri; acquisizione di competenze; risoluzione dei conflitti (Gentry, J. E et al., 2002). Gli obiettivi di questo programma di trattamento sono principalmente otto: identificare e capire ciò che scatena i sintomi della compassion fatigue e sviluppare uno schema; valutare i metodi presenti per affrontare le difficoltà nella pratica e cominciare a sviluppare e mantenere strategie di auto-cura; identificare le risorse interne ed esterne disponibili per sviluppare e mantenere la capacità di resilienza; conoscere e padroneggiare le tecniche di riduzione del disagio; imparare i fondamenti dell’auto-controllo; migliorare la cura di se stessi e definire dei limiti al coinvolgimento personale; apprendere e utilizzare il video-dialogo (tecnica per la risoluzione dei conflitti interni); sviluppare un piano di autocura (Gentry, J. E et al., 2002).

Numerosi adattamenti di questo programma sono stati pubblicati dallo stesso autore e dai suoi collaboratori negli anni successivi. In particolare Flarity (2013) e Potter (2015), insieme a Gentry, hanno applicato nei loro studi una rielaborazione dei cinque punti chiave del programma (Flarity, Gentry, & Mesnikoff, 2013; Potter, Pion, & Gentry, 2015):

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- Self-regulation (autoregolazione): quando si percepisce una situazione di minaccia (stress), consiste nell’abilità di percepire coscientemente l’attivazione del sistema simpatico e deviarlo verso l’attivazione del parasimpatico, diminuendo volontariamente la tensione e rilassando i muscoli.

- Intentionality (intenzionalità): sviluppo della consapevolezza della propria missione professionale, al fine di apprezzare maggiormente il proprio lavoro e mantenersi in uno stato di rilassamento, invece di reagire impulsivamente agli stimoli esterni.

- Self-care (cura di sé): qualsiasi attività che permette di ricaricare l’energia usata nell’assistenza dei malati. Queste includono attività sociali, fisiche, spirituali, intellettuali e creative.

- Connection (connessione): instaurare una rete di supporto con i colleghi professionisti per potersi confrontare rispetto alle situazioni di disagio.

- Perceptual maturation (maturazione percettiva): mantenere la coerenza tra il proprio pensiero e il proprio operato, piuttosto che cercare la convalida delle proprie azioni dagli altri. Non focalizzarsi unicamente sul risultato, bensì cercare di dare il meglio di sé in ogni situazione.

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3. Metodologia

In questo capitolo verrà presentata e approfondita la metodologia scelta per la stesura della presente ricerca. In seguito, nel capitolo “3.3 Tappe metodologiche”, verrà indicato quali tappe si è deciso di percorrere e il protocollo di ricerca utilizzato.

3.1 Scelta della metodologia

Per redigere questa ricerca vi erano a disposizione tre metodologie: quantitativa, qualitativa o revisione bibliografica. Per questo progetto di tesi si è deciso di effettuare una revisione della letteratura in quanto si ritiene essere la metodologia di ricerca più idonea. La revisione della letteratura è una sintesi scritta delle evidenze rispetto un determinato quesito. Lo scopo principale delle revisioni della letteratura è di integrare le evidenze di ricerca al fine di presentare un panorama delle conoscenze e le lacune della ricerca. Le revisioni della letteratura possono consistere unicamente in documenti indipendenti rivolti ai lettori interessati oppure possono essere usate per porre le basi per ulteriori studi (Denise F. Polit, Beck, & Palese, 2014).

Con il termine letteratura si indica la letteratura scientifica basata sui dati (ricerca) e la letteratura concettuale (teorica) (LoBiondo-Wood, Haber, & Palese, 2004). Perciò il materiale pubblicato nei libri, negli articoli di riviste, tesi o opuscoli, sono considerati letteratura scientifica (Sironi, 2010).

Dunque la revisione della letteratura è l’analisi sistematica e critica della letteratura scientifica più autorevole pubblicata relativa a un determinato argomento allo scopo di evidenziare lacune nelle conoscenze tali da motivare lo studio presentato e al contempo, sviluppare valide basi teoriche per condurlo (Sironi, 2010).

Vi sono due tipologie principali di revisione della letteratura: la revisione della letteratura narrativa o tradizionale e la revisione sistematica della letteratura. La prima mira ad offrire una visione generale dell’argomento, risponde a domande generiche e offre una conoscenza di base (LoBiondo-Wood et al., 2004). Lo scopo di una revisione della letteratura tradizionale è di capire quali siano le ricerche più significative rispetto ad un determinato tema (Denise F. Polit et al., 2014). La revisione sistematica della letteratura, invece, è simile ad una ricerca scientifica primaria. La revisione sistematica, concentrandosi sull’analisi di aspetti specifici, mira a rispondere a quesiti particolari e segue protocolli ben definiti, al fine di identificare tutta la letteratura basate su prove di efficacia che rispondano alla domanda clinica posta (LoBiondo-Wood et al., 2004). 3.2 Evidence-Based Practice

Le evidenze scientifiche hanno lo scopo di rispondere a domande, chiare e mirate, riguardanti problematiche relative ad uno o più pazienti. La comunità scientifica ha redatto dei criteri al fine di avere unicamente delle ricerche di buona qualità (Pisacane & Panico, 2005). In questo modo le Evidence-Based Practice (EBP) danno la possibilità di ricercare e cogliere le migliori evidenze scientifiche e di usufruire di queste al fine di prendere le migliori decisioni cliniche per l’assistenza e la cura del paziente; proponendo dunque, possibili soluzioni a quesiti clinici (Denise F. Polit et al., 2014). Nella pratica infermieristica, l’attuazione di un approccio Evidence-Based, richiede l’interazione tra l’esperienza clinica individuale (percepire le problematiche del paziente ed ipotizzare soluzioni) e le migliori evidenze cliniche presenti in letteratura (Pisacane & Panico, 2005). L’EBP (Evidence-Based Practice) è un concetto più ampio del solo utilizzo dei risultati della ricerca, poiché include altre dimensioni della presa di decisioni in ambito clinico, quali: il livello di competenza del professionista, le risorse disponibili e i valori del paziente (Sironi, 2010). Con il termine “Evidence” si intende prova di efficacia, ossia il risultato di un processo di analisi e verifica. Quindi l’Evidence è il risultato di un percorso che implica

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l’utilizzo di una metodologia esplicita, logica e sequenziale, che assume un valore all’interno di una comunità scientifica/professionale (Sironi, 2010). In un approccio di pratica clinica basato sulle evidenze, bisogna seguire alcune tappe. Dapprima si formula un quesito clinico chiaro che emerge dall’assistenza al paziente (Pisacane & Panico, 2005). In seguito si svolge una ricerca sistematica per fornire una risposta alla domanda posta e si valutano in modo critico le evidenze scientifiche trovate, in termini di validità e applicabilità sul paziente (Pisacane & Panico, 2005). Infine si integra l’esperienza personale alle evidenze rilevate e si eroga assistenza al paziente, tenendo sempre conto delle sue esigenze, preferenze e desideri, senza dimenticare di valutare se le soluzioni proposte rispondono al quesito iniziale (Pisacane & Panico, 2005). Sironi (2010) sostiene che ogni professionista debba acquisire l’Evidence-Based Practice come metodologia per prendere decisioni nell’assistenza infermieristica, al fine di offrire assistenza di qualità (Sironi, 2010).

3.3 Tappe metodologiche

Durante la ricerca sono stati consultati diversi testi sulla metodologia, infine si è deciso di seguire il protocollo metodologico esposto qui di seguito (Chiari, 2006; LoBiondo-Wood et al., 2004):

1. Formulazione della domanda di ricerca

2. Formulazione dei criteri di inclusione ed esclusione 3. Ricerca e selezione degli articoli

4. Valutazione della qualità degli studi 5. Sintesi dei risultati

Il primo passo è formulare una domanda di ricerca, ovvero un quesito clinico specifico che sia pertinente e risolvibile unicamente dalle migliori evidenze della ricerca su diagnosi, valutazioni o trattamenti dei pazienti. Una domanda di ricerca ben formulata è l’elemento principale per la revisione della letteratura. Per sviluppare quesiti ben formulati e che facilitano la ricerca delle evidenze è bene utilizzare il metodo PICO, si tratta di un acronimo che indica (Chiari, 2006):

- P: popolazione o pazienti; quali sono le caratteristiche del campione sottoposto allo studio

- I: intervento o esposizione; quali sono gli interventi d’interesse - C: confronto; qual è l’intervento di confronto (opzionale)

- O: outcome o risultati; conseguenze che si sperano di ottenere

Questa sigla permette di articolare una domanda di ricerca coerente e trovare le parole chiave (keywords) più idonee. Le keywords saranno da utilizzare per la ricerca di materiale scientifico nelle banche dati (Pisacane & Panico, 2005), al fine di individuare con precisione il tema trattato (Sironi, 2010).

In seguito al quesito di ricerca, è necessario definire i criteri di inclusione ed esclusione. Essi rappresentano delle stringhe di ricerca che permettono di focalizzare il quesito di ricerca e limitare i risultati ottenuti. Riportare il criterio utilizzato permette ad una revisione della letteratura di essere riproducibile e meticolosa (Denise F. Polit et al., 2014).

Il passo seguente è ricercare e selezionare le fonti presenti nella letteratura scientifica. Per letteratura si intende tutto ciò che include informazioni su un determinato argomento (Sironi, 2010). Gli articoli scientifici, con il supporto dei dati quantitativi e qualitativi rilevati dai ricercatori, permettono di comprendere parzialmente i fattori che potrebbero interagire con una determinata patologia. Inoltre i libri di testo permettono di focalizzarsi al meglio sull’argomento trattato, tuttavia non ci si può basare unicamente su di essi poiché spesso

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non sono sufficientemente aggiornati, al contrario delle ricerche scientifiche che lo sono (Pisacane & Panico, 2005).

Le informazioni da ricercare per una revisione possono essere tratte da due fonti: primarie e secondarie. Le fonti primarie comprendono studi scritti dai ricercatori che hanno sviluppato la teoria e condotto la ricerca, mentre le fonti secondarie consistono in descrizioni di studi, elaborate da persone che non hanno condotto la ricerca (Denise F. Polit et al., 2014); e consistono in una replica, un riassunto e un’analisi critica del lavoro rispetto un determinato concetto (LoBiondo-Wood et al., 2004). Quindi le revisioni della letteratura rientrano tra le fonti secondarie (Denise F. Polit et al., 2014).

Per procurarsi il materiale necessario, i metodi maggiormente utilizzati sono le biblioteche e le banche dati elettroniche (database). Le banche dati sono strumenti informatizzati che permettono di accedere ad informazioni selezionate da esperti, estratte da riviste e altre fonti bibliografiche. Si tratta di archivi che vengono aggiornati a seguito di pubblicazioni. Tali archivi vengono indicizzati secondo una serie di chiavi di ricerca. Quindi oltre a contenere una quantità di dati elevata offrono la possibilità di collegare argomenti tra loro tramite chiavi di lettura diverse (Sironi, 2010). Vi sono diverse banche dati disponibili e ognuna di esse offre opzioni di ricerca differenti, nonostante ciò risulta semplice utilizzarle poiché ognuna usa una logica simile. Qui di seguito vengono elencate alcune banche dati maggiormente utilizzate, con una breve descrizione inerente alla professione infermieristica (Sironi, 2010):

- PubMed: non si tratta di una banca dati, bensì di una raccolta di database e di altre fonti bibliografiche. Il suo nucleo principale è costituito da MEDLINE. Gli ambiti disciplinari compresi sono le scienze bio-mediche, infermieristiche, ostetriche, odontoiatriche, veterinarie e pre-cliniche. È consultabile gratuitamente e gli articoli sono scaricabili a pagamento.

- CINAHL: è la banca dati maggiormente specifica per le scienze infermieristiche. Ha indicizzato oltre 3000 riviste infermieristiche e inerenti alle altre professioni sanitarie. Gli articoli sono scaricabili a pagamento o attraverso abbonamento a biblioteche.

- MEDLINE: trattasi della banca dati della National Library of Medicine degli Stati Uniti d’America. Include oltre 4800 riviste scientifiche delle scienze della salute e comprende gli ambiti disciplinari delle scienze bio-mediche, infermieristiche, odontoiatriche, veterinarie, etc. La consultazione è gratuita e molti articoli sono scaricabili gratuitamente in formato Full-text.

Gli strumenti fondamentali per la ricerca nelle banche dati sono una buona conoscenza della lingua inglese e l’utilizzo degli operatori booleani, che permettono di combinare più parole chiave (keywords) nella stessa ricerca. Queste parole chiave rappresentano i termini che contengono i concetti del quesito di ricerca e del PICO precedentemente formulati. Nel momento in cui le parole chiave sono combinate nelle stringhe di ricerca della banca dati, è possibile: ampliare la base del materiale bibliografico selezionato (OR), restringere e limitare la scelta agli articoli più pertinenti (AND) ed escludere un concetto (NOT) (Denise F. Polit et al., 2014).

In seguito alla selezione degli articoli scientifici, inerenti ai requisiti determinati, è necessario eseguire una valutazione critica di alcuni aspetti del processo di ricerca. La capacità di leggere in modo critico gli articoli di ricerca è il fondamento per condurre qualsiasi revisione della letteratura (Sironi, 2010). Per valutare gli articoli scientifici selezionati verrà utilizzata la checklist di Duffy (James A. Fain & Vellone, 2004).

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L’ultimo passo da compiere, dopo aver selezionato gli articoli in base alla valutazione, implica la compilazione di griglie per la raccolta dei dati degli studi selezionati. La sintesi dei risultati permette di avere un esito complessivo della domanda di ricerca, dunque consente di osservare se gli effetti di un determinato intervento sono corrispondenti e coerenti tra le diverse ricerche (Chiari, 2006).

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4. Applicazione protocollo metodologico

Questo capitolo include le tappe metodologiche che sono state eseguite per redigere la tesi.

4.1 Domanda di ricerca

In base alla domanda di ricerca posta “Quali sono le strategie di coping che l’infermiere può attuare di fronte all’insorgenza della condizione di compassion fatigue, venutasi a creare in seguito alla ripetuta esposizione a dolore e morte di pazienti in ambito ospedaliero”, il PICO definito per la ricerca è il seguente:

Tabella 3: Domanda di ricerca secondo il metodo PICO P Popolazione di

interesse

Personale infermieristico ospedaliero esposto a decessi dei pazienti

I Intervento Strategie di coping utilizzate dagli infermieri per far fronte all’instaurarsi della condizione di compassion fatigue

C Confronto -

O Risultati Benessere personale e professionale e motivazione verso la professione infermieristica

4.2 Criteri di inclusione ed esclusione

Per far sì che la ricerca sia maggiormente mirata al quesito di fondo, sono stati applicati i seguenti criteri d’inclusione e d’esclusione:

Tabella 4: Criteri di inclusione ed esclusione

Criteri di inclusione Criteri di esclusione - Articoli di fonti primarie - Articoli di fonti secondarie - Anno di pubblicazione degli articoli: 2008

– 2018

- Articoli pubblicati prima del 2008

- Infermieri diplomati in cure generali - Studenti in infermieristica e infermieri specializzati in cure palliative

- Ambito ospedaliero - Case per anziani

- Lingua italiana, inglese, francese, spagnola

- Articoli di qualsiasi altra lingua che non sia tra quelle dei criteri di inclusione

- Articoli che trattano la condizione di compassion fatigue

- Articoli che non citano la compassion fatigue

- Articoli che includono il tema morte come

possibile evento scatenante la

compassion fatigue

- Articoli che non includono il tema morte

- Articoli che includono strategie di coping per affrontare la compassion fatigue

- Articoli che non menzionano le strategie di coping

- Full-text

Una precisazione rispetto ai criteri di inclusione ed esclusione è necessaria. Per quanto riguarda la popolazione d’interesse, si è deciso di concentrarsi unicamente sugli infermieri laureati che lavorano in reparti ospedalieri, escludendo principalmente gli infermieri specializzati in cure palliative. Questo perché si considera che questa categoria di professionisti sia già parzialmente formata rispetto all’esposizione frequente a eventi

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luttuosi e che quindi abbia già a disposizione strategie di coping da attuare, al fine di prevenire o limitare eventuali ripercussioni negative dovute all’evento morte.

4.3 Ricerca e selezione degli articoli

Banche dati consultate: MEDLINE, PubMed, CINHAL (EBSCO).

Parole chiave: nurses, compassion fatigue, coping, death/dying, palliative care, grief, self-care, educational program.

Operatori boleani: AND, OR, NOT

Stringhe di ricerca: compassion fatigue AND self-care NOT palliative care; compassion fatigue AND nurses AND coping NOT palliative care; nurses AND dying AND coping NOT palliative care; nurses AND death AND grief NOT palliative care; compassion fatigue AND educational program NOT palliative care; compassion fatigue AND death AND coping NOT palliative care.

Si è scelto di inserire tra le chiavi utilizzate “educational program” perché corrisponde al protocollo di trattamento degli autori Gentry et al. (Gentry, J. E et al., 2002) descritto nel quadro teorico e il termine “self-care” poiché si tratta della strategia di coping maggiormente citata dagli autori nel far fronte alla compassion fatigue.

Le stringhe di ricerca sono state effettuate facendo diverse combinazioni con le parole chiavi emerse e gli operatori boleani. Nella banca dati MEDLINE è stata usata la medesima stringa di ricerca. Per selezionare gli articoli che rispondessero alla mia domanda di ricerca, ho eseguito un’attenta lettura di questi tenendo conto dei criteri di inclusione sopracitati. È stata realizzata una tabella per esporre dettagliatamente il processo di ricerca.

Tabella 5: Tabella dettagliata del processo di ricerca degli articoli

Banche dati Stringhe di ricerca Filtri

CINHAL (EBSCO)

Compassion fatigue AND self-care NOT palliative care

Nurses AND death AND grief NOT palliative care

compassion fatigue AND educational program NOT palliative care

- - Anno di pubblicazione 2008 -2018 - - Academic Journals - - Full Text PubMed Compassion fatigue AND nurses AND coping

NOT palliative care

Nurses AND dying AND coping NOT palliative care

MEDLINE Compassion fatigue AND death AND coping NOT palliative care

Ho iniziato la mia ricerca nella banca dati PubMed usando le keywords: “compassion fatigue”; “nurses”; “dying”; “coping”. In questa banca dati ho trovato 120 articoli e ne ho presi in considerazione 27. In seguito ho effettuato delle ricerche nella banca dati CINHAL (EBSCO) con keywords differenti, difatti ho usufruito del materiale bibliografico ricercato per redigere il quadro teorico ed ho così utilizzato, per la ricerca di due articoli, dei termini che corrispondono ad un protocollo di trattamento e una strategia di coping utilizzate per

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fronteggiare la compassion fatigue. Dalla prima indagine sono risultati 300 articoli e ne ho selezionati 24 potenzialmente eleggibili. Infine ho approfondito la ricerca usando la banca dati MEDLINE, nella quale ho ristretto notevolmente la stringa di ricerca, infatti sono risultati unicamente 5 articoli di cui ne ho presi in considerazione 4. Per tutte le ricerche ho impostato i medesimi criteri di limitazione di ricerca, quali l’anno di pubblicazione dal 2008 ad oggi, unicamente articoli appartenenti all’Academic Journals e aventi il Full Text. In seguito ad un’attenta lettura degli articoli scelti, ho deciso di esaminare 8 articoli poiché rispecchiano tutti i criteri da me prefissati.

Per facilitare la comprensione del processo di ricerca e la scelta degli articoli, è stata realizzata una flow-chart.

Grafico 1: Diagramma di flusso (flow-chart) Risultati ottenuti tramite EBSCO (n=300) Risultati ottenuti tramite PubMed (n=120) Risultati ottenuti tramite MEDLINE (n=5) Risultati ottenuti (n=425)

Risultati dopo la 1° selezione (n=55)

Risultati esclusi poiché non soddisfacevano i

criteri d’inclusione (n=370)

Risultati dopo la 2° selezione (n=8)

Risultati esclusi in seguito ad un’attenta lettura poiché non pertinenti al

quesito di ricerca (n=47)

Risultati inclusi nella revisione della letteratura (n=8)

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4.4 Valutazione della qualità degli studi

Per poter verificare che i metodi e i risultati degli articoli scientifici siano validi e che quindi possano essere inclusi nella revisione della letteratura, è necessario eseguire una valutazione globale dello studio. Per fare questo si è deciso di utilizzare la checklist di Duffy (vedi allegato 9.10). La checklist è suddivisa in 8 categorie: titolo, abstract, problema, revisione della letteratura, metodo, analisi dei dati, discussione, forma e stile. Le affermazioni hanno un punteggio che va da “1” (non osservato) a “6” (completamente osservato) (James A. Fain & Vellone, 2004).

Alla checklist originale, formata da otto elementi, sono state apportate alcune modifiche. Le affermazioni sono state espresse in modo più sintetico rispetto all’originale, pur mantenendone il senso. Il punteggio attribuibile ad ogni affermazione è stato portato da sei valori a tre:

1 Osservato

0.5 Parzialmente osservato 0 Non osservato

Tabella 6: Checklist valutazione di Duffy

Titolo Di immediata comprensione, formulato in modo chiaro, è correlato al contenuto della ricerca.

Abstract Se presente nell’articolo, descrive il problema di ricerca, le eventuali ipotesi in modo chiaro e preciso, il metodo di ricerca, i risultati e le conclusioni.

Problema Viene identificato all’inizio dello studio con una formulazione precisa del quesito di ricerca, sottolineando la significatività del problema. Revisione della

letteratura

La letteratura citata è pertinente al problema di ricerca e presenta una motivazione per lo svolgimento dello studio. Gli studi sono valutati in modo critico e si identifica una struttura teorica. La revisione termina con un breve sunto delle implicazioni che evidenziano il problema di ricerca.

Metodo Soggetti: il campione e i metodi di scelta vengono descritti in modo chiaro. Le dimensioni del campione sono sufficienti per ridurre il rischio di errore. Vengono discussi gli standard per la protezione della popolazione coinvolta nella ricerca.

Strumenti: sono riportati i dati di precedenti ricerche e quelli relativi allo studio presente, che stabiliscono l’affidabilità degli strumenti. I metodi di raccolta dei dati sono descritti per permettere un giudizio sull’appropriatezza dello studio seguente.

Disegno: è coerente per il quesito di ricerca e la sua descrizione è sufficientemente esaustiva per consentire eventuali replicazioni dello studio.

Analisi dei dati Le informazioni riportate sono sufficienti per rispondere alla domanda di ricerca. I test statistici sono riportati con i relativi valori e sono appropriati al quesito. I risultati sono esposti all’interno di tabelle e figure e risultano comprensibili.

Discussione Le conclusioni sono riportate in modo chiaro e rispecchiano le evidenze trovate. Vengono identificati e discussi i problemi metodologici dello studio. I risultati sono correlati con la teoria dello studio stesso e con la letteratura già presente. I risultati vengono diffusi solamente alla popolazione oggetto dell’indagine e sono

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riportate le implicazioni professionali e le raccomandazioni per eventuali ricerche future.

Forma e stile Lo studio è redatto in modo chiaro e logico, dimostrando una posizione scientifica.

La qualità complessiva di ogni articolo viene valutata tramite la scala sopra descritta e coincide con la somma dei punteggi (score) raggiunti per ogni categoria, questa può variare da 0 (qualità assente) a 8 (qualità ottima).

Per quanto riguarda i punteggi attribuiti ad ogni articolo preso in analisi, il punteggio minore ottenuto (6,5/8) è stato assegnato a quattro articoli, in seguito vi è un articolo con un punteggio di 7/8 e infine tre studi con 7,5/8. Da questo risultato si può affermare che la qualità degli articoli varia dal buono, al quasi ottimo. Gli score delle otto categorie per ogni articolo analizzato, vengono mostrate in una tabella (vedi allegato 9.11).

4.5 Sintesi dei risultati

Gli articoli selezionati sono stati riordinati in una tabella riassuntiva, con lo scopo di organizzare i dati in modo chiaro e ordinato e rendere più schematico l’elenco dei risultati. La tabella è costituita dai seguenti punti: fonte (titolo, autore/i, rivista e anno di pubblicazione); disegno dello studio e scopo; popolazione e modalità di raccolta delle informazioni; strumenti; risultati e conclusioni.

All’interno della tabella verrà utilizzato l’acronimo “CF” per intendere compassion fatigue e “CS” per intendere compassion satisfaction.

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Sc o re 6.5 R is u lta ti e conclusioni 3/ 4 de i p art eci pa nt i h a so ffe rt o di C F , co n si nt omi e mo zi on al i, psi co lo gi ci e fi si ci . Me tà d eg li in te re ssa ti ha ri po rt at o fe no me ni di d ist acco ve rso l’a mb ie nt e ci rco st an te , in se gu ito a lla mo rt e di un p azi en te . I l 6 2% h a ut ili zza to st ra te gi e di co pi ng p osi tive , t ra cu i le in te ra zi on i so ci al i so no ri su lta te le p iù imp ort an ti. Il 2 2% h a usa to st ra te gi e di co pi ng n eg at ive , t ra cu i i l d ist acco . En tra mb i i se ssi u sa no me cca ni smi d i co pi ng po si tivi . Pe r quanto rig ua rd a le st ra te gi e di co pi ng n eg at ive , le donne attuano il dist acco me nt re g li uo mi ni fa nn o uso d i so st an ze . Str u m en ti Il qu est io na rio co mp re nd eva u na se zi on e de mo gra fica e do ma nd e re la tive : l’e sp osi zi on e al la mo rt e, l’attitudine dell’ op era to re in se gu ito a lla mo rt e di u n pa zi en te , la co mp assi on fatigue , le st ra te gi e di co pi ng p osi tive e neg at ive . Me to d o lo g ia È st at o co nse gn at o un quest io na rio ad ogni part eci pa nt e. Po p o la zi o n e 45 o pe ra to ri sa ni ta ri di u n osp ed al e su da fri ca no : 20 in fe rmi eri , 13 me di ci , 8 st ud en ti di me di ci na al l’u lti mo anno e 4 perso ne de ll’ ammi ni st r azi on e.

Disegno dello studio e scopo

St ud io q ua lit at ivo . D et ermi na re la pr ese nza de ll’ esp osi zi on e de gl i o pe ra to ri sa ni ta ri ai d ece ssi de i p azi en ti. In di vi du are la pre se nza della co mp assi on fatigue in q ue st a ci rco st an za . Esp lo ra re le st ra te gi e di co pi ng attuate in se gu ito a lla m ort e dei p azi en ti. O sse rva re u na re la zi on e tra ge ne re , se sso , te mp o di la vo ro e tipi di co pi ng ut ili zza ti. F o n te (T ito lo , A u to re , R iv is ta e Anno) B er ea ve m en t o ve rl o ad a n d its effe cts o n , a n d re la te d c o p in g m ec h an is m s o f h ea lth c ar e

providers and ward admi

n is tr ato rs a t N ati o n al D is tr ic t Hospi ta l i n B lo em fo n te in , F re e Sta te . Z ai d Al lie , Ed ith le R ou x, Kh an tse Ma hl at si , Bo itu me lo Mo fo ke ng , Z ara -An ne R amo o, Kh an yi si le Si bi ya , G in a Jo ub ert , Ja n p. va n R oo ye n, H an ne ke Bri ts. Af rica n Jo urn al o f Pri ma ry H ea lth C are & F ami ly Me di ci ne , Vo l. 10 (1 ): 1 -7 , Ju ne 2018.

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