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LA SENTENZA TELIASONERA

MARGIN SQUEEZE

III) LA SENTENZA TELIASONERA

Il caso che coinvolge TeliaSonera9, l’incumbent nel mercato svedese delle telecomunicazioni, costituirà con tutta probabilità la prima

occasione per testare la solidità del modello delineato nel caso

Deutsche Telekom, è una sentenza fondamentale nell’iter per l’inquadramento del margin sqeeze, riguardante l’operatore telefonico svedese TeliaSonera Sverige AB. La Corte svedese ha comminato all’operatore una sanzione amministrativa per aver abusato della posizione dominante goduta nei servizi di accesso a banda larga. Tale

sentenza è stata preceduta da una pronuncia pregiudiziale della Corte Europea sull’l’interpretazione dell’art. 102 TFUE in merito ai criteri alla luce dei quali si deve ritenere che una pratica tariffaria di

compressione dei margini tra prezzo e costo costituisca abuso di

posizione dominante. Sul solco di tale interpretazione la Corte di

Giustizia Europea ha recentemente confermato la sanzione inflitta dalla Commissione all’operatore telefonico spagnolo (Telefonica) per violazione dell’art 102 del TFUE. L’interpretazione della corte segna una svolta in materia di margin squeeze che da un lato allarga il divario tra stati uniti ed Europa e dall’altro appare andare oltre l’approccio

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Case C-52/09, Konkurrensverket vs. TeliaSonera Sverige AB, Judgment of the Court

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delineato dalla Commissione europea sull’applicazione dell’art 102 del trattato.

Lo Stockholms tingsrätt (tribunale distrettuale di Stoccolma) (Svezia)

ha sottoposto alla Corte di giustizia dieci questioni attinenti all’interpretazione dell’art. 102 TFUE (ex art. 82 CE) nel caso di un presunto abuso di posizione dominante sotto forma di compressione

del margine tra prezzo e costo. La domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra l’operatore telefonico svedese TeliaSonera Sverige AB (in prosieguo: la «TeliaSonera») e la Konkurrensverket (l’autorità nazionale a tutela della concorrenza, in prosieguo: la «ANC»). Il 21 dicembre 2004, l’ANC ha chiesto al

giudice del rinvio di ordinare alla TeliaSonera il pagamento di una

sanzione amministrativa pari a SEK 144 milioni (circa EUR 15,1

milioni) per violazione della normativa nazionale in materia di

concorrenza nonché dell’art. 102 TFUE. La causa principale sorge dal cambiamento tecnologico verificatosi tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del decennio seguente, allorché diversi utenti finali svedesi di Internet iniziarono a passare dalla connessione Internet analogica a

diversi tipi di connessione a banda larga (con modalità di trasmissione

considerevolmente più celeri). Le forme comuni di banda larga, all’epoca, erano rappresentate dalle connessioni ADSL (Asymmetric Digital Subscriber Line) mediante una rete telefonica fissa e dalle

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locale (LAN). La TeliaSonera, ex Telia AB, era stata a lungo in

possesso di una rete metallica di accesso capace, in linea di principio,

di raggiungere tutte le case svedesi. Essa rappresenta infatti l’operatore

storico della telefonia fissa e godeva in precedenza di un monopolio

statale relativo al diritto di determinare quali dispositivi potessero

essere utilizzati sulla propria rete fissa. Oltre alla fornitura di servizi di banda larga sul mercato finale (mercato a valle, o dell’accesso per gli utenti), la TeliaSonera offriva accesso alla propria rete metallica (cioè

a quella parte della rete telefonica che collega singoli utenti al più

vicino scambio di telecomunicazione locale) ad altri operatori (mercato

a monte, o intermedio), attivi anche sul mercato degli operatori finali. L’accesso era offerto con due modalità: la TeliaSonera offriva un cosiddetto accesso LLUB (Local Loop Un-Bundling), in base al quale

un operatore poteva ottenere, contro un corrispettivo, un accesso

esclusivo o condiviso alla rete metallica di TeliaSonera. Tuttavia, il presunto abuso di posizione dominante non riguarda l’accesso LLUB disciplinato dal regolamento, bensì l’accesso offerto dalla TeliaSonera ai suoi concorrenti alla rete fissa mediante un particolare prodotto per connessioni ADSL (come la Skanova Bredband ADSL). L’ANC sostiene che la TeliaSonera ha abusato della propria posizione

dominante sul mercato intermedio, applicando, tra il prezzo del

mercato intermedio per i prodotti di input ADSL ed il prezzo al

dettaglio per i servizi ADSL che offriva ai propri consumatori, un

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sul mercato al dettaglio. L’ANC ha strutturato il proprio procedimento in modo da esaminare il periodo tra l’aprile 2000 ed il 1° gennaio 2001. Tuttavia, per il periodo successivo, che comprende il mese di

gennaio 2003, sono applicabili tanto la legge in materia di concorrenza

quanto l’art. 102 TFUE. La Tele2 Sverige Aktiebolag (in prosieguo: la

«Tele2») ha chiesto di poter intervenire nel procedimento a sostegno dell’ANC. Dalla decisione di rinvio risulta chiaramente che le parti nella causa principale dissentono su una serie di elementi di fatto

rilevanti e a mio avviso fondamentali (come la definizione del mercato

rilevante in cui la TeliaSonera detiene una posizione dominante o

addirittura sulla stessa esistenza di una posizione siffatta). Alla luce

delle norme processuali nazionali, comunque, il giudice del rinvio

ritiene che sia necessario già in questa fase sottoporre le questioni alla Corte. In particolare, l’esame probatorio e la valutazione giuridica devono aver luogo nella causa principale contemporaneamente alla

decisione, dopo lo svolgimento dell’udienza.

Il caso TeliaSonera è significativo in quanto, diversamente da quanto

accaduto per i casi Deutsche Telekom and Telefonica, TeliaSonera non

aveva alcun obbligo regolamentare di fornitura del servizio all’ingrosso in relazione al quale è stato verificato l’abuso. L’essenzialità del servizio appare dunque contestabile. Per tale motivo l’autorità svedese ha richiesto alla Corte europea un’interpretazione dei criteri da seguire per giudicare abusiva una pratica di compressione dei

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margini. Il giudice ha deciso di sospendere il procedimento e di

sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: In presenza di quali condizioni sussista una violazione dell’art. 102 TFUE derivante della differenza tra il prezzo che un’impresa verticalmente integrata pratica nella vendita di prodotti ADSL a concorrenti nel settore all’ingrosso e il prezzo che la stessa impresa pratica nel settore dei consumatori finali. Se, per risolvere la prima questione, si debbano

prendere in considerazione esclusivamente i prezzi praticati dall’impresa in posizione dominante nei confronti dei suoi consumatori finali o se occorra anche tenere conto dei prezzi praticati dai suoi

concorrenti sul mercato dei consumatori finali. Se abbia qualche

rilevanza ai fini della soluzione della prima questione il fatto che l’impresa in posizione dominante non abbia obblighi legali di fornitura di servizi all’ingrosso, avendo al contrario deciso di effettuare tali forniture di propria iniziativa. Se, per considerare abusiva la prassi

descritta nella prima questione, occorra che essa comporti effetti

restrittivi sulla concorrenza e, in caso affermativo, come possano essere determinati questi ultimi. Se l’importanza del potere di mercato di cui gode l’impresa in posizione dominante abbia rilevanza ai fini della soluzione della prima questione. Se, per considerare abusiva la pratica descritta nella prima questione, occorra che l’impresa che l’ha adottata detenga una posizione dominante tanto nel settore all’ingrosso quanto in quello dei consumatori finali. Se, per considerare abusiva la

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dall’impresa dominante sul mercato a valle sia indispensabile per i concorrenti. Se incida sulla soluzione della prima questione il fatto che

si tratti di una fornitura ad un cliente nuovo. Se, per considerare

abusiva la pratica descritta nella prima questione, occorra che l’impresa dominante abbia una possibilità di recuperare le sue perdite. Se incida sulla soluzione della prima questione il fatto che si sia in

presenza di un cambiamento tecnologico in un mercato che richiede

rilevanti investimenti, ad esempio, a causa dei probabili costi di lancio e dell’eventuale necessità di vendere in perdita nel corso della fase di lancio. La sentenza della Corte interviene a distanza di pochi mesi dal

giudizio della stessa nel caso Deutsche Telekom, che aveva costituito

per i giudici di Lussemburgo la prima occasione per esprimersi sulla

fattispecie del margin squeeze. Ai sensi della giurisprudenza della Corte in Deutsche Telekom, un’impresa verticalmente integrata e dominante in un mercato a monte integra una fattispecie di margin

squeeze qualora stabilisca un divario (spread) tra il prezzo all’ingrosso di accesso all’infrastruttura (per i concorrenti) ed il prezzo al dettaglio applicato per il servizio a valle a valle (per i consumatori) al di sotto

del livello che permetterebbe ad un operatore concorrente, almeno tanto efficiente quanto l’incumbent, di recuperare i costi della prestazione del servizio. Il caso di TeliaSonera presenta alcune

significative differenze rispetto al margin squeeze contestato a Deutsche Telekom. Si ricorderà che l’abuso dell’incumbent tedesco era stato messo in atto nell’ambito di un mercato regolamentato. Ai sensi

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della normativa europea in materia di telecomunicazioni, come recepita dall’ordinamento tedesco, su Deutsche Telekom insisteva infatti un obbligo a contrarre con i propri concorrenti attivi nel mercato

a valle per la fornitura dei servizi di accesso unbundled alla rete locale. L’abuso contestato all’incumbent svedese consiste invece nell’aver messo in pratica un margin squeeze in un mercato non regolamentato, in particolare nell’ambito dell’offerta all’ingrosso dei propri servizi ADSL. A differenza di Deutsche Telekom, TeliaSonera manteneva di

una maggiore libertà relativamente alle proprie decisioni sulla fornitura dei servizi di accesso all’ingrosso e sul prezzo da praticare ai propri concorrenti attivi nel mercato retail dei servizi ADSL.

Nella sentenza in commento, la Corte nega categoricamente che la

presenza di un obbligo regolamentare di fornitura costituisca una

condizione necessaria per la configurazione di un margin squeeze. La Corte ritiene infatti che l’assenza di obblighi imposti dalla legge nazionale non faccia venir meno gli eventuali aspetti anticoncorrenziali

di una condotta messa in atto da una impresa che goda di una posizione

dominante. La Corte esclude anche che possano avere alcun ruolo nella

valutazione sulla legittimità di un margin squeeze il grado di dominio dell’incumbent nel mercato a monte, la circostanza che detta impresa non detenga una posizione dominante anche sul mercato a valle, il fatto che i clienti dell’impresa a monte siano nuovi o preesistenti, l’impossibilità per l’impresa dominante di recuperare le perdite eventuali che l’attuazione di siffatta pratica tariffaria potrebbe

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provocarle, e da ultimo il grado di evoluzione tecnologica del mercato.

Al contrario, elemento cardine su cui deve incentrarsi l’analisi dell’abuso è l’effetto anticoncorrenziale della condotta dell’incumbent. Al riguardo, l’essenzialità dell’infrastruttura a monte per la prestazione del servizio downstream costituisce naturalmente elemento importante dell’analisi. La Corte sembra tuttavia ritenere che l’indispensabilità dell’input, presupposto fondamentale dell’analisi nell’ambito della diversa fattispecie del refusal to supply, non costituisca invero una

condicio sine qua non per la configurazione di un margin squeeze. L’analisi deve infatti incentrarsi più in generale sulla questione se la condotta dell’incumbent “…producendo effetti preclusivi per i concorrenti quantomeno altrettanto efficienti mediante una

compressione dei loro margini, sia idonea a rendere più difficile, se

non impossibile, l’accesso per tali concorrenti al mercato di cui trattasi…”.

La sentenza sembra pertanto escludere dalla valutazione di una ipotesi

di margin squeeze una serie di elementi e comprime l’importanza del requisito dell’indispensabilità. La Corte sembrerebbe inoltre lasciare agli enforcers nazionali ed europei un più ampio margine di apprezzamento per l’analisi del margin squeeze, potenzialmente aprendo le porte ad un’applicazione dell’abuso non limitata esclusivamente ai settori regolamentati ed alle industrie di rete.

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A parere dell’Avvocato generale neanche i due casi precedenti hanno

disatteso i criteri fissati nella sentenza Bronner, dal momento che il carattere essenziale del prodotto era stato “certificato” dall’obbligo di accesso che la regolamentazione ex ante poneva in capo all’incumbent. Nel mese di settembre 2010 l’opinione fornita sul caso TeliaSonera da parte dell’Avvocato generale Mazak sembra segnare un ripensamento rispetto all’orientamento seguito nei casi Deutsche Telekom e Telefonica. Difatti secondo l’avvocato generale la compressione dei margini non è altro che una fattispecie di abuso riconducibile al “refusalto supply”. In particolare l’avvocato generale afferma che in mancanza di un obbligo legale di accesso posto a carico di un’impresa in posizione dominante di fornire un prodotto non indispensabile, l’impresa in posizione dominante non possa essere accusata di aver compresso abusivamente il margine tra prezzo e costo. Un diverso

approccio volto a vietare le compressioni del margine tra prezzo e

costo sulla sola base di un calcolo astratto dei prezzi in mancanza di qualsiasi valutazione dell’indispensabilità del prodotto per la concorrenza sul mercato ridurrebbe le intenzioni dell’impresa in posizione dominante di investire e/o condurrebbe probabilmente ad un

aumento dei prezzi al consumo piuttosto che ad una loro traslazione

mediante la compressione del margine tra prezzo e costo. In conclusione, laddove per un’impresa in posizione dominante non esiste un obbligo a fornire i prodotti di cui trattasi, non le potrebbe essere

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contestata la fornitura di detti prodotti a condizioni che i concorrenti

considerano non vantaggiose.

Le conclusione della Corte di Giustizia appaiono distanziarsi da quelle raggiunte dall’Avvocato generale, marcando definitivamente la condotta di margin squeeze come autonoma violazione dell’art 102 del

Trattato. Due le conclusioni maggiormente significative su cui vale la

pena concentrarsi.

In primo luogo la Corte, nel rispondere al quesito relativo all’assenza,

nel caso in esame di qualsiasi obbligo regolamentare di fornitura del servizio all’ingrosso oggetto della pratica di compressione dei margini, ha innanzitutto evidenziato come l’art. 102 TFUE riguarda soltanto comportamenti anticoncorrenziali adottati dalle imprese di propria iniziativa. L’art. 102 TFUE trova dunque applicazione in tutti i casi in cui la normativa nazionale lasci sussistere la possibilità di una

concorrenza che possa essere ostacolata, ristretta o falsata da

comportamenti autonomi delle imprese. Dunque, a maggior ragione qualora un’impresa disponga di piena autonomia nella scelta dei suoi comportamenti sul mercato. La Corte conclude che l’assenza di

qualsiasi obbligo regolamentare di fornire le prestazioni ADSL intermedie sul mercato all’ingrosso non ha alcun rilievo per quanto riguarda il carattere abusivo della pratica tariffaria, costituendo, i

comportamenti contestati a TeliaSonera, di per sé, una forma autonoma

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Per quel che concerne invece il quesito relativo al carattere essenziale

del servizio come conditio sine qua non per la verifica di una

compressione abusiva dei margini, la Corte specifica che non si può escludere in base alla sola circostanza che il prodotto all’ingrosso non è indispensabile per la fornitura del prodotto al dettaglio che una

pratica tariffaria che conduce alla compressione dei margini non sia in

grado di produrre alcun effetto anticoncorrenziale, neppure potenziale.

In conclusione, la sentenza della corte europea sul caso TeliaSonera,

andando oltre quanto stabilito nei casi precedenti, stabilisce che:

- la pratica di margin squeeze rappresenta una violazione autonoma dell’art 102 del Trattato.

- al fine di verificare l’abusività della compressione dei margini perpetrata dall’impresa dominante non è necessario dimostrate il carattere essenziale del servizio fornito dall’impresa integrale. Tale conclusione svincola ulteriormente la

compressione dei margini da refusal to supply.

- una volta comprovata l’abusività della pratica non è necessario

verificare che la stessa abbia prodotto effetti anticompetitivi sul

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