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La separazione delle attività

4. Gli strumenti di risoluzione

4.3 La separazione delle attività

L’ultimo strumento a disposizione delle Autorità di risoluzione rimanendo nella sottocategoria delle misure gone concern è lo strumento della separazione delle attività.

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Cosi come gli strumenti che lo procedono anche quest’ultimo concede la possibilità all’autorità di risoluzione di cedere a uno o più veicoli di gestione sia delle attività, sia dei diritti o passività di un ente soggetto a risoluzione o anche di un ente-ponte. Anche in tale misura ci si avvale di un soggetto terzo, o meglio una società veicolo che in questo caso può anche non essere una banca anche se notoriamente prende il nome di bad

bank.

Bisogna inoltre precisare che la bad bank non è paragonabile ad una banca, infatti da un lato assume moneta sotto forma di depositi e dall’altro la eroga sotto forma di prestiti;

in poche parole è quello che in gergo viene definito Special Purpose Veicle, cioè un veicolo societario al quale la “good bank”, trasferisce i suoi crediti sofferti. Così facendo la good bank, si ritroverà alleggerita da quelle mole di assets che avvelenano i suoi bilanci tornando nuovamente a svolgere la propria attività di raccolta ed erogazione di capitali dai depositanti e sottoscrittori di obbligazioni.

La modalità di trasferimento delle sofferenze avviene a titolo oneroso. Tecnicamente vengono costituite SPV a cui una banca cede uno o più pacchetti di crediti deteriorati, ovvero mutui, prestiti al consumo. La SPV paga la banca con l'emissione di obbligazioni ABS, ossia Asset backed securities, cioè titoli obbligazionari da collocare sul mercato, ed i proventi verranno utilizzati al fine del soddisfacimento sia dei diritti incorporati nei titoli ABS e sia al pagamento dei costi della relativa cartolarizzazione. Queste obbligazioni, verranno a sua volta suddivise in diverse tranche, in merito alla rischiosità, ottenendo la tranche junior, mezzanine e senior.

Inoltre, recentemente il Governo italiano a seguito di numerose dibattiti e negoziazioni tra la Commissione Europea e il MEF ha approvato il Decreto Legge n. 18 del 14 febbraio

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2016 cd. “Decreto”, con il quale viene istituita la famosa GACS32 allo scopo di agevolare

gli istituti di credito allo smobilizzo degli NPL33; tutto ciò grazie alla non classificazione

da parte della commissione europea di tale schema come aiuto di stato.

La motivazione con la quale la commissione ha autorizzato sia lo schema Italiano, che il simile schema Ungherese è la seguente: “Se uno Stato membro interviene come farebbe

un investitore privato ed ottiene una remunerazione per il rischio assunto equivalente a quella che avrebbe accettato l'investitore privato, l'intervento non costituisce un aiuto di Stato. Pertanto la Commissione ha concluso che le misure dell'Ungheria e dell'Italia non comportano aiuti di Stato ai sensi della normativa dell'Unione europea.”34

Tale schema opera su concessione del ministro dell’economia e delle finanze su determinate passività derivate dal processo di cartolarizzazione a condizione che gli assets sottostanti siano:

• crediti pecuniari classificati come sofferenze;

• oggetto di cessione da parte di banche aventi sede legale in Italia35.

I titoli garantiti sono stati individuati nella tranche senior (ovvero quella più sicura), mentre al MEF viene concesso un periodo pari a 18 mesi dal 14 febbraio 2016, data di emissione del decreto, per concedere tale garanzia. Il periodo è prorogabile con un ulteriore decreto previa approvazione della commissione europea.

32 Garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze

33 NPL acronimo di “non performing loans”, sono crediti la cui riscossione è incerta sia in termini di rispetto

della scadenza che per ammontare dell’esposizione.

34 Comunicato stampa – Commissione Europea, Aiuti di Stato: la Commissione approva le misure di

gestione delle attività deteriorate per le banche in Ungheria e Italia, 10 febbraio 2016

35 Lo Schema di garanzia statale italiano per i titoli senior emessi nell’ambito delle operazioni di

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Anche se regolato dall’articolo 42, nel precedente articolo 37 al comma 5 è possibile leggere come “Le autorità di risoluzione possono applicare lo strumento della

separazione delle attività solo abbinandolo a un altro strumento di risoluzione”, questo

perché, tale strumento a differenza dei precedenti consente sì il trasferimento delle attività ma non quelle riguardanti le aree di business con ancora elevate probabilità di successo ma bensì le attività colpite dal dissesto.

Quindi, anche in questo caso l’ente che ancora è in possesso delle attività deteriorate sarà sottoposto a liquidazione. Se viceversa, lo strumento della separazione delle attività venisse utilizzato singolarmente, l’intermediario sarebbe sottoposto a liquidazione nella sua totalità: una parte subito dopo la separazione ed una parte nel lungo termine, quando il veicolo di gestione vende gli asset di cui è in possesso.

Tale strumento non è del tutto nuovo in Italia in quanto è stato adoperato per la sistemazione delle passività incagliate nel caso del salvataggio del Banco di Napoli accaduto intorno agli anni 9036.

Va inoltre precisato che la bad bank nasce non con il fine di gestione come nel caso dell’ente ponte ma con il fine ultimo di massimizzare il valore delle attività al momento della vendita finale, basandosi sul presupposto che le condizioni di mercato sono tali che una liquidazione delle attività in questione tramite le ordinarie procedure di insolvenza potrebbe incidere negativamente su uno o più mercati. Tale condizioni vengono espressamente indicanti dall’Art. 42, comma 5, la quale enuncia: “Le autorità di

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risoluzione possono esercitare il potere di cedere attività, diritti o passività, di cui al paragrafo 1, solo se:

• la situazione del particolare mercato per le attività in questione è tale che una

loro liquidazione con procedura ordinaria di insolvenza potrebbe incidere negativamente su uno o più mercati finanziari;

• tale cessione è necessaria per assicurare il corretto funzionamento dell’ente

soggetto a risoluzione o dell’ente-ponte; oppure

• tale cessione è necessaria per massimizzare i proventi della liquidazione…”

Va precisato infine, che a sostegno dell’approvazione di tale garanzia, interviene una variabile determinante, ovvero l’assenza di un mercato per operazioni di questo tipo e di conseguenza esiste una certa discrezionalità nel decidere se questa operazione sia o meno di mercato. È sempre il comunicato ad individuare tre elementi che garantiranno le condizioni di mercato, ovvero:

A. lo Stato assumerà un rischio limitato in quanto come enunciato precedentemente la garanzia da esso concessa si applicherà esclusivamente alla tranche senior, e sarà un'agenzia di rating indipendente approvata dalla BCE a garantire che i titoli che compongono la tranche senior, indipendentemente dalla garanzia statale, siano di alta qualità creditizia (investment grade);

B. sarà il mercato a testare e confermare la distribuzione del rischio delle tranche e l'assetto dei veicoli di cartolarizzazione prima che lo Stato assuma un qualsiasi rischio. Difatti la garanzia statale sulla tranche senior diventerà effettiva solo dopo che sarà stata venduta sul mercato a operatori privati più della metà della tranche junior, che non è garantita e presenta un rischio più elevato;

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C. la remunerazione dello Stato per il rischio assunto sarà quindi ai livelli di mercato. Basandosi su un valore di riferimento del mercato come un paniere di prezzi di credit default swap di società con sede in Italia, corrispondente al livello e alla durata del rischio che lo Stato assume offrendo la garanzia. Di conseguenza la commissione di garanzia aumenterà nel tempo, in linea con la durata dell'esposizione da parte dello Stato.

Questa struttura della commissione di garanzia, unita alla designazione di un gestore esterno, mira ad aumentare l'efficienza e la probabilità del recupero dei prestiti in sofferenza.

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CAPITOLO 2

IL BAIL IN

1. Il passaggio dal bail out al bail in

È la direttiva BRRD a segnare un cambiamento epocale nelle metodologie di gestione dell’insolvenza, passando da una logica di bail out a una logica di bail in. Come ampiamente discusso nel capitolo precedente, con la presente direttiva si fa continuamente ricorso ad un termine mai utilizzato all’interno del nostro ordinamento, ovvero la “risoluzione”. Essa è una procedura gestita dalle autorità indipendenti, con l’obiettivo di evitare eventuali interruzioni dei servizi forniti dalla banca alla propria clientela, ripristinando la solidità dell’istituto.

Ma andiamo per gradi, iniziando dal predecessore. Il bail out è una procedura di salvataggio di istituti prossimi al fallimento, effettuata con l’utilizzo di denaro pubblico, meglio conosciuta come salvataggio dall’esterno. Le ragioni di tale cambiamento sono innumerevoli e le analizzeremo tutte, ma possiamo innanzitutto affermare che l’allarme nasce a seguito dello spropositato utilizzo di tale procedura a partire dalla crisi dei mutui sub prime.

Iniziamo la nostra analisi da un punto di vista normativo. Risulta possibile riscontrare che, prima del recepimento della direttiva BRRD, ed a causa della recente congiuntura nel sistema finanziario, il corpo normativo in tema di gestione dell’insolvenza non

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concedeva delle valide alternative di mercato alla liquidazione o al cd. Bail out. Questo perché oggi, l’utilizzo di operazioni o di fusioni o di acquisizioni in contesti caratterizzati dalla recessione, risultano sempre più ardue da concludersi.

Sorge inoltre un problema di distorsione della concorrenza, in quanto bisogna considerare la nascita di problemi di Moral Hazard. In altri termini, se un intermediario è consapevole di poter evitare il fallimento grazie all’ausilio di un intervento pubblico di salvataggio allora non avrà alcun incentivo a limitare i rischi assunti. Tale pratica finirà quindi per agevolare quelle banche che assumendo dei rischi superiori al proprio risk

capacity, e quindi violando i principi della sana e prudente gestione continueranno a

rimanere sul mercato in condizioni di ingiustificato vantaggio, arrecando un pregiudizio agli altri competitori che affrontano rischi e oneri senza aiuti esterni37.

È possibile affermare che, se da una parte la ricapitalizzazione delle banche in dissesto finanziata con fondi pubblici ha parzialmente ridotto la crisi del sistema bancario, dall’altra, tale strategia si è rilevata una delle cause di un aumento eccessivo del debito pubblico, creando quanto enunciato nel capitolo precedente, ovvero un circolo vizioso.

Nel 2015 in un intervento all’Assemblea annuale38 dell’Associazione bancaria italiana, il

governatore Visco afferma che “Gli orientamenti sull’applicazione della disciplina sugli

aiuti di Stato adottati nel 2013 dalla Commissione europea già prevedono di coinvolgere azionisti e creditori subordinati prima di un eventuale supporto pubblico. Con il

37 Inzitari Bruno, BRRD, bail in, risoluzione della banca in dissesto, condivisione concorsuale delle perdite

(d.lgs. 180/2015), www.dirittobancario.it

38 Governatore Visco, Intervento all’Assemblea annuale 2015 dell’Associazione bancaria italiana, 8 luglio

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recepimento della BRRD, azionisti e titolari di strumenti di capitale saranno chiamati a contribuire alla risoluzione anche a prescindere da un eventuale intervento pubblico..”.

Ma andiamo con ordine, affermando in primis che il bail in è la risposta che l’Unione Europea ha dato al famoso circolo vizioso; conosciuta come salvataggio interno, è una procedura di risoluzione di una crisi bancaria, che consiste nella riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti, o ancora la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca; il tutto in misura tale da ripristinare un’adeguata capitalizzazione e per mantenere la fiducia del mercato. La soluzione delle crisi bancarie non avverrà più come in passato utilizzando risorse esterne fornite dallo Stato.

È Il quarto ed ultimo strumento di risoluzione in ordine cronologico di attuazione e l’unico in una prospettiva di going concern e così come gli altri, la sua regolamentazione in Italia è dettata dal decreto legislativo n.180/2015 in recepimento della direttiva BRRD.

Quest’ultima, dedica l’intera quinta sezione al bail-in e nello specifico il primo articolo enuncia come: “Gli Stati membri provvedono a che le autorità di risoluzione possano

applicare lo strumento del bail-in onde rispettare gli obiettivi di risoluzione previsti all’articolo 31, in linea con i principi di risoluzione di cui all’articolo 34, per uno dei seguenti fini:

• ricapitalizzare un ente o un’entità di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), c)

o d), della presente direttiva che soddisfi le condizioni per la risoluzione in misura sufficiente a ripristinarne la capacità di rispettare le condizioni di autorizzazione (nella misura in cui tali condizioni si applicano all’entità) e di continuare a svolgere le attività per le quali è autorizzato ai sensi della direttiva 2013/36/UE o della direttiva 2014/65/UE, ove l’entità sia autorizzata in forza di tali direttive, e

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mantenere nel mercato una fiducia sufficiente nei confronti dell’ente o dell’entità;

• convertire in capitale o svalutare il valore nominale dei crediti o dei titoli di debito

ceduti:

o a un ente-ponte al fine di fornirgli capitale; oppure

o nell’ambito dello strumento per la vendita dell’attività d’impresa o dello

strumento della separazione delle attività.”

La logica del bail in ha visto il suo ingresso ufficiale in Italia a partire dal 2016, anche se parte dei suoi principi riconducibili al procedimento di ricapitalizzazione a mezzo di svalutazione e conversione delle azioni e crediti sono stati già utilizzati nell’anno precedente. Difatti, la Banca d’Italia, nelle vesti di autorità di risoluzione, in merito alle misure previste dal d.lgs. n. 180/2015 e previa autorizzazione della Commissione Europea e sulla base di quanto previsto dalla Comunicazione UE del 30/7/2013 ha consentito che il Fondo di risoluzione mettesse a disposizione della ricapitalizzazione delle quattro banche39 rilevanti risorse.

Inoltre, nelle considerazioni iniziali della direttiva, si tende a precisare quanto l’applicazione dello strumento da parte delle autorità di risoluzioni debba compiersi “in

modo tale da rispettare il trattamento paritario dei creditori e il rango dei crediti ai sensi del diritto fallimentare vigente…” quindi sia gli azionisti che i creditori non potranno

subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso di liquidazione della banca

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secondo le procedure ordinarie. Possiamo quindi affermare che il principio ispiratore del bail in è il criterio del no creditor worse off.

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