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Sequenze formali, oggetti primi e repliche

Parte II Metodologie di progettazione e morfogenesi,

3. La progettazione come processo di morfogenes

3.3. La lettura della dinamica evolutiva delle forme 1 Continuità e variazione delle immagin

3.3.2. Sequenze formali, oggetti primi e repliche

Una felice espressione che sembra superare definitivamente gli ostacoli frapposti alla comunicazione di concetti quali oggetto d’uso e oggetto artistico è quella di storia delle cose proposta da Kubler:

5 Le tre immagini esaminate sono: una figura umana che sovrasta due leoni tenendo nelle

mani due serpenti; il toro domato dall’eroe; l’angelo. Vedi ivi, pp. 3-30 e per considerazioni generali sulle ragioni della storia dell’arte, pp. 243-263.

Scegliendo l’espressione “storia delle cose” non abbiamo semplicemente in- teso adottare un eufemismo che sostituisse l’ispida bruttezza di “cultura mate- riale”. Gli antropologi usano questa espressione per distinguere le idee, o “cultura mentale”, dai prodotti lavorati (o manufatti). La “storia delle cose” intende in- vece riunire idee e cose sotto la rubrica di “forme visive”, includendosi in questo termine sia i manufatti che le opere d’arte, le repliche e gli esemplari unici, gli arnesi e le espressioni: in breve, tutte le materie lavorate dalla mano dell’uomo sotto la guida di idee collegate e sviluppate in sequenza temporale. Da tutte que- ste cose emerge una forma del tempo, si delinea un ritratto visibile dell’identità collettiva, sia essa tribù, classe o nazione. (Kubler, 1972, p. 17 trad. it. 1976).

Secondo questa concezione, la distinzione tra “utile” e “bello”, che ha connotato l’origine e lo sviluppo della produzione industriale, va assottigliandosi e perdendo di efficacia perché, se condividiamo, con Kubler, che “il nostro concetto d’arte, possa essere esteso a compren- dere, oltre alle tante cose belle, poetiche e non utili di questo mondo, tutti in generale i manufatti umani, dagli arnesi di lavoro alle scritture” (ivi, p. 7), questa coincidenza implica come conseguenza che si deb- bano mutare i criteri interpretativi delle cose. Per fare questo, il con- cetto di “sequenza formale” come “serie di soluzioni collegate dello stesso problema” è un contributo rilevante sia ai fini tassonomici che ai fini progettuali.

Partendo dall’analogia matematica con la serie (come somma di un certo numero di termini) e la sequenza (come qualsiasi successione di quantità ordinate), Kubler afferma che l’esistenza di un problema e l’ac- cumularsi della catena di soluzioni a questo problema possono essere raccolte in un’entità detta “classe formale”. La classificazione sequen- ziale mette in risalto la coerenza interna degli eventi, ne costituisce una “catena invisibile”. Le soluzioni concatenate occupano il tempo in vari modi, possono essere di breve o lunga durata, possono formare serie aperte o concluse, ma riflettono sempre un dominio di forme mentali suscettibile di ulteriori elaborazioni per mezzo di nuove soluzioni. Ogni nuova soluzione, ogni nuova forma modifica retroattivamente la no- zione che ci si era fatta delle precedenti. I confini delle sequenze formali risiedono nei primi e negli ultimi stadi, se ve ne sono, dello sforzo per la soluzione di un certo problema.

Le sequenze temporali di arnesi e attrezzi hanno abitualmente lun- ghissima durata; in generale, arnesi più semplici mostrano lunghissime sequenze temporali, mentre i più complicati testimoniano apparizioni

episodiche e brevi. «Per quanto elaborato possa essere il suo meccani- smo, un arnese resta sempre intrinsecamente semplice, mentre un’opera d’arte, che è un complesso di numerosi stadi e livelli di intri- cate intenzioni, resta, per quanto semplice possa apparire il suo effetto, una cosa intrinsecamente complicata» (ivi, p. 18).

Il minimo di durata è rappresentato dalle mode, che per il loro carat- tere effimero e di proiezione di un’immagine di pura esteriorità, non sono legate alla particolare risoluzione di problemi come invece si ha con la concatenazione, ma sono costituite solo da classi formali. Se nella de- marcazione proposta da Kubler gli arnesi da una parte e le mode dall’al- tra rappresentano i due estremi, un’altra distinzione si affaccia nella sua interpretazione delle cose, quella tra “oggetti primi” e “repliche”: «Per oggetti primi e repliche intendiamo le principali invenzioni con tutto quel complesso di duplicati, riproduzione, copie, riduzioni, trasposizioni e de- rivazioni che seguono nella scia di un’importante opera d’arte» (ivi, p. 50). L’oggetto primo è quello che contiene dei “geni mutanti” che hanno un effetto dinamico, producendo, nella trasformazione, mutamento, mentre le repliche non sono che moltiplicazioni di oggetti primi.

Un altro aspetto che ci pare valga la pena di sottolineare del metodo Kubler, è il concetto di propagazione delle cose. «È come se le cose generassero altre cose a loro somiglianza per interposto ufficio di es- seri umani avvinti da quelle possibilità di sequenza e progressione» (ivi, p. 77). E, più avanti, riguardo all’invenzione e alla varietà:

L’apparizione delle cose è governata dai nostri mutevoli atteggiamenti verso i processi di invenzione, ripetizione e scarto. Se mancasse l’invenzione avremmo soltanto il grigio trantran quotidiano. Se non ci fossero le copie, le cose fatte dall’uomo non sarebbero mai abbastanza. Senza spreco e scarto troppe cose so- pravvivrebbero alla loro durata utile. Nella nostra terminologia ogni invenzione è una nuova posizione nella serie. L’accettazione di un’invenzione da parte di molte persone implica l’impossibilità per loro di continuare ad accettare la posi- zione precedente...sappiamo infatti che numerosissime serie attive e simultanee possono coesistere in qualsiasi momento. I prodotti di posizioni precedenti di- vengono allora vieti e antiquati”. (Kubler, 1972, pp. 77-79 trad. it. 1976).

Riguardo a quest’ultima considerazione, su quella che già aveva preso il nome di obsolescenza7 delle forme, Kubler dichiara di riallac-

ciarsi al concetto già espresso da Adolf Göller di affaticamento este- tico (Formermüdung), nell’ambito di quella tradizione di formalismo astratto sorta tra i primi psicologi della forma artistica dell’Ottocento. Göller, attento osservatore del frenetico cambiamento di stili che ca- ratterizzò l’eclettismo storicistico, reputò essere appunto l’affatica- mento estetico il principale responsabile del succedersi continuo degli stili, che doveva contrastare la noia provocata dall’abitudine alle espe- rienze estetiche ricorrenti. Ecco che – secondo Kubler – se da una parte la “dimestichezza genera il disprezzo”, la stanchezza generata può condurre alla ricerca di forme nuove, che attireranno la nostra atten- zione in proporzione alla complessità del loro significato: «L’artista è più di chiunque altro soggetto alla noia e la vince inventando nuove combinazioni formali e spingendosi sempre più arditamente avanti in direzioni già stabilite. Queste puntate in avanti obbediscono a una re- gola di differenziazione graduale, poiché esse devono restare variazioni riconoscibili sull’immagine mnemonica centrale» (ivi, pp. 99-100).

E ciò in accordo con l’innato desiderio umano di varietà che trova soddisfazione nel comportamento inventivo, e che riconosce «l’arte come serie concatenata di forme che gradualmente si differenziano l’una dall’altra fino all’esaurimento di tutte le potenzialità di una certa classe» (ivi, p. 100).