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3. IL SILENZIO FEMMINILE: CULTI, MITI E STORIE D

3.1 Sermone lepido

Nella tradizione latina, in particolare nel corso dell’età arcaica, la paideia femminile si articola, com’è noto, intorno all’apprendimento di attività quali il

lanificium e riproponendo quasi sistematicamente alcune virtutes, che identificano

il modello della donna esemplare romana, la cui origine si espleta dunque in quest’età.

Grazie a numerose fonti epigrafiche, è evidente che a testimoniare i profili di donne ideali sono proprio le virtutes che, incise sulla pietra, ne perpetuano il ricordo: lanifica, casta, pia, frugi, domiseda sono tra gli attributi più diffusi. Castità, pietà, frugalità, modestia, riservatezza risultano così tra le principali virtù che costituiscono il naturale completamento dell’icona femminile dedita alla lavorazione della lana. Tali attributi sono un dettato del mos maiorum che continua a costituire un modello a cui uniformarsi seppur sempre più disatteso.

Tra le virtù che rendono una donna romana ideale ce n’è una che solitamente non si trova espressa in un unico termine, come accade usualmente per le precedenti sopra citate. Essa infatti si esprime tramite una formula, sermone

lepido, che rende comunque appieno il suo significato, ed è presente proprio in

quello che, come si è già visto, si può considerare il “ritratto della donna in età romana”232

, il cosiddetto elogio di Claudia.

Si riprende quindi l’iscrizione di Claudia, da cui si è volutamente partiti, per tentare di capire se esiste e si può ricostruire una tradizione letteraria sulla caratteristica del silenzio, caratteristica propria della donna ritenuta la matrona per eccellenza.

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Nel capitolo precedente è stata proposta la ricostruzione, tramite fonti letterarie in particolare, della storia del lanificium, grazie alla messa in rilievo di eroine e di episodi storici e leggendari che rendono ammissibile la supposizione di un certo retaggio tradizionale, arcaico, dietro a tale attività domestica. Questo tipo di ricostruzione ha portato a comprendere la fondamentale importanza dell’attribuzione di lanifica ad una donna, come termine chiave del suo essere virtuosa. Il tutto partendo dalla formula lanam fecit e tenendo anche in considerazione la correlata formula - domum servavit - che, nell’elogio di Claudia, la precede, unendo così le due caratteristiche nell’ambito cui sono collegate, quello domestico, da sempre di prerogativa femminile.

A questo punto quindi, sulla scia del lavoro svolto per lanifica, si procederà nel tentare di tracciare una ricostruzione plausibile dei retaggi letterari che possono esserci alla base di sermone lepido. Il fine è capire al meglio i motivi per cui la caratteristica dell’essere silenziosa - poiché, lo vedremo, in quel “parlare lieve” altro non si vuole esprimere se non una parola molto contenuta quindi la propensione, la preferenza da parte degli uomini al tacere delle donne - rientra nei parametri dell’idealità femminile, tenendo sempre presente che l’elogio di Claudia, alla base delle analisi in questo lavoro, è in qualche modo il ritratto dell’exemplum femminile.

Tornando dunque al testo epigrafico dell’elogio di Claudia233, l’ultima

tappa della vita della donna, la morte, è evidentemente rappresentata dal sepolcro parlante in prima persona. Dopo i riferimenti ai genitori, al marito e ai figli di Claudia, una descrizione molto breve presenta la sua persona fisica, antecedentemente definita pulcrai feminae, di cui si mettono in evidenza due caratteristiche in particolare: sermone lepido e incessu commodo, amabile nel parlare, onesta nel portamento. Si percepisce fortemente una stretta correlazione tra questi due aspetti della donna. Non si aggiungono altri attributi per definire Claudia, se non, come si è analizzato, due azioni ‘simbolo’ dello status di una matrona perfetta: la custodia della casa e la lavorazione della lana. Dove sono finite le altre virtutes, le peculiarità che identificano in un elogio la donna- modello, quella cui le altre debbono ispirarsi? Tutto è avvolto nei quattro

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accostamenti, domum servavit et lanam fecit, sermone lepido et incessu commodo, che in realtà celano qualche altro aspetto della donna. Ad esempio, secondo A. Valentini:

la notazione relativa al portamento della donna si inserisce in tutta una serie di elementi che

facevano parte non solo del contegno della matrona ma anche del suo abbigliamento234… tunica,

stola e palla, oltre che costituire il vestiario adatto e conveniente per la donna appartenente alla nobilitas, dovevano formare anche una sorta di diaframma che proteggeva e tutelava un’altra delle virtù fondamentali della matrona romana: la pudicitia. (Valentini 2012, pp. 5-6)

L’attenzione va quindi a concentrarsi sulla “formula del silenzio”: di Claudia viene ricordato il piacevole conversare, con l’accostamento di due termini densi di significato. Per usare le parole della Cenerini c’è “un riferimento sottinteso, ma immediatamente percepibile, al fatto che il sermo femminile, per essere lepidus, debba essere molto contenuto”.235 Il parlar di Claudia dunque si contraddistingueva in quanto intriso del contegno che una donna perbene doveva mantenere, contegno espresso in realtà solo tra le righe nel suo elogio. Verrebbe quasi da pensare che tal riserbo era così grande in lei, da evitare di riportarlo esplicitamente in forma scritta, da essere quindi sottaciuto persino sulla sua lapide.

Perché era da elogiare un parlare lieve, quasi sussurrato in una donna? Era preferibile una donna più silenziosa ad una che si esprimesse liberamente e con toni più accentuati? La risposta è chiara, sin dall’antichità. Sì, il silenzio femminile era una virtù, ma anche un dovere.

Proviamo a vedere quali sono i modelli che probabilmente prendevano come riferimento i compositori, i dedicatari degli elogi femminili, anche solo soffermandoci su quello di Claudia. Quale retaggio mitico, storico, cultuale imperversava nella mente degli uomini, secondo cui il silenzio in una donna era una caratteristica che doveva rientrare nella sua personalità, e più in generale, nel ritratto ideale femminile?

234 Sull’abbigliamento della matrone, aspetto identificativo del suo status sociale, cfr. Cenerini

2005, pp. 97-105 e Olson 2008, pp. 96-112.

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