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BOOK OF ABSTRACT
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S04-T03/4 Il caregiver del paziente con fibrosi cistica. Una ricerca qualitativa nazionale attraverso gli assistenti
sociali dei Centri di Ricerca Regionali
caregiver, fibrosi cistica, ricerca, cura, bisogni
Molinari Debora
assistente sociale, neolaureata
Zoccatelli Giorgio, Pantalone Marta
La fibrosi cistica (FC) è la più frequente tra le malattie genetiche ed è considerata una malattia ad elevato interesse sociale. La FC, oltre ai bisogni sanitari, presenta ripercussioni a livello sociale creando difficoltà nella vita di tutti i giorni nelle dimensioni dell’integrazione e dell’inserimento sociale. Se la letteratura presenta molti studi su genetica e clinica della malattia, quasi assenti sono invece le ricerche che indagano le ricadute della stessa su chi assiste la persona malata.
Obiettivo del lavoro è far emergere come la malattia impatti sulle vite dei caregiver informali (genitori, nonni, coniugi e altri familiari) attraverso gli occhi di un professionista che quotidianamente viene a contatto con le persone malate e le loro famiglie. Sono state effettuate interviste semi-strutturate a 12 (su 17) assistenti sociali che lavorano nei Centri Fibrosi Cistica nazionali più all’assistente sociale della Lega Italiana FC. Le aree indagate sono state l’impatto del carico di cura in differenti ambiti di vita (salute, relazioni, lavoro), la dimensione emotiva e il ruolo del Servizio Sociale nel supporto al caregiver.
Dalla ricerca emerge che tale ruolo è assunto, nella maggior parte dei casi, dalla figura materna: è lei che si fa carico delle responsabilità di cura e di supporto emotivo, a costo di sacrificare bisogni personali e di autorealizzazione. La malattia sposta gli equilibri in vari ambiti nella persona che se ne fa carico: le attività di cura impattano negativamente sui bisogni di salute del caregiver (bisogni che tende a trascurare), sulle relazioni familiari (con conseguenze nei rapporti con il coniuge e gli altri figli), amicali (fino all’annullamento di attività di socializzazione) e sull’attività lavorativa (con difficoltà di conciliazione tra tempi di cura e di lavoro). Inoltre, in relazione alla dimensione emotiva, chi è impegnato nel compito di cura attraversa momenti di difficoltà psicologica da non sottovalutare e prova sentimenti ed emozioni contrastanti (in primis inadeguatezza e sensi di colpa). Per la pratica di Servizio Sociale, riconoscere e accogliere tali sentimenti supportando le risorse personali e familiari permette di sviluppare resilienza, quella capacità di far fronte agli eventi critici della vita senza rimanerne schiacciati. Tale capacità non è innata ma si sviluppa nel tempo, anche grazie al supporto della rete e all’aiuto dei professionisti dei Centri FC in cui gli assistenti sociali giocano un ruolo centrale.
S04-T03/3
Il ruolo dell’assistente sociale nella salute mentale: il caso bolognese
salute mentale, identità professionale, rems, reinserimento sociale, integrazione
Mantovani Francesca
Ricercatore confermato, Università di Bologna
Il ruolo dell’assistente sociale nella salute mentale: il caso bolognese
A quaranta anni dalla Legge 180 del 1978 (Legge Basaglia) il rischio di isolamento e di stigmatizzazione del paziente psichiatrico è ancora alto. Pertanto il disagio psichico richiede sempre più interventi multidimensionali che tengano conto di fattori psicologici, sociali, ambientali.
L’obiettivo di questo contributo è mettere in evidenza alcune potenzialità e alcune criticità legate al ruolo degli assistenti sociali all’interno dei CSM e delle REMS (Legge 81 del 2014). Lavorare con la patologia psichiatrica obbliga gli assistenti sociali e le altre figure professionali coinvolte nella presa in carico integrata (sociale e sanitaria) a riflettere sul proprio ruolo e sul proprio mandato individuando il più possibile percorsi di intervento strutturati.
Il ruolo dell’assistente sociale nell’équipe multiprofessionale si declina nella lettura del bisogno e nella progettazione di un processo di cura, di riabilitazione e di reinserimento sociale, tenendo insieme la storia del paziente. L’obiettivo principale è il riuscire a mantenere la persona in una situazione di equilibrio ricordandoci che il CSM ha in carico pazienti con patologie gravi e con un basso funzionamento, mentre gli operatori di altri servizi possono avere in carico utenti con diagnosi sempre gravi ma che hanno un buon funzionamento.
Nella prima parte del contributo analizzerò questa tematica dal punto di vista degli operatori, sottolineando che la prima grande difficoltà per gli assistenti sociali è quella di dover sottolineare la loro presenza all’interno del CSM e della REMS, il dover ridefinire il loro ruolo e identità professionale. Altro aspetto fondamentale è la differenza tra gli operatori che lavorano a Bologna (dove le risorse a disposizione sul territorio sono maggiori) e chi lavora nei CSM della Provincia (dove il fare rete risulta più semplice).
Nella seconda parte, insieme agli operatori dei CSM e della REMS abbiamo analizzato i dati dei pazienti in carico al CSM di Bologna città e della Provincia, suddividendoli per genere, età e diagnosi e riflettuto sulle possibili risorse attivabili.
Riferimenti bibliografici
Basaglia Franco, L’istituzione negata, B.C. Dalai, Milano, 2010; Goffman Erving, Asylums, Einaudi, Torino, 1968;
Scarlatti Stefania, L’utente e il manato sociale professionale all’interno di un’organizzazione sanitaria, Welfare, 5/2017;
Profilo di Salute, Ausl di Bologna, 2017;
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S04-T06/1 La narrazione delle emozioni nei professionisti dell’aiuto e negli utenti della salute mentale
servizio sociale e salute mentale, arteterapia, lavoro emozionale, narrazione della malattia, supervisione professionale
Burini Cristina
dottore magistrale sociologia e politiche sociali, Nessuno
Nel mio lavoro di tesi, attraverso una breve ricerca sul campo, ho analizzato la capacità di espressione delle emozioni che gli utenti della salute mentale acquisiscono grazie ai laboratori di scrittura, pittura e teatro, e anche il modo attraverso il quale i professionisti, in particolare gli assistenti sociali, riescono a riflettere emozioni che entrano in gioco quando si vive a contatto con la sofferenza altrui. L’obiettivo era capire se, nell’area dei servizi socio-sanitari indagati, vi fossero professionisti consapevoli di operare un mascheramento emotivo, ma se, al tempo stesso, fossero soggetti “senzienti”, dotati di quella capacità di riflessione su se stessi che Martha Nussbaum definisce “intelligenza emotiva” (2004).
Il metodo scelto è quello dell’osservazione partecipante per i laboratori in due strutture umbre che si occupano di disagio psichico di giovani adulti, e del colloquio semi-strutturato, per quanto riguarda l’indagine sul rapporto con le emozioni dei professionisti.
La riflessione sulle emozioni nelle persone con patologia psichiatrica risulta fondamentale per riuscire a ricomporre i pezzi dell’identità personale che, a causa della sofferenza, può risultare compromessa. Per farlo, l’ascolto attivo e partecipe delle storie di malattia (illness narrative) da parte dei professionisti è centrale.
Le assistenti sociali intervistate sono consapevoli di essere l’anello di congiunzione di questo dialogo, esse hanno una conoscenza globale delle situazioni in carico e fanno da mediatori tra l’utente e le istituzioni in ottica integrata. Ciononostante, la scarsa valorizzazione del ruolo sociale e l’elevata burocratizzazione del lavoro sono all’origine di emozioni quali rabbia, tristezza, frustrazione di professioniste consapevoli di dover operare un duro lavoro emotivo su se stesse, ma che vorrebbero essere meno sole nei momenti di rielaborazione rimarcando l’imprescindibilità della supervisione che, invece, risulta essere assente in tutti i servizi indagati.
Questa ricerca fa emergere la scarsa attenzione, sin dagli anni della formazione universitaria, degli assistenti sociali alle emozioni vissute nell’ambiente lavorativo. Il parallelismo con il ruolo che svolgono i laboratori nella riabilitazione non è casuale: in Umbria si lavora in modo eccellente sulle emozioni degli utenti psichiatrici e si ottengono risultati soddisfacenti, ma si perde di vista il professionista non predisponendo nella maggior parte dei casi momenti di riflessione.
S04-T03/5
Le misure di limitazione giuridica della capacità. Opportunità o vincolo nel Progetto Terapeutico Individuale? Diverse prospettive a confronto
Misure di protezione giuridica, Malattia mentale, Autodeterminazione, Progetto Terapeutico Individuale, Servizio Sociale professionale
Rosina Barbara
Assistente Sociale, ASL TO3
Morra Chiara, Paganin Patrizia, Stanga Ferruccio, Callegaro Donatella
La legge n. 6/2004 “Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli art. 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonchè relative norme di attuazione, di coordinamento e finali”, introduce nel nostro ordinamento non solo la nuova disciplina dell’amministrazione di sostegno, ma apporta delle modifiche agli istituti già esistenti, soprattutto in riferimento agli atti compiuti dal soggetto interdetto e da quello inabilitato; ad oggi, infatti, le misure di protezione in Italia sono tre ed hanno effetti diversi sulla capacità di agire del beneficiario.
Il lavoro di ricerca quali-quantitativo, effettuato in otto Centri di Salute Mentale appartenenti alla medesima azienda sanitaria, analizza la percezione dei pazienti affetti da patologia psichiatrica riguardo la misura di protezione di cui sono beneficiari: tutele, curatele, amministrazioni di sostegno. Mira a comprendere se vi siano o meno scostamenti e contraddizioni con la ratio della legge e con il significato dato a tale misura dagli operatori del Sistema dei Servizi. Viene inoltre indagato il ruolo dei diversi professionisti (assistenti sociali, psichiatri, educatori, infermieri, psicologi) nell’affiancamento dei pazienti nelle diverse fasi: comprensione del senso della misura, presentazione della domanda, udienza, successivi interventi. L’accento è posto sul livello di soddisfazione dei beneficiari e sulla percezione di cambiamento della qualità della vita. Gli elementi indagati vengono posti in correlazione con l’inquadramento diagnostico e il contesto sociale. Per la raccolta dati è stato utilizzato lo strumento del questionario strutturato, con domande a risposta multipla, caricato su piattaforma online, somministrato dalle volontarie di Servizio Civile e da alcuni operatori. I risultati sono in forma anonima. L’analisi dei dati ha permesso di riflettere sulle prassi adottate dai diversi Centri di Salute Mentale, sulle ipotesi e direzioni di azione futura, rendendo evidente che il coinvolgimento dei pazienti fin dalle prime fasi, il riconoscimento delle loro competenze, la ricerca dei loro spazi di autonomia e capacità, la presenza dell’assistente sociale con un ruolo di regia del percorso, la presenza di un’équipe multiprofessionale, permette di rendere lo strumento giuridico una risorsa nel progetto terapeutico individuale.
TITOLO AUTORI PAROLE CHIAVE ABSTRACT ID ABSTRACT TITOLO AUTORI PAROLE CHIAVE ABSTRACT ID ABSTRACT