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BOOK OF ABSTRACT

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S03-T08/3 La violenza contro gli assistenti sociali in Italia: prevalenza e caratteristiche del fenomeno

Violenza, Assistenti Sociali, Fattori protettivi, Fattori di rischio, Organizzazioni

Rosina Barbara

Gruppo tecnico di coordinamento ricerca nazionale, Ordine Assistenti Sociali Piemonte

Sicora Alessandro, Nothdurfter Urban, Sanfelici Mara

La violenza contro gli A.S. è stata indagata attraverso un sondaggio online che ha raggiunto un campione di 20.112 professionisti. Nella 1^ sezione del questionario, è stato chiesto di segnalare esperienze di diverse forme di violenza, che si sono verificate nella carriera professionale e negli ultimi 3 mesi. Il questionario includeva informazioni di base e fattori organizzativi che sono stati identificati come potenziali antecedenti di violenza. I risultati rivelano che l’88,2% degli A.S. ha subito forme di violenza verbale durante la carriera professionale; il 35,8% dichiara di aver temuto per la propria sicurezza e quella della propria famiglia. I tassi più bassi di violenza sono l’aggressione fisica (15,4%) e il danno alla proprietà (11,2%). Anche l’esposizione alla violenza degli utenti è diffusa: il 61% dichiara di aver assistito a violenze verbali contro i propri colleghi e uno su cinque ad aggressioni fisiche.

Nella 2^ sezione del questionario, sono state poste domande aperte sulla percezione degli A.S. dei potenziali fattori di rischio e di protezione, per esplorare il fenomeno e offrire conoscenze per orientare le strategie di prevenzione. Un A.S. italiano su tre considera le abilità relazionali e comunicative appropriate il fattore protettivo più importante. Fornire informazioni chiare agli utenti del servizio, anche al fine di evitare false aspettative, è considerato una priorità da 1 su 10 intervistati. Secondo un A.S. su cinque, l’insufficiente adeguatezza delle organizzazioni, delle risorse e delle politiche sociali può spiegare il fenomeno crescente. Il 15,3% evidenzia le misure di sicurezza e la posizione sul luogo di lavoro come i fattori protettivi più importanti; nell’esperienza personale, essere nel “giusto” posto è considerato la chiave per evitare l’aggressione. La protezione dell’infanzia è il campo più pericoloso, così come il lavoro in aree urbane. La presenza dei colleghi è essenziale in quanto possono agire da deterrenti e aiutare in caso di emergenza. Anche la fortuna e il mantenimento della calma sono considerati importanti. Gli A.S. sottolineano la centralità della relazione nella prevenzione e nella gestione delle aggressioni. Sullo sfondo di questo fenomeno, vi è la necessità di organizzazioni, risorse e politiche sociali adeguate, di condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro. I risultati dello studio mirano a coinvolgere gli A.S. i responsabili delle politiche e gli utenti dei servizi in un dibattito più ampio.

S03-T08/2

Conta Carichi - strumento per la rilevazione dei carichi di lavoro

Carichi di lavoro, benessere, organizzazione, Equità, raccolta dati

Predaroli Matteo

assistente sociale, Comune di Genova

La complessità del lavoro dell’assistente sociale è di per sé difficilmente misurabile in termini quantitativi: è una professione che ha le sue fondamenta nelle relazioni tra le persone e incontra una molteplicità di variabili che mal si prestano ad essere trasformate in numeri. Allo stesso tempo, la misurazione dei carichi di lavoro è necessaria per orientare scelte politiche e tecniche riguardanti la distribuzione del personale e l’equa suddivisione dei casi all’interno di uno stesso ufficio.

Lo strumento che intendo presentare non ha la presunzione di trasformare in un numero questa complessità; vuole invece offrire l’opportunità, attraverso l’analisi di alcuni elementi oggettivamente misurabili, di avere uno sguardo d’insieme sul lavoro dell’assistente sociale, che permetta di impostare strategie che mirino all’equa distribuzione dei carichi e quindi al benessere lavorativo.

In molti contesti lavorativi, tra cui quello in cui opero, le assegnazioni dei casi avvengono in base al numero di casi già in carico a ogni Assistente Sociale. Questo numero, però, non è significativo rispetto al reale carico di lavoro. Questo perché i casi non hanno tutti lo stesso peso in termini di lavoro e lo stesso non è costante nel tempo. Tra gli operatori emergeva la necessità di sanare questi squilibri, ma le misure correttive avvenivano sulla base di percezioni della gravità delle situazioni. Da questo scenario, comune a molti ambienti di servizio sociale in Italia, è nato il desiderio di elaborare uno strumento di lettura dei carichi di lavoro e nel 2013 è iniziata la sperimentazione di questo strumento che ha visto il coinvolgimento di tutto l’ufficio e che ha portato a risultati apprezzabili in termini di prevenzione del burn out, equità e anche rispetto alla raccolta dati.

Si tratta uno strumento informatico, realizzato attraverso fogli di lavoro Excel, che permette di analizzare il lavoro sui casi di ogni operatore attraverso degli indicatori quantitativi della mole di lavoro e di estrarre dati significativi rispetto al reale carico di lavoro di ogni assistente sociale. La versione attuale è costruita attorno alla figura dell’Assistente Sociale che opera nella nostra area di lavoro, in quanto abbiamo impostato i diversi parametri basandoci sulla nostra esperienza e sul confronto nell’area, ma è comunque possibile adattarlo ad altre aree di lavoro attraverso l’individuazione degli indicatori specifici di ogni contesto.

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S03-T10/1 La tutela della salute mentale nel contesto detentivo. Analisi valutativa del progetto “Ponte 111”.

detenzione, salute mentale, progetto, reinserimento sociale, integrazione

Norcia Chiara

assistente sociale, ospedale san giovanni battista (ACISMOM)

La ricerca che si intende presentare ha quale area di indagine la tutela della salute mentale nel contesto detentivo. È stata condotta nel 2017 ed ha avuto come principale obiettivo quello di analizzare il PROGETTO “PONTE 111” - operante all’interno della Sezione “Minorati Psichici” della Casa di Reclusione di Rebibbia – verificando se lo stesso potesse costituire un modello per garantire processi di cura, riabilitazione e reinserimento adeguati alle esigenze dei detenuti con problemi psichiatrici.

In una fase preliminare, è stata svolta una ricerca esplorativa che permettesse di estrapolare una fotografia delle sezioni dedite all’osservazione e al trattamento delle persone detenute con patologie psichiatriche in Italia; a tal fine è stata condotta una ricerca d’archivio mediante l’Osservatorio sulla Detenzione dell’associazione Antigone. Si è poi proceduto con la costruzione del profilo dell’utenza del progetto, utilizzando una metodologia quantitativa. Mediante una ricerca d’archivio, si è svolta l’analisi dei dati pre-esistenti relativi ad elementi anagrafici, sanitari, giudiziari, sociali nonché ai follow up effettuati dagli operatori ed al livello di partecipazione degli utenti alle attività della sezione. Infine per la valutazione del progetto, utilizzando una metodologia qualitativa che constasse dei punti di vista dei diversi stakeholder, sono state somministrate delle interviste semi-strutturate e delle matrici valutative.

Ne è emerso che i principali punti di forza del progetto sono: recupero della relazione con l’utente quale strumento principe della presa in carico, introduzione del lavoro di rete e del lavoro del tecnico della riabilitazione psichiatrica, capacità di autorganizzazione dell’équipe. Le criticità principali sono invece: difficoltà di integrazione tra area sanitaria e della giustizia, assenza di un assistente sociale nell’équipe, precarietà contrattuale degli operatori, assenza di finanziamento e di supervisione, compressione del diritto alla privacy dovuto ad esigenze di natura giudiziaria.

Complessivamente, si ha motivo di ritenere che ci siano i presupposti per trasferibilità e riproducibilità del modello proposto in termini di know how, metodologie, buone prassi e soluzioni organizzative adottate rispetto alla progettazione di un servizio innovativo e ad alta complessità; che, nonostante tutto, riesce a veicolare il valore dell’integrazione dando luogo a processi inclusivi, partecipazione ed autodeterminazione.

S03-T08/4

Dalla misurazione del lavoro dell’assistente sociale ai “casi dormienti”: gli esiti di una rilevazione sul campo nei servizi territoriali genovesi

casi dormienti, rilevazione, carichi di lavoro, sequenze e azioni professionali, quesiti professionali e organizzativi

Rossi Elisabetta

coordinatrice ambito territoriale sociale 43 genova, comune di genova

Parati Rita, Cappello Fabio

Questo paper intende presentare gli esiti di una rilevazione effettuata sui carichi di lavoro degli assistenti sociali all’interno dei servizi sociali del Comune di Genova. Si ritiene che si tratti di un tema centrale a livello sia organizzativo sia di pratica professionale ma non ancora adeguatamente approfondito nella ricerca né gestito efficacemente sul campo.

Il lavoro di ricerca si è sviluppato negli ambiti territoriali genovesi, ha coinvolto gli operatori (145) ed è stato coordinato dai responsabili degli ambiti (9). In particolare si è cercato di comparare il tempo-lavoro effettivo disponibile per ogni operatore con le azioni professionali che andrebbero effettuate su ogni caso complesso in carico, quelli di autorità giudiziaria per quanto riguarda i minori ed i soggetti fragili e soli per gli anziani e disabili. Si sono quindi delineate, per area, le azioni professionali necessarie alla gestione di queste situazioni complesse e sono stati quantificati tempi indicativi di attuazione per ognuna di queste azioni professionali (Ferraio, 1997). L’esito finale della ricerca ha messo in evidenza come il tempo-lavoro effettivo a disposizione degli operatori sia estremamente inferiore a quello necessario alla gestione dei casi più complessi. Conseguenza di ciò è che gli operatori, per la pressione delle richieste di nuove prese in carico rapide e tempestive, si trovano di fronte al dilemma fra ritardarle oppure effettuarle, lasciando però di fatto inattive molte situazioni già seguite (Ferrario, 1997). Questa seconda opzione, che appare come quella più spesso percorsa, porta alla presenza di moltissimi casi formalmente in carico ma dormienti: gli sleeping cases spesso citati in letteratura (Lipski 1980; Rogowski 2010), elemento centrale su cui si possono fondare strategie di co-responsabilizzazione nei confronti dell’amministrazione coinvolta.

Tali conclusioni pongono quesiti molto rilevanti sul piano organizzativo, metodologico e deontologico. Gli assistenti sociali emergono come operatori fortemente condizionati dalle pressioni organizzative, in difficoltà nell’affermare i metodi e le prassi che dovrebbero caratterizzare il loro agire professionale (Codice Deontologico, 2009) e soli nella gestione delle complessità (Olivetti Manoukian, 2015). Anche a livello di ricerca appare necessario affinare strumenti di analisi che portino ad approfondire più in dettaglio questi articolati aspetti che appaiono essere centrali all’interno del welfare dei servizi.

TITOLO AUTORI PAROLE CHIAVE ABSTRACT ID ABSTRACT TITOLO AUTORI PAROLE CHIAVE ABSTRACT ID ABSTRACT

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