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SIMULAZIONE TERMICA DELLA SALDATURA LASER

E’ stato considerato un altro aspetto importante e cioè quello di prevedere gli elementi di contatto disposti sulle superfici affacciate dei due lembi da saldare: questo perché durante il passaggio della sorgente mentre una qualsiasi zona può essere interessata da metallo fuso, l’andamento dei ritiri può essere tale da far sbattere i due lembi in una zona che ancora deve essere saldata: in fig. 3.25 con un restringimento grafico dei bordi degli elementi si vedono quelli centrali interessati dal passaggio della sorgente di calore e adiacenti ad essi sono collocati degli elementi superficiali di contatto (CONTA169 e TARGE173) che devono impedire la compenetrazione nelle zone ancora da saldare.

Se i due lembi da saldare hanno un gap trasversale nullo, le due superfici che devono essere rivestite con tali elementi devono essere geometricamente coincidenti: invece si vede che questi elementi hanno un distacco pari alla dimensione trasversale degli elementi del cordone: ciò può essere fatto poiché si impone nella dichiarazione degli elementi contact un offset della superficie pari alla dimensione trasversale degli elementi fusi che saranno resi “death” nell’analisi strutturale (cioè i nodi della superficie target stanno sullo stesso piano geometrico dei nodi spostati della superficie contact). Quindi con una opportuna scelta dell’offset della superficie contact si può simulare la saldatura nel caso in cui i due lembi da saldare presentino un gap non nullo.

Si è scelto di procedere in questo modo per comodità nella manipolazione del modello: infatti avendo scelto di simulare il cordone con una sola fila di elementi non si sarebbero potuti piazzare questi elementi di contatto in mezzo a quest’unica fila di elementi del cordone.

Inoltre è necessario fare un’altra precisazione: questa unica fila di elementi centrali serve a considerare il metallo fuso in totale cioè quello fuso della piastra base e l’eventuale metallo d’apporto; per l’analisi strutturale non importa questa distinzione perché dopo la fusione viene annullata la deformazione precedente e ciò non influisce sulla deformazione finale e sulle tensioni residue; anche per l’analisi termica il materiale d’apporto e quello base devono essere tenuti in conto fin dall’inizio, poiché entrambi partecipano all’assorbimento di calore: questo è proprio quello che abbiamo effettivamente fatto noi considerandoli però in maniera indistinta.

(fig. 3.25: disposizione degli elementi di contatto)

In breve riassumiamo come si procede nell’analisi in maniera operativa (fig. 3.26) che risulta congruente con quello riportato nel diagramma a blocchi menzionato all’inizio del capitolo: prima si esegue l’analisi termica dove, come abbiamo già detto, gli elementi termici del cordone sono tutti “live” poiché tutto il materiale partecipa completamente all’assorbimento del calore (condizione riconducibile alla situazione di fig. 3.25); poi nell’analisi strutturale durante il generico load step avremo che gli elementi (cambiati da termici a strutturali) del cordone che ancora devono essere investiti dalla sorgente di calore sono resi “death” e gli elementi di contatto adiacenti a questi ultimi sono resi “live” proprio al fine di impedire la compenetrazione.

Per ogni elemento che appartiene al cordone e che è stato già investito dalla sorgente alla fine di ogni load step si verifica se la temperatura di tutti i suoi nodi è inferiore alla temperatura del

liquidus: se ciò avviene l’elemento viene riattivato altrimenti rimane disattivo a simulare ancora il metallo fuso e quindi senza rigidezza. Gli elementi di contatto adiacenti a questi ultimi elementi del cordone sono resi “death” poiché ormai il metallo è diventato un unico volume (indipendentemente dallo stato liquido o solido in cui si trova il materiale) e quindi non ha più senso pensare alla compenetrazione.

(fig. 3.26: stato istantaneo degli elementi relativi al cordone)

Il fatto di scegliere come temperatura di riattivazione quella del liquidus piuttosto che quella del solidus è del tutto arbitrario: in ogni caso durante la permanenza nella zona bifasica il materiale ha poca capacità di prendere carico e quindi l’eventuale storia di deformazione che si potrebbe trascurare è di entità minima: il fatto di attribuire al materiale nella zona bifasica o le proprietà meccaniche del liquido (se disponibili) o quelle degradate (prossime alla temperatura di fusione) del solido non comporta grosse variazioni di risultato.

In effetti quando durante l’analisi strutturale si simula la parte di cordone ancora non investita dalla sorgente con elementi “death” si sta implicitamente trascurando il loro contributo alla dilatazione termica totale, cosa che non è lecita in quanto è effettivamente presente il metallo in quel volume e nonostante che siano state calcolate nell’analisi termica le temperature dei rispettivi nodi (utilizzate per calcolare le deformazioni relative agli elementi adiacenti al cordone): tuttavia, a conti fatti, con i valori dei coefficienti di dilatazione utilizzati il contributo mancante del metallo disattivato all’allungamento totale sarebbe in realtà dell’ordine del micron e quindi del tutto

Una ulteriore puntualizzazione riguarda l’utilizzo della tecnica delle ampie deformazioni. Abbiamo già detto che gli elementi “death” in realtà non è che non sono presenti nel modello fem, essi sono disattivati abbattendo la loro rigidezza (calore specifico, conducibilità termica o qualunque altra analoga quantità) di un fattore scelto dall’utente (dell’ordine di 10-6-10-9). In prossimità del bagno di fusione si possono verificare ampie deformazioni: ciò porterebbe a pensare di attivare le ampie deformazioni (comando NLGEOM) in modo tale da simulare questo effetto. In questo caso tuttavia non si è seguita questa strada poiché quando il metallo esperimenta le elevate deformazioni, queste con l’aumentare della temperatura non danno elevate tensioni per la progressiva diminuzione della rigidezza (metallo strutturalmente inattivo) e quando si arriva a fusione le deformazioni si annullano. A queste deformazioni nulle corrispondono però un campo di spostamenti non nullo: Inoltre, e ancora più importante, se fossero attive le ampie deformazioni l’elemento verrebbe riattivato nella configurazione deformata che si otterrebbe seguendo gli spostamenti degli elementi attivi: ciò introdurrebbe una variazione di volume e, considerando che l’elemento è stato disattivato a temperatura ambiente e riattivato alla temperatura di solidificazione, anche una variazione di densità che comporterebbero una duplice causa di variazione di massa. Tutto questo non si verifica nella realtà e quindi si è scelto di compiere l’esecuzione del calcolo sulla base della configurazione indeformata. Cioè ancora il riscaldamento e la dilatazione sono due fenomeni che sono fisicamente contemporanei ma che vengono riprodotti l’uno successivamente all’altro nella logica numerica: di qui la necessità di trascurare la tecnica delle ampie deformazioni.