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Sistema consonantico del tillamook

Nel documento Lingue senza consonanti bilabiali (pagine 192-195)

6.3.2.4 Conclusioni

Nella lingua tillamook riscontriamo un’assenza completa di consonanti bilabiali. Tale fenomeno, vista la notevole presenza di queste consonanti nelle altre lingue imparentate e nell’antecedente comune e considerata la chiarezza con cui i processi fonologici sono stati descritti dagli autori, può considerarsi secondario. È importante sottolineare come, tenendo conto dei risultati della presente ricerca, si tratti di un caso praticamente unico. Occorre tuttavia far presente l’esistenza di un’ipotesi completamente opposta, che ribalterebbe la situazione. Nello straits sono, infatti, presenti fonemi diversi, laddove nelle altre lingue salish sono presenti /p/, /p’/, e /m/, ossia rispettivamente /t͡ʃ/, /t͡ʃ’/ e /ŋw/. Mentre Suttles (1965), per giustificare questa situazione, suggerisce che essi costituiscano il

riflesso diretto dei fonemi bilabiali della proto-lingua, Thompson (1965), riferendosi limitatamente ai due suoni occlusivi, li considera come il riflesso di una serie di labiovelari. In entrambi i casi la presenza di bilabiali nello straits dev’essere spiegata tramite l’introduzione di prestiti, cosa che, sebbene in parte vera, non è in grado di giustificarne la presenza in alcune parole né tantomeno in taluni morfemi grammaticali. Ipotizzando, quindi, una giustificazione plausibile, come lo svolgersi di tali processi fonologici soltanto in determinati contesti, si potrebbe realmente pensare ad un’assenza di bilabiali completa e primaria anche nel salish (cfr. Thompson 1979, pp. 715-6 e 725). Questa ipotesi viene successivamente presa in considerazione da Kuiper, che sembra, però, propendere per una presenza dei suoni in questione a livello di antecedente comune, fornendo diverse motivazioni (cfr. Kuiper 1981, pp. 332-3). In primo luogo l’autore sostiene che le parole con le palatali nello straits, con un preciso corrispondente contenente labiovelari nella proto-lingua, sono piuttosto poche. In secondo luogo, la presenza della labiovelari è riscontrabile anche nello straits stesso, in parole chiaramente imparentate con altre lingue salish. In questi casi, oltretutto, può essere escluso il prestito, perché, se così fosse, nelle altre lingue ci sarebbero le bilabiali al loro posto. In terzo luogo, egli segnala l’esistenza di onomatopee contenenti /p/ in tutta la famiglia, considerandolo quindi un fattore a sostegno di una sua presenza nell’antecedente. Tale punto appare discutibile, visto che proprio le onomatopee sono spesso responsabili dell’introduzione di tale

fonema in lingue che ne risultano prive (cfr. § 11.2.4.2 e § 9.3.6). In quarto luogo, la presenza nell’inventario fonemico di /ŋw/, in assenza del corrispondente fonema non labializzato, appare

tipologicamente insolita, per quanto successivamente Thompson abbia postulato anche l’esistenza di / ŋ/. Tale fonema sostituirebbe in alcuni casi /j/, suono ricostruito, che non sempre ha dei riflessi congruenti nelle lingue discendenti (cfr. Thompson 1979, p. 716). In ultimo, la trasformazione di labiali in palatali viene considerato come un fenomeno areale, essendo presente nelle parlate di alcune tribù della zona. Anche per quanto riguarda il tillamook, dunque, che appare ad una prima osservazione come un chiaro caso di assenza secondaria di consonanti bilabiali, ci troviamo di fronte ad un’incertezza. Sicuramente la presenza di una sola lingua con questa caratteristica può far propendere per un fenomeno acquisito nel tempo ma, osservando quanto accaduto nell’otomangueo, dove non esiste una sola lingua odierna senza bilabiali, oppure l’eyak-athabaska-tlingit, in cui solo il tlingit e al limite l’eyak possono essere considerate caratterizzate dall’assenza dei suoni in questione, l’ipotesi inversa merita comunque attenzione. A ciò si aggiunge indubbiamente anche la rarità della perdita completa di bilabiali, che costituirebbe un caso praticamente unico, se si esclude quello dell’ofayé, di cui parleremo nel paragrafo successivo, dove la situazione mostra ancora più lati oscuri. 6.4 Ofayé

6.4.1Introduzione

Questa lingua, detta anche opayé o ofayé -xavánte /səˈva:ntei, ʃəˈva:ntei/ (cfr. Rodrigues 1999, p. 168), rappresenta con il taushiro (cfr. § 6.1) uno dei due casi di assenza di consonanti bilabiali al di fuori del Nord America. Si tratta, infatti, di una lingua in via d’estinzione parlata in Brasile nel Mato Grosso del Sud, appartenente alla famiglia macro-jê (cfr. Rodrigues 1999, p. 168), sebbene questa classificazione sia ancora dibattuta (cfr. Ethnologue). Gli ultimi dati riguardo al suo uso risalgono al 2005, in cui la lingua contava appena due parlanti, e riportavano anche iniziative volte ad una sua rivitalizzazione (cfr. ibidem). Essa costituisce da sola l’intero ceppo omonimo, anche se ne esistevano le due varianti dialettali di Ivinheima e Vacaria (cfr. Rodrigues 1999, p. 168).

6.4.2Macro-jê

Il macro-jê è una grande famiglia composta prevalentemente da lingue in via d’estinzione parlata quasi interamente in Brasile, fatta eccezione per una lingua in territorio boliviano oggi estinta, l’otúke. Le lingue macro-jê erano distribuite soprattutto nelle zone orientali e nordorientali del paese ma in parte anche in quelle centrale e sudoccidentale, formando una sorta di semicerchio attorno alla regione amazzonica, sebbene talune fossero parlate anche al suo interno. La famiglia è composta da dodici ceppi: jê /ʒeː/, kamakā /kaˈmakə/, maxacalí /maʃaˈkali/, krenák /kreˈnak/, purí /ˈpu:ri/, karirí

/kariˈri/, yaté /ˈja:the/, karajá /karaˈʒa/, ofayé /ɔfaˈjɛ/, boróro /bɔˈrwɔrɔ/, guató /gwaˈtɔ/ e rikbaktsá /

rikˈbaksa/. Di essi il primo è quello che dà origine al maggior numero di lingue ed è suddiviso a sua volta in quattro rami: nordorientale, settentrionale, centrale e meridionale. Gli altri ceppi, non dotati di ulteriori diramazioni, originano generalmente poche lingue, la cui maggioranza risulta oggigiorno estinta. Nel caso di purí, yatê, karajá, ofayé, guató e rikbaktsá, vi è corrispondenza fra lingua e ceppo, sebbene possano esistere alcune varianti dialettali, come nel caso del karajá. L’otúke appartiene alle lingue boróro. In realtà tale classificazione è il frutto di anni di ricerca e non è ancora oggi certa. Il primo a considerare l’ipotesi di una macro-famiglia che comprendesse jê e molte piccole famiglie o lingue isolate della zona fu Schmidt (1926), a cui seguirono le proposte di molti linguisti fra cui Loukotka (1942), Mason (1950), Davis (1966), Greenberg (1987) e Kaufman (1990, 1994). Il problema principale è naturalmente rappresentato dalla scarsità di materiale. Allo stato attuale risultano estinte tutte le lingue dei ceppi kamakā, purí, karirí, e la maggior parte di quelle maxacalí. Le restanti sono comunque in via d’estinzione. Le lingue jê, soprattutto quelle appartenenti al ramo settentrionale, sono quelle più conservate, probabilmente a causa della loro posizione più interna, mentre il ramo nordorientale, costituito comunque da una sola lingua, è estinto (cfr. Rodrigues 1999, pp. 165-71). Ad oggi il macro-jê rimane una macro-famiglia, si tratta ancora di una proposta non del tutto accettata dalla comunità scientifica. Ethnologue ad esempio, fa riferimento ai vari ceppi, presenti sul sito, trattandole come famiglie primarie. La stessa cosa viene fatta da Ashley & Moseley (2007) nel loro atlante, da cui sono tratte le cartine delle figure 6.1, 6.2, 6.3 e 6.4, raffiguranti la distribuzione geografica delle lingue in questione prima e dopo la colonizzazione europea.

6.4.3 Fonologia

I sistemi vocalici della famiglia macro-jê presentano un notevole sviluppo. Se si escludono lingue come boróro e yaté, che non hanno vocali nasali (cfr. Rodrigues 1999, pp. 173-4), gli inventari più ridotti ne presentano comunque nove orali e cinque nasali, come nel caso del dialetto paraná /paraˈna/ del kaingáng (cfr. ibidem, p. 172). La nasalità è infatti generalmente distintiva nelle vocali e caratteristico di questa famiglia è proprio il fatto che sia la vocale a determinare la nasalizzazione di una consonante adiacente e non viceversa, come più comunemente accade (cfr. ibidem, pp. 171-2 e § 8.2.2.2). Il sistema consonantico è in linea di massima piuttosto semplice, essendo caratterizzato dalle tre classiche occlusive nei tre principali punti d’articolazione velare, alveolare e bilabiale e dall’affricata palatale, con la corrispondente nasale (cfr. Rodrigues 1999, pp. 174-9). Riporto nei paragrafi seguenti gli inventari fonemici di una lingua per ciascuno dei principali ceppi.

Figura 6.2. La distribuzione delle lingue macro-jê nella zona centrale del continente sudamericano prima della conquista (Ashley & Moseley 2007, mappa 18).

6.4.3.1 Apinayé /apiˈna.i/ (jê)

L’inventario vocalico è tratto da Rodrigues (cfr. Rodrigues 1999, p. 173), mentre quello consonantico da SAPhon.

Nel documento Lingue senza consonanti bilabiali (pagine 192-195)

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