2.3 L’analisi SWOT dell’ovino-coltura in Nuova Zelanda
3.2.3 Il sistema dei controlli
Il sistema di controlli è il risultato dell’applicazione delle norme che disciplinano i requisiti di sicurezza alimentare che gli operatori devono garantire attraverso strumenti di dimostrazione quali Buone Pratiche Igieniche o Good Manufacturing Practices, e Hazard Analysis Critical Control Point, e delle norme che disciplinano il controllo ufficiale.
Con l’abbinamento dei due sistemi di controllo è stato possibile ottenere la massima efficienza da entrambi. In base all’attuale normativa, infatti, in ogni stabilimento di produzione di prodotti alimentari (come pure in ogni centro di vendita: supermercati, catene di distribuzione ed anche ristoranti), deve essere designato un responsabile interno (con responsabilità civili, penali ed amministrative), il quale deve vigilare su ogni attività di produzione (e/o di commercializzazione) dal momento in cui entrano le materie prime o i prodotti di base nello stabilimento, o nel centro vendita, fino al momento in cui escono (o vengono commercializzati o consumati) i prodotti finiti, in modo da poter monitorare, con registrazioni scritte, l’intero processo di produzione, di commercializzazione e/o di somministrazione. E il controllore interno potrebbe essere sanzionato dall’Autorità pubblica di controllo esterno, che esegue i controlli ufficiali, anche se i prodotti, in caso di ispezione, risultassero esenti da difetti, qualora il controllore interno non avesse eseguito le registrazioni previste ed osservato le prescrizioni imposte.
35 I risultati realizzati in applicazione di tale sistema di controllo sono stati straordinari, soprattutto per quanto riguarda il nostro Paese. Da ultimo, occorre aggiungere, che per riuscire ad osservare correttamente la normativa europea in precedenza richiamata, gli operatori del settore alimentare possono avvalersi di strumenti molto utili, costituiti dai cosiddetti Manuali di corretta prassi operativa in materia di igiene e di applicazione dei principi del sistema HACCP, espressamente previsti dalla normativa europea (Regolamento Ce n. 852/2004).
Questi Manuali consentono, a partire da un’analisi dei rischi presa come parametro di riferimento, di proporre strumenti di sorveglianza utili per garantire il rispetto delle normative
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PARTE SPERIMENTALE
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Obbiettivi del lavoro sperimentale
Il lavoro di tesi svolto grazie alla collaborazione di alcune aziende agricole neozelandesi e aziende toscane ha come obiettivo quello di cercare le possibili correlazioni esistenti tra la qualità del latte ovino in Toscana e in Nuova Zelanda. Per effettuare il confronto ci siamo serviti di una serie di dati riguardanti i principali parametri compositivi del latte ovino come: il contenuto in grasso, in proteine e in lattosio, mentre per quanto riguarda i parametri igienico-sanitari, rispettivamente: il contenuto in cellule somatiche e la carica microbica totale.
Questa indagine preliminare su determinati parametri del latte crudo ovino rappresenta per gli allevatori toscani un modo per potersi confrontare con una realtà leader del settore lattiero-caseario, come la Nuova Zelanda, anche se l’ovino-coltura da latte si è sviluppata recentemente in Nuova Zelanda e gli allevatori non hanno una tradizione centenaria alle spalle, come invece è nota per gli allevatori toscani/italiani.
Tuttavia, gli allevatori toscani/italiani hanno molto da apprendere dall’approccio che gli allevatori neozelandesi hanno nei confronti dell’allevamento ovino da latte: sempre al passo con le nuove tecnologie, aperti al confronto e alla collaborazione con altri allevatori, autorità, università e attenti alla sostenibilità ambientale, alimentare ed animale.
Parametri compositivi del latte crudo ovino
Il latte ovino racchiude un alto valore nutrizionale e un’alta concentrazione di proteine, grassi, minerali e vitamine rispetto al latte derivante da altre specie domestiche (Park Y.W et alii, 2007a).
I livelli alti di proteine, grasso e calcio rendono il latte ovino un’eccellente matrice per la produzione di formaggi. Il latte ovino è soprattutto impiegato per la produzione di pregiate varietà di formaggio, yogurt e latticini derivanti dal siero (Haenlein e Wendorff, 2006).
La composizione chimica del latte fresco di pecora varia in funzione di numerosi fattori come: lo stadio di lattazione, la stagione, le temperature ambientali, l’efficienza della lattazione, l’età dell’animale e la nutrizione, i fattori genetici (specie e razza) e le patologie della mammella
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Proteine
Il contenuto proteico nel latte ovino è in media il 5.5%.
Sotto il profilo analitico, il contenuto di sostanze azotate totali (SAT) comprendono: - l’azoto proteico, rappresentato dalle caseine (circa l’80%) e dalle proteine del
siero (circa il 20%).
- l’azoto non proteico (circa il 3%) rappresentato dall’ urea, dagli aminoacidi liberi, dalla creatina, dalla creatinina, dall’ammoniaca e dall’ acido urico. Nel latte di pecora il rapporto tra le proteine e la materia azotata totale è molto elevato (pari al 95%) ad indicare un contenuto in azoto non proteico molto basso, a tutto vantaggio del valore biologico dei formaggi.
In generale, con il procedere della lattazione, il latte tende ad arricchirsi di caseina e proteine solubili, mentre si impoverisce di azoto non proteico.
Il contenuto delle proteine è influenzato da:
- fattori genetici: la specie, la razza (l’indirizzo produttivo) e l’individuo (polimorfismo proteico), questi fattori hanno un’ereditabilità del 45-50%; - fattori fisiologici: l’ordine di parto, lo stadio della lattazione, gli stati
infiammatori (dovuti allo stress);
- fattori ambientali: epoca di parto, l’altitudine e i trattamenti termici;
- squilibri alimentari: sbilanciamento del rapporto energia e proteina della razione.
La quantità percentuale della proteina del latte varia meno rispetto al grasso, ma risente ugualmente del periodo della lattazione, seguendo la stessa dinamica del grasso. In generale, con il procedere della lattazione, il latte tende ad arricchirsi di caseina e proteine solubili, mentre si impoverisce di azoto non proteico.
Le caseine si classificano in αs1, αs2, β, K e rappresentano il 76-83% delle proteine presenti nel latte ovino. Si strutturano in micelle, precipitano a pH 4,6 e hanno una valenza tecnologica fondamentale nella trasformazione del latte, poiché costituiscono la matrice essenziale del formaggio (Hinrichs, 2004; Park Y.W.et alii., 2007b). Le sieroproteine sono il restante 17-22 %. Si classificano in α-lattoalbumina, β lattoglobulina, sieroalbumina, immunoglobuline. Quest’ultime sono importanti nella produzione della ricotta, in quanto residuano nel siero e precipitano per azione termica (Park Y.W et alii., 2007c).
39 Le sieroproteine sono presenti nel latte di pecora in percentuale più elevata rispetto al latte caprino e vaccino e conferiscono al latte un alto valore biologico, essendo ricche di amminoacidi essenziali.
Le proteine del latte hanno un buon valore biologico; importante è la componente peptidica contenente sostanze proteiche con funzione nutritiva (α-lattoalbumina, β- lattoglobulina, caseine) e immunitarie (immunoglobuline, lattoferrina); contiene inoltre proteso-peptoni e proteine minori del siero, come la transferrina e le sieroalbumine. Esistono, inoltre, altri peptidi, con proprietà bioattive rilevanti, che si generano da alcune delle sostanze proteiche sopra citate, a seguito di processi idrolitici a loro carico, che avvengono nel tratto gastrointestinale, durante la digestione del latte. Questi peptidi possono essere suddivisi in base alle loro proprietà: esistono peptidi ad azione antimicrobica (lattoferrina, k-caseina) e altri che sono in grado di interagire a vari livelli con il metabolismo animale ed umano (lattorfina, casochinina); tra questi ultimi, alcuni si dimostrano efficaci nel combattere l’ipertensione, altri nel combattere i fenomeni trombotici, altri ancora in grado di modulare la risposta immunitaria.
Lipidi
Il contenuto medio di grasso nel latte ovino è del 6%.
Le biosintesi dei lipidi contenuti nel tessuto adiposo e nel grasso del latte interessa sia gli acidi grassi che derivano dalla dieta sia quelli sintetizzati de novo a partire dall'acetato.
I grassi sono costituiti per il 98% da trigliceridi, prodotti di esterificazione della glicerina con acidi grassi, sintetizzati a livello del citoplasma delle cellule alveolari, e per il restante 1-2% da fosfolipidi, steroli ed altre sostanze liposolubili (Secchiari et al., 2002).
Gli acidi grassi si classificano in base alla lunghezza della colonna carboniosa, o alla presenza di catene lineari o ramificate: saturi, monoinsaturi, polinsaturi, al numero, alla posizione o alla configurazione spaziale dei doppi legami (cis e trans). Circa il 70% degli acidi grassi presenti nel latte sono a catena corta, cosiddetti saturi (SFA), sintetizzati a livello della mammella. Sono presenti anche acidi grassi monoinsaturi (MUFA) ad azione anti-eterogena e gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) ad azione cellulare. Questi ultimi due gruppi sono presenti in quantità più limitata, a causa dell’idrogenazione che subiscono a livello ruminale, dove avviene la trasformazione
40 in acidi grassi saturi. La riduzione degli acidi grassi polinsaturi nel rumine è tra il 60 e il 90%.
Gli acidi grassi più rappresentati sono l’acido palmitico e l’acido oleico (25% e 20%). Una particolarità del latte ovino è la sua ricchezza in acidi a catena medio-corta, in particolare l’acido caprinico (C10:0) e caprilico (C8:0), che sono presenti in misura maggiore rispetto al latte di vacca, dando il sapore caratteristico dei formaggi ovini (Alonso et al., 1999; Goudjil et al., 2004; Park et al., 2007d). Un altro gruppo di acidi grassi che caratterizzano il latte ovino è quello degli isomeri coniugati dell’acido linoleico, presenti nel latte di tutti i ruminanti, ma di cui è particolarmente ricco il latte di pecora. Gli acidi grassi a catena corta e media (C4-C16) sono sintetizzati ex-novo dalla ghiandola mammaria, a partire dall’acetato e dal β-idrossibutirrato prodotti dalle fermentazioni dei carboidrati ad opera dei microrganismi presenti nel rumine (M.Peaker, 1977).
Gli acidi grassi a catena lunga (C>18), già preformati nel sangue, sono captati direttamente dalla mammella e possono provenire sia dagli alimenti che dalla mobilizzazione delle riserve lipidiche corporee.
I globuli di grasso del latte ovino hanno un diametro medio relativamente più piccolo rispetto a quelli del latte vaccino; hanno però un peso specifico minore del latte magro, così tendono ad aggregarsi e ad affiorare spontaneamente nel latte lasciato a riposo, formando uno strato superficiale di crema.
Si presentano sotto forma di globuli dal diametro di circa 3,5-4 µm, la cui grandezza e quantità influiscono sul metabolismo dei lipidi e sulla digeribilità del latte (Park, 2006a; Park et al., 2007b).
I lipidi rappresentano la componente del latte più variabile. Si osserva infatti una diminuzione della percentuale di grasso nella fase in cui la produzione di latte aumenta, e ciò avviene nel primo periodo dopo il parto, viceversa, nella coda di lattazione, quando la quantità di latte diminuisce progressivamente, la percentuale di grasso aumenta. Differenze si verificano anche tra il latte della mungitura mattutina e quello serale, quest’ultimo solitamente risulta più grasso.
Anche nel corso della stessa mungitura, il primo latte è più magro ed il grasso si concentra in quello degli ultimi getti. Questo parametro è inoltre fortemente condizionato da molti altri fattori genetici ed ambientali; è nota la differenza tra razze, ma anche all’interno della stessa razza vi sono pecore con caratteristiche migliori di altre. Tuttavia, l’ereditabilità è più bassa delle proteine, circa il 30-35% per il latte
41 ovino. Questo fatto consente di migliorare il parametro anche attraverso la selezione genetica.
I cambiamenti di stagione e il clima interferiscono con i nutrimenti della razione e possono portare a squilibri della razione e fisiologici, andando a svalutare la qualità del latte.
La composizione degli acidi grassi è influenzata in maniera significativa dalla dieta dell’animale (Lurueña-Martínez et al., 2010). L’alimentazione incide in maniera considerevole sia sulla qualità (profilo acidico), che sulla quantità (fino al 3% di variazione) del grasso nel latte ovino.
Lattosio
Il lattosio è un disaccaride formato da glucosio e galattosio, sintetizzato nella ghiandola mammaria con la partecipazione della α-lattoalbumina (Larson and Smith, 1974a; Park, 2006b).
Da un punto di vista nutrizionale, il lattosio favorisce l’assorbimento intestinale del calcio, del magnesio e del fosforo, l’utilizzazione della vitamina D e partecipa al mantenimento dell’equilibrio osmotico tra il sangue e le cellule alveolari della ghiandola mammaria durante la secrezione di latte (Larson and Smith, 1974b). Nel corso della lattazione, contrariamente al contenuto di proteine e grassi, il contenuto di lattosio è minore durante la fase colostrale e a fine lattazione (Pulina and Becini, 2004; Wendoff, 2006).
Parametri igienici del latte crudo ovino
Cellule somatiche
Le cellule somatiche sono elementi della serie bianca e cellule di sfaldamento del tessuto mammario.
Le CCS rappresentano un indicatore aspecifico di sanità della mammella.
I globuli bianchi sono normalmente presenti nel latte perché vi passano dal sangue che irrora abbondantemente la mammella ed hanno il compito di difendere i tessuti dalle infezioni. Sono presenti in quantità molto elevata quando la mammella ha subito traumi o vi è una infezione in corso, anche in forma non manifesta. In ogni situazione di malessere dell’animale, ed in modo particolare della mammella, creata da infezioni da microrganismi, da urti, lesioni, mungitura non corretta, bruschi cambiamenti di
42 alimentazione e stress ambientali, si possono registrare innalzamenti anche molto consistenti di cellule somatiche nel latte.
Il controllo periodico di questo parametro costituisce quindi un ottimo sistema per la precoce individuazione e quindi prevenzione delle mastiti.
Le infezioni della mammella causano una riduzione della produzione e della qualità del latte (Watson e Buswell, 1984). L’aumento oltre certi livelli è di norma associato ad una variazione importante della composizione chimica generale del latte, con una sensibile diminuzione delle caseine, dell’ordine del 6-9% ed un aumento delle sieroproteine dello stesso ordine di grandezza.
Il contenuto in cellule somatiche aumenta molto in caso di mastiti, quindi è indice di un processo infettivo in atto, accompagnato anche da una modificazione della conducibilità del latte. Tuttavia, l’aumento delle cellule somatiche può anche essere correlato a squilibri o a turbe di carattere alimentare che interagiscono sul normale funzionamento del rumine.
Il tenore in cellule somatiche è correlato con le principali fonti di stress a cui gli animali sono sottoposti come le mastiti, gli errori alimentari, gli eccessi climatici, elevata densità di allevamento, la paura, errate routine di mungitura e malfunzionamenti della macchina mungitrice.
I fattori che influenzano l’aumento delle cellule somatiche sono:
- fattori genetici: animali più selezionati e più produttivi, posizione dei capezzoli, con una ereditabilità è del 10-20 %;
- fattori fisiologici: fase colostrale, la pre-mungitura, i ritmi circadiani, lo stadio di lattazione, l’età, il tipo di parto, il momento dello svezzamento.
Le conseguenze riscontrabili sono: il calo della produzione, calo del contenuto di lipidi, proteine, caseine e lattosio. Inoltre, si assisterà ad un aumento dell’azoto non proteico, del contenuto delle sieroproteine, ad un aumento del Ph e della carica microbica.
Rosati ha potuto rilevare che l’aumento delle cellule somatiche negli ovini, a fronte di un intervallo compreso tra le 200.000 e 1.500.000 cell./ml è correlato con i seguenti parametri produttivi:
produzione totale di latte, determinando una perdita fino al 40% del latte prodotto dalla singola emi-mammella;
43 caseina, che diminuisce in media del 5%, a cui è associato un aumento delle
proteine sieriche;
cloruri con un aumento fino al 18%;
conducibilità elettrica, con un aumento fino al 50%;
consistenza del coagulo, con una diminuzione in media dell’11%.
Le cellule somatiche sono anche un indicatore della qualità tecnologica del latte. Infatti, l’incremento della loro concentrazione, accompagnato all’aumento del contenuto di albumina e sieroproteine, porta ad una riduzione del contenuto di caseine, per cui nella trasformazione abbiamo tempi di coagulazione più lunghi e coaguli più deboli, che sono indesiderati nella lavorazione del latte di pecora (Schaar e Funke, 1986; Auldist et al., 1996; Burriel, 1997; Leitner et al., 2003; Leitner et al., 2004a). In Italia, mentre per il latte bovino è stato fissato un tetto massimo per le cellule somatiche, per il latte ovino ancora non è chiaro quale sia il livello che indichi una reale infezione della mammella, anche perché varia molto in base al sistema di allevamento, alla razza, allo stadio di lattazione, all’età dell’animale e al management aziendale (Maisi et al., 1987; Fthenakis et al., 1991; Baro et al., 1994; Gonzalo et al., 1994; Gonzalez-Rodriguez et al., 1995).
In Italia i limiti delle cellule somatiche sono stati stabiliti per il latte crudo bovino:
conta di cellule somatiche (per ml): ≤ 400.000, media geometrica mobile, calcolata su un periodo di tre mesi, con almeno un prelievo al mese, salvo indicazione da parte dell'autorità competente di una diversa metodologia che tenga conto delle variazioni stagionali dei livelli di produzione (Reg. CE853/2004). Per il latte ovino non sono ancora stati stabiliti standard legali di riferimento.
In Nuova Zelanda i limiti per cellule somatiche sono state messa a punto, per mezzo di valori soglia indicativi, riportati di seguito:
cellule somatiche: <200.000 cellule/ml latte vaccino;
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Carica microbica totale
È un parametro utilizzato al fine di valutare le condizioni igieniche di mungitura e lo stoccaggio del latte. La carica microbica totale è influenzata dalla carica microbica iniziale, dal sistema di allevamento, dalla tecnica di mungitura, dall’altitudine, dalla temperatura e dal tempo di conservazione.
È un parametro utile per la definizione della qualità igienica del latte. Analiticamente rappresenta l’insieme di microrganismi formanti colonia (CFU) contenuti in un millilitro di latte.
Il latte è in condizioni pressoché sterili all’interno di una mammella sana. I microrganismi arrivano soprattutto dall'esterno attraverso tutte le superfici con cui il latte viene a contatto: aria della stalla, cute dell'animale, mani del mungitore, secchi, condutture della mungitrice, bidoni e refrigeratori.
La carica microbica è quindi la risultante delle scarse attenzioni dell'allevatore durante la mungitura, il deposito e il trasporto del latte. I batteri una volta presenti nel latte si moltiplicano velocemente e questa velocità aumenta quando la temperatura del latte supera i 6°C. La maggior parte di essi tuttavia, muore qualora il latte venga riscaldato a temperature superiori ai 40°C.
Un latte ovino di ottima qualità dovrebbe avere un numero di germi mesofili inferiore a 100.000 per ml. Rispetto a quello vaccino, il latte ovino presenta, già subito dopo la mungitura, un tasso medio di contaminazione microbica più elevato, a causa delle differenti condizioni oggettive in cui si attuano le operazioni di mungitura. La taglia ridotta dell’animale, la conseguente prossimità della mammella al suolo, la presenza del vello, il sistema di mungitura che impone l’ubicazione del secchio posteriormente e non lateralmente all’animale, l’impossibilita pratica di ricorrere al lavaggio e all’asciugatura della mammella (sia in condizioni di mungitura manuale che meccanica), il fatto che per ottenere la medesima quantità di latte di una bovina occorrere mungere un gran numero di capi ovini, sono senza dubbio condizioni sfavorevoli alla produzione di un latte con basse cariche microbiche.
Un aumento della contaminazione e della proliferazione microbica del latte è spesso conseguenza dell’ampliamento della base territoriale di reperimento del latte, e quindi della sua diversa provenienza, dei tempi di raccolta e di trasporto, oltre che delle elevate temperature a cui è esposto.
Il latte di pecora, però, ha una spiccata attività immunologica, dovuta probabilmente all’attività di alcuni enzimi (Nudda, 1996), che conferisce al latte maggior resistenza
45 alla proliferazione batterica nel corso delle prime ore successive alla mungitura. Inoltre, l’abbassamento del pH è relativamente contrastato dall’elevato contenuto in sostanze minerali (calcio in particolare) e in caseina che ne innalzano il potere tampone. In queste condizioni, il latte è meno suscettibile alle modificazioni alterative indotte dalla carica microbica, rispetto al latte bovino.
Notevoli progressi sono stati ottenuti con l’introduzione della mungitura meccanica, che nel campo ovino è ancora affiancata da quella manuale, ma che permette di aumentare l’igiene e la qualità del latte, contribuendo a diminuire il numero di microrganismi (coliformi e batteri lattici) presenti nel latte, da 8 a 85 volte rispetto alla mungitura manuale.
I limiti di carica microbica totale del latte crudo ovino in Italia sono disposti dal Regolamento (CE) 853/2004.
Per il latte crudo ovino, il limite di carica batterica a 30° C (media geometrica mobile,
calcolata su un periodo di due mesi, con almeno due prelievi al mese) è ≤1.500.000
UFC/ml.
Per il latte crudo ovino destinato alla fabbricazione di prodotti fatti con latte crudo
mediante un processo che non comporta alcun trattamento termico, il limite di carica
batterica a 30° C (media geometrica mobile, calcolata su un periodo di due mesi, con
almeno due prelievi al mese): 500.000 UFC/ml.
Parallelamente, il limite in carica batterica totale (conta batterica a 30°C) del latte crudo ovino in Nuova Zelanda è <150.000 UFC/ml.
Attualmente non sono vigenti dei limiti massimi sul contenuto di carica batterica nel latte ovino in Nuova Zelanda. Lo standard applicato è dell’Australia New Zealand Food Standarts Code, al capitolo 4, vigente soltanto in Australia e non ancora in Nuova Zelanda. In futuro i requisiti richiesti in Australia potrebbero essere applicati anche in Nuova Zelanda.
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Materiali e metodi
Aziende neozelandesi coinvolte
Le aziende neozelandesi coinvolte sono state selezionate nel corso di un’esperienza svolta in Nuova Zelanda. I criteri di scelta si sono basati soprattutto sulla rappresentatività delle aziende al profilo produttivo neozelandese, rappresentato dalle razze allevate e dall’ attitudine produttiva.