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Latte crudo ovino toscano e neozelandese: studio preliminare finalizzato all’analisi di due contesti produttivi di eccellenza

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE

Corso di Laurea Magistrale in

SCIENZE E TECNOLOGIE DELLE PRODUZIONI ANIMALI

TESI DI LAUREA

Latte crudo ovino toscano e neozelandese a confronto: studio preliminare

finalizzato all’analisi di due contesti produttivi d’eccellenza

Candidata:

Dott.ssa Maria Laganga Senzio

Relatore:

Prof. Carlo D’Ascenzi

_______________________________ _________________________

Tutor esterno

Prof. Craig Prichard

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“Se i tuoi sogni non ti spaventano,

non sono abbastanza grandi.

(Ellen Johnson Sirleaf)

(3)

3

Indice

Indice ... 3

RIASSUNTO ... 6

Introduzione ... 7

1 Il settore lattiero-caseario della Nuova Zelanda... 10

1.1 Posizione geografica e clima della Nuova Zelanda ... 10

1.2 Struttura economica e produttiva ... 10

1.3 Le direttrici della politica agricola neozelandese ... 14

1.3.1 La sostenibilità ambientale ... 14

1.3.2 Il benessere animale ... 14

2 Il settore lattiero-caseario ovino in Nuova Zelanda ... 17

2.1 Aspetti produttivi ... 17

2.1.1 Le razze e i programmi di selezione genetica ... 18

2.1.2 Tecnica di allevamento ... 19

2.1.3 Problematiche sanitarie ... 19

2.1.4 I formaggi prodotti e commercializzati in Nuova Zelanda ... 19

2.2 La gestione della Sicurezza Alimentare (Haumaru Kai Aotearoa) in Nuova Zelanda. ... 22

2.2.1 Attribuzione delle competenze ... 22

2.2.2 Quadro normativo di riferimento ... 23

2.2.3 Il controllo sulla sicurezza alimentare... 24

2.3 L’analisi SWOT dell’ovino-coltura in Nuova Zelanda ... 25

2.3.1 Punti di forza ... 25

2.3.2 Punti di debolezza ... 25

2.3.3 Opportunità ... 26

2.3.4 Minacce ... 27

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3.1 Aspetti produttivi ... 28

3.1.1 Le razze e i programmi di selezione genetica ... 29

3.1.2 Tecniche di allevamento ... 30

3.1.2.1 Allevamento semintensivo ubicato in Sardegna. ... 30

3.1.2.2 Allevamento semintensivo dell’appennino centrale. ... 30

3.1.2.3 Allevamento estensivo. ... 31

3.1.2.4 Alimentazione ... 31

3.2.1 Quadro normativo di riferimento ... 31

3.2.2 Attribuzione delle competenze ... 33

3.2.3 Il sistema dei controlli ... 34

PARTE SPERIMENTALE ... 36

Obbiettivi del lavoro sperimentale ... 37

Parametri compositivi del latte crudo ovino ... 37

Proteine ... 38

Lipidi ... 39

Lattosio ... 41

Parametri igienici del latte crudo ovino ... 41

Cellule somatiche ... 41

Carica microbica totale ... 44

Materiali e metodi ... 46

Aziende neozelandesi coinvolte ... 46

1) Kingsmeade ... 46

2) Maui Milk ... 47

3) Talla Farm ... 49

Aziende toscane coinvolte... 51

1) Azienda Agricola Bartolomeo Carta ... 51

2) Azienda Agricola Stefano Spinelli, “La Dispensa”. ... 52

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5 Piano di campionamento ... 55 Analisi Statistica ... 55 Risultati e considerazioni ... 56 Conclusioni ... 62 Bibliografia ... 65 Siti consultati ... 72

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RIASSUNTO

Lo scopo della tesi è stato quello di mettere a confronto due contesti lattiero-caseari ovini di eccellenza in ambito mondiale: la filiera lattiero-casearia toscana e la filiera lattiero-casearia neozelandese. L’articolazione dello studio ha previsto l’analisi di campioni di latte crudo di massa, prelevati nel corso di più lattazioni, nel corso degli anni 2016, 2017, 2018, 2019. In ragione del diverso periodo stagionale, il campionamento è stato svolto in momenti dell’anno diversi: in Nuova Zelanda i prelievi hanno avuto una cadenza mensile, da settembre a febbraio; in Toscana invece hanno avuto una cadenza quindicinale, da gennaio a dicembre.

I parametri di confronto hanno riguardato il profilo igienico e il profilo compositivo. Il profilo igienico è stato indagato attraverso il contenuto in cellule somatiche e la carica microbica totale. Il profilo compositivo è stato indagato attraverso la % di grasso, la % di proteine, la % di lattosio.

I dati sono stati elaborati secondo un modello per misure ripetute, valutando come effetto fisso il Paese, la razza e l’azienda, e come effetto random il numero di cellule somatiche e la carica microbica totale.

Le aziende toscane hanno evidenziato una % di grasso superiore rispetto alle aziende neozelandesi, sia per quanto riguarda l’effetto del Paese che per quanto riguarda l’effetto dell’azienda.

Le proteine sono risultate maggiori nelle aziende neozelandesi e in un’azienda toscana di pecore Awassi. Il contenuto di cellule somatiche e di carica batterica totale è risultata minore nelle aziende neozelandesi rispetto alle aziende toscane.

I risultati del confronto fra i parametri caratterizzanti il latte crudo delle diverse aziende toscane e neozelandesi sono state oggetto di analisi e considerazioni sugli spunti di miglioramento che le due realtà potrebbero recepire in modo reciproco.

PAROLE CHIAVE: latte crudo ovino, Toscana, Nuova Zelanda, qualità igienica,

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Introduzione

L’Italia e la Nuova Zelanda hanno molte affinità. Le due squadre nazionali fanno parte dei principali team internazionali del rugby. Benché gli All Blacks siano tra le squadre più titolate al mondo, anche la squadra l’Italia, seppure ad un livello più modesto, è ammessa al Torneo delle Sei Nazioni, il più importante torneo internazionale di rugby a 15 dell'Emisfero Nord. In campo velico, ambedue le nazioni vantano primati mondiali di tutto rispetto. La Nuova Zelanda ha conquistato per due volte consecutive la famosa Coppa America, mentre l’Italia ha partecipato più volte alle fasi finali. L’immagine che ciascuno dei due Paesi ha dell’altro è da sempre molto positiva: i turisti neozelandesi apprezzano il vasto patrimonio architettonico, artistico e culturale, la produzione enogastronomica e le ricchezze naturali; quelli italiani subiscono il fascino dei paesaggi naturali, della cultura polinesiana, oltre che delle manifestazioni sportive legate al rugby e alla Coppa America di vela.

Nel contesto produttivo, i due Paesi sono accomunati da un know-how d’eccellenza, riconosciuto in ambito mondiale, nel settore agroalimentare. Ambedue detengono primati nell’allevamento ovino e nella realizzazione dei prodotti derivati. Se proprio vogliamo trovare delle differenze, la Nuova Zelanda eccelle particolarmente nella produzione di carni e lane pregiate, l’Italia nella produzione di formaggi tradizionali di qualità.

La Nuova Zelanda eccelle nell’allevamento al pascolo di bovini, cervidi e ovini. Non deve inoltre sorprendere che in una nazione dove la produzione di bestiame risulta così importante per l’economia, la popolazione consumi più carne e prodotti animali di qualsiasi altro Paese del mondo.

I neozelandesi fanno orgogliosamente notare ai turisti che il loro Paese ha 20 volte più pecore che persone e tre volte più bovini che esseri umani. Nessun’altra nazione al mondo ha un rapporto così elevato tra animali d’allevamento e popolazione. Se consideriamo poi, che più della metà del territorio è destinato alla pastorizia, comprendiamo il motivo della diffusa opinione che considera l’economia neozelandese prevalentemente agricola.

La scelta della Nuova Zelanda come campo di studio della mia tesi è stata intrapresa, oltre che per le affinità culturali che la accomunano al nostro Paese, per il posto di eccellenza che ricopre la sua filiera agro-zootecnica in ambito mondiale.

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8 Tuttavia, il progetto di tesi è potuto nascere grazie all’incontro in Italia con il Professore Craig Prichard della Massey University, un economista di rilievo nello scenario dell’ovinicoltura neozelandese, e con l’imprenditrice italiana, Flavia Spena, la quale insieme al marito, ha deciso di investire nel settore della trasformazione del latte in Nuova Zelanda.

In seguito a questa piacevole conoscenza, abbiamo maturato l’idea di svolgere uno studio che consentisse di confrontare le due eccellenze. Per questo mi sono avvalsa di un periodo trascorso direttamente in Nuova Zelanda, in modo da poter analizzare il contesto lattiero-caseario neozelandese.

La Nuova Zelanda si caratterizza per la filiera dei prodotti lattiero-caseari, con una posizione di leadership nella produzione di latte in polvere e UHT, caseina, siero e lattosio.

Inoltre, la Nuova Zelanda presta particolare attenzione, anche attraverso il supporto di una legislazione adeguata, alla produzione di soluzioni scientifiche e pratiche ambientali innovative, che garantiscano una gestione sostenibile delle risorse ambientali e della sicurezza alimentare.

In questo scenario le relazioni tra Italia e Nuova Zelanda hanno un ampio potenziale di sviluppo.

La mia spedizione in Nuova Zelanda ha avuto come scopo, quello di osservare le modalità con cui vengono condotti gli allevamenti di ovini da latte e di studiare l’intera filiera del latte ovino del Paese.

Questo è stato possibile grazie alla disponibilità e all’ospitalità ineguagliabile di alcuni allevatori ed imprenditori del settore lattiero-caseario neozelandese, che hanno favorito il mio soggiorno e la mia collaborazione nelle loro aziende.

Durante la mia permanenza in Nuova Zelanda ho integrato l’analisi del contesto produttivo, economico e sociale legato alla filiera lattiero-casearia, con la raccolta di dati riguardanti la qualità compositiva e igienica del latte crudo ovino prodotto in aziende selezionate.

Il passo successivo è stato quello di confrontare questi dati con dati analoghi provenienti da aziende toscane/italiane, per cercare di delineare similitudini e differenze tra i due paesi.

I dati sono stati elaborati secondo un modello per misure ripetute, utilizzando come effetto fisso il Paese, la razza e l’azienda, e come effetto random la % di grasso, la % di proteine, la % di lattosio, la conta delle cellule somatiche e la carica microbica totale.

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9 I risultati del confronto prospettano interventi di miglioramento per entrambi i paesi su vari fronti che analizzeremo nel corso della tesi.

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1 Il settore lattiero-caseario della Nuova Zelanda

1.1 Posizione geografica e clima della Nuova Zelanda

La Nuova Zelanda (in lingua Maori “Aotearoa”) è uno stato insulare dell'Oceania, posto nell'oceano Pacifico meridionale, formato da due isole principali, l'Isola del Nord e l'Isola del Sud. Questa nazione conta 4,6 milioni di abitanti, distribuiti su 267.710 km². L'esiguità della popolazione e la prevalenza nel territorio di aree pianeggianti favoriscono un'estesa agricoltura.

La latitudine della Nuova Zelanda (da 34° a 47° S) corrisponde all'incirca a quella dell'Italia, nell'emisfero boreale. Tuttavia, trovandosi in mezzo all'Oceano, ha un clima diverso da quello italiano. Le piogge sono più intense e frequenti, poiché essendo un'isola risulta naturalmente più esposta ai venti oceanici, le precipitazioni sono diffuse durante tutto l’anno. La media delle precipitazioni supera ovunque i 500 mm annui, con maggiori concentrazioni sui versanti occidentali, dove possono raggiungere una media annua di 5.000 mm. In generale, comunque, il clima è temperato e marittimo, con temperature raramente minori di 0 °C e maggiori di 30°C (Anonimo, 2019a). Le temperature più elevate si registrano nella regione del Northland, le più basse in corrispondenza dei versanti sudoccidentali delle Alpi neozelandesi.

Uno dei principali vantaggi della NZ è costituita da una notevole disponibilità di acqua. La NZ è infatti il paese che dispone della maggiore quantità di risorse idriche per abitante a livello mondiale.

La posizione geografica e le caratteristiche climatiche fanno della Nuova Zelanda un’area vocata all’allevamento animale, con molte analogie con l’Italia.

1.2 Struttura economica e produttiva

La struttura economica neozelandese è stata eretta quasi interamente negli ultimi 150 anni, su un substrato culturale tramandato in parte dalla cultura polinesiana, in parte da quella europea.

La produzione primaria è la maggiore fonte di guadagno della Nuova Zelanda. I prodotti lattiero-caseari hanno contribuito per il 25% alle entrate nel 2012, con una crescita del 13% dal 1990.

La struttura delle aziende zootecniche è andata a modificarsi negli ultimi anni. Dal 1990 al 2012 il numero delle aziende è diminuito del 19%, mentre la media degli

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11 animali per allevamento si è ampliata del 147%, con un aumento netto di produzione del 40-60%, conseguenti ad incrementi sia per unità di capo, che per unità di superficie agricola impiegata,(Anonimo, 2019b).

Si stima che nei primi anni 2000 le aziende zootecniche che producevano latte siano state 13.700 unità, per una produzione totale di 13.000 milioni di litri di latte (Anonimo, 2003).

Attualmente, la produzione ha raggiunto i 22 milioni di tonnellate, come descrive la figura n. 1, con un numero di capi bovini pari a circa 5 milioni, allevati da circa 12.000 aziende (Anonimo, 2012).

Figura n. 1: Produzione di latte in Nuova Zelanda (www.dcanz.com)

La gran parte delle aziende zootecniche che producono latte si trovano nell’isola del Sud, intorno al centro di Canterbury, con il 74% delle mandrie che si trovano al Nord dell’isola, nelle regioni del Waikato, del Taranaki, del Manawatu e nelle zone intorno ai laghi di Roturua.

Gli imprenditori agricoli della Nuova Zelanda appartengono a un grande complesso industriale, la cooperativa Fonterra, che si occupa di ritirare e trasformare l’intero quantitativo di latte prodotto da ogni singola azienda, garantisce, inoltre, l’assistenza su tutta la filiera. Questa infrastruttura tende ad organizzare ogni aspetto della conduzione aziendale (Mairy Jay, 2006).

Lo sviluppo del settore è stato molto influenzato dal contesto socio-politico. Per molti anni, le politiche del settore sono state determinate dal “New Zealand Dairy Board”

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12 (NZDB), un ente che dal 1923 al 2001 ha controllato tutto il commercio estero dei prodotti lattiero-caseari neozelandesi. Tutto ciò ha avuto un’estrema rilevanza considerando che, attualmente il 95% della produzione casearia viene esportata. I prodotti delle cooperative venivano venduti sul mercato mondiale da NZDB, senza che i produttori avessero un collegamento diretto con gli acquirenti.

La struttura produttiva e commerciale era costituita da cooperative di allevatori che gestivano la raccolta e la trasformazione del latte crudo conferito dai soci, mentre la NZDB gestiva le spedizioni, gli imballaggi, il sistema di trasporto, il controllo della qualità, il marketing e gli altri servizi connessi con il commercio dei prodotti, garantendo ai produttori il reddito (Lewis Evans , 2004).

Le cooperative gestivano direttamente solo il mercato interno dei prodotti (Dobson, 1998).

Nel 1998, il governo annunciò che la NZDB e tutte le altre cooperative simili dovevano essere liberalizzate. Nel 2001 i produttori appartenenti alle vecchie cooperative votarono per l’istituzione di una nuova cooperativa, che più tardi ha preso il nome di “Fonterra”.

Attualmente l’intera organizzazione industriale del settore lattiero-caseario della Nuova Zelanda è gestita dalla cooperativa Fonterra, la quale, con più di 11.000 produttori soci, trasforma il 95% del latte nazionale, detenendo il primato della più grande industria neozelandese (Ministry of Agricolture and Forestry, 2003). Il suo compito è di gestire la trasformazione e il commercio estero del latte, che coinvolge più di 600 prodotti finiti, tra cui dessert, latte in polvere, formaggi, ingredienti di latte e farmaci. Il commercio estero di latte in polvere e altri prodotti lattiero-caseari raggiunge 140 paesi (Fonterra, 2005), che comprendono l’Unione Europea, il Sud dell’Asia e il Sud America.

La liberalizzazione del mercato ha condotto ad un miglioramento di tutta la filiera, rendendo molto più eterogeneo e competitivo il contesto degli operatori coinvolti. Oltre a Fonterra, sono presenti anche altre cooperative di una certa rilevanza, che commercializzano i prodotti locali all’estero:

 Synlait, con base a Canterbury, la quale produce formula per lattanti e ingredienti funzionali per alimenti e prodotti speciali;

 Tatua, una cooperativa localizzata a Waikato, specializzata in prodotti lattiero-caseari con produzione di alimenti di maggiore qualità e venduti sul mercato mondiale;

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13  Westlands Milk Products, una cooperativa operante lungo la West Coast e nei pressi di Canterbury, che produce prodotti per lattanti, ingredienti derivanti dal latte e marchi commerciali;

 Oceania Dairy;  Open Country Dairy;

 The Dairy Goat cooperative, formata da 72 allevatori di capre, che produce e commercializza formule per l’infanzia a base di latte caprino.

La Nuova Zelanda con i suoi 6,7 milioni di allevamenti bovini e i 29,8 milioni di allevamenti ovini, rappresenta la maggiore esportatrice di carne ovina e la leader mondiale per i prodotti caseari vaccini (Statistics New Zealand, 2015).

Il numero di occupati nelle aziende agricole neozelandesi è di circa 38.000 unità. Negli ultimi anni si è assistito a un incremento del 33%, con una previsione di oltre 13.000 nuovi posti tra il 2012 e il 2025, (Block L. e Lemmens, 2015). Nuove necessità di forza lavoro sono soddisfatte attraverso l’immigrazione dall’estero.

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1.3 Le direttrici della politica agricola neozelandese

Il governo neozelandese ha eliminato i sussidi agricoli nel 1984 (Sandrey e Reynolds, 1990), facendo in modo che la liberalizzazione del commercio potesse favorire la naturale competizione delle aziende. Tale strategia ha condotto le aziende verso il miglioramento progressivo dell’efficienza e della qualità delle produzioni. Parallelamente, le amministrazioni regionali e locali tengono sotto controllo e promuovono pratiche rispettose dell’ambiente, erogando anche piccoli incentivi per le aziende che intendono sviluppare volontariamente pratiche agricole innovative e più sostenibili.

1.3.1 La sostenibilità ambientale

Fra i determinanti qualitativi dei prodotti lattiero-caseari neozelandesi figura il rispetto dell’ambiente. Infatti, i prodotti neozelandesi riescono ad essere competitivi sul mercato grazie anche alla loro immagine “green”: garanzia di una produzione sicura e sostenibile. Da una ricerca finanziata dal Ministero dell’Ambiente nel 2001, è stato possibile prendere coscienza dell’importanza dell’immagine “clean“ e “green” dei prodotti agricoli neozelandesi, tuttavia qualora queste caratteristiche venissero meno potrebbero provocare una perdita del 54% del loro valore .

Per queste ragioni, il rispetto dell’ambiente rappresenta la priorità assoluta per un gran numero di attori della filiera, incluso il governo neozelandese.

1.3.2 Il benessere animale

Il benessere degli animali in Nuova Zelanda è regolato dall'Animal Welfare Act del 1999, il quale dispone gli obblighi che i proprietari o i detentori degli animali hanno relativamente alla salute e al benessere degli animali.

A partire dalla norma, è stata sviluppata la linea guida “Code of welfare”. Qui troviamo la trattazione delle diverse tipologie di allevamento, fra le quali gli allevamenti bovini e ovini, benché al momento l’allevamento di ovini da latte non è ancora stato oggetto di trattazione specifica.

Oltre ad essere oggetto di norme cogenti, la tutela del benessere animale in Nuova Zelanda è considerata un determinante qualitativo, in grado di incidere sulla capacità competitiva dei prodotti commercializzati all’estero.

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15 Il rispetto dei principi del benessere animale, ha l’obbiettivo di assicurare il successo dei prodotti a livello internazionale: grazie, sia all’applicazione delle migliori pratiche, che alla salvaguardia della buona reputazione, conseguente all’adeguamento dei requisiti di benessere animale.

La strategia seguita nel promuovere i principi del benessere animale si basa sui seguenti punti:

 stabilire un programma di prevenzione dei possibili problemi di benessere animale, individuando i costi per la gestione delle esigenze degli animali e per prevenire il rischio di malattie.

 Migliorare la zootecnia, servendosi della scienza e della tecnologia.

 Stabilire requisiti e sanzioni chiare, per aiutare gli operatori ad ottemperare i loro obblighi.

 Misurare e comunicare le performance di benessere animale degli allevamenti.  Erogare servizi di supporto agli allevatori da parte delle organizzazioni dei produttori, con il fine di applicare efficacemente i requisiti del benessere animale.

Il Ministero delle Industrie Primarie (MPI) detiene il potere di verificare, l’ottemperanza da parte degli allevatori dei requisiti cogenti, necessari a garantire il benessere animale; mentre sono enti privati ad affiancarsi nel controllo sul rispetto dei requisiti volontari, oggetto di marchi, certificazioni o accordi commerciali fra aziende. Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione verso alcune best practices, come la riduzione nell’ uso di antibiotici per prevenire il fenomeno dell’antibiotico-resistenza, la quale ha avuto ripercussioni molto negative sia sulla salute animale che umana. A tal proposito, la Federazione Internazionale del Settore Lattiero-caseario suggerisce un uso prudente degli agenti antimicrobici nelle aziende.

Anche il tipo di alimentazione, che si basa essenzialmente sul pascolo, ha incidenza sul benessere animale degli allevamenti in Nuova Zelanda. Fin dall’inizio della pubertà, gli animali vengono alimentati con foraggio fresco, con importanti risvolti sulla loro salute e sullo sviluppo della mammella.

La Nuova Zelanda investe molto anche sulla tecnologia, come strumento per garantire un alto livello di benessere animale. Le tecnologie impiegate nelle aziende agricole neozelandesi sono generalmente all’avanguardia. Gli allevamenti di pecore da latte dispongono di sistemi di mungitura meccanizzata più o meno evoluti, impianti per

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16 l’irrigazione dei pascoli, metodologie per il monitoraggio delle acque reflue, software che aiutano gli allevatori a prendere decisioni efficaci.

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2 Il settore lattiero-caseario ovino in Nuova Zelanda

2.1 Aspetti produttivi

La Nuova Zelanda con i suoi 29,8 milioni di allevamenti ovini, rappresenta la maggiore esportatrice di carne ovina, mentre la posizione di leader in ambito mondiale per i prodotti lattiero-caseari gli è conferita dal settore bovino (Statistics, 2015). Sono allevate circa 30.000 pecore in lattazione all’anno, distribuite tra sei principali imprenditori (Griffiths, L. 2014).

La produzione si concentra durante il periodo stagionale di lattazione (Block e Lemmens, 2015).

Ad oggi infatti, il settore ovino neozelandese si basa esclusivamente sul pascolo degli animali, vincolando la produzione alla stagionalità. Tuttavia, i produttori hanno potuto ottimizzare i vantaggi offerti da questo contesto produttivo, come il basso costo di produzione, limitando cosi il ricorso all’acquisto di integrazioni cerealicole, come è usuale fare nel resto dei paesi con un’industria agricola così avanzata.

Il prezzo di mercato del latte ovino subisce continue oscillazioni, si aggira intorno ai 17 dollari neozelandesi per kg di solidi totali, pari a 3,00 dollari neozelandesi per litro (un dollaro NZ=0,5713 Euro, valuta del giorno 30/10/2019 della Banca Centrale Europea).

Una delle maggiori opportunità per l’industria lattiero-casearia ovina è la crescente domanda internazionale dei prodotti caseari, caratterizzata da tassi di crescita annuale del 2,5 %. Si stima che la domanda crescerà del 10-20 % ogni anno (Downie-Melrose, 2014), soprattutto per l’aumento dei consumatori attenti ad aspetti qualitativi sui quali la Nuova Zelanda ritiene di poter esprimere le sue eccellenze.

La filiera produttiva e la logistica influenzano le tipologie di prodotti trasformati. A causa della distanza dal mercato di riferimento, i prodotti più venduti sono essenzialmente latte in polvere e formule di latte per neonati, grazie alla capacità di garantire la buona conservazione delle loro qualità anche per intervalli di tempo relativamente lunghi, necessari a coprire lunghi viaggi trans-oceanici.

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2.1.1 Le razze e i programmi di selezione genetica

Il primo incrocio registrato di pecore da latte in Nuova Zelanda fu denominato “Dairymeade”.

La base genetica utilizzata era costituita da pecore di razza Frisona Orientale . Dal 2016 in Nuova Zelanda la genetica delle pecore in produzione ha compiuto grandi passi in avanti, grazie a importazioni di razze Europee come la Laucane ed all’uso di embrioni e seme di Frisona Orientale (Hughes, 2016).

Le pecore di razza Frisona Orientale rappresentano una delle razze più produttive al mondo. La media di latte prodotto va dai 120 ai 130 litri per pecora a lattazione (Stevens e Bibiloni, 2014). I montoni maturi e le pecore in produzione hanno un peso medio, rispettivamente da 90 a 120 kg e da 56 a 75 kg. La faccia e le gambe si presentano prive di vello, caratteristica è la lunga coda da “ratto”.

La seconda razza di pecora da latte è la Laucane, proveniente dalla Francia. Questa razza è caratterizzata da una faccia bianca con lunghe orecchie. La parte superiore del corpo è ricoperta dal vello, mentre la testa, fino a sotto al collo, la restante metà del corpo e il ventre sono spesso privi di vello. È moderatamente prolifica, con una percentuale di gravidanza del 150%. La razza Laucane in Francia è molto ben gestita, rappresentando un successo dal punto di vista genetico, grazie a programmi specifici di genetica, legati ad un monitoraggio puntuale delle produzioni di latte, all’uso dell’inseminazione artificiale e all’utilizzo del progeny test sui montoni.

La terza razza allevata è la Awassi, la quale è stata importata dall’Israele. È una razza di rilevante importanza per la produzione di latte, con il vello colorato e la coda grassa. Generalmente, quest’ultima viene impiegata incrociandola con la Frisona Orientale o Laucane, per minimizzare le caratteristiche indesiderate e per ottenere animali più robusti, garantendo al contempo un’alta produzione di latte e una carne di alta qualità. La selezione viene effettuata sulla base della resa in solidi totali, della conta delle cellule somatiche (SCC) , la conta dei passi, la lunghezza della lattazione e la taglia corporea.

I livelli di SCC ricevono più attenzione per la produzione del latte ovino, rispetto a quello caprino, in quanto è importante per garantire una lunga conservabilità ai formaggi freschi prodotti .

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2.1.2 Tecnica di allevamento

La maggior parte degli allevatori lascia gli agnelli con le madri per 3-4 settimane dalla nascita, condividendo il latte prodotto per qualche settimana, fino a quando avverrà la separazione definitiva tra gli agnelli e le loro madri.

L’allevamento di agnelli pesanti è su larga scala, con una produzione potenziale di 3000-4000 agnelli per singolo allevatore. Questa soluzione è sostenibile garantendo la sopravvivenza degli agnelli e i bassi costi di allevamento.

La produzione di latte è stagionale, estendendosi dal tardo autunno all’inizio della primavera, con una lattazione di 150-250 giorni. La mungitura viene effettuata con mungitrici meccaniche, generalmente una sola volta al giorno, benché questo comporti una perdita di produzione del 25%.

La produzione media di latte per capo può essere compresa tra i 150 e i 200 litri all’anno.

2.1.3 Problematiche sanitarie

I controlli del latte ovino di massa non sono comuni, fanno eccezione i grandi allevamenti, dotati di apparecchiature elettroniche per misurare il volume del latte prodotto e monitorare le lattifere con apparecchi elettronici auricolari collegate alla stazione di mungitura.

La media delle cellule somatiche più frequente si aggira intorno ai 300.000 UFC. Le principali e più diffuse patologie sono in ordine: parassitosi, patologie della pelle legate alla fotosensibilizzazione, patologie ai piedi e ascessi, polmoniti e mastiti.

2.1.4 I formaggi prodotti e commercializzati in Nuova Zelanda

Riguardo alle tipologie di formaggi a base di latte ovino commercializzati in nuova Zelanda, può rappresentare un buon campione il mercato locale di Wairarapa, con i seguenti prodotti da un caseificio artigianale di proprietà della famiglia King, le diverse tipologie di formaggi “Kingsmeade” sono i seguenti:

 “Riversdale Pecorino”: pecorino semistagionato;  “Wairarapa Jack”: stile Cheddar;

 “Mt Bruce Havarti”: pecorino cremoso e morbido;  “Opaki Manchego”: stile spagnolo, compattezza media;

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20 Un’altra azienda produttrice di formaggi di latte ovino, ubicata nei pressi di Nelson, produce formaggi e latticini artigianali con il latte di pecora, sotto la denominazione: “ Thorvald”.

Le tipologie di formaggi fabbricati con il latte di pecora sono i seguenti:  “Camembert” : un formaggio di pecora ricco e cremoso;

 “White Vein” : un formaggio di pecora con una grana tipica;  “Curado”: pecorino stile Manchego;

 “Blue Vein” : formaggio di pecora con venature di muffa tipica blu;  “ Greek style feta” : feta greca di latte di pura pecora;

 “ Devotion” : formaggio di pecora cremoso a crosta lavata.

L’industria lattiero-casearia in Nuova Zelanda è fiorente. La domanda da parte dei consumatori per i formaggi sempre più specializzati è sempre più forte, sia da parte del mercato interno che specialmente per il mercato estero.

Il “NZ Champions of Cheese Awards”, organizzato da “ New Zealand Specialist Cheesemakers Association Board”, rappresenta un vero e proprio campionato annuale in cui partecipano tutte le eccellenze casearie neozelandesi. I formaggi presentati dalle aziende di tutto il Paese, gareggiano nella categoria a cui appartengono e vengono giudicati da una giuria tecnica e da un giudice internazionale, per garantire professionalità e credibilità. Alla fine vengono decretati i vincitori di varie medaglie per ogni tipologia di prodotto: medaglia d’oro, silver, bronze. Questi riconoscimenti vengono applicati sotto forma di bollini su ogni etichetta; questo rappresenta un valore aggiunto per la commercializzazione ed orienta anche la scelta del consumatore al momento dell’acquisto.

Questa iniziativa ha il fine di stimolare il settore a un confronto continuo con le altre realtà locali e improntare le produzioni verso un miglioramento progressivo, inoltre serve da vetrina per mostrare la diversità e la qualità dei formaggi del Paese.

La Nuova Zelanda vanta circa 300 tipi diversi di formaggi fabbricati da 40 produttori, come afferma Corrie den Haring, direttore generale della Green Valley Dairies ad Auckland e membro della commissione dell’Associazione dei Casari Specialisti in Nuova Zelanda (New Zealand Specialist Cheesemakers Association, 2019) . Essendo stata una colonia britannica, i formaggi neozelandesi ripropongono la cultura casearia inglese, rappresentata dal “Cheddar”, destinato per molti anni all’esportazione nella madre patria.

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21 Dopo la Seconda guerra mondiale, quando un gran numero di immigrati arrivarono nel Paese, iniziò una diversificazione dei formaggi prodotti, con l’ingresso di specialità tradizionali di altre culture casearie. Nel tardo 1970, numerosi formaggi di stile danese, come il Gouda/Edam, cominciarono ad essere proposti sul mercato dagli immigrati della comunità tedesca.

Nel 1980 un gran numero di imprenditori francesi cominciò a produrre formaggi della loro tradizione, quali il Brie e il Camembert.

La produzione di formaggi freschi e morbidi in stile francese favorì la produzione di formaggi stile Blue-vein e quelli di stile Danese.

Più tardi fecero ingresso nella Nuova Zelanda i casari italiani, i quali hanno introdotto la produzione della Mozzarella, del Provolone e di una serie di formaggi semi-stagionati , come afferma Den Haring.

Oggi, i formaggi più popolari nel Paese sono il Camembert, il Blue e il Gouda/Edam, mentre i formaggi italiani sono di tendenza.

I migliori risultati nel 2018, in termini di mercato, sono rappresentati dai formaggi a pasta morbida, nonostante siano meno valorizzati dei formaggi stagionati. La forte crescita della vendita di formaggi a pasta morbida ha indotto l’ampliamento dell’offerta di questa tipologia casearia, fra i quali, particolare rilievo hanno assunto alcuni nuovi prodotti artigianali, supportati da grandi aziende come il Puhoi Valley (Goodman Fielder) e il Kapiti (Fonterra Brands).

Le dieci specialità di formaggi più venduti in Nuova Zelanda sono: Feta, Camembert, Brie, Parmesan, Blue Vein, Haloumi, Blue Cheese (tutto il formaggio Blue non è chiamato Blue Vein), Feta aromatizzata, Gouda, Havarti. Le tipologie di formaggi che hanno avuto una crescita più rapida in volume di vendite sono: Haloumi, Cheddar, Mozzarella, Gruyere.

Figura n.1: alcune delle principali tipologie di formaggi prodotti in Nuova Zelanda.

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2.2 La gestione della Sicurezza Alimentare (Haumaru Kai

Aotearoa) in Nuova Zelanda.

2.2.1 Attribuzione delle competenze

Nell’ambito degli accordi bilaterali tra Australia e Nuova Zelanda è inclusa anche la sicurezza alimentare. La Food Standards Australia New Zealand (FSANZ) è un'autorità ufficiale che opera all’interno del governo australiano, con il fine di sviluppare gli standard alimentari per l’Australia e la Nuova Zelanda. Per quanto riguarda l’Australia, il Codice è applicato dalle amministrazioni statali e territoriali, dalle agenzie e dai consigli locali; per quanto riguarda la Nuova Zelanda, è applicato dal Ministero dell’Industria Primaria (MPI).

MPI è responsabile in Nuova Zelanda della legislazione che copre tutti gli aspetti legati alla sicurezza alimentare, incluso la produzione, la trasformazione, il trasporto e la vendita al consumatore. MPI ha anche la competenza sulla bio-sicurezza e sul benessere animale.

Gli obbiettivi di sicurezza alimentare del MPI sono quelli di assicurare:

 lo sviluppo di norme sui requisiti alimentari;

 il rilascio di certificazioni ufficiali per l’esportazione di vino, animali e prodotti alimentari vegetali;

 l’organizzazione dei controlli sui prodotti che vengono usati in agricoltura;

 la gestione delle emergenze riguardanti la sicurezza alimentare.

MPI sviluppa i requisiti di sicurezza alimentare sulla base del rischio. Questo implica anche la definizione degli standard di sicurezza alimentare, come i limiti dei residui di farmaci veterinari, prodotti fitosanitari e contaminanti ambientali. Gli operatori alimentari devono conformarsi ai requisiti stabiliti.

I prodotti alimentari destinati all’esportazione devono ottemperare a requisiti specifici, concordati fra le parti, con l’eccezione dell’Australia.

MPI gestisce i requisiti per l’esportazione, curando in collaborazione con il Ministero degli affari e del commercio gli accordi e le convenzioni con i paesi esteri.

In analogia ai sistemi che operano nei paesi ad economia avanzata, il sistema di tutela della sicurezza alimentare neozelandese si basa sulle garanzie che gli operatori delle aziende alimentari sono in grado di assicurare .Ogni azienda ha l’obbligo di gestire i rischi alimentari attraverso modalità di produzione che dimostrino, attraverso un’adeguata documentazione, che i requisiti riguardanti le proprie produzioni siano

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23 tutti efficacemente rispettati. Il manuale contenente la documentazione, denominato Risk Management Programmes (RMP), identifica i pericoli potenziali veicolabili dai prodotti e definisce le misure di prevenzione, al fine di minimizzare il rischio alimentare per i consumatori. Gli strumenti di dimostrazione fanno capo ad Hazard Analysis Critical Control Point (HACCP) e alle Good Manufacturing Practices (GMP).

MPI ha sviluppato una linea guida, denominata “Codes of Practice” (COPs), che mette a disposizione degli operatori le strategie per gestire il rischio alimentare nelle imprese da loro condotte. L’operatore alimentare deve trasferire i principi del COPs all’interno del proprio RMP, o in alternativa deve dimostrare il raggiungimento degli stessi obbiettivi, servendosi di altri mezzi. Nel caso in cui non venissero adottati i principi del COPs, spetta all’MPI approvare l’adozione di nuovi criteri.

2.2.2 Quadro normativo di riferimento

Quattro atti regolano la sicurezza alimentare dei prodotti immessi sul mercato sul territorio della Nuova Zelanda o destinati ai mercati esteri:

 Food Act, del 1981;

 Animal Products Act, del 1999;

 Animal Products (Dairy Risk Management Programme Specifications) Notice, del 2005;

 Food Act, del 2014.

Inoltre, sono disponibili le seguenti linee guida finalizzate a facilitare l’applicazione dei requisiti legali disposti dalle norme contenute negli Act:

 New Zealand (Milk and Milk Products Processing) Food Standards, del 2002;  New Zealand Food Regulations, del 1984;

 Animal Products (Dairy Processing Specifications) Notice, del 2006;  DPC1 Approved Criteria for General Dairy Processing, del 2006;  Agricultural Compounds and Veterinary Medicines Act, del 1997;  DPC2 Approved Criteria for Farm Dairies, del 2006;

 DPC3 Approved Criteria for the Manufacturing of Dairy Material and Products, del 2006;

 DPC4 Approved Criteria for Storage and Transportation of Dairy Material and Products, del 2006.

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24 I requisiti specifici riguardanti la produzione e la trasformazione del latte, sono contenuti in:

 Animal Products Act, del 1999;  Food Act, del 1981.

2.2.3 Il controllo sulla sicurezza alimentare

MPI verifica che le aziende che si occupano della produzione e del commercio degli alimenti conducano un’appropriata gestione del rischio, inoltre organizza il controllo su tutta la filiera alimentare. I requisiti sottoposti a verifica sono quelli disposti dalle norme emanate dal MPI o dalle amministrazioni locali ed infine da norme stabilite da organizzazioni indipendenti.

Il personale coinvolto nei controlli è rappresentato da persone o organizzazioni, cosi come le autorità locali, riconosciute formalmente da MPI, con una sufficiente competenza ed indipendenza.

MPI ha il compito di svolgere audit e monitorare la conformità ai requisiti offerti dal sistema di sicurezza alimentare neozelandese. Le attività di verifica si incentrano sulla verifica di conformità del rispetto delle garanzie riguardanti i criteri di sicurezza alimentare.

MPI coordina la gestione delle non conformità ai criteri di sicurezza alimentare, con particolare riferimento al richiamo dai consumatori dei prodotti incriminati.

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2.3 L’analisi SWOT dell’ovino-coltura in Nuova Zelanda

Sviluppando un’analisi dei punti di forza e di debolezza dell’industria lattiero-casearia ovina in Nuova Zelanda, possiamo prospettare gli scenari riportati di seguito.

2.3.1 Punti di forza

 L’immagine naturalistica, basata sul pascolo, con basso impatto ambientale degli allevamenti,

 ridotto impatto degli aiuti di stato su un settore considerato molto efficiente,  alto profilo dell’industria casearia neozelandese, considerata leader mondiale, con

un gran numero di compagnie internazionali;

 alto profilo del settore ovino neozelandese, considerato leader mondiale sia per le tecniche di allevamento, che per la genetica e per la ricerca;

 l’attuale ottimismo e spirito collaborativo degli allevatori di pecore da latte;  domanda di prodotti caseari ovini, sia locale che globale;

 propensione da parte degli allevatori neozelandesi ad investire nello sviluppo di tecnologie nella mungitura;

 fase economica favorevole per il settore caseario ovino, il quale offre dei profitti in grado di ripagare gli investimenti in tempi più veloci rispetto al settore bovino;  qualità del latte di pecora, caratterizzata da un contenuto in solidi totali molto vicino

al doppio degli altri tipi di latte, con una serie di proprietà salutari.

2.3.2 Punti di debolezza

 In Nuova Zelanda non è presente una tradizione consolidata di consumatori di prodotti caseari a base di latte ovino;

 ridotta disponibilità di dati sull’industria casearia ovina neozelandese;

 propensione del settore a concentrarsi sull’incremento delle produzioni prima di stabilire i canali di mercato;

 ridotta dimensione delle greggi allevate, costituite da incroci di razze soprattutto europee;

 mancanza di una struttura specifica per il supporto all’industria casearia ovina;  concentrazione del mercato su un’unica azienda prevalente;

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26  scarsa specializzazione delle competenze nell’intera filiera lattiero-casearia ovina;  assenza della tradizione dell’allevamento di pecore da latte;

 carenza di criteri di controllo per la qualità del latte ovino;

 forte impatto della logistica, a causa della scala dell’aziende industriali;

 scarsa accessibilità da parte dell’industria alle informazioni sulle modalità organizzative dell’industria lattiero-casearia.

2.3.3 Opportunità

 le aziende di piccole dimensioni, con piccoli appezzamenti adibiti al pascolo del bestiame in produzione, consentono di utilizzare i terreni marginali ai fini dello sviluppo dell’industria casearia ovina.

prospettive di espansione del mercato grazie alla rispondenza dei prodotti caseari ovini alle richieste dei consumatori di alimenti nutraceutici;

 ricchezza del patrimonio di razze ovine con alte potenzialità produttive sia per il latte che per la carne;

 formazione di un modello di cooperative accomunate dall’alta qualità dei prodotti e degli ingredienti;

 la continua espansione della domanda di agnelloni pesanti;

 rapida crescita della popolazione asiatica con aumento continuo del consumo dei prodotti caseari;

 attitudine dei prodotti caseari a base di latte ovino ad essere idonei per le persone intolleranti al lattosio, che rappresentano il 75% della popolazione mondiale;  risvolti positivi sull’impatto ambientale dell’allevamento ovino;

 crescita della produzione e del commercio dei prodotti lattiero-caseari ovini del 10-20% all’anno, per soddisfare la domanda del mercato mondiale.

 maggiore attitudine del latte ovino, rispetto al caprino o al vaccino, ad essere congelato per più di un anno, senza perdite nella qualità della trasformazione in formaggio e yogurt.

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2.3.4 Minacce

 Latte A2 vaccino e altri latti senza lattosio;

 inabilità nell’adattarsi ai cambiamenti di richiesta del consumatore;  incapacità nell’assicurare i mercati prima della costruzione dell’industria;

 difficoltà nei processi di trasformazione a causa della distanza delle aziende fulcro situate al Sud, a Nelson, nella regione di Wairarapa e nei pressi di Taupo.

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3 Il settore lattiero-caseario ovino in Italia e in Toscana

3.1 Aspetti produttivi

Gli allevamenti ovini italiani sono prevalentemente ubicati al Centro-Sud. In Italia attualmente il patrimonio ovino censito si aggira intorno ai sette milioni di capi. Proprio in virtù della forte concentrazione territoriale, il settore assume un ruolo rilevante nell’economia di alcune regioni, in particolare la Sardegna (con un’incidenza pari a oltre il 18% sul valore totale dell’agricoltura regionale)e, seppure in misura minore, in Toscana e Lazio (rispettivamente con una quota del 3% e del 2%).

L’allevamento ovino toscano presenta una notevole potenzialità: è infatti la quarta regione italiana per consistenza con circa 464.000 capi presenti in 4530 allevamenti dei quali, quasi un terzo, sono dediti alla produzione di latte (Anagrafe Nazionale Zootecnica, 2011). Negli ultimi decenni, purtroppo, si è registrata la perdita di numerose aziende causata principalmente dalla difficoltà del ricambio generazionale e dalle restrittive normative sanitarie della UE. Ciononostante, attualmente vi è un crescente interesse dei consumatori nazionali e dei mercati stranieri verso i prodotti lattiero caseari dei piccoli ruminanti, dovuto principalmente alla tipologia di allevamento, legata allo sfruttamento del territorio, che conferisce alle produzioni quella naturalezza a cui oggi il consumatore fa particolarmente attenzione(Boyazoglu J., Morand-Fehr P., 2001) . La specie ovina può svolgere un ruolo determinante nella utilizzazione razionale delle risorse naturali presenti, contribuendo alla conservazione dell’ambiente ed alla integrazione del reddito locale, valorizzando le pratiche tradizionali di allevamento e di trasformazione prevalentemente artigianale effettuata in piccoli caseifici. Inoltre, l’allevamento stanziale, basato essenzialmente sul pascolo, favorisce sia il benessere animale che la presenza nei prodotti lattiero-caseari di sostanze nutraceutiche ad oggi di notevole interesse scientifico per l’azione benefica sulla salute dell’uomo (Lock A.L., Bauman D.E., 2011).

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3.1.1 Le razze e i programmi di selezione genetica

In Italia i capi allevati sono 13.620.778 e la forma di conduzione prevalente è quella a conduzione familiare.

Le razze allevate sono prevalentemente ad attitudine da latte, da latte e carne o da carne e lana.

Le principali razze ovine allevate in Italia sono : Sarda, Comisana, Delle Langhe, Massese, Merinizzata italiana, Appenninica, Bergamasca.

La razza ovina maggiormente diffusa nel nostro Paese è la pecora di razza Sarda originaria della Sardegna, con il tempo si è diffusa al centro–sud dell’Italia, a testimonianza della sua alta adattabilità. Corrisponde a una taglia moderata, con un peso adulto sopra i 60 kg per i maschi e intorno ai 40 kg per le femmine.

La produzione di latte è fortemente influenzata da fattori ambientali e dalla disponibilità di foraggi; questa risulta alta in autunno e in primavera e bassa nella stagione estiva (Macciotta et al.1999).

La programmazione delle nascite dipende dalla fisiologia e dalla tradizione italiana. I periodi dell’anno nel quale si realizzano gli accoppiamenti sono nel periodo di novembre-dicembre e nel periodo di aprile-maggio, in quanto gli agnelli sono richiesti dal mercato per le festività di Pasqua e Natale.

Il parto si concentra, in periodi come: metà settembre, dicembre , aprile e giugno ; la monta è di tipo naturale e viene garantita dall’uso di montoni selezionati. Generalmente ogni pecora partorisce una volta l’anno, con un tasso di circa dell’80% di gemellarità.

Alla nascita gli agnelli pesano 3,5 kg-4 kg, presentano una buona conformazione e una crescita veloce. Dopo il parto le pecore vengono ricoverate in piccoli recinti con la loro prole .

La madre allatta gli agnelli per 30 giorni dopo di che gli agnelli sono completamente svezzati e le pecore vengono destinate alla mungitura, che si effettua 2 volte al giorno. Il ciclo produttivo è sincronizzato con la disponibilità del pascolo, accessibile soprattutto durante l’inverno (se mite) e la primavera.

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3.1.2 Tecniche di allevamento

L’allevamento nazionale è caratterizzato dalla presenza prevalente della razza Sarda, che si è diffusa progressivamente dalla Sardegna in tutte le regioni centrali (Lazio, Toscana Umbria, Marche, Abruzzo) e meridionali (Puglia, Campania, Basilicata, Molise), ma anche in quelle settentrionali (Liguria ed Emilia) della penisola.

Per la sua spiccata capacità di adattamento, la razza Sarda è allevata in aziende di collina e di montagna, in condizioni di allevamento estensivo ed anche in allevamenti di carattere intensivo.

Partendo dai modelli di allevamento esistenti, sulla base del sistema di alimentazione, della localizzazione geografica e delle razze allevate, possono essere individuati almeno tre differenti sistemi aziendali di riferimento: l’allevamento semintensivo ubicato in Sardegna; allevamento semintensivo dell’appennino centrale; l’allevamento estensivo.

3.1.2.1 Allevamento semintensivo ubicato in Sardegna.

Si tratta di un allevamento caratterizzato da consistenze mediamente elevate di capi (circa 250 capi/azienda), elevata produttività (250-300 lt/pecora) e disponibilità di ampie superfici investite a foraggere, nelle quali viene praticata la rotazione dei pascoli e il ricovero notturno solo se necessario. In determinati periodi dell’anno o in particolari condizioni si ricorre a mangimi conservati. La valorizzazione della produzione è soggetta a forti oscillazioni da un anno all’altro legate essenzialmente al mercato del Pecorino Romano, che costituisce la destinazione prevalente del latte.

3.1.2.2 Allevamento semintensivo dell’appennino centrale.

È principalmente ubicato nelle aree di media e bassa collina di Toscana e Lazio. Grazie a una buona organizzazione dell’offerta e a politiche della qualità, le aziende appartenenti a questa tipologia riescono a mantenere livelli elevati di remunerazione, anche grazie alla realizzazione di attività di multifunzionalità (soprattutto in Toscana) e/o di ampliamento e diversificazione della gamma produttiva da parte dei caseifici a cui conferiscono (soprattutto nel Lazio).

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3.1.2.3 Allevamento estensivo.

È diffuso soprattutto nelle regioni meridionali, dove è ancora frequente la pratica della transumanza; in questo caso la trasformazione del latte avviene direttamente nelle aziende agricole, solitamente di ridotte dimensioni e con bassa produttività. La sopravvivenza di queste realtà è molto spesso legata a produzioni con un’elevata connotazione di tipicità e territorialità, in grado di garantire una buona remunerazione del latte prodotto.

3.1.2.4 Alimentazione

L’alimentazione degli ovini italiani si basa sul pascolo, a cui si associano eventuali integrazioni con mangime nei periodi in cui non è possibile il libero accesso ai terreni adibiti ai pascoli, oppure nel caso in cui condizioni climatiche avverse ne abbiano inficiato la disponibilità (per es. siccità). Questo tipo di allevamento, pur avendo riscontro positivo in termini di costi di gestione, risente della stagionalità della produzione di latte, generalmente concentrata nella prima metà dell’anno, con un picco nei mesi primaverili.

Le integrazioni, oltre che al momento della mungitura, vengono somministrate in particolari periodi dell’anno, come il fieno in estate avanzata e i concentrati nel tardo inverno.

Poco diffusi risultano gli allevamenti di tipo stanziale, con alimentazione basata esclusivamente su fieno, insilati e concentrati.

3.2 La gestione della Sicurezza Alimentare in Italia.

3.2.1 Quadro normativo di riferimento

Le norme fondamentali europee, per quanto concerne la regolamentazione dei mangimi e degli alimenti, sono contenute nel regolamento CE n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare ed è il fulcro da cui discende un intero “pacchetto” di regolamenti comunitari (reg. CE n. 852/2004, reg. CE n. 853/2004, reg. CE n. 854/2004).

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32 Il Regolamento Ce n. 178/2002 ha anche previsto l’applicazione della procedura di allarme rapido che permette di tenere collegate fra loro le autorità sanitarie di tutti gli Stati membri, le quali, per il tramite della Commissione europea, possono intervenire rapidamente per prevenire o bloccare la circolazione e la diffusione in Europa di prodotti alimentari nocivi o pericolosi.

Il regolamento CE n. 882/2004 rappresenta la norma quadro per l’organizzazione dei controlli ufficiali in materia di alimenti, mangimi, salute e benessere degli animali. Controlli che devono essere effettuati periodicamente, in base ad una valutazione dei rischi e con frequenza appropriata, per raggiungere gli obiettivi definiti dal regolamento.

Il regolamento CE 2073/2005 con le successive modifiche ed integrazioni si rivolge a tutti gli operatori del settore alimentare (OSA) che operano nelle diverse fasi della filiera quali lavorazione, fabbricazione, manipolazione compresa la fase della vendita al dettaglio e della distribuzione.

Normative più specifiche disciplinano l'alimentazione degli animali (PNAA), il controllo delle zoonosi, la ricerca dei residui negli animali e nei prodotti di origine animale (PNR).

Gli Stati membri garantiscono che i controlli ufficiali siano eseguiti periodicamente, in base ad una valutazione dei rischi e con frequenza appropriata, per raggiungere gli obiettivi del regolamento (CE) 882/2004, tenendo conto:

 dei rischi identificati associati con gli animali, con i mangimi o con gli alimenti, con le aziende del settore dei mangimi e degli alimenti, con l’uso dei mangimi o degli alimenti o con qualsiasi trasformazione, materiale, sostanza, attività o operazione che possano influire nella sicurezza dei mangimi o degli alimenti, sulla salute o sul benessere degli animali;

 dei dati precedenti relativi agli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti per quanto riguarda la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali;  l’affidabilità dei propri controlli già eseguiti;

 qualsiasi informazione che possa indicare un’eventuale non conformità. I controlli ufficiali sono eseguiti in qualsiasi fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione dei mangimi o degli alimenti e degli animali e dei prodotti di origine animale.

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33 I controlli ufficiali vengono effettuati, con la stessa accuratezza, sulle esportazioni fuori dalla Comunità, sulle immissioni sul mercato nella Comunità, e sulle introduzioni da paesi terzi.

L’esecuzione dei controlli ufficiali ai sensi del regolamento (CE) 882/2004 “lascia impregiudicata la responsabilità legale, in via principale, degli operatori del settore per la sicurezza dei mangimi e degli alimenti, come previsto dal regolamento (CE) n. 178/2002 e la responsabilità civile o penale risultante dalla violazione dei loro obblighi”.

3.2.2 Attribuzione delle competenze

Gli operatori del settore alimentare devono garantire: “che tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti sottoposte al loro controllo, soddisfino i pertinenti requisiti di igiene fissati nel regolamento (CE) 852/2004”.

Gli operatori del settore alimentare che effettuano la produzione primaria e le operazioni connesse elencate nell’allegato I del regolamento (CE) 852/2004, rispettano i requisiti generali in materia d’igiene di cui alla parte A dell’allegato I e ogni requisito specifico previsto dal regolamento (CE) n. 853/2004.

Gli operatori del settore alimentare che eseguono qualsivoglia fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione di alimenti successiva a quelle di cui al paragrafo 1, rispettano i requisiti generali in materia d’igiene di cui all’allegato II e ogni requisito specifico previsto dal regolamento (CE) n. 853/2004.

Gli operatori del settore alimentare, se necessario adottano le seguenti misure igieniche specifiche:

 rispetto dei criteri microbiologici relativi ai prodotti alimentari;

 le procedure necessarie a raggiungere gli obiettivi fissati per il conseguimento degli scopi del regolamento (CE) 852/2004;

 rispetto dei requisiti in materia di controllo delle temperature degli alimenti, il mantenimento della catena del freddo, campionature ed analisi.

I controlli ufficiali sui mangimi e sugli alimenti comprendono le seguenti attività:  l’esame di tutti i sistemi di controllo posti in atto dagli operatori del settore dei

mangimi e degli alimenti e i risultati così ottenuti;

 l’ispezione di: impianti dei produttori primari, aziende del settore dei mangimi e degli alimenti, compresi adiacenze, locali, uffici, attrezzature, installazioni e

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34 macchinari, trasporti, nonché di mangimi e alimenti; materie prime, ingredienti, coadiuvanti tecnologici e altri prodotti utilizzati per la preparazione e la produzione di mangimi e alimenti; prodotti semilavorati; materiali e articoli destinati ad entrare in contatto con i prodotti alimentari; prodotti e procedimenti di pulizia e di manutenzione e antiparassitari;

 etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari;

 controlli delle condizioni igieniche nelle aziende del settore dei mangimi e degli alimenti;

 valutazione delle procedure in materia di buone prassi di fabbricazione (GMP), buone prassi igieniche (GHP), corrette prassi agricole e HACCP, tenendo conto dell’uso delle guide a tal fine stabilite in conformità della normativa comunitaria.

3.2.3 Il sistema dei controlli

Il sistema di controlli è il risultato dell’applicazione delle norme che disciplinano i requisiti di sicurezza alimentare che gli operatori devono garantire attraverso strumenti di dimostrazione quali Buone Pratiche Igieniche o Good Manufacturing Practices, e Hazard Analysis Critical Control Point, e delle norme che disciplinano il controllo ufficiale.

Con l’abbinamento dei due sistemi di controllo è stato possibile ottenere la massima efficienza da entrambi. In base all’attuale normativa, infatti, in ogni stabilimento di produzione di prodotti alimentari (come pure in ogni centro di vendita: supermercati, catene di distribuzione ed anche ristoranti), deve essere designato un responsabile interno (con responsabilità civili, penali ed amministrative), il quale deve vigilare su ogni attività di produzione (e/o di commercializzazione) dal momento in cui entrano le materie prime o i prodotti di base nello stabilimento, o nel centro vendita, fino al momento in cui escono (o vengono commercializzati o consumati) i prodotti finiti, in modo da poter monitorare, con registrazioni scritte, l’intero processo di produzione, di commercializzazione e/o di somministrazione. E il controllore interno potrebbe essere sanzionato dall’Autorità pubblica di controllo esterno, che esegue i controlli ufficiali, anche se i prodotti, in caso di ispezione, risultassero esenti da difetti, qualora il controllore interno non avesse eseguito le registrazioni previste ed osservato le prescrizioni imposte.

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35 I risultati realizzati in applicazione di tale sistema di controllo sono stati straordinari, soprattutto per quanto riguarda il nostro Paese. Da ultimo, occorre aggiungere, che per riuscire ad osservare correttamente la normativa europea in precedenza richiamata, gli operatori del settore alimentare possono avvalersi di strumenti molto utili, costituiti dai cosiddetti Manuali di corretta prassi operativa in materia di igiene e di applicazione dei principi del sistema HACCP, espressamente previsti dalla normativa europea (Regolamento Ce n. 852/2004).

Questi Manuali consentono, a partire da un’analisi dei rischi presa come parametro di riferimento, di proporre strumenti di sorveglianza utili per garantire il rispetto delle normative

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PARTE SPERIMENTALE

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Obbiettivi del lavoro sperimentale

Il lavoro di tesi svolto grazie alla collaborazione di alcune aziende agricole neozelandesi e aziende toscane ha come obiettivo quello di cercare le possibili correlazioni esistenti tra la qualità del latte ovino in Toscana e in Nuova Zelanda. Per effettuare il confronto ci siamo serviti di una serie di dati riguardanti i principali parametri compositivi del latte ovino come: il contenuto in grasso, in proteine e in lattosio, mentre per quanto riguarda i parametri igienico-sanitari, rispettivamente: il contenuto in cellule somatiche e la carica microbica totale.

Questa indagine preliminare su determinati parametri del latte crudo ovino rappresenta per gli allevatori toscani un modo per potersi confrontare con una realtà leader del settore lattiero-caseario, come la Nuova Zelanda, anche se l’ovino-coltura da latte si è sviluppata recentemente in Nuova Zelanda e gli allevatori non hanno una tradizione centenaria alle spalle, come invece è nota per gli allevatori toscani/italiani.

Tuttavia, gli allevatori toscani/italiani hanno molto da apprendere dall’approccio che gli allevatori neozelandesi hanno nei confronti dell’allevamento ovino da latte: sempre al passo con le nuove tecnologie, aperti al confronto e alla collaborazione con altri allevatori, autorità, università e attenti alla sostenibilità ambientale, alimentare ed animale.

Parametri compositivi del latte crudo ovino

Il latte ovino racchiude un alto valore nutrizionale e un’alta concentrazione di proteine, grassi, minerali e vitamine rispetto al latte derivante da altre specie domestiche (Park Y.W et alii, 2007a).

I livelli alti di proteine, grasso e calcio rendono il latte ovino un’eccellente matrice per la produzione di formaggi. Il latte ovino è soprattutto impiegato per la produzione di pregiate varietà di formaggio, yogurt e latticini derivanti dal siero (Haenlein e Wendorff, 2006).

La composizione chimica del latte fresco di pecora varia in funzione di numerosi fattori come: lo stadio di lattazione, la stagione, le temperature ambientali, l’efficienza della lattazione, l’età dell’animale e la nutrizione, i fattori genetici (specie e razza) e le patologie della mammella

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Proteine

Il contenuto proteico nel latte ovino è in media il 5.5%.

Sotto il profilo analitico, il contenuto di sostanze azotate totali (SAT) comprendono: - l’azoto proteico, rappresentato dalle caseine (circa l’80%) e dalle proteine del

siero (circa il 20%).

- l’azoto non proteico (circa il 3%) rappresentato dall’ urea, dagli aminoacidi liberi, dalla creatina, dalla creatinina, dall’ammoniaca e dall’ acido urico. Nel latte di pecora il rapporto tra le proteine e la materia azotata totale è molto elevato (pari al 95%) ad indicare un contenuto in azoto non proteico molto basso, a tutto vantaggio del valore biologico dei formaggi.

In generale, con il procedere della lattazione, il latte tende ad arricchirsi di caseina e proteine solubili, mentre si impoverisce di azoto non proteico.

Il contenuto delle proteine è influenzato da:

- fattori genetici: la specie, la razza (l’indirizzo produttivo) e l’individuo (polimorfismo proteico), questi fattori hanno un’ereditabilità del 45-50%; - fattori fisiologici: l’ordine di parto, lo stadio della lattazione, gli stati

infiammatori (dovuti allo stress);

- fattori ambientali: epoca di parto, l’altitudine e i trattamenti termici;

- squilibri alimentari: sbilanciamento del rapporto energia e proteina della razione.

La quantità percentuale della proteina del latte varia meno rispetto al grasso, ma risente ugualmente del periodo della lattazione, seguendo la stessa dinamica del grasso. In generale, con il procedere della lattazione, il latte tende ad arricchirsi di caseina e proteine solubili, mentre si impoverisce di azoto non proteico.

Le caseine si classificano in αs1, αs2, β, K e rappresentano il 76-83% delle proteine presenti nel latte ovino. Si strutturano in micelle, precipitano a pH 4,6 e hanno una valenza tecnologica fondamentale nella trasformazione del latte, poiché costituiscono la matrice essenziale del formaggio (Hinrichs, 2004; Park Y.W.et alii., 2007b). Le sieroproteine sono il restante 17-22 %. Si classificano in α-lattoalbumina, β lattoglobulina, sieroalbumina, immunoglobuline. Quest’ultime sono importanti nella produzione della ricotta, in quanto residuano nel siero e precipitano per azione termica (Park Y.W et alii., 2007c).

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39 Le sieroproteine sono presenti nel latte di pecora in percentuale più elevata rispetto al latte caprino e vaccino e conferiscono al latte un alto valore biologico, essendo ricche di amminoacidi essenziali.

Le proteine del latte hanno un buon valore biologico; importante è la componente peptidica contenente sostanze proteiche con funzione nutritiva (α-lattoalbumina, β-lattoglobulina, caseine) e immunitarie (immunoglobuline, lattoferrina); contiene inoltre proteso-peptoni e proteine minori del siero, come la transferrina e le sieroalbumine. Esistono, inoltre, altri peptidi, con proprietà bioattive rilevanti, che si generano da alcune delle sostanze proteiche sopra citate, a seguito di processi idrolitici a loro carico, che avvengono nel tratto gastrointestinale, durante la digestione del latte. Questi peptidi possono essere suddivisi in base alle loro proprietà: esistono peptidi ad azione antimicrobica (lattoferrina, k-caseina) e altri che sono in grado di interagire a vari livelli con il metabolismo animale ed umano (lattorfina, casochinina); tra questi ultimi, alcuni si dimostrano efficaci nel combattere l’ipertensione, altri nel combattere i fenomeni trombotici, altri ancora in grado di modulare la risposta immunitaria.

Lipidi

Il contenuto medio di grasso nel latte ovino è del 6%.

Le biosintesi dei lipidi contenuti nel tessuto adiposo e nel grasso del latte interessa sia gli acidi grassi che derivano dalla dieta sia quelli sintetizzati de novo a partire dall'acetato.

I grassi sono costituiti per il 98% da trigliceridi, prodotti di esterificazione della glicerina con acidi grassi, sintetizzati a livello del citoplasma delle cellule alveolari, e per il restante 1-2% da fosfolipidi, steroli ed altre sostanze liposolubili (Secchiari et al., 2002).

Gli acidi grassi si classificano in base alla lunghezza della colonna carboniosa, o alla presenza di catene lineari o ramificate: saturi, monoinsaturi, polinsaturi, al numero, alla posizione o alla configurazione spaziale dei doppi legami (cis e trans). Circa il 70% degli acidi grassi presenti nel latte sono a catena corta, cosiddetti saturi (SFA), sintetizzati a livello della mammella. Sono presenti anche acidi grassi monoinsaturi (MUFA) ad azione anti-eterogena e gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) ad azione cellulare. Questi ultimi due gruppi sono presenti in quantità più limitata, a causa dell’idrogenazione che subiscono a livello ruminale, dove avviene la trasformazione

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40 in acidi grassi saturi. La riduzione degli acidi grassi polinsaturi nel rumine è tra il 60 e il 90%.

Gli acidi grassi più rappresentati sono l’acido palmitico e l’acido oleico (25% e 20%). Una particolarità del latte ovino è la sua ricchezza in acidi a catena medio-corta, in particolare l’acido caprinico (C10:0) e caprilico (C8:0), che sono presenti in misura maggiore rispetto al latte di vacca, dando il sapore caratteristico dei formaggi ovini (Alonso et al., 1999; Goudjil et al., 2004; Park et al., 2007d). Un altro gruppo di acidi grassi che caratterizzano il latte ovino è quello degli isomeri coniugati dell’acido linoleico, presenti nel latte di tutti i ruminanti, ma di cui è particolarmente ricco il latte di pecora. Gli acidi grassi a catena corta e media (C4-C16) sono sintetizzati ex-novo dalla ghiandola mammaria, a partire dall’acetato e dal β-idrossibutirrato prodotti dalle fermentazioni dei carboidrati ad opera dei microrganismi presenti nel rumine (M.Peaker, 1977).

Gli acidi grassi a catena lunga (C>18), già preformati nel sangue, sono captati direttamente dalla mammella e possono provenire sia dagli alimenti che dalla mobilizzazione delle riserve lipidiche corporee.

I globuli di grasso del latte ovino hanno un diametro medio relativamente più piccolo rispetto a quelli del latte vaccino; hanno però un peso specifico minore del latte magro, così tendono ad aggregarsi e ad affiorare spontaneamente nel latte lasciato a riposo, formando uno strato superficiale di crema.

Si presentano sotto forma di globuli dal diametro di circa 3,5-4 µm, la cui grandezza e quantità influiscono sul metabolismo dei lipidi e sulla digeribilità del latte (Park, 2006a; Park et al., 2007b).

I lipidi rappresentano la componente del latte più variabile. Si osserva infatti una diminuzione della percentuale di grasso nella fase in cui la produzione di latte aumenta, e ciò avviene nel primo periodo dopo il parto, viceversa, nella coda di lattazione, quando la quantità di latte diminuisce progressivamente, la percentuale di grasso aumenta. Differenze si verificano anche tra il latte della mungitura mattutina e quello serale, quest’ultimo solitamente risulta più grasso.

Anche nel corso della stessa mungitura, il primo latte è più magro ed il grasso si concentra in quello degli ultimi getti. Questo parametro è inoltre fortemente condizionato da molti altri fattori genetici ed ambientali; è nota la differenza tra razze, ma anche all’interno della stessa razza vi sono pecore con caratteristiche migliori di altre. Tuttavia, l’ereditabilità è più bassa delle proteine, circa il 30-35% per il latte

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