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Il sistema nervoso autonomo nell’ipnosi

1. INTRODUZIONE

1.2 L’IPNOSI

1.2.4 Il sistema nervoso autonomo nell’ipnosi

Ci sono alcune evidenze che mostrano una relazione tra la suggestionabilità ipnotica e i cambiamenti che si verificano nel sistema nervoso autonomo durante l’ipnosi (De Benedittis et al., 1994; Gruzelier et al., 1984; Gruzelier & Brow, 1985). Infatti l’ipnosi, insieme alla meditazione, è da sempre considerata una condizione caratterizzata da una riduzione del tono simpatico ed un incremento dell’attività parasimpatica o da stati fisiologici paragonabili alle risposte al rilassamento in cui l’attività parasimpatica predomina su quella simpatica (Benson et al., 1981; Gellhorn & Kiely, 1972). Analizzare i cambiamenti che avvengono a livello del sistema nervoso autonomo (SNA) durante l’ipnosi diviene quindi fondamentale per meglio comprendere la natura e l’entità del fenomeno ipnotico e per identificare i meccanismi sottesi all’effetto dell’ipnosi in differenti condizioni mediche (Kekecs et al., 2016). Indagini fisiologiche condotte sull’ipnosi (Barber & Hahn, 1963; Bauer & McCanne, 1980; Crasilneck & Hall, 1960) hanno mostrato come questa si associ, almeno in parte, ad un decremento della frequenza cardiaca, della frequenza respiratoria e della pressione sanguigna, suggerendo un coinvolgimento del SNA e, in particolar modo, del sistema nervoso parasimpatico.

L’ipnosi induce alterazioni nel sistema nervoso autonomo sia in condizioni acute (Calvert et el., 2000) che croniche (Gonsalkorale et al., 2003; Calvert et al., 2000). L’heart rate variability (HRV), definita come fluttuazione del ritmo sinusale influenzata da fattori sia interni che esterni al corpo (Kristal-Boneh et al., 1995), rappresenta un eccellente strumento per misurare le alterazioni cardiache autonome acute che si verificano durante l’ipnosi (Von Hippe et al., 2001). Diversi studi hanno valutato gli effetti dell’ipnosi sull’heart rate e sul controllo cardiovascolare utilizzando come strumento l’HRV e hanno riportato risultati spesso contraddittori:

alcuni hanno mostrato un incremento della modulazione del sistema parasimpatico durante l’ipnosi (De Benedittis et al.,1994; Sakakibara, Takeuchi, & Hayano, 1994), altri non hanno evidenziano alcuna variazione del sistema parasimpatico correlato all’ipnosi (Ray et al., 2000), altri ancora hanno riportato una riduzione della modulazione del sistema simpatico, ma senza un conseguente incremento della modulazione del parasimpatico (Von Hippe, Hole & Kaschka, 2001). L’HRV è uno strumento usato per determinare markers inerenti la modulazione autonomica e offre informazioni preziose sul controllo parasimpatico (vagale) e simpatico della frequenza cardiaca (Aubert et al., 2009). La frequenza cardiaca misurata istante per istante rappresenta il risultato di numerose influenze sul centro vagale e simpatico. Variazioni cicliche della frequenza cardiaca sono associate alla respirazione; infatti l’HRV si mostra accelerata durante l’ispirazione mentre decelera durante l’espirazione. Questo fenomeno è detto aritmia sinusale (Aubert et al., 2009). Una misura della risposta all’ipnosi da parte del sistema nervoso autonomo può essere ottenuta tramite l’HRV (Diamond et al., 2007). Diverse ricerche hanno mostrato che l’ipnosi ha effetti sulla regolazione del sistema nervoso autonomo e sull’ heart rate variability (HRV) inducendo un aumento del tono parasimpatico e una diminuzione del tono simpatico. L’incremento dell’attività del sistema parasimpatico si traduce in un rallentamento delle pulsazioni, alterazioni della respirazione e leggera sudorazione.

Alcuni autori hanno suggerito che la reattività della componente parasimpatica del sistema nervoso autonomo che si riflette nell’HRV potrebbe rappresentare una misura quantitativa della profondità ipnotica (Boselli et al., 2018; Diamond et al., 2007). Diamond e colleghi (2007), studiando la relazione tra profondità ipnotica e alcuni parametri dell’HRV, hanno trovato una relazione lineare significativa tra la profondità ipnotica e la componente ad alta frequenza dell’HRV. Hanno quindi suggerito che la

reattività della componente parasimpatica del sistema nervoso autonomo che si riflette nel HRV possa diventare una misura quantitativa della profondità ipnotica in tempo reale.

In vista delle numerose controversie riscontrate in letteratura, Aubert e colleghi (2009) hanno voluto verificare l’ipotesi di una modificazione del sistema autonomo ed in particolare hanno valutato un eventuale incremento del tono vagale durante l’ipnosi, confrontata con una condizione di baseline attraverso il monitoraggio della frequenza cardiaca. Il risultato principale che è emerso da questo studio è stato un cambiamento tra il prevalere dell’attività del sistema parasimpatico durante l’ipnosi rispetto alla condizione di rilassamento in assenza di cambiamenti della frequenza cardiaca. In questo studio non si è quindi evidenziata una differenza statisticamente significativa tra la condizione di baseline (ovvero di rilassamento) e l’ipnosi per quanto riguarda la frequenza cardiaca. Questi risultati non confermano i risultati attesi, ovvero che l’ipnosi, caratterizzata da una risposta di rilassamento, provochi un decremento della frequenza cardiaca. Emdin et al. (1996) hanno presentato risultati che confermano quest’ultimo dato: essi hanno infatti osservato un decremento della frequenza cardiaca durante l’ipnosi in contrapposizione a quanto registrato durante la condizione di baseline. Una possibile interpretazione di ciò è che il rallentamento della frequenza cardiaca raggiunge il suo apice durante la condizione di rilassamento che ha una durata di 10 minuti per permettere al soggetto di familiarizzare con il setting dello studio sperimentale. Pertanto i cambiamenti della frequenza cardiaca durante l’ipnosi, comparati con la condizione di rilassamento, sono perlopiù dovuti all’ipnosi e non riflettono l’incremento delle risposte di rilassamento, come dimostrato da una frequenza cardiaca invariata. Santarcangelo e colleghi (2008), hanno mostrato una differenza nella modulazione della frequenza cardiaca tra alta e bassa suscettibilità

ipnotica, suggerendo una differenza nel meccanismo del controllo autonomico. Anche gli studi condotti da De Pascalis et al. (1998), Gemignani et al. (2000) e Von Hippel et al. (2001) hanno dimostrato che le procedure di induzione ipnotica non producono un decremento della frequenza cardiaca.

I risultati riportati in letteratura sono a volte discordanti e per questo continua ad esserci un grande dibattito riguardo gli effetti dell’ipnosi sul sistema nervoso autonomo. Generalmente l’ipnosi è stata considerata una condizione caratterizzata da una riduzione del tono simpatico e un incremento dell’attività del sistema parasimpatico o uno stato fisiologico paragonabile alle risposte che si hanno durante il rilassamento (De Benedittis et al., 1994). Quindi l’attività cardiaca viene significativamente modificata durante l’ipnosi e questo comporta uno spostamento dell’equilibrio del sistema simpatico-vagale verso un incremento della modulazione del sistema parasimpatico, ed una conseguente riduzione del tono simpatico, ma senza che vi sia un concomitante cambiamento della frequenza cardiaca (Aubert et al., 2009). Un numero considerevole di studi e una recente review hanno sostenuto che l’ipnosi incrementi l’attività del sistema nervoso parasimpatico (Aubert et al., 2009; De Benedittis et al., 1994; Diamond et al., 2007; van der Kruijs et al., 2014; VandeVusse et al., 2010) e questo sarebbe dovuto, almeno in parte, al suo effetto rilassante (Sakakibara et al., 1994). Kekecs e colleghi (2016) hanno condotto uno studio da cui è emerso che l’ipnosi diminuisce il tono del sistema nervoso simpatico ed anche il livello di conduttanza cutanea; hanno quindi riscontrato una minor attività elettrodermica tonica. Al contrario la suggestionabilità ipnotica sembra non moderare i cambiamenti che si rilevano a livello del sistema nervoso autonomo. Le loro scoperte forniscono ulteriori prove a favore del fatto che l’induzione ipnotica sia in grado di suscitare risposte fisiologiche qualitativamente diverse rispetto a quelle elicitate da una

condizione di rilassamento. I risultati indicano che l’ipnosi riduce l’attività tonica del sistema nervoso simpatico, il che potrebbe spiegare perché questa è efficace nel trattamento di disturbi che presentano un forte coinvolgimento del sistema nervoso simpatico, come nel caso dell’artrite reumatoide, delle vampate di calore, ipertensione e dolore cronico. Questi dati trovano riscontro in ricerche precedenti (Hippel et al., 2001) le quali hanno concluso che l’ipnosi, quando viene confrontata a condizioni di rilassamento, comporta una riduzione dell’attività del sistema simpatico, ma non ha effetti sul sistema parasimpatico. Queste evidenze tuttavia non ritrovano un riscontro univoco in tutti gli studi che sono stati condotti in merito (De Pascalis & Perrone, 1996; Gemignani et al., 2000; Hippel et al., 2001; Ray et al., 2000). Alcune ricerche hanno ottenuto risultati contrastanti circa l’influenza dell’ipnosi sull’attività del sistema nervoso simpatico (SNS) infatti alcuni studi mostrano un decremento dell’attività del SNS durante l’ipnosi (Aubert et al., 2009; De Pascalis & Perrone, 1996; De Benedittis et al., 1994; Griffiths et al., 1989; Gruzelier et al., 1984; Gruzelier & Brow, 1985; Hippel et al., 2001) mentre altre non hanno evidenziato alcuna variazioni del SNS (Diamond, 1984; Edmonston, 1968; Gruzelier et al., 1988). Tali divergenze per lo più sono da attribuirsi a differenze metodologiche. Primo fra tutti il fatto che diversi studi tipicamente utilizzano induzioni ipnotiche basate sul rilassamento. Lo stato di rilassamento indotto da questo tipo di suggestione potrebbe incrementare l’attività del sistema nervoso parasimpatico (Sakakibara et al., 1994). Dunque, al fine di studiare gli specifici effetti dell’ipnosi che vanno al di là del rilassamento, diversi studi utilizzano come condizione di controllo baseline uno stato di rilassamento. La durata e il tipo di condizione di controllo, e di conseguenza l’intensità del rilassamento, mostrano differenze sostanziali nei diversi studi. Pertanto alcuni risultati inerenti l’incremento dell’attività del parasimpatico potrebbero essere attribuiti agli effetti

indotti dal rilassamento. In secondo luogo un altro motivo di discordanza è dato dalla molteplicità di strumenti che vengono utilizzati nelle diverse ricerche per misurare il sistema nervoso autonomo e le conseguenti differenti interpretazioni. Diversi studi hanno valutato i cambiamenti del sistema autonomo utilizzando la conduttanza cutanea (EDA) e HRV per misurare l’attività del sistema nervoso simpatico e parasimpatico ((Billman, 2013; Boucsein et al., 2012; Fowles, 1986; Lidberg & Wallin, 1981; Malik et al., 1996). Tuttavia mentre la conduttanza cutanea e una forte intensità dell’HRV sono importanti indicatori della misura dell’attività del sistema nervoso simpatico e del tono vagale (Billman, 2013; Boucsein et al., 2012; Fowles, 1986; Lidberg & Wallin, 1981; Malik et al., 1996), l’interpretazione di altri parametri dell’HRV sono dibattuti ancora oggi. Nello specifico diversi studi utilizzano la componente della bassa frequenza dell’HRV o il potere del rapporto tra la bassa frequenza e l’alta frequenza per valutare l’attività del sistema nervoso simpatico e dell’equilibrio tra l’attività del simpatico e del parasimpatico. Tuttavia l’intensità della bassa frequenza sembra essere influenzata dagli effetti del simpatico, del parasimpatico e di altri fattori (Randall et al., 1991), rendendo così l’interpretazione di tali parametri dubbiosa (Billman, 2013).

1.3 SEZIONE SPERIMENTALE

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