• Non ci sono risultati.

Attività vegetativa dello stato ipnoidale in condizioni di stress e rilassamento

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Attività vegetativa dello stato ipnoidale in condizioni di stress e rilassamento"

Copied!
113
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica

Corso di Laurea in Psicologia Clinica e della Salute

Tesi di Laurea

“ATTIVITA’ VEGETATIVA DELLO STATO IPNOIDALE IN CONDIZIONI DI STRESS E RILASSAMENTO”

Anno Accademico 2017/2018 Relatore:

Prof.ssa Antonella Ciaramella Controrelatore:

Dott. Marco Scarselli

Candidata:

(2)

INDICE GENERALE:

RIASSUNTO

1. INTRODUZIONE ... 1

1.1 IL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO ... 1

1.1.1 Fisiologia ... 1

1.1.2 Condizioni patologiche associate a disfunzioni del sistema nervoso autonomo. 8 1.1.3 “Body awareness” e “autonomic reactivity”... 14

1.1.4 La teoria Polivagale di Porges ... 16

1.2 L’IPNOSI ... 23

1.2.1 Definizione dell’ipnosi: dalle origini ad oggi ... 23

1.2.2 Basi neurofisiologiche dell’ipnosi ... 37

1.2.3 Efficacia dell’ipnosi in ambito clinico ... 39

1.2.4 Il sistema nervoso autonomo nell’ipnosi ... 41

1.3 SEZIONE SPERIMENTALE ... 47 1.3.1 Ipotesi ... 47 1.3.2 Scopo ... 48 2. METODO ... 48 2.1 Partecipanti ... 48 2.2 Procedure ... 49 2.3 Misure ... 49

(3)

2.5 Strumenti ... 53

2.5.1 “The Phenomenology of Consciousness Inventory (PCI)” (Pekala,1982). ... 53

2.5.2 “Body Perception Questionnaire: Short Form (BPQ)” (Porges, 1995; 2011). 57 2.5.3 Valutazione strumentale del SNV... 58

2.6 Analisi statistiche ... 60

3. RISULTATI... 61

4. DISCUSSIONE ... 86

5. CONCLUSIONI ... 89

(4)

RIASSUNTO

Al giorno d’oggi l’ipnosi rappresenta un fenomeno complesso che vede il suo utilizzo sia in ambito sperimentale che in campo clinico e viene utilizzata nel trattamento di numerosi disturbi psicologici come la depressione, l’ansia o lo stress (Schoenberg, 2000; Kiecolt-Glaser et al., 2001; Hammond, 2010), ma anche disturbi medici come nel caso del trattamento del dolore (Kirsch, 1994; Patterson & Jensen 2003; Elkins et al., 2007; Kramer et al., 2014). Essa è definita come uno stato di coscienza che implica un’attenzione focalizzata e una ridotta consapevolezza periferica oltre ad essere caratterizzata da un’elevata capacità di rispondere alle suggestioni. Rispetto al passato sempre maggiori evidenze scientifiche supportano le applicazioni cliniche dell’ipnosi anche se ancora non è ancora del tutto chiara la sua natura e funzionamento, così come il suo impatto sulle percezioni, sulla memoria e sulla fisiologia.

Il presente studio si propone di indagare la risposta del sistema vegetativo in una condizione di rilassamento ed una di stress in un particolare stato di coscienza detto ipnoidale. Il raggiungimento di questo stato di coscienza infatti si è dimostrato essere associato all’attività terapeutiche non solo dell’ipnosi, ma anche di altre condizioni, come il rilassamento progressivo o la respirazione addominale profonda, in cui si raggiunge un certo grado di rilassamento.

Hanno partecipato allo studio 52 soggetti volontari reclutati presso il Centro di Medicina Psicosomatica, Istituto GIFT di Medicina Integrata di Pisa. L’attività del sistema vegetativo è stata monitorata a riposo, in risposta ad uno stimolo stressante e dopo una suggestione di rilassamento (o B, S, R), oltre che attraverso un questionario che misura la consapevolezza corporea (Porges, 1995) mediante la consapevolezza della reattività del sistema nervoso autonomo. Dopo la registrazione della resistenza tonica (GRST), fasica (GRSF) e della frequenza cardiaca (FC) nelle tre condizioni (B, S, R) è stato somministrato il questionario

(5)

per la valutazione del stato ipnoidale all’induzione ipnotica di rilassamento somministrata (Pekala et al., 1986). Le analisi eseguite hanno mostrano che vi è una correlazione statisticamente significativa tra l’Hypnoidal State Scores (HSS) e la reattività sovradiaframmatica, misurata tramite il questionario di Porges (1995). Questo dato è interessante in quanto, secondo la teoria polivagale di Porges la reattività sovradiaframmatica è legata all'attività del sistema parasimpatico filogeneticamente più evoluto e prosociale. Rispetto alla letteratura, non è stata trovata una relazione con il SNV, ed in particolare con il sistema nervoso parasimpatico misurato attraverso l’attività elettrodermica (GRST e GRSF), mentre questa relazione la si è evidenziata unicamente attraverso la consapevolezza corporea valutata mediante il questionario di Porges (1995).

Parole chiave: ipnosi, stato ipnoidale, suscettibilità ipnotica, sistema vegetativo, heart rate variability

(6)

1. INTRODUZIONE

1.1 IL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO 1.1.1 Fisiologia

Il sistema nervoso autonomo (SNA), anche detto sistema nervoso vegetativo, è la componente del sistema nervoso deputata al controllo delle funzioni viscerali del corpo e alla regolazione degli organi interni. L’aggettivo autonomo sta ad indicare il fatto che la regolazione si verifica in modo automatica (Porges, 2011) e che quindi il funzionamento di tale sistema avviene a livello subcosciente. Il SNA è infatti costituito da reti di neuroni che funzionano in maniera indipendente dalla volontà del soggetto e dalla consapevolezza.

Tale sistema innerva la muscolatura liscia, cardiaca, le ghiandole e regola i processi viscerali di cui fanno parte le funzioni d’organo come l’attività cardiaca e quella digestiva, ma regola altresì il metabolismo e la termoregolazione. È infatti costituito da neuroni motori e sensitivi che sono variamente distribuiti nel SNC e in numerosi organi quali il cuore, i polmoni, i visceri, la midollare del surrene e le ghiandole esocrine. Tradizionalmente si suddivide in sistema nervoso simpatico e sistema nervoso parasimpatico, i quali si differenziano in base alle caratteristiche anatomiche, ai neurotrasmettitori utilizzati ed al tipo di effetti indotti sugli organi bersaglio (Langley, 1921; Wenger, 1966).

Parte importante del sistema nervoso autonomo è il sistema nervoso enterico localizzato nell’apparato gastrointestinale. Esso è principalmente controllato da strutture del tronco encefalico, come il nucleo del tratto solitario, e a livello centrale dal sistema limbico e dall’ipotalamo. Quest’ultima struttura cerebrale svolge un ruolo particolarmente importante nel controllo del SNA in quanto riceve informazioni

(7)

sensitive viscerali e le confronta con valori di riferimento; in caso di deviazione da essi induce modificazioni viscerali atte a ristabilire l’omeostasi dell’organismo.

Il SNA viene controllato dall’ipotalamo tramite vie nervose dirette ai neuroni parasimpatici del nucleo motore dorsale del vago e ai neuroni simpatici pregangliari del midollo spinale (Langley, 1921; Wenger, 1966).

Il significato funzionale dell’azione del SNA si iniziò a delineare nei primi decenni del ‘900 quando Walter B. Cannon (1929), sviluppando il concetto di omeostasi, una serie di processi atti a mantenere costanti le condizioni ideali al funzionamento dell’organismo, evidenziò come essa dipenda da un equilibrio fra l’azione del sistema ortosimpatico, del parasimpatico e dall’attività di controllo svolto dall’ipotalamo. Si è così individuata la principale funzione del SNA che è quindi quella di controllare l’omeostasi dell’organismo.

Il sistema nervoso ortosimpatico, anche detto sistema simpatico, è formato da fibre autonome che originano dai segmenti a livello del torace, lombari e del midollo spinale. Il corpo cellulare del neurone pregangliare del sistema nervoso simpatico è localizzato nella colonna intermedio-laterale della sostanza grigia spinale che si estende dalla regione toracica a quella lombare. Dai neuroni pregangliari originano fibre nervose mieliniche che, una volta lasciato il midollo spinale, decorrono nei nervi spinali e vanno a formare poi piccoli fasci diretti ai gangli che sono situati in prossimità del midollo spinale. Le fibre del sistema ortosimpatico sono fibre noradrenergiche, a differenza di quelle del parasimpatico che sono colinergiche e sinaptano con recettori muscarinici periferici. Tuttavia come per le fibre parasimpatiche i neuroni pregangliari del sistema simpatico liberano come mediatore acetilcolina (Ach); questa provoca l’insorgenza dei potenziali d’azione nei neuroni postgangliari, noradrenergici, che, a loro volta, liberano noradrenalina che può avere funzione eccitatoria o inibitoria a

(8)

seconda del tipo di cellula sulla quale viene liberata. Le due catecolamine, adrenalina e noradrenalina agiscono in seguito al legame che si forma con recettori di membrana detti recettori adrenergici. I recettori post-gangliari delle fibre ortosimpatiche in alcuni casi sono localizzati all’interno dei gangli, mentre in altri si trovano direttamente a livello periferico dove si portano a livello della midollare del surrene. Questi recettori, in base alle loro caratteristiche strutturali e funzionali, si suddividono in recettori , sensibili sia all’adrenalina, che alla noradrenalina, ma con maggior risposta per la noradrenalina, e recettori , sensibili sia all’adrenalina che alla noradrenalina, ma con maggior affinità per l’adrenalina (Carbone et al., 2018; Midrio et al., 2009).

La funzione principale del sistema simpatico è quella di preparare l’organismo alle reazioni di lotta o di difesa; la sua attivazione è infatti mediata da risposte fisiologiche a situazioni di emergenza. Per questo motivo gli effetti che si evidenziano in risposta a situazioni in cui i soggetti si trovano a far fronte a situazioni stressanti o di pericolo sono, ad esempio, l’incremento della gittata cardiaca, vasocostrizione cutanea con il conseguente aumento della pressione arteriosa, deviazione del flusso sanguigno diretto alla pelle e ai visceri con conseguente vasodilatazione e aumento del flusso di sangue diretto ai muscoli volontari, cuore, cervello. Si evidenziano anche broncodilatazione con aumento della ventilazione polmonare che permette di avere una miglior ossigenazione dei tessuti, attivazione del SNC, dilatazione pupillare, aumento della sudorazione, della glicemia e del metabolismo energetico. Il sistema simpatico infatti stimola la glicolisi nel fegato e inibisce la contrazione della vescica e del retto. Tutte queste reazioni caratterizzano quella che comunemente viene definita come la risposta di “attacco o fuga” (fight or flight).

Il sistema nervoso parasimpatico è formato da fibre autonome che originano dal tronco cerebrale lungo i nervi cranici e dai segmenti craniali del midollo spinale. La

(9)

maggior parte delle fibre parasimpatiche ha origine da neuroni del nucleo motore dorsale del vago e del nucleo ambiguo che sono situati nel bulbo. Queste fibre terminano nei gangli che si trovano all’interno della parete degli organi effettori. Dalle cellule gangliari originano le fibre postgangliari che si distribuiscono a cuore, polmoni e a numerosi organi dell’apparato grastrointestinale. Per tale motivo il sistema parasimpatico è principalmente coinvolto nelle reazioni anaboliche che hanno l’obiettivo di ripristinare le risorse energetiche dell’organismo e svolge un’azione antagonista al sistema simpatico che è responsabile delle reazioni cataboliche promuovendo l’utilizzo dell’energia al fine di superare situazioni di pericolo (Midrio et al., 2009). La sua attivazione ha quindi lo scopo di riportare le funzioni dell’organismo a livello normale quando queste sono state alterate in seguito all’attivazione del sistema simpatico. Tale sistema svolge infatti un’attività opposta a quella svolta dal sistema simpatico in quanto determina un rallentamento dell’attività cardiaca, abbassamento della pressione arteriosa, miosi, ovvero costrizione della pupilla, incremento del flusso ematico nella cute e nei visceri e incremento dell’attività peristaltica del tratto gastroenterico. Inoltre esercita un controllo inibitorio tonico sul cuore e favorisce lo svolgimento delle funzioni vegetative.

Il principale neurotrasmettitore del parasimpatico è l’acetilcolina (Ach) che viene rilasciata in seguito alla stimolazione del nervo vago e che ha funzione eccitatoria o inibitoria a seconda del tipo di tessuto e della natura dei recettori con i quali si lega. I recettori colinergici, sensibili all’Ach, a seconda delle sostanze che vi si legano, possono essere nicotinici, quindi sensibili alla nicotina e presenti a livello gangliare, o muscarinici, sensibili ad una sostanza denominata muscarina e situati in prossimità degli organi bersaglio (Midrio, 2009). È stato dimostrato che la somministrazione di curaro, un estratto vegetale usato come anestetico, va a bloccare i recettori nicotinici

(10)

che si trovano anche a livello delle fibre muscolari, ma non blocca i recettori muscarinici del sistema parasimpatico. Questo deve essere tenuto in considerazione quando si fa una sedazione durante la quale si va a bloccare l’attività muscolare determinando rilassamento muscolare ed è molto importante in quanto fa capire il fatto che, anche se si è sotto anestesia, le funzioni vegetative continuano a funzionare in quanto vengono coinvolti recettori diversi.

Il sistema più studiato del sistema parasimpatico è il sistema vagale. Il vago è il decimo nervo cranico, il suo corpo cellulare si trova a livello del tronco encefalico e le sue fibre si portano a livello dei gangli tra cui il ganglio nodoso o il ganglio giugulare. I nuclei del vago sono il nucleo dorsale vagale e il nucleo ambiguo, che sono nuclei motori, e il nucleo del tratto solitario che coordina invece le attività viscerali (Porges, 2011). La psicofisica, ovvero la scienza che mette in connessione la risposta psicologica dell’individuo con una stimolazione periferica, ha contribuito a valutare la relazione che intercorre tra sistema parasimpatico-ortosimpatico e l’attività cardiaca (Midrio et al., 2009). Fino ad ora è stato studiato in maniera preponderante il nucleo motore dorsale del vago in quanto sembrava fondamentale per l’attivazione di alcune cellule localizzate a livello cardiaco dette “pacemaker” poiché determinano l’inizio del battito cardiaco, come per esempio le cellule del nodo senoatriale. Il nucleo motore dorsale del vago e le fibre del sistema ortosimpatico agiscono sul nodo senoatriale e atrioventricolare. Le fibre del sistema ortosimpatico sono fibre cronotrope positive, cioè aumentano la frequenza del battito cardiaco determinando tachicardia. Le fibre del sistema vagale sono invece cronotropo negative: riducono il battito cardiaco determinando bradicardia. Le fibre simpatiche e parasimpatiche non solo vanno ad agire a livello cardiaco sul ritmo del cuore, ma agiscono anche sulla spinta cardiaca (sono inotrope positive o inotrope negative) oltre che sui barocettori,

(11)

recettori che si ritrovano a livello dei vasi e che valutano gli ioni presenti all’interno del sangue. Esse riescono quindi a modulare la vasocostrizione e la vasodilatazione.

Sebbene il sistema simpatico incrementi la frequenza cardiaca ed il sistema parasimpatico la diminuisca per mezzo del vago, (la principale componente neuronale del sistema nervoso parasimpatico), un’elevata heart rate (HR) può essere interpretata come una manifestazione dell’equilibrio autonomico che promuove un’eccitazione del sistema simpatico. Di contro una bassa heart rate potrebbe essere interpretata come un bias verso un’eccitazione del sistema parasimpatico (Bernston et al., 1997; Houtveen et al., 2002; Lehrer & Gevirtz, 2014; Malik et al., 1996).

I principali organi effettori del SNA sono il cuore, i polmoni, numerose ghiandole, l’apparato gastrointestinale, il tessuto adiposo, la vescica e l’occhio. Tutti questi organi sono innervati sia dal sistema nervoso simpatico che da quello parasimpatico; essi solo in rari casi cooperano nello svolgimento di una stessa funzione, mentre nella maggior parte delle situazioni esercitano un’azione antagonista, provocando effetti opposti. Nonostante ciò i due sistemi complessivamente collaborano al fine di garantire un funzionamento dell’organismo efficace e adattivo di fronte alle varie situazioni a cui deve far fronte una persona nella vita quotidiana.

Entrambi i sistemi presentano un livello basale di attività che viene definito “tono” ed operano un controllo continuo sull’attività degli organi effettori e un conseguente incremento o decremento del tono basale che consente quindi di aumentare o ridurre l’attività dello specifico organo innervato.

Va sottolineato come il grado di attivazione del sistema simpatico e di quello parasimpatico sia determinato da stimoli sensoriali di varia natura. Un’importante differenza per quanto riguarda le modalità di attivazione dei due sistemi consiste nel fatto che il sistema simpatico ha un’azione generalizzata sull’intero organismo a

(12)

differenza del sistema parasimpatico che esercita invece effetti circoscritti a singoli organi o a singoli apparati (Midrio et al., 2009). Questo è dovuto al fatto che i gangli ortosimpatici sono situati in prossimità del SNC, vicino al midollo spinale, e le fibre pregangliari ortosimpatiche sono brevi, a differenza di quelle postgangliari che sono lunghe e riescono quindi a raggiungere distretti anche lontani. Nel sistema parasimpatico invece i gangli sono localizzati in prossimità dell’organo effettore e spesso si trovano all’interno della parete stessa dell’organo. In questo sistema quindi, a differenza di quello simpatico, le fibre pregangliari sono lunghe, mentre quelle postgangliari sono molto corte e riescono quindi ad innervare unicamente un’area ristretta. La diversa lunghezza delle fibre pregangliari e postgangliari comporta il fatto che le risposte mediate dal sistema parasimpatico sono più veloci in quanto le fibre pregangliari, oltre ad essere lunghe, sono mielinizzate e quindi conducono gli impulsi a velocità maggiore rispetto alle fibre postgangliari corte e amieliniche (Midrio et al., 2009).

Dal momento che la maggior parte degli organi nei visceri riceve afferenze sia dal sistema simpatico che dal parasimpatico, la regolazione del sistema nervoso autonomo è bilanciata affinché vi sia un equilibrio tra i due sistemi. L’equilibrio autonomico è un costrutto che identifica l’equilibrio tra la componente simpatica e quella parasimpatica del sistema nervoso autonomo (Porges, 2011). Alcune ricerche affermano che uno sbilanciamento del SNA possa anche essere alla base del manifestarsi di disturbi psichiatrici o del comportamento (Cerutti et al., 1988).

(13)

1.1.2 Condizioni patologiche associate a disfunzioni del sistema nervoso autonomo.

Dal momento che il SNA innerva numerosi organi interni, un suo malfunzionamento può comportare l’insorgenza di alcune patologie mediche o anche psichiatriche. Infatti un suo squilibrio, ed in particolare il prevalere dell’attività del sistema nervoso simpatico, è considerato un fattore scatenante in diverse condizioni patologiche, come i disturbi mentali, l’ipertensione arteriosa o l’insufficienza cardiaca (Cerutti et al., 1988).

Il SNA regola diversi processi corporei tra cui la pressione arteriosa e la frequenza respiratoria. Le variazioni della frequenza cardiaca sono fortemente influenzate dalla respirazione; tali variazioni sono comunemente incluse come covarianti nelle analisi statistiche che mettono in relazione lo stress con i cambiamenti dell’heart rate variability, (HRV) (Berntson et al., 1997). L’aritmia sinusale è uno dei meccanismi principali che sono all’origine dell’HRV, cioè la variabilità che si evidenzia tra intervalli consecutivi dei battiti cardiaci, ed è nota per essere un indice dell’attività parasimpatica cardiaca; solitamente la HRV tende a decrescere in presenza di stress psicologici acuti (Houtveen et al., 2002).

Sia il sistema nervoso simpatico che quello parasimpatico sono coinvolti nella regolazione degli stati dolorosi (Tracy et al., 2016). L’attività dei due sistemi autonomici sembra essere alterata nel dolore cronico (Barakat et al., 2012; Cohen et al., 2000; Maletic & Raison 2009); questa perturbazione nell’equilibrio autonomico può essere misurata attraverso la valutazione dell’HRV (Tracy et al., 2016). Il dolore cronico diffuso (CWP) è uno dei sintomi cardini della fibromialgia, cioè quella condizione in cui il dolore ha una durata uguale o superiore a 3 mesi, e si manifesta al di sopra e al di sotto della vita, sul lato destro e sinistro del corpo (Wolfe et al., 1990).

(14)

Si tratta di una condizione molto diffusa ed invalidante e che ha un grande impatto sulla vita dell’individuo (Elliott et al., 1999). Le modalità di trattamento includono sia interventi di tipo farmacologico che di tipo psicoterapico; tuttavia in entrambi i casi si tratta di interventi che hanno un’efficacia moderata (Garcia-Campayo et al., 2008). Una miglior conoscenza dei fattori di rischio e dei meccanismi che sono alla base dello sviluppo e del mantenimento del dolore cronico diffuso è fondamentale al fine di identificare quelli che sono i target di interventi preventivi e trattamenti più efficaci. Uno dei possibili fattori di rischio del CWP è la disregolazione nel sistema nervoso autonomo (Barakat et al., 2012). Recenti evidenze indicano un’associazione tra una disfunzione del SNA e la presenza di dolore cronico diffuso (Cohen et al., 2000). Una review di Maletic e Raison (2009) ha concluso che la disregolazione del sistema nervoso autonomo, caratterizzato dall’incrementata attività del sistema simpatico e/o il decremento del tono parasimpatico, svolge un ruolo fondamentale nell’esordio e nel mantenimento della sensibilizzazione centrale nel circuito corticolimbico. A sua volta la sensibilizzazione centrale, ovvero quel processo caratterizzato da un’ipersensibilità generalizzata del sistema somatosensoriale, predispone gli individui allo sviluppo del dolore cronico in risposta ad eventi scatenanti come anche semplici problemi quotidiani o principali eventi di vita. Diversi altri studi hanno confermato le alterazioni dell’attività del sistema nervoso autonomo in pazienti con fibromialgia (Martinez-Lavin et al., 1997; 1998). Anche in questi studi è emerso un incremento nel tono simpatico e/o un decremento dell’attività del sistema nervoso parasimpatico (Bengtsson & Bengtsson, 1988; Vaeroy et al., 1989), così come un’iporeattività del SNA in risposta a fattori stressanti (Geenen & Bijlsma, 2010). Tuttavia, sebbene questi studi suggeriscano una relazione tra attività del SNA e CWP, le evidenze di tale associazione sono ancora dubbie. Uno studio condotto da Barakat e colleghi (2012) ha

(15)

riscontrato come una bassa attivazione del sistema parasimpatico non sia associata alla presenza di dolore cronico diffuso, bensì sia in relazione con l’intensità del dolore provato da soggetti che presentano CWP. Questo risultato è alla base dell’idea che il dolore intenso si possa considerare come un fattore di stress cronico che interferisce con l’attività del parasimpatico, riducendola (Greenen & Bijlsma, 2010; Barakat et al., 2012). Sempre dallo studio di Barakat e colleghi (2012) è emerso che non c’è nessuna associazione tra la disregolazione del tono simpatico e l’intensità del dolore in soggetti con CWP e questo risultato è in linea con quanto riportano gli studi condotti su pazienti con fibromialgia (Elam et al., 1992). Pertanto lo studio di Barakat e colleghi (2012) non supporta l’idea secondo la quale il tono simpatico correlato allo stress sia un elemento chiave nel modificare l’intensità del dolore o che questa a sua volta accresca il tono simpatico.

Ci sono molti studi che riportano variazioni dell’HRV in pazienti con disturbi psichiatrici (Yeragani et al., 1994; Klein et al., 1995; Slaap et al., 2002; Prasko et al., 2004; Tonhajzerova et al., 2009; Latalova et al., 2011); in particolare questi studi riportano una riduzione dell’HRV in pazienti con disturbi mentali, specialmente in coloro che soffrono di disturbo di panico. Nell’ultimo decennio sono stati condotti una serie di studi per esaminare la funzione del sistema nervoso autonomo nei pazienti con disturbo di panico (Charney & Heninger, 1986; Stein & Asmundson, 1994). Il disturbo di panico è caratterizzato da specifici sintomi sia psicologici che fisiologici; questi ultimi sono spesso associati con l’attivazione autonomica e da questa controllati; esempi ne possono essere l’iperventilazione, le palpitazioni, i tremori, le vertigini, il dolore toracico, la sudorazione e i problemi gastrointestinali. I pazienti con disturbo di panico presentano un’elevata frequenza cardiaca basale e periodi di tachicardia che coincidono con i sintomi del panico (Freedman et al., 1985; Liebowitz et al., 1985).

(16)

Per questo motivo la maggior parte delle ricerche si è concentrata sull’attività del sistema nervoso simpatico, sostenendo l’ipotesi che questa componente del SNA possa essere iperattivata o disregolata nei pazienti con disturbo di panico (Villacres et al., 1987; Wilkinson et al., 1998). In merito a ciò si è tentato di rilevare per mezzo dell’analisi dell’HRV, anomalie fisiologiche che potrebbero essere causate da disfunzioni del vago o del sistema nervoso simpatico (Yeragani et al., 1990; Klein et al., 1995; Berntson et al., 1997). Diversi autori hanno suggerito che pazienti con disturbo di panico presentano una reattività disfunzionale del sistema nervoso autonomo e un decremento dell’heart rate variability (Klein et al., 1995; Ito et al., 1999; Prasko et al., 2004; Carney et al., 2005; Blechert et al., 2007; Latalova et al., 2010; Diveky et al., 2013). Stein e Asmundson (1994) non hanno riscontrato nessuna differenza nell’aritmia sinusale, generalmente mediata dall’attività vagale, tra pazienti con disturbo di panico e soggetti di controllo. Questa discrepanza tra i diversi studi potrebbe stare ad indicare il fatto che il predominare dell’attività simpatica non è sempre presente in pazienti con disturbo di panico (Ito et al., 1999). Invece i risultati dello studio condotto da Klein et al., (1995) supportano l’idea secondo la quale pazienti con disturbo di panico presenterebbero un’ipoattività del sistema parasimpatico, un’iperattività del sistema simpatico o uno scompenso nell’equilibrio tra i due sistemi. Tra i fattori che potrebbero contribuire a creare queste divergenze vi sono le differenze a livello della gravità della malattia o la durata di questa; infatti la maggior parte degli studi in questione ha valutato le funzioni autonomiche in pazienti che hanno sofferto per molti anni di disturbo di panico. In questo caso le disfunzioni rilevate nell’attività del sistema autonomo potrebbero essere attribuite alla cronicità del disturbo (Stein & Asmundson, 1994).

(17)

Studi su pazienti depressi hanno rilevato alti livelli di catecolamine plasmatiche e di altri marcatori tipici dell’alterazione del sistema nervoso autonomo. I risultati hanno evidenziato disfunzioni del SNA tra cui un’elevata heart rate, una bassa HRV e un’abnorme aumento della frequenza cardiaca in risposta a fattori stressanti (Carney et al., 2005).

Alcuni studi hanno dimostrato che soggetti che presentano Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) mostrano una più bassa HRV a riposo rispetto ai soggetti di controllo; i risultati suggeriscono sia un aumento del tono simpatico che di quello parasimpatico (Cohen et al., 2000).

Sebbene la schizofrenia abbia un’origine multifattoriale e la sua patogenesi non sia ancora del tutto chiara, è plausibile che un’alterazione delle funzioni del sistema nervoso autonomo si associ alla gravità e alla frequenza dei cluster sintomatologici tipici della schizofrenia (Toichi et al., 1999; Sim et al., 2004). Uno studio condotto da Fujibayashi e colleghi (2009) è andato a valutare l’attività del sistema nervoso autonomo mediante l’analisi dell’HRV in pazienti affetti da schizofrenia, confrontati con soggetti sani. Lo scopo era quello di indagare se una ridotta attività simpatico-vagale provocasse alterazioni patologiche sfavorevoli nei pazienti con schizofrenia. Gli studiosi, hanno anche esaminato una possibile associazione tra gravità psichiatrica e attività simpato-vagale per indagare la natura del sistema nervoso autonomo come possibile fattore causale della schizofrenia. I risultati hanno mostrato una potenziale associazione tra l’attività del sistema nervoso autonomo e la schizofrenia: l’attività complessiva del SNA e del sistema parasimpatico è risultata essere più ridotta nei pazienti che presentavano un livello maggiore di gravità della patologia. Gli autori (Fujibayashi et al., 2009) hanno quindi concluso che un alterato funzionamento del SNA potrebbe essere associato a diversi sintomi fisici, mentali e/o comportamentali

(18)

presenti nella schizofrenia. Inoltre hanno sottolineato come il malfunzionamento del sistema autonomo potrebbe anche indurre complicazioni sia a livello metabolico che cardiovascolare e, di conseguenza, tassi di mortalità più elevati.

Dal momento che il sistema nervoso autonomo è coinvolto in quasi tutti i processi omeostatici importanti che avvengono all’interno del corpo, la soppressione dell’attività del SNA può causare effetti avversi di vasta portata, tra cui disordini metabolici, malfunzionamento cardiovascolare e, di conseguenza, compromettere la salute delle persone (Bray, 1986). Un aumento della prevalenza dell’obesità è stato osservato a livello internazionale nei bambini di età prescolare e negli adolescenti (World Health Organization, 1998). Il sistema nervoso autonomo svolge un ruolo molto importante nella regolazione del dispendio energetico e del controllo del grasso corporeo; tuttavia la misura in cui il SNA contribuisce a causare obesità in età pediatrica rimane ancora sconosciuto (Nagai et al., 2003). Nagai e colleghi (2003) hanno condotto uno studio con lo scopo di valutare se l’attività del sistema simpatico e/o di quello parasimpatico fossero alterate in una popolazione di bambini affetti da obesità, confrontati con bambini sani. Gli autori hanno anche esaminato se vi fosse un’associazione fisiologica tra durata dell’obesità e attività simpato-vagale, al fine di valutare se l’alterazione del SNA potesse essere un fattore eziologico dell’obesità infantile. Dal momento che la componente simpatica del sistema nervoso autonomo contribuisce in maniera preponderante al coordinamento dell’omeostasi energetica, gli autori hanno ipotizzato che un’alterazione del sistema simpatico possa essere alla base dell’insorgenza e dello sviluppo dell’obesità. Il dato principale che è emerso dallo studio è che i bambini obesi in età prescolare presentano un’attività del simpatico e del parasimpatico molto più bassa rispetto ai bambini sani. Inoltre un certo grado di questa riduzione dell’attività del parasimpatico dipende dalla durata dell’obesità ed è invece

(19)

indipendente dall’età del bambino. Questi risultati indicano che l’obesità infantile è strettamente correlata alla riduzione dell’attività del SNV e, nello specifico, sia del simpatico che del parasimpatico.

Il sistema parasimpatico può agire direttamente sulle cellule linfatiche; la sua attivazione e relazione con il sistema immunitario può essere dovuta alla modulazione da parte del sistema ortosimpatico (Lorton et al., 2013). La regolazione del sistema immune da parte del sistema ortosimpatico e parasimpatico, come anche del cortisolo, comporta un’autoregolazione a feedback negativa da parte di questi sistemi (Lorton et al., 2013). Inoltre attraverso il sistema immunitario si può avere una regolazione del sistema vegetativo per mezzo della produzione di interleuchine che vanno ad agire sull’ipotalamo e su alcune strutture cerebrali, modulando così il SNV (Lorton et al., 2013). È possibile ipotizzare un coinvolgimento della disfunzione del SNV anche in patologie del sistema immune.

1.1.3 “Body awareness” e “autonomic reactivity”

Sempre più spesso all’interno di una serie di problemi clinici viene riportato e descritto il ruolo della consapevolezza e della reattività corporea; tra questi disturbi vi è l’ansia (Domschke et al., 2010; Mallorquí‐Bagué et al., 2013), la depressione (Harshaw, 2015), il disturbo post-traumatico da stress (van der Kolk, 2015), l’autismo (DuBois et al., 2016), la schizofrenia (Wylie & Tregellas, 2010) e i disturbi alimentari (Kaye et al., 2009).

La consapevolezza corporea, a volte anche chiamata come “il sesto senso” (Cabrera et al., 2017), è definita come l’esperienza soggettiva delle informazioni che provengono dall’interno del proprio corpo. Essa emerge da una complessa rete di vie sia afferenti che efferenti e dai feedback tra i diversi distretti corporei e il sistema

(20)

nervoso centrale (Cameron, 2001; Craig, 2002; Gellhorn, 1964; Mandler et al., 1958; Mehling et al., 2009; Porges, 1993b; Sherrington, 1906). I segnali inerenti le funzioni interne del corpo, che provengono da sensori che trasportano le informazioni dagli organi ai tessuti bersagli, vengono integrati e si propagano attraverso percorsi afferenti, che includono i nervi spinali e cranici e vengono poi indirizzati a strutture cerebrali che monitorano le informazioni in arrivo e che sono a loro volta regolati da segnali efferenti discendenti (Cabrera et al., 2017). Questi segnali efferenti regolano le funzioni dei singoli tessuti e organi in risposta a condizioni sia interne che esterne al corpo. Molti di questi segnali viaggiano lungo le vie autonomiche di cui fanno parte il sistema nervoso simpatico e il sistema nervoso parasimpatico (Langley, 1921; Wenger, 1966).

Le afferenze del SNA possono provocare sensazioni viscerali, consciamente percepite. A tal proposito è stato sviluppato il “Body Perception Questionnaire” (BPQ) (Porges, 1993a), un questionario atto a valutare le esperienze soggettive delle funzioni e della reattività degli organi bersaglio e delle strutture che sono innervate dal sistema nervoso autonomo. La forma originale prevede 122 items che valutano la consapevolezza del proprio corpo, la reattività del sistema nervoso autonomo, la risposta allo stress cognitivo, emotivo e somatico, gli stili di risposta corporea e cognitiva allo stress e la salute fisica. Successivamente è stato sviluppato il BPQ-Short Form (BPQ-SF) che include delle sottoscale che esplorano la consapevolezza corporea e la reattività del sistema nervoso autonomo distinta in sopradiaframmatica e sottodiaframmatica (Cabrera et al., 2017). Tale versione consta di 46 items con scala likert a 5 punti che vanno da “mai” a “sempre”. Il questionario richiede che il soggetto valuti il proprio livello di consapevolezza riguardo a determinate esperienze che vive e prova quotidianamente, come ad esempio deglutire frequentemente o sentire il

(21)

bisogno di tossire per schiarirsi la voce (Porges, 1993).

Dallo studio condotto da Cabrera e colleghi (2017) è emerso che tutti i punteggi delle sottoscale del BPQ-SF sono alterati in soggetti che riferiscono una diagnosi psichiatrica. Questi risultati si sono dimostrati essere coerenti con precedenti osservazioni cliniche che hanno mostrato la presenza di alterate funzioni interocettive in una serie di diagnosi psichiatriche (Harshaw, 2015; van der Kolk, 2015).

1.1.4 La teoria Polivagale di Porges

Porges (1995; 2001; 2007; 2009b; 2011) ha proposto una nuova prospettiva sulla funzione ed organizzazione del SNA. Egli ha elaborato la teoria polivagale (Porges, 1995; 2009b; 2011) che rappresenta un modello emergente di regolazione neurale del sistema nervoso autonomo e fornisce un quadro neurofisiologico per lo studio dell’organizzazione del sistema autonomico. La nuova prospettiva proposta da Porges include la rilevanza del sistema del comportamento in quanto sotteso dagli stessi circuiti neuronali coinvolti nella regolazione dello stato autonomico. Questa prospettiva, definita polivagale, getta le basi per una nuova visione relativa alla funzione autonomica nel comportamento (Porges, 1995; 2001; 2007; 2009b; 2011). La teoria polivagale fornisce un’interpretazione della reattività autonomica come di un sistema adattivo nel contesto della filogenesi dei vertebrati e sottolinea l’importanza dei cambiamenti filogenetici delle strutture neurali che regolano il SNA e che sono coinvolti nell’apprendimento della funzione adattiva e nella regolazione dei due sistemi vagali (Porges, 1995).

Questa teoria si focalizza sul ruolo del vago, il decimo nervo cranico, che connette le aree del tronco cerebrale con diversi organi viscerali (Porges, 2011) e che rappresenta la componente principale del sistema nervoso parasimpatico. Il termine

(22)

polivagale viene utilizzato per sottolineare le diverse caratteristiche del vago che includono sia efferenze, originate principalmente da due nuclei del tronco cerebrale, che afferenze. Il vago non rappresenta unicamente un nervo craniale che raggiunge organi che si trovano in periferia, ma funge anche da canale bidirezionale che si compone di circuiti specializzati, sia motori che sensoriali, che partecipano alla regolazione dello stato viscerale (Brodal, 2010). Usando evidenze che provengono da studi di anatomia comparata, neurofisiologia ed osservazioni comportamentali, Porges (2011) descrive due circuiti vagali distinti all’interno del sistema nervoso parasimpatico; questi vanno a formare il complesso vagale ventrale ed il complesso vagale dorsale. Il complesso vagale ventrale regola i muscoli striati del viso e della testa, come la faringe e la laringe, e gli organi viscerali sopra il diaframma, come il cuore ed i bronchi (Porges, 2001; 2007; 2009b; 2011), attraverso percorsi efferenti che hanno origine nel nucleo ambiguo del tronco cerebrale. Oltre all’azione efferente di questo sistema, queste strutture corporee contengono anche fibre afferenti che dirigono le informazioni riguardo agli organi sopradiaframmatici ed ai muscoli striati del viso e della testa al cervello; molte di queste vie sensoriali terminano nel tronco cerebrale a livello del nucleo del tratto solitario (Cabrera et al., 2017). Il sistema nervoso simpatico innerva molti organi in tutto il corpo, come il circuito vagale ventrale e quello dorsale, nonché presenta connessioni efferenti con la pelle, i muscoli scheletrici e il tronco. Alcuni segnali afferenti terminano in siti integrativi del tronco cerebrale che sono condivisi con vie afferenti vagali, incluso il nucleo del tratto solitario, il nucleo parabrachiale e l’insula (Craig, 2002); per questo motivo queste vie condividono alcune integrazioni funzionali con l’attività del vago ventrale e di quello dorsale. Infine, la componente dorsale del vago trasporta i segnali che regolano gli organi al di sotto del diaframma, come ad esempio lo stomaco, il fegato, la cistifellea,

(23)

il pancreas e l’intestino, con percorsi efferenti che originano nel nucleo dorsale del vago (Cabrera et al., 2017). Per questi motivi l’organizzazione dei singoli circuiti vagali, insieme all’attività del sistema nervoso simpatico, può influire sulle esperienze soggettive della consapevolezza corporea attraverso la modulazione dei segnali del corpo (Craig, 2002).

La teoria polivagale enfatizza le differenze tra due nuclei motori del vago che si distinguono in quanto ognuno origina in un’area differente del tronco dell’encefalo. Questi nuclei sono il nucleo motore dorsale del vago, che è posto dorsalmente nel tronco, e il nucleo ambiguo che si trova nella parte mediale del tronco. Questi sono due nuclei molto diversi in quanto il nucleo motore dorsale del vago manda le fibre a livello dei gangli e successivamente a livello degli organi, ma soprattutto a livello degli organi sottodiaframmatici attraverso vie che sono fibre amieliniche lente, dette fibre C, che governano fibre muscolari non striate. Queste vie motorie hanno quindi un controllo sugli organi viscerali situali al di sotto del diaframma, compreso il tratto digestivo. Invece il nucleo ambiguo, posto nella regione più ventrale del tronco, manda le sue afferenze preferenzialmente agli organi sovradiaframmatici e soprattutto a strutture striate che influiscono sul comportamento. La maggior parte delle fibre sono mieliniche, striate, e quindi fibre rapide, anche se c’è una parte del nucleo ambiguo che contiene fibre amieliniche che sono dirette agli organi sovradiaframmatici. Quando si parla, per esempio, di fibre striate sopradiaframmatiche, si parla di fibre che governo il vocalizzare. Se si parla invece di fibre sottodiaframmatiche che sono dirette alla muscolatura liscia si parla delle fibre che vanno ai vasi, per esempio ai vasi del cuore, e quindi determinano bradicardia e vasocostrizione. Quindi le risposte sopradiaframmatiche sono guidate dalla componente ventrale del vago che contiene nuclei di origine efferente nel nucleo ambiguo, mentre le risposte sottodiaframmatiche

(24)

sono coordinate con il sistema nervoso enterico, per mezzo di vie efferenti, attraverso le fibre vagali non mielinizzate che originano nel nucleo motore dorsale; infine le vie efferenti simpatiche innervano sia gli organi sopradiaframmatici che sottodiaframmatici (Cabrera et al., 2017).

Per quanto riguarda l’informazione sensoriale, questa viaggia dalla periferia al nucleo del tratto solitario, il nucleo terminale del vago, dal quale partono circuiti neurali diretti ad altre aree cerebrali.

La teoria polivagale fornisce una definizione del sistema nervoso autonomo che tiene conto sia delle vie motorie che di quelle sensoriali ed enfatizza il ruolo delle aree del tronco cerebrale che regolano le funzioni autonome. In contrasto con il modello tradizionale di visione del sistema nervoso autonomo che si concentra sugli effetti antagonisti del sistema nervoso simpatico e di quello parasimpatico sugli organi viscerali, la teoria polivagale enfatizza la reattività autonomica, accettando comunque l’interpretazione che il modello tradizionale dà delle influenze autonome sugli organi viscerali come somma di azioni antagoniste tra la componente simpatica e quella vagale (Porges, 2011).

Porges è stato tra gli studiosi più importanti in quanto ha condotto numerose ricerche sul ruolo del SNV sottolineando la possibilità di valutare l’equilibrio tra sistema ortosimpatico e parasimpatico attraverso la frequenza del cuore. L’attività del vago è stata infatti misurata indagando l’attività cardiaca ed in particolare la variazione della frequenza cardiaca in relazione all’attività respiratoria (Porges & Raskin, 1969). La teoria polivagale enfatizza la distinzione neurofisiologica e neuroanatomica tra due rami del vago e propone l’idea secondo la quale ogni ramo sia alla base di diverse strategie comportamentali adattive. La teoria articola tre stadi filogenetici dello sviluppo del sistema nervoso autonomo. Ogni fase è associata ad un sottosistema o

(25)

circuito autonomo distinto. Questi sottosistemi autonomici sono ordinati filogeneticamente e collegati con la comunicazione sociale, la mobilizzazione (esempio ne sono i comportamenti di lotta e fuga) e l’immobilizzazione (esempio ne è la sincope vaso vagale). Il sistema di comunicazione sociale dipende dalle funzioni del vago mielinizzato, che promuove stati comportamentali caratterizzati da uno stato di calma, andando ad inibire le influenze del sistema simpatico e attenuando l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). Il sistema di mobilizzazione dipende dal funzionamento del sistema nervoso simpatico, mentre la componente più filogeneticamente primitiva, il sistema di immobilizzazione, dipende dal vago non mielinizzato o “vegetativo” (Porges, 2007). In accordo con la teoria polivagale, quando è coinvolto il sistema sociale con le vie vagali ventrali mielinizzate, emerge un unico stato autonomo che sostiene un equilibrio autonomico ottimale nella regolazione degli organi sottodiaframmatici. Questo equilibrio ottimale per mezzo delle vie vagali dorsali simpatiche mieliniche è il prodotto dell’attivazione delle vie vagali ventrali. A causa della natura gerarchica della reattività autonomica, l’attivazione della via vagale ventrale consente sia al sistema simpatico che a quello parasimpatico di regolare gli organi sottodiaframmatici (Porges, 2011).

Per Porges il vago non è formato solo da un sistema. Secondo Porges (1995) la componente filogeneticamente più antica è quella diretta agli organi sottodiaframmatici. Quando si ha l’attivazione di questo sistema si ha una risposta comportamentale caratterizzata da un blocco: se infatti si attiva il sistema parasimpatico diretto agli organi sottodiaframmatici si ha una vasodilatazione tale per cui tutto il sangue viene convogliato a livello sottodiaframmatico, comportando una riduzione del flusso sanguigno diretto al cervello e la conseguente risposta di “caduta a terra”. Questa condizione è evidente in persone che svengono di fronte ad uno stress.

(26)

Secondo Porges infatti la reazione allo stress non è solo una reazione di fuga o di freezing, ma c’è anche una reazione di caduta a terra legata ad un’iperattivazione del sistema parasimpatico, dovuto ad un’attivazione del nucleo motore dorsale del vago. Se si ha invece l’attivazione del nucleo ambiguo si ha un’attivazione della regione più muscolare e pro-comportamento che fa sì che la persona vada alla ricerca di un’alleanza sociale.

La noradrenalina ha un effetto cronotropo positivo perché genera la partenza del potenziale d’azione del muscolo cardiaco. Questo può essere registrato attraverso l’ECG. Tuttavia il respiro può modulare l’ECG perché influisce sulla depolarizzazione delle cellule cardiache. Se si fa la registrazione ECG in sedi diverse, si hanno curve diverse in base all’influenza del respiro (sinus aritmia). Questa influenza del respiro sulla depolarizzazione cardiaca viene misurata attraverso varie formule la cui più importante è l’heart rate variability (HRV) che rappresenta una misura di come il respiro influisce sulla frequenza cardiaca. Quanto più si ha un’alta HRV, tanto più il cuore funziona bene e c’è una grande variazione tra respiro e frequenza cardiaca. Una bassa HRV è indice di una minore attività del parasimpatico legata al nucleo ambiguo a livello cardiaco. Attraverso l’ipotesi di un legame tra l’omeostasi viscerale ed il comportamento sociale, la teoria postula il fatto che la componente ventrale del vago mielinizzato, che ha origine nel nucleo ambiguo, possa avere un effetto inibitorio sulla funzionalità del nodo seno-atriale, contribuendo in tal modo ai processi coinvolti nella regolamentazione delle emozioni e facilitando l’impego sociale (Porges, 1972; 2001; 2007).

Porges (1972) ha rilevato che se si concentra la propria attenzione su stimoli esterni l’HRV aumenta; questa è quindi influenzata da processi cognitivi. L’HRV è modulata dal parasimpatico ed in particolar modo dal nucleo ambiguo che influisce

(27)

maggiormente nella relazione tra respiro e frequenza cardiaca. L’attivazione del nucleo ambiguo, essendo veicolata da fibre mieliniche, è di tipo fasica. Quando viene invece attivato il nucleo motore dorsale questo determina un rallentamento ed un controllo tonico del cuore, determinando bradicardia.

Porges (1995; 2001; 2007; 2009b; 2011) con lo sviluppo della teoria polivagale rivoluzionò il concetto tradizionale di iperattività del sistema SAM nello stress. Tale teoria propone infatti una nuova concettualizzazione dello stress e considera il tono vagale cardiaco come un indice efficace del livello di stress e della vulnerabilità allo stesso (Porges, 1995). Le risposte allo stress e la vulnerabilità allo stress possono essere misurate efficacemente attraverso l’aritmia sinusale che rappresenta una misura della variabilità della frequenza cardiaca (HRV) legata al ciclo respiratorio, e determinata dalle vie vagali che originano nel nucleo ambiguo; per questo motivo può essere considerata una misura del tono vagale cardiaco (Porges, 1995). Questa teoria, a differenza delle altre teorie sul ruolo del tono vagale cardiaco nella regolazione dell’emozioni e nell’autoregolazione, si concentra sugli aspetti sociali legati ai processi di autoregolazione (Porges, 1995).

(28)

1.2 L’IPNOSI

1.2.1 Definizione dell’ipnosi: dalle origini ad oggi

Il fenomeno dell’ipnosi ha da sempre creato un grande fascino, ma allo stesso tempo è stato al centro di numerosi dibattiti a causa del forte scetticismo. Il suo utilizzo risale a tempi molto antichi, ma è solo a partire dal XVIII secolo che si iniziano ad avere le prime evidenze scientifiche sulle variazioni dell’attività del sistema nervoso centrale e periferico associate a questo particolare stato di coscienza.

Fornire una definizione dell’ipnosi è fondamentale per la ricerca scientifica, ma il tentativo di descriverla risulta influenzato dalle differenti prospettive teoriche, tanto da suscitare polemiche sul vero significato della stessa, in quanto non se ne conoscono ancora completamente i meccanismi. Per questo motivo ancora oggi è molto difficile dare una precisa ed univoca definizione di cosa sia l’ipnosi. La sua natura multifattoriale è connessa al modo in cui viene concepita e praticata e varia a seconda del preciso momento storico, ma anche in base alle circostanze, alla qualità delle esperienze soggettive ed al rapporto tra ipnotizzatore e persona ipnotizzata. Per esempio, alcuni l’hanno definita come una procedura, mentre altri come il risultato di una determinata procedura (Weitzenhoffer, 2002; Nash, 2005).

L’origine del termine ipnosi è da attribuirsi a James Braid che nel 1800 coniò il termine hypnotism derivato dalla parola greca “” che significa sonno (Braid, 1843). Egli notò come durante lo stato di ipnosi i pazienti non fossero in realtà addormentati ed identificò diversi fenomeni che si verificavano nei soggetti ipnotizzati, osservando anche che solo all’apparenza questi risultavano simili a quelli che si verificano durante il sonno. Egli sostenne che si trattasse dunque di uno stato durante il quale le persone non si trovavano sotto il totale controllo dell’ipnotizzatore, bensì presentavano elevate capacità attentive, a tal punto che era sufficiente un piccolo

(29)

stimolo per far riemergere i soggetti dallo stato di trance ipnotica (Spiegel & Spiegel, 2004; Tellegen & Atkinson, 1974). Braid evidenziò che durante l’ipnosi era poi possibile portare più facilmente all’attenzione della persona certe idee intervenendo su queste per scopi terapeutici.

L’ipnosi tuttavia pone le sue radici nelle pratiche magnetiche di Mesmer nel XVIII secolo (Mesmer, 1779; Rausky, 1977). Molti sono gli autori che hanno dato una propria interpretazione al fenomeno ipnotico; tra questi Mesmer (Mesmer, 1779; Rausky, 1977) il quale sosteneva che le patologie fossero dovute ad uno squilibrio del fluido magnetico, o “animale”, presente nell’organismo; compito dell’ipnotista era dunque quello di ristabilire il normale flusso di tale fluido. A tal proposito la pratica del magnetismo veniva utilizzata per guarire pazienti nevrotici, per lo più donne; questo era possibile grazie all’induzione del cosiddetto “sonno mesmerico” provocato per mezzo di movimenti delle mani e del contatto diretto sul corpo del paziente (Mesmer, 1779). Successivamente Armand Marie Jacques Chastenet, meglio conosciuto come Marchese di Puységur (Valerio & Mammini, 2009), il quale fu allievo di Mesmer, sviluppò il concetto di “sonnambulismo artificiale” e sottolineò l’importanza della relazione che si doveva instaurare tra terapeuta e paziente al fine di sviluppare questo particolare stato di coscienza. Fu grazie al religioso Josè Custodio de Faria (Valerio & Mammini, 2009) che nel tardo ‘700 si iniziò a comprendere l’importante influenza delle caratteristiche del soggetto e del suo ruolo, oltre che di quello del terapeuta. Egli scoprì infatti che vi sono alcuni soggetti che sono più facilmente ipnotizzabili di altri e, proprio per questo motivo, la modificazione dello stato di coscienza che avviene con l’ipnosi non è dovuta alle capacità dell’ipnotizzatore, bensì alle caratteristiche personali del soggetto che viene sottoposto a tale trattamento. Charcot (Von Plassen, 1996) sostenne che l’ipnosi fosse

(30)

l’espressione di uno stato neuropatologico associato all’isteria; per questo motivo era possibile indurre uno stato ipnotico solo in soggetti affetti da isteria. Egli teorizzò tre tipologie di ipnosi che potevano verificarsi nei soggetti e che si differenziavano per la fenomenologia: lo stato catalettico, caratterizzato da una rigidità del corpo evidenziabile anche in soggetti colpiti da un forte shock emotivo, lo stato letargico, simile al sonno ed infine lo stato sonnambulico. La visione di Charcot si contrapponeva a quello che era il pensiero di Bernheim e Liebeault (1889) i quali sostenevano che l’ipnosi fosse una sorta di “sonno” o stato alterato di coscienza e che non fosse uno stato patologico, bensì uno stato fisiologico normale e quindi una condizione psicologica caratterizzata da un’elevata suggestionabilità legata alle caratteristiche del soggetto e all’influenza delle suggestioni fornite dal terapeuta. Queste ultime furono definite come elementi di comunicazione interpersonale fornite dal terapeuta costituite da istruzioni dirette o da sottili metafore che evocavano nel soggetto risposte automatiche (Kekecs et al., 2016). Secondo quest’interpretazione l’ipnosi poteva quindi essere indotta in qualsiasi persona e non più solo in pazienti isteriche. È a Janet (1889) che si deve la scoperta della rilevanza della suggestione post-ipnotica, ovvero un atto che si verificava successivamente alla trance ipnotica e con il quale il terapeuta chiedeva al paziente di fare o dire qualche cosa una volta uscito dallo stato di trance. Janet, in seguito ai suoi numerosi studi, arrivò ad elaborare una teoria legata al trauma: egli notò infatti come durante la trance ipnotica i pazienti riportassero alla memoria cose ed eventi del loro passato. Ipotizzò quindi l’esistenza di fenomeni dissociati che potevano tornare alla memoria e diventare noti solo durante lo stato ipnotico. Proprio su questi ricordi, che non necessariamente dovevano essere simili alla realtà, bensì potevano essere simbolici oppure rappresentazioni (ad esempio di un trauma) oppure essere vere e proprie ricostruzioni della realtà, si andava poi a sviluppare il lavoro

(31)

terapeutico che permetteva di ridurre l’impatto del sintomo. Freud (1991) fu allievo di Charcot e prima di sviluppare il suo metodo delle libere associazioni si avvicinò all’ipnosi per la sua efficacia nel richiamare alla memoria eventuali traumi subiti durante l’infanzia e che potevano essere all’origine del disturbo del paziente. Tramite il ricordo e l’elaborazione di tali eventi infatti era possibile giungere alla guarigione.

L’American Psychological Association nel 1994 (Elkins et al., 2015) ha proposto una definizione di ipnosi come “una procedura durante la quale un professionista della salute o un ricercatore suggerisce che il paziente o il soggetto faccia esperienza di cambiamenti nelle sensazioni, percezioni, pensieri o comportamenti”. Tale definizione mette in luce non solo il ruolo della persona che induce l’ipnosi, ma anche il contesto in cui questa viene fatta e il ruolo della persona che ne fa esperienza. Va infatti sottolineato come le persone rispondano in maniera differente all’ipnosi: alcune sono altamente responsive, mentre altre lo sono meno o non lo sono affatto. Successivamente nel 2003 l’APA ha fornito una seconda definizione, sottolineando come tipicamente l’ipnosi implichi la rilevanza delle procedure ipnotiche durante le quali viene detto al soggetto che gli verranno fornite alcune suggestioni al fine di produrre esperienze immaginative. Durante l’ipnosi il professionista (medico, psicologo o anche ricercatore) guida la persona a rispondere alle suggestioni che le vengono fornite al fine di provocare cambiamenti a livello delle percezioni, sensazioni, emozioni, pensieri o comportamenti. Una volta che l’ipnosi è stata indotta, si può notare come la persona inizi a rispondere alle suggestioni. L’utilizzo di differenti procedure, così come le diverse tipologie di suggestioni, dipendono dall’obiettivo che si vuole raggiungere e variano quindi a seconda che si tratti di un contesto clinico o di ricerca. Tra le procedure classiche si ritrovano quelle che prevedono suggestioni che vanno ad indurre uno stato di rilassamento (Green et al., 2005).

(32)

Alla luce di quanto si è giunti a conoscenza fino ad oggi, si potrebbe sostenere che l’ipnosi sia uno stato di coscienza che coinvolge l’attenzione focalizzata, riduce la consapevolezza periferica ed è caratterizzata dalla capacità del soggetto di rispondere alle suggestioni che gli vengono fornite (Elkins et al., 2015).

Ci sono notevoli differenze individuali che si riscontrano nel modo in cui le persone rispondono alle procedure ipnotiche (Laurence et al., 2008). A tal proposito si parla di suscettibilità ipnotica, ovvero dell’abilità di un individuo di rispondere alle suggestioni (Kekecs et al., 2016) tale da determinare cambiamenti nelle esperienze soggettive ed alterazioni nelle percezioni, sensazioni, emozioni, pensieri o comportamenti (Hilgard, 1973; Silva et al., 2005). Questa abilità è in parte ereditata e rimane stabile durante tutta la vita (Morgan, 1973; Piccione et al., 1989). I primi studi concettualizzavano la suscettibilità ipnotica o ipnotizzabilità come un aumento della suggestionabilità prodotta da un’induzione ipnotica (Hilgard & Tart, 1966; Weitzenhoffer & Hilgard, 1962). Kirsch e Braffman (1999) hanno distinto due tipi principali di suggestionabilità: “se la suggestionabilità ipnotica è data dalla capacità della persona di risponde alle suggestioni che vengono fornite una volta che è stata indotta l’ipnosi, allora la suggestionabilità non ipnotica può essere usata per denotare la reattività alle suggestioni quando vengono somministrate senza che siano precedute dall’induzione ipnotica”. I due studiosi enfatizzarono il ruolo della fantasia nelle suggestioni e definirono le “imaginative suggestions” come “la richiesta di sperimentare uno stato mentale immaginario come se fosse reale” e l’“imaginative suggestibility” come “il grado con cui la persona riesce a sperimentare le esperienze che sono state suggerite”. Una suggestione ipnotica consiste in un’induzione ipnotica, che di solito si esplica nel fornire istruzioni per il rilassamento accompagnate da affermazioni che indicano che la persona sta diventando ipnotizzata (Hilgard, 1965). Le suggestioni ipnotiche

(33)

possono essere strutturate in forma diretta e indiretta e la scelta della tipologia da utilizzare dipende dal grado di suscettibilità della persona; sono dirette, quando affrontano in maniera chiara e aperta il problema o la risposta specifica desiderata e forniscono quindi specifiche indicazioni su come il soggetto deve rispondere; sono invece indirette, quando sono molto sottili e velate, possono non essere comprese completamente e sfuggire alla consapevolezza del soggetto. Tali suggestioni riguardano l’esperienza della persona, ma solo indirettamente, e richiedono quindi uno sforzo da parte del soggetto che deve fornirne un’interpretazione al fine di darne un significato (Yapko, 2014). Ci sono studi che dimostrano come non tutti i soggetti traggono profitto dalle medesime suggestioni allo stesso modo; sembra infatti che la caratteristica individuale della suscettibilità ipnotica sia essenziale (Kramer et al., 2014). Kramer e colleghi (2014) sottolineano come la suscettibilità ipnotica, o grado di ipnotizzabilità, non descriva solo la capacità di entrate in uno stato ipnotico, e hanno anche dimostrato che la suscettibilità ipnotica può influenzare differenti funzioni, come per esempio il controllo posturale (Carli et al., 2008).

Sheehan (1991), in un’approfondita review sulla relazione tra l’immaginazione e l’ipnosi, ha sostenuto che l’attività immaginativa sia un importante predittore della responsività ipnotica e una capacità necessaria per rispondere alle suggestioni ipnotiche anche se da sola non è sufficiente.

La suggestionabilità ipnotica, ovvero la reattività del soggetto alle suggestioni durante lo stato ipnotico, può essere utilizzata come misura del livello di suscettibilità ipnotica, definita come massima profondità ipnotica che può essere raggiunta. Essa rappresenta una variabile stabile ed una caratteristica individuale che riflette quindi la tendenza generale a rispondere alle suggestioni (Gur, 1978-1979) e può essere misurata tramite scale standardizzate costituite da un’induzione ipnotica ed una serie

(34)

di test che valutano le risposte del soggetto alle suggestioni (Weitzenhoffer & Hilgard, 1962). Gli studi condotti in merito a tali scale di valutazione hanno dimostrato come esistano grandi differenze individuali nella suggestionabilità ipnotica (Gwynn & Spanos, 1996). Tuttavia le scale standardizzate di suggestionabilità ipnotica non misurano il cambiamento della suggestionabilità dovuto all’ipnosi, piuttosto il punteggio ottenuto da una persona su una scala di suggestionabilità ipnotica che indica il grado in cui la persona stessa ha risposto alle suggestioni ricevute durante l’ipnosi (Kirsch, 1997). Hilgard e Hilgard (1975) ritennero che la suggestionabilità ipnotica potesse essere un tratto misurabile per mezzo di strumenti standardizzati, sia in condizioni di gruppo, per mezzo della scala “Harvard Group Scale of Hypnotic Susceptibility” (HGSHS), sia tramite strumenti somministrati individualmente che rappresentano scale di autovalutazione, come la “Stanford Hypnotic Susceptibility Scale”, Forme A, B, C o il questionario “Phenomenology of Consciousness Inventory” (PCI).

Secondo Pekala et colleghi (2010a & b) essenzialmente i termini “ipnosi” e “trance” significano la stessa cosa. Essi adottano la distinzione fornita da Weitzenhoffer (2002) tra “ipnosi” e “ipnotismo”. L’ipnosi viene identificata come uno “stato di trance”, mentre il termine l’ipnotismo viene utilizzato per indicare l’uso dell’ipnosi combinata con le suggestioni. Secondo tale visione con il termine ipnosi si intende quindi una procedura, mentre con il termine ipnotismo ci si riferisce al risultato ottenuto da tale procedura. Il termine trance viene quindi utilizzato in modo intercambiabile con quello di ipnosi e viene operativamente definita come “lo stato soggettivo che la persona altamente ipnotizzabile riferisce in risposta ad un’induzione ipnotica” (Wagstaff, 2010). Secondo questa prospettiva quindi l’ipnosi è definita come uno stato alterato indipendente dalla suggestione e secondo Pekala et al. (2010a & b)

(35)

non si può più parlare di ipnosi come fenomeno che implica una combinazione di varie componenti (come la suggestione, l’aspettativa, gli effetti della trance); se si vuole includere anche l’uso delle suggestioni bisogna allora parlare di ipnotismo. Wagstaff (2010) sottolinea come la distinzione che tradizionalmente viene fatta tra ipnosi e ipnotismo equivale a fare una distinzione tra il fenomeno stesso (ipnosi) e la pratica con il quale viene indotto (ipnotismo). L’idea quindi che l’ipnosi non implichi l’utilizzo delle suggestioni, mentre l’ipnotismo sì, sembra avere conseguenze su tutte quelle teorie, come quella di Bernheim (1889) e Hull (1933), che sostenevano che i fenomeni ipnotici implicavano l’influenza delle suggestioni. Tuttavia, se si segue quanto sostenuto da Pekala et al. (2010a & b), queste non sarebbero teorie dell’ipnosi, bensì teorie dell’ipnotismo. Al contrario, qualsiasi teoria che descrive la pratica dell’uso di procedure di induzione per produrre esperienze di trance ipnotica, senza però fare riferimento alla suggestione come fattore influente nell’induzione stessa della trance, come nel caso della teoria di Charcot, non si tratterebbe di una teoria dell’ipnotismo. In merito a ciò, Pekala et al. (2010a & b), avendo adottato l’idea che l’essenza dell’ipnosi è la trance o “stato ipnoidale”, essi sostengono che il “Phenomenology of Consciousness Inventory – Hypnotic Assessment Procedure” (PCI-HAP) non sia uno strumento per misurare la suggestionabilità ipnotica, che riguarda la risposta del soggetto alle suggestioni, o l’ipnotizzabilità, che riguarda invece l’abilità della persona di rispondere a compiti ipnotici (come nelle scale standardizzate), ma piuttosto si tratta di uno strumento che misura la responsività ipnotica.

Il costrutto relativo alla profondità ipnotica originariamente deriva dall’idea che l’ipnosi implichi uno stato alterato di coscienza, o trance, che presenta vari gradi di profondità. Un approccio per misurare la profondità dell’esperienza ipnotica, in

(36)

aggiunta o in assenza di effetti prodotti dalle suggestioni, è quello di assumere che lo stato ipnotico dia luogo a cambiamenti nell’esperienza fenomenologica che possono essere indicizzati attraverso scale di profondità self-report (Tart, 1970;1979).

Edmonston (1977) ha scoperto che, quando si chiede alle persone come sia percepito lo stato ipnotico e sulla base di che cosa si giudicano ipnotizzati, la maggior parte dei soggetti che risultano altamente ipnotizzati menziona sentimenti di rilassamento e sensazione di calma e pace. Alcuni riportano anche la percezione che siano avvenuti cambiamenti in alcuni parti del corpo o sensazioni di distacco.

Pekala et al. (2010a & b) hanno affermato che le esperienze riportate dai soggetti dopo che sono stati sottoposti a procedure ipnotiche possono essere dovute a un numero di fattori interazionali definibili. Wagstaff (1981) sostenne che l’attribuzione inerente al fatto di essere ipnotizzato è principalmente basata su tre fattori: deduzioni provenienti dalla risposta alle suggestioni, sensazioni di esperienze corporee alterate, credenze e attitudini dei soggetti stessi. Secondo Holroyd (2003), molti degli effetti che vengono comunemente associati all’ipnosi si possono spiegare facendo riferimento all’interazione tra tre fattori: immaginazione/suggestionabilità, effetti dello stato alterato ed aspettativa; ognuno di questi a sua volta ha effetti sull’esperienza di quello che si chiama ipnotismo. Secondo Pekala e colleghi (2010a & b) i fattori individuati da Holroyd (2003) possono essere definiti, e allo stesso tempo misurati, per mezzo dello strumento denominato PCI-HAP (Phenomenology of Consciousness Inventory - Hypnotic Assessment Procedure), ovvero una scala per la misurazione della fenomenologia ipnotica.

Pekala e Nagler (1989) utilizzano l’aggettivo ipnoidale per riferirsi all’esperienza fenomenologica congruente con ciò che in media produce un’elevata suscettibilità durante l’induzione ipnotica. Essi definiscono lo stato ipnoidale come uno stato,

(37)

delineato da un’equazione di regressione utilizzando il PCI (Pekala & Kumar, 1987), associato a quello che i soggetti con elevata suscettibilità riportano quando rispondono agli item del PCI riferendosi alla procedura di induzione ipnotica dell’“Harvard Group Scale” che prevede un periodo di tempo durante il quale i partecipanti rimangono tranquillamente seduti e ad occhi chiusi. Il punteggio dello stato ipnoidale riflette le alterazioni fenomenologiche che si verificano nella coscienza e che sono associate all’essere ipnotizzati durante la somministrazione della scala Harvard.

L’ “Harvard Group Scale for Hypnotic Susceptibiliy” (HGSHS) form A (Shor & Orne, 1962) rappresenta la versione per gruppi della “Stanford Scale of Hypnotic Susceptibility” (Weitzenhoffer & Hilgard, 1962). Essa può essere somministrata unicamente da un operatore qualificato e tale somministrazione avviene per via orale e si articola in diverse fasi tra cui la fase che viene valutata successivamente con la compilazione degli items del PCI.

Il PCI è un questionario self-report che può essere utilizzato per generare punteggi pHGS (punteggi previsti all’“Harvard Group Scale”) che possono essere utili per valutare lo stato ipnoidale sperimentato da una persona che si trova in una condizione clinica di induzione ipnotica, come nel caso del biofeedback, del rilassamento progressivo o delle tecniche di gestione dello stress (Pekala & Nagler 1989; Kiecolt-Glaser et al., 2001). Il pHGS consente quindi di stimare lo stato ipnoidale di una persona (Pekala & Forbes, 1988; Pekala & Nagler, 1989). Secondo Pekala & Forbes (1997) una persona si trova in uno stato ipnoidale nella misura in cui questa avalla un’esperienza fenomenologica congruente con quello che, in media, un’elevata suscettibilità promuoverebbe durante un’induzione ipnotica. Lo stato ipnoidale è stato specificatamente definito da Pekala e Forbes (1988) come “uno stato quantificato da un’equazione di regressione ottenuta utilizzano il PCI e associandolo agli effetti

Riferimenti

Documenti correlati

Di ogni ripresa, che contemplasse anche la registrazione della frequenza cardiaca, sono state allestite due tabelle: la prima fornisce la percentuale del tempo all’inter- no di

Le pelofile tolleranti (7,18%) sono rappresentate quasi esclusivamente da Corbula (Varicorbula) gibba con 6,28%; Eglisia spirata e Nassarius conoidalis hanno

variazione della frequenza media con l’et`a, che il battito dei neonati ha maggiore frequenza e regolarit`a... Variabilit`a della frequenza

La crescita di Q si realizza prevalentemente con un aumento della frequenza (F), poich`e il volume eiettato (V) rimane quasi costante... Misure di variabilit`a basate sulla

rugginosità: alla cavità peduncolare (4-5%) di tipo fine caratteristiche della polpa: bianca , di tessitura grossolana, succosa, soda. VALORI MEDI ALLA RACCOLTA

caratteristiche della polpa: bianca, tessitura medio fine, presenta granulosità al torsolo, mediamente croccante, succosa, poco aromatica.. VALORI MEDI DELLA RACCOLTA

peduncolo: sottile, corto, inserimento regolare cavità peduncolare: profonda ed ampia calice: mediamente profondo, aperto tubo calicino: chiuso. colore di

I valori per azione di Intesa e Sanpaolo, risultanti dall’applicazione del criterio delle quotazioni di Borsa, espresse in termini di medie aritmetiche delle 30, 60, 90