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Le banchine ed i pontili costituiscono le infrastrutture di attracco ed ormeggio delle imbarcazioni, ed hanno il duplice scopo di tenere in posizione i natanti e consentire il trasporto, carico e scarico di persone e merci. Per ormeggiare le navi e le imbarcazioni si realizzano lungo il ciglio delle opere di attracco bitte ed anelloni, a cui vengono ancorati i cavi di ormeggio.

106 5.3.1 Le bitte

La bitta è una bassa e robusta colonna, che si trova sulle banchine, moli dei porti e sui ponti delle imbarcazioni, ed alla quale vengono legati ed avvolti i cavi d’ormeggio. La bitta è realizzata in genere in ghisa e più raramente in acciaio o pietra e legno. Nella parte superiore termina sempre con un ringrosso a forma di fungo, di collare o di altre forme che hanno tutte comunque la funzione di evitare che il cavo o la gassa si sfili dall’ormeggio quando è in trazione.

5.3.2 Gli anelli di ormeggio

Gli anelli di ormeggio detti comunemente “anelloni” sono dei supporti pensati sempre per il supporto dei cavi di ormeggio, ma progettati e pensati per resistere a sforzi di trazione di minore entità rispetto alle bitte. Generalmente gli “anelloni” sono posti in opera possibilmente all’interno di apposite nicchie realizzate nella muratura, affinchè sia possibile inserire al loro interno i cavi di ormeggio senza doverli sollevare.

L’ancoraggio di questi elementi è realizzato sempre mediante un tirafondo opportunatamente dimensionato per resistere agli sforzi trazione.

Nei piccoli porti, in cui l’attracco avviene perpendicolarmente alla linea di bordo della banchina o del molo, le bitte e gli anelli di ormeggio devono resistere agli sforzi trasmessi da una singola imbarcazione generalmente di dimensioni modeste 5-30 m, perciò hanno dimensioni e pesi molto minori rispetto a quelle utilizzati nei grandi porti.

5.3.3 Parabordi (fender)

Uno dei rischi principali all’interno di un porto, è la possibilità delle navi di urtare, sia pure con una velocità ridotta contro le strutture di attracco quali banchine, moli fissi o mobili o le varie scogliere poste a protezione del porto stesso. Tali urti possono essere innescati per effetto del vento, per effetto dell’agitazione ondosa o più comunemente per una errata manovra dovuta alla nave stessa od ai rimorchiatori o pilotine di manovra, con conseguenti inevitabili danni sia dello scafo, sia delle murature di accosto, queste ultime vengono dotate di opportuni parabordi, la cui tipologia dipende dalle dimensioni delle imbarcazioni per le quali è previsto l’attracco.

I parabordi, comunemente detti fender, non sono altro che elementi elastici, atti ad assorbire le sollecitazioni dovute all’urto delle imbarcazioni, senza riportare danni sia agli scafi dei natanti che alle infrastrutture di attracco. Inoltre devono garantire elevate prestazioni in caso di sollecitazioni frequenti dovute agli effetti del moto ondoso o del vento o a causa di manovre in velocità effettuate da grandi navi da crociera, navi porta contenitori o navi per merci alla rinfusa. I parabordi inoltre

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sono dotati di un pannello antifrizione a bassissimo coefficiente di attrito necessario per lasciare scorrere gli scafi accompagnandoli nel loro moto fino al parabordo successivo, con lo scopo di non danneggiare la verniciatura degli scafi che costituisce la principale protezione contro la corrosione in ambiente marino.

La difficoltà maggiore che si incontra nel dimensionamento di tali apparecchiature stanno nel fatto che le azioni che devono essere assorbite hanno, oltre a una componente normale rispetto alla banchina, anche una componente diretta tangenzialmente, dovuta allo strisciamento longitudinale della nave.

Le azioni agenti sulle attrezzature di ormeggio e da queste trasmesse alle opere di attracco possono essere calcolate. Nei grandi porti gli sforzi di trazione trasmessi alle bitte ed agli anelli dai cavi di ormeggio delle imbarcazioni, per effetto soprattutto del vento sono variabili tra le 50 e 100 t, si riporta successivamente il calcolo dettagliato dell’azione del vento.

Essendo le bitte, profondamente ancorate nella struttura delle banchine o dei moli, per il dimensionamento di tali strutture possiamo assumere il carico come uniformemente distribuito per unità di lunghezza, che dipende dall’interasse tra le bitte, oltre che dallo sforzo agente su ognuna, è comunque opportuno maggiorare lo sforzo di un 20% il valore risultante in quanto il carico non è mai distribuito in modo perfettamente uniforme.

Come si è detto in precedenza, gli anelli di ormeggio non resistono allo strappo per azioni di tiro così elevate, perciò sono in genere utilizzati solo in condizioni proco gravose.

Particolare attenzione deve essere posta alle sollecitazioni trasmesse dal sistema parabordo banchina durante le operazioni di manovra ed attracco di una nave. In particolar modo si studiano gli urti da un punto di vista energetico e di deformazione dei fender.

L’energia cinetica di una nave in movimento è pari a: E=1

2 W

g V 2

W= dislocamento della nave a pieno carico, pari al peso del volume d’acqua spostata dalla carena della nave;

V= velocità della nave durante le fasi di manovra di accosto, che dipende dalle dimensioni della nave (è inversamente proporzionale alla massa del natante) e dai limiti di velocità imposti dall’autorità portuale di competenza

g=9.81 m/s2

Inoltre occorre avere presente che nel calcolo dell’energia posseduta dalla nave bisogna introdurre la così detta massa idrodinamica, ossia la massa dell’acqua attorno alla nave che si viene spinta e trascinata durante il movimento dell’imbarcazione, tale quantità risulta di difficile

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valutazione perciò in genere a favore di sicurezza si moltiplica la massa di dislocamento della nave per un coefficiente moltiplicativo adimensionale pari ad 1.5.

Si ipotizza che l’energia posseduta dall’insieme nave e massa idrodinamica al momento dell’impatto, sia assorbita per metà dal sistema parabordo-struttura, mentre la restante metà sia in parte assorbito dallo scafo, che si deforma, dal rollio della nave, in parte trasmesso all’acqua ed in parte dissipato per attrito nel contatto scafo-parabordo e per attrito idrodinamico. Perciò si procederà al calcolo delle forze di contatto eguagliando il lavoro e l’energia elastica inglobata dal parabordo durante la sua deformazione, con la metà dell’energia cinetica posseduta dalla nave.

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NALISI DEI CARICHI

Le fondazioni hanno la funzione principale di ricevere i carichi provenienti dalla sovrastruttura e di trasferirli al suolo garantendo la stabilità della struttura soggetta ai carichi permanenti e di esercizio, ed al contempo di garantire cedimenti tali da non compromettere l’uso della struttura. Perciò per la progettazione delle fondazioni siano esse superficiali o profonde bisogna porre particolare attenzione all’analisi dei carichi, sia quelli trasmessi dalla struttura in elevazione che quelli esercitati dal terreno adiacente alla costruzione.

Si definisce azione ogni causa o insieme di cause capace di indurre stati limite in una struttura. Le azioni possono essere classificate in base al modo di esplicarsi:

a) dirette: forze concentrate, carichi distribuiti, fissi o mobili;

b) indirette: spostamenti impressi, variazioni di temperatura e di umidità, ritiro, precompressione, cedimenti di vincolo, ecc.

c) degrado:

- esogeno: alterazione delle caratteristiche dei materiali costituenti l’opera strutturale, a seguito di agenti esterni.

- endogeno: alterazione naturale del materiale di cui è composta l’opera strutturale; Le azioni possono essere classificate secondo la risposta strutturale in:

a) statiche: azioni applicate alla struttura che non provocano accelerazioni significative della stessa o di alcune sue parti;

b) pseudo statiche: azioni dinamiche rappresentabili mediante un’azione statica equivalente;

c) dinamiche: azioni che causano significative accelerazioni della struttura o dei suoi componenti.

Le azioni vengono anche classificate secondo la variazione nel tempo della loro intensità: d) permanenti (G): azioni che agiscono durante tutta la vita nominale della costruzione,

la cui variazione di intensità nel tempo è così piccola e lenta da poterle considerare con sufficiente approssimazione costanti nel tempo:

- peso proprio di tutti gli elementi strutturali; peso proprio del terreno, quando pertinente; forze indotte dal terreno (esclusi gli effetti di carici variabili applicati al terreno); forze risultanti della pressione dell’acqua (quando si configurano costanti nel tempo)(G1);

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- spostamenti e deformazioni imposti, previsti dal progetto e realizzati all’atto della costruzione;

- pretensione e precompressione (P); - ritiro e viscosità;

- spostamenti differenziali;

e) variabili (Q): azioni sulla struttura o sull’elemento strutturale con valori istantanei che possono risultare sensibilmente diversi fra loro nel tempo:

- di lunga durata: agiscono con un’intensità significativa, anche non continuamente, per un tempo non trascurabile rispetto alla vita nominale della struttura;

- di breve durata: azioni che agiscono per un periodo di tempo breve rispetto alla vita nominale della struttura;

f) eccezionali (A): azioni che si verificano solo eccezionalmente nel corso della vita nominale della struttura;

- incendi; - esplosioni; - urti ed impatti;

g) sismiche (E): azioni derivanti da terremoti.

6.1 Vita nominale e classe d’uso