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Nel pensiero di Thorstein Veblen (1), non è dato di trovare alcun apprezzamento positivo con riguardo alle « virtù » degli sport. Le atti­ vità sportive vi sono anzi concepite come parte integrante delle « inutili occupazioni » e dello « sciupìo vistoso » che sono tipici del modo di vita della « classe comoda ». Ma per intendere appieno come tale assunzione si compia è forse necessario riassumere brevemente la tesi del libro 1 'ie

Theory of thè Leisure Class (New York, 1899), che resta indubbiamente come l’opera più originale, se non la più organicamente costi iuta,

di Thorstein Veblen. . . . , ,

Tesi invero assai semplice, che è possibile ridurre a poche pi oppo­ sizioni : in tutte le epoche che ci sono note, i gruppi umani che son riusciti a oltrepassare la linea della mera sussistenza non si valgono per solito dei beni di cui dispongono per scopi utili. Questi gruppi non appaiono preoccupati di vivere meglio, più saggiamente e con maggiore intelligenza. Non si pongono il problema della « retta vita » e neppure quello del « tempo libero ». Essi appaiono completamente assorbiti da un pensiero dominante : mettere davanti agli occhi degli altri e costringerli a « rea­ lizzare » il fatto che essi dispongono di beni in misura sovrabbondante, arrivando a istituire fra sé e gli altri un vero e proprio « confronto anta­

gonistico » . . , . . . , V

I vari modi con cui la « classe comoda » o «agiata » (leisure class), ossia i gruppi privilegiati, mirano a impressionare gli altri e a poire e premesse, psicologiche e di fatto, per dar luogo al « confronto antago­ nistico » sono dal Veblen indicati con la formula «sciupio vistoso»

(conspicous waste). Ed è probabilmente nelle descrizioni, accuratissime e distaccate come si conviene a opera di scienziato, delle irrazionali o gra­ tuite linee di condotta della classe agiata e della sua « etica del consumo » che il Veblen dà fondo alle proprie risorse di stilista consumato, costruen­ do pazientemente frasi a lento svolgimento, ripiene di parole polisilla- biche di origine latina, in cui il rimando intenzionale, le allusioni e la parodia hanno modo di crescere e caratterizzarsi per via di successive sovrapposizioni fino alla spietata definizione dei particolari piu minuti.

Le descrizioni vebleniane, sorrette da una informazione straordina­ riamente varia ed estesa, recano analisi ed esempi da tutte le epoche e da tutti i paesi, dalla pratica di atrofizzare i piedi delle nobildonne cinesi, sì da poter loro garantire la più assoluta, fisica incapacità di adempiere a quelle mansioni e a quei lavori che sono invece riservati al volgo, col­ locandole per ciò stesso infinitamente al di sopra della folla dei comuni mortali, al caso di quel re di Francia che, vero martire della « buona

tor-(1) Thorstein Veblen, sociologo americano, nato nel 1857, morto nel 1929, pochi mesi prima della grande crisi, da lui prevista e preannunciata. Scrittore di grandi risorse, economista eterodosso, sociologo incapace di non compromettersi, solo recent - mente ha ottenuto riconoscimenti ufficiali. Non riuscì a diventare professore ordinai o. Il mondo accademico gli è tuttora, in parte, ostile. Ha scritto: The Theory of’ the

Leisure Class (La teoria della classe agiata, ed. Einaudi, Tonno, 1949), The

of Workmanship; The Higher Learning in America; The Theory of Business Enter

ma », « nell’assenza del funzionario incaricato di trasportare il seggio del suo signore, sedette senza lamentarsi di fronte al fuoco del caminetto e per­ mise che la sua reale persona venisse tostata al di là di ogni possibilità di recupero». « Ciò facendo tuttavia — conclude il Veblen — egli salvò la sua Maestà Cristianissima dalla contaminazione del lavoro manuale ».

Queste, che possono agevolmente venire interpretate e spacciate come le boutades di una erudizione allegra e irresponsabile e che costarono del resto al Veblen la sua « rispettabilità accademica », hanno in realta funzionato, nel campo delle scienze sociali degli Stati Uniti, come poten­ tissime istanze critiche su due fronti contrapposti. L’acido corrosivo della ironia vebleniana ha infatti investito contemporaneamente e gli idola degli economisti classici, certi che lo svolgimento dei processi economici e sociali avesse luogo sulla trama di una « legge naturale », di un supeiioie, prestabilito disegno, svelando quanto poco razionale nella realtà fosse quel loro razionalissimo manichino deW’homo oeconomicus e, d altro canto, il dot- trinarismo, dogmatico c astratto, della letteratura socialista tradizionale, facendone cadere i molteplici miti, dall’internazionalismo opeiaio, la cui

débàcle al tempo della prima guerra mondiale il Veblen prevede e prean­ nuncia, al rigido, esclusivo concetto di classe, che oggi, con 1 economia del consumo e lo « Stato del benessere », appare in via di irrimediabile

liquefacimento. .

Le formule vebleniane si allineano come altrettante ipotesi di lavoio da verificare induttivamente. Ma già così come suonano nella loio foim u- lazione meno precisata e più letteraria, esse ci offrono delle chiavi di comprensione del mondo in cui viviamo di grande utilità. Si prenda la formula del « consumo » o « spreco vistoso » e si pensi, per esempio, alla automobile. E ’ chiaro che, in una società industrialmente avanzata, il cri­ terio di scelta di una automobile non è l’uso che se ne dovrà fare. Contano moltissimo certi elementi esterni : il colore, la sagoma, le cromatui e. L’automobile, nelle situazioni sociali industrialmente avanzate, diventa un simbolo, il segno di una distinzione personale. Non solo: cambiare ogni anno automobile può diventare un imperativo, cui non è possi­ bile sottrarsi, il modo più diretto per affermare la propria « lispettabi- lità sociale ».

Per Thorstein Veblen, non ostante l’abbondante letteratura intorno allo sport come attività igienica o stimolo ad una vita moralmente oidi- nata, le attività sportive rientrano integralmente nello schema produzio­ ne-scambio, che è tipico della società nella quale operiamo e ad esse si applica pertanto il criterio di giudizio dello « spreco vistoso ». In una società in cui la produzione appare divorziata rispetto al consumo, il con­ sumo diventa una necessità. Per una interessante perversione dialettica, si entra in un circolo vizioso e autogenerantesi, per cui 1 esigenza piu alta, e più onorifica, consiste nel consumare, non importa cosa o come, per poter continuare a produrre e a tenere le ruote del mercato in movi­ mento, indefìnitivamente. Le attività sportive di massa, così come oggi le conosciamo, non si sottraggono a questo schema. All origine, esse sono tuttavia un prodotto tipico del modo di vita della classe agiata. Nel linguaggio del Veblen, esse costituiscono « le sopravvivenze moderne dello

spirito di prodezza » (si veda in The Theory of thè Leisure Class tutto il cap. X).

« Il terreno favorevole per dedicarsi ad una attività sportiva — com­ menta il Veblen — è (infatti) una costituzione spirituale di tipo arcaico — ossia il possesso, in un grado piuttosto alto, di una disposizione emu­ lativa predatoria ». Egli scopre la molla di ogni attività sportiva nella per­ sistenza di abiti mentali in arretrato rispetto alla evoluzione strutturale delle istituzioni, le quali peraltro trovano il modo di soddisfare le proprie esigenze obbiettive (es. il consumo) servendosi anche di tali « soprav­ vivenze arcaiche ». Le attività sportive, secondo il Veblen, come del resto tutte le manifestazioni rilevanti, per un verso o per l’altro, del tempera­ mento predatorio, sono caratterizzate dal loro oggetto ultimo, che sem­ pre è costituito da una qualche specie di exploit. Come tali, da una parte esse possono venire considerate come « espressioni semplici, non riflesse di un atteggiamento di ferocia antagonistica » ; dall’altra, possono ben essere un tipo di attività al quale ci si dedica deliberatamente per accre­ scere il proprio prestigio.

In questa doppia categoria il Veblen comprende praticamente tutte le attività sportive, dalle corride alle partite di caccia e pesca, dall’atle­ tica leggera al rugby, al foot-ball e così via. L’elemento comune a queste attività, pur varie quanto alle regole e all’equipaggiamento tecnico, è dato dalla loro « bellicosità », che Veblen riconosce presente anche nel loro linguaggio (op. cit., p. 256), e dalla loro fondamentale « inutilità » se non addirittura dalla tendenza a recare danno («sciu p ìo v istoso» attivo!). Naturalmente il Veblen non è insensibile alle giustificazioni che gli spor­ tivi, cacciatori e pescatori per esempio, adducono per le proprie attività. In particolare, egli si sofferma a considerare quelle ragioni che chiamano in causa « l’amore della natura » oppure il « bisogno di ricreazione ». « Questi ovvii motivi sono sovente reali — egli riconosce ■— e aggiungono una attrattiva supplementare alla vita dello sportivo ; ma questi non pos­ sono essere i motivi determinanti. Infatti, tali motivi apparenti potreb­ bero indubbiamente venire soddisfatti più prontamente e completamente se non si accompagnassero allo forzo sistematico di uccidere quelle crea­ ture che costituiscono una parte essenziale di quella ” natura ” di cui lo sportivo si proclama innamorato ».

La conclusione del Veblen è che motivi del bisogno di ricreazione e di vita all’aria aperta giocano probabilmente la loro parte, ma che a loro volta vengono asserviti all’osservanza di quel precetto dello « sciupìo vistoso » cui non ci si può sottrarre senza mettere a repentaglio la propria rispettabilità. Sarebbe probabilmente di notevole interesse mettere a con­ fronto una conclusione siffatta, che scopre nelle tecniche sportive più raffi­ nate ampi avanzi di antiche barbarie, con le considerazioni di Theodor W. Adorno (si veda Minima Moralia, ed. Einaudi, 1954) intorno alle vacanze e al cosiddetto « ritorno alla natura». L ’atteggiamento severa­ mente critico di Adorno di fronte all’uomo moderno in slip, pronto a stra­ vaccarsi e confondersi nel « collettivo della spiaggia », è certamente affine a quello di Thorstein Veblen : anche qui « la nuova barbarie non fa che smascherare la vecchia ».

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