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SOLUZIONE TRACCIA 11: DIFFERENZA TRA TENTATIVO E CONSUMAZIONE NEL REATO DI RAPINA IMPROPRIA

Cassazione penale sez. II, 24/01/2019, (ud. 24/01/2019, dep. 19/02/2019), n.7606

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Il G.I.P. del Tribunale di Torino, con sentenza in data 27 luglio 2018, applicava nei confronti di G.M. la pena concordata dalle parti ex art. 444 c.p.p., in relazione al reato di rapina aggravata (art.

628 c.p., commi 1 e 2) consumato in data (OMISSIS).

E' contestato al G. di essersi impossessato, nascondendole nelle tasche, di quattro bottiglie di liquore che sottraeva dai banchi espositori dell'ipermercato Carrefour di (OMISSIS) e, dopo aver superato le barriere antitaccheggio che suonavano, così richiamando l'attenzione degli addetti alla sicurezza, di avere usato violenza e minaccia nei confronti degli stessi al fine di sottrarsi al controllo e conseguire l'impunità nonchè mantenere il possesso di quanto sottratto.

2. Ricorre per Cassazione avverso detta sentenza il difensore dell'imputato, deducendo violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), rilevando che, sulla base della più recente giurisprudenza di questa Corte Suprema, il fatto è stato erroneamente qualificato come rapina consumata invece che come rapina tentata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è ammissibile e fondato.

2. Quanto al profilo della ammissibilità del ricorso deve innanzitutto rilevarsi che l'art. 448, comma 2-bis, c.p.p. espressamente prevede la possibilità per l'imputato di proporre ricorso per cassazione per motivi attinenti all'erronea qualificazione giuridica del fatto.

E', poi, ben noto il costante orientamento di questa Corte secondo il quale "In tema di patteggiamento, anche a seguito dell'introduzione dell'art. 448 c.p.p., comma 2-bis, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l'erronea qualificazione giuridica del fatto è limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, dovendo escludersi l'ammissibilità dell'impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione". (In motivazione, la Corte ha precisato che la verifica sulla corretta qualificazione giuridica del fatto va compiuta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti in ricorso). (Sez.

6, n. 3108 del 08/01/2018, Antoci, Rv. 272252; in senso conforme Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, Maugeri, Rv. 272619).

Ciò premesso, rileva il Collegio che nel caso di specie la verifica della corretta qualificazione giuridica del fatto risulta con immediatezza dalla contestazione (analiticamente descritta nel capo di

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imputazione) e non presenta ragionevoli margini di opinabilità alla luce del dictum in materia delle Sezioni Unite di questa Corte.

3. Passando ora alla valutazione della corretta qualificazione giuridica del fatto, deve rilevarsi che la questione aveva dato luogo nel passato a contrasti giurisprudenziali sorti in principalità in relazione al momento consumativo del reato di furto ma perfettamente traslabili in quello di rapina, che dal primo si differenzia sostanzialmente da un quid pluris costituito dall'uso di violenza o minaccia finalizzate all'impossessamento della cosa mobile altrui mediante sottrazione a chi la detiene.

Le Sezioni Unite di questa Corte sono state chiamate in due occasioni ad occuparsi della questione della qualificazione giuridica del fatto (Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012, Reina, Rv. 253153 e Sez.

U, n. 52117 del 17/07/2014, Prevete, Rv. 261186).

Mentre nella prima delle pronunce indicate è stato affrontato in principalità il problema della configurabilità del tentativo di rapina impropria, nella seconda la questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite si è sostanziata nel quesito seguente: "Se la condotta di sottrazione di merce all'interno di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza, sia qualificabile come furto consumato o tentato allorchè l'autore sia fermato dopo il superamento della barriera delle casse con la merce sottratta".

L'indirizzo giurisprudenziale al quale ha ritenuto di aderire il Supremo Collegio si fonda sulla considerazione che la concomitante osservazione da parte della persona offesa, ovvero del dipendente personale di sorveglianza, dell'avviata azione delittuosa (al pari dei controlli strumentali mediante apparati elettronici di rilevazione automatica del movimento della merce: sensori, placche antitaccheggio) e la correlata e immanente possibilità di intervento nella immediatezza, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del reato, per non essersi perfezionata la fattispecie tipizzata - dell'impossessamento, mediante sottrazione, della cosa altrui - in quanto l'agente non ha conseguito l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo, la cui "signoria sulla cosa" non è stata eliminata.

In sostanza, le Sezioni Unite hanno ritenuto di confermare l'orientamento secondo il quale è da ritenersi preferibile la tesi che tende a privilegiare il connotato di "effettività" che deve caratterizzare l'impossessamento quale momento consumativo del delitto di furto (ma il discorso, come detto, vale anche per la rapina), rispetto al semplice momento sottrattivo argomentando che

"finchè la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore" e "questi è ancora in grado di recuperala" tanto fa "degradare la condotta di apprensione del bene a mero tentativo", sicchè la descrizione della condotta delittuosa risulta scandita dal sintagma impossessamento-sottrazione.

In tale prospettiva la condotta dell'agente il quale oltrepassi la cassa, senza pagare la merce prelevata, rende difficilmente contestabile l'intento furtivo, ma lascia impregiudicata la questione se la circostanza comporti di per sè sola la consumazione del reato, quando l'azione delittuosa sia stata rilevata come è avvenuto nel caso in esame - nel suo divenire dalla persona offesa, o dagli addetti alla vigilanza, i quali, nella immediatezza intervengano a difesa della proprietà della merce

123 prelevata.

Orbene, appare difficilmente confutabile - e il dato deve ritenersi acquisito per generale consenso e in carenza di veruna apprezzabile obiezione - che l'impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postuli il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell'agente.

Sicchè, laddove esso è escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall'intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo, la incompiutezza dell'impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell'ambito del tentativo.

La conclusione - sempre secondo le Sezioni Unite - riceve conforto dalla considerazione dell'oggetto giuridico del reato alla luce del principio di offensività.

In tale prospettiva, di recente valorizzata quale canone ermeneutico di ricostruzione dei "singoli tipi di reato" da Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, il fondamento della giustapposizione tra il delitto tentato e quello consumato (e del differenziato regime sanzionatorio) risiede nella compromissione dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice.

Affatto coerente risulta, pertanto, l'aggancio della consumazione del furto alla completa rescissione (anche se istantanea) della "signoria che sul bene esercitava il detentore". Mentre, di converso, se lo sviluppo dell'azione delittuosa non abbia comportato ancora la uscita del bene dalla sfera di vigilanza e di controllo dell'offeso, è per vero confacente, alla stregua del parametro della offensività, la qualificazione della condotta in termini di tentativo.

Le considerazioni che precedono hanno consentito di formulare il seguente principio di diritto al quale ritiene di aderire anche l'odierno Collegio: "Il monitoraggio nella attualità della azione furtiva avviata, esercitato sia mediante la diretta osservazione della persona offesa (o dei dipendenti addetti alla sorveglianza o delle forze dell'ordine presenti in loco), sia mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce, e il conseguente intervento difensivo in continenti, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del delitto di furto, che resta allo stadio del tentativo, in quanto l'agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo".

4. Alla luce di quanto esposto è pertanto da rilevarsi un errore di diritto nella qualificazione giuridica del fatto che deve essere qualificato come tentativo di rapina impropria (art. 56 c.p., art.

628 c.p., commi 1 e 2), il che impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la restituzione degli atti al Tribunale di Torino per l'ulteriore corso.

P.Q.M.

Qualificato il fatto come tentativo, annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la restituzione degli atti al Tribunale di Torino per l'ulteriore corso.

124 Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2019

Altre sentenze sull’argomento

A) Cassazione penale sez. II, 24/05/2019, (ud. 24/05/2019, dep. 11/07/2019), n.30476

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 2 marzo 2018 la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa il 3 marzo 2017 dal Tribunale della stessa città, con cui P.O., in atti generalizzato, è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i delitti di rapina impropria e lesioni aggravate.

Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo i seguenti motivi:

1) manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in punto di responsabilità dell'imputato per il reato di rapina in concorso con persona, rimasta ignota. Secondo il ricorrente, dai risultati delle prove risulterebbe non inverosimile che ad operare la sottrazione del portafoglio fosse stato un altro soggetto e sarebbe illogica la motivazione circa l'attendibilità del racconto di C.F.. Del pari, sarebbe illogico desumere la partecipazione dell'imputato alla sottrazione del portafoglio dal comportamento avuto nell'occasione, ossia dal suo colpire con violenza il C..

Sarebbero state tralasciate alcune frasi del teste R.P., da cui non si evincerebbe che il teste abbia riferito circa uno sguardo d'intesa tra l'imputato e la ragazza; del pari non sarebbe stato considerato che nessuno dei testi aveva assistito al passaggio del portafogli dal P. alla ragazza;

2) manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante del nesso teleologico. Secondo il ricorrente, l'annullamento della sentenza quanto al reato di rapina impropria dovrebbe condurre ad escludere l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 2, con conseguente proscioglimento dell'imputato dl reato di cui al capo B) per mancanza di querela;

3) violazione egli artt. 56 e 628 c.p. e vizi della motivazione, per non essere il fatto stato qualificato come rapina impropria tentata anzichè consumata, non essendo il portafoglio stato portato all'esterno del perimetro della discoteca ed essendosi la condotta svolta sempre sotto la sorveglianza del personale addetto alla vigilanza e sicurezza;

4) violazione di legge e vizi della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, non condividendosi le giustificazioni poste a base della rigida determinazione della pena e del diniego delle attenuanti generiche. La Corte territoriale non avrebbe valorizzato gli elementi indicati dalla difesa al fine della concessione delle anzidette circostanze, quali la giovanissima età dell'imputato, lo scarsissimo spessore criminale della sua condotta, i precedenti specifici di non particolare gravità, le sue condizioni di vita familiari e personali, il danno patrimoniale di lievissima entità;

5) violazione di legge e vizi della motivazione quanto all'applicazione della recidiva, che si sarebbe potuta escludere alla luce della risalenza nel tempo dei precedenti specifici.

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All'odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all'esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, perchè proposto per motivi non consentiti e privi di specificità.

1.1 Con il primo motivo il ricorrente ha reiterato analoga doglianza già diffusamente disattesa dalla Corte d'appello (v. f. 5, 6 e 7 della sentenza impugnata), la quale, sulla base delle dichiarazioni del teste C.F., "lineari e coerenti", oltre che "arricchite dalle dichiarazioni degli altri testi presenti", è pervenuta alla conclusione che "l'imputato si è reso autore del reato di rapina impropria: ha sottratto il portafogli e poi, per assicurarsi il possesso della refurtiva nonchè l'impunità, ha dapprima aggredito C., poi spintonato anche R.P.".

A fronte della motivazione della pronuncia impugnata, scevra da vizi rilevabili in questa sede, le doglianze del ricorrente si risolvono in una sollecitazione a valutare diversamente il materiale probatorio: richiesta, questa, inammissibile in sede di legittimità.

Va ricordato, in proposito, che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione, di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando precluse la rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti 1.2 Il secondo motivo è privo di specificità, non confrontandosi il ricorrente con la motivazione della Corte d'appello, che ha correttamente evidenziato che, "accertata la responsabilità del P.

quanto al reato di cui al capo A, va riconosciuta anche la sussistenza dell'aggravante del nesso teleologico, quanto al reato di cui al capo B, realizzato al fine di assicurarsi il possesso della refurtiva e l'impunità". Aggravante che rende irrilevante la mancanza di querela, essendo il reato di lesioni, in tal modo aggravato, procedibile di ufficio.

1.3 Quanto al terzo motivo deve rilevarsi che del tutto correttamente i giudici di merito hanno sussunto i fatti nell'ambito della fattispecie criminosa della rapina impropria consumata anzichè tentata, come invece propugnato dal ricorrente.

Dalla sentenza della Corte d'appello si evince che l'imputato ha sottratto il portafoglio ed ha poi usato violenza nei confronti di C.F. e R.P..

In tale situazione non è revocabile in dubbio la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della rapina impropria consumata.

Questa Corte (v. Sez. U, n. 34952 del 19.4.2012, Rv. 253153), difatti, ha avuto modo di osservare che, poichè dell'art. 628 c.p., comma 2, fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all'impossessamento, deve ritenersi che il delitto di rapina impropria si perfeziona anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per breve tempo, della disponibilità autonoma dello stesso. E' configurabile, invece, il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l'agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati

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a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l'impunità.

Contrariamente a quanto appare sostenere il ricorrente, inoltre, il controllo del personale di vigilanza non rileva al fine della sussistenza della sottrazione del bene ma incide soltanto sul conseguente momento dell'impossessamento, atteso che sotto la sorveglianza altrui ciò che viene ad essere impedita non è l'apprensione del bene ma l'acquisizione di un'autonoma disponibilità del bene.

D'altra parte, questa Corte (cfr. Sez. U, n. 52117 del 17.7.2014, Rv 261186), con riferimento alla fattispecie criminosa del furto, della quale costituiscono elementi costitutivi sia l'impossessamento che la sottrazione del bene, ha affermato che la vigilanza della persona offesa o del personale incaricato della sorveglianza impedisce l'impossessamento ma non dunque la sottrazione. Sul punto, infatti, la citata pronuncia ha chiarito che "l'impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postula il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell'agente. Sicchè, laddove esso è escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall'intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo, l'incompiutezza dell'impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell'ambito del tentativo".

In tale prospettiva ermeneutica va allora sottolineato che, nel caso in esame, essendosi verificata la sottrazione del bene, il reato di rapina impropria deve ritenersi consumato.

1.4 Sfugge ad ogni rilievo censorio anche la motivazione relativa al trattamento sanzionatorio.

1.4.1 La Corte d'appello ha negato le attenuanti generiche, in ragione del ritenuto difetto di elementi positivamente valorizzabili a tal fine.

Così motivando, la Corte d'appello ha fatto buon governo dei principi enunciati in sede di legittimità (Sez. 3, n. 44071 del 25.9.2014, Rv 260610), secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze anzidette può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62 bis, disposta con il D.L. n. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato.

1.4.2 La Corte d'appello ha altresì rimarcato che "la pena inflitta appare del tutto congrua e rispettosa dei criteri di cui all'art. 133 c.p.", trattandosi, tra l'altro, di pena che si è attestata praticamente sul minimo edittale.

In tal modo il giudice di merito ha adempiuto al suo obbligo di motivazione.

Questa Corte, difatti, è ferma nel ritenere che è adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorchè sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'art. 133 c.p., ritenuto prevalente e di dominante rilievo (Sez. un., n. 5519 del 21/4/1979, Rv. 142252): invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, in tutte le sue

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componenti, appare necessaria soltanto nel caso in cui la pena sia superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti risultare sufficienti a dare conto del corretto impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. espressioni del tipo "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato oppure alla capacità a delinquere (Sez. II, n. 36245 del 26/6/2009, Rv. 245596; Sez. IV, n. 46412 del 5/11/2015, Rv. 265283).

1.5 Quanto alla recidiva, deve rilevarsi che il ricorrente non ha interesse a sollevare censure, essendo la recidiva stata ritenuta subvalente.

Ad ogni modo, può rimarcarsi che la Corte d'appello ha rilevato che "l'imputato annovera due condanne per reati della stessa indole e i fatti per cui si procede evidenziano che quelle precedenti vicissitudini giudiziarie non servirono da ammaestramento e che, reiterando analoghe condotte, l'imputato ha evidenziato una sempre maggiore pericolosità".

Siffatte argomentazioni, con cui il giudice di merito ha adeguatamente motivato sulla maggiore pericolosità sociale dell'imputato, sono esenti da vizi sindacabili in questa sede.

2. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 24 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

B) Cassazione penale sez. II, 29/05/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 17/06/2019), n.26596

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 9 luglio 2014 la Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa dal GIP del Tribunale della stessa città il 20 luglio 2011, con cui F.M. è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all'art. 628 c.p., comma 2.

Avverso la sentenza d'appello il difensore dell'imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, non essendo i fatti stati qualificati come tentato furto e resistenza a pubblico ufficiale, così come originariamente contestati.

Secondo il ricorrente, la complessiva condotta a lui addebitata si sarebbe dovuta sussumere in più fattispecie, ossia in quella del furto aggravato - perchè il mezzo sottratto, previa effrazione del bloccasterzo, era parcheggiato nella pubblica via - nonchè in quella di resistenza a pubblico ufficiale, in considerazione dell'abbondante lasso di tempo trascorso tra l'avvenuto

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impossessamento della cosa mobile altrui ed il controllo, del tutto fortuito, da parte della P.G.

All'odierna odierna udienza pubblica, verificata la regolarità degli avvisi di rito, la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, essendo il motivo di censura dedotto manifestamente infondato.

Questo Collegio ritiene corretta la qualificazione giuridica dei fatti contestati al prevenuto come rapina impropria ex art. 628 c.p., comma 2.

Sul punto va preliminarmente osservato che, a differenza della rapina propria ex art. 628 c.p., comma 1, per la cui consumazione - come per il furto - è necessaria la verificazione dell'evento dell'impossessamento della cosa mobile altrui, per la consumazione della rapina impropria è invece

Sul punto va preliminarmente osservato che, a differenza della rapina propria ex art. 628 c.p., comma 1, per la cui consumazione - come per il furto - è necessaria la verificazione dell'evento dell'impossessamento della cosa mobile altrui, per la consumazione della rapina impropria è invece