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Cassazione penale sez. V, 27/01/2020, (dep. 24/04/2020), n.12892

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 09.10.2017 la Corte di Appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina che aveva dichiarato M.F. responsabile dei reati di violenza privata (capo A) danneggiamento (capo C), condannandolo alla pena di anni uno di reclusione, per avere, in concorso con C.F., costretto P.E. e P.C. ad interrompere l'attività di volantinaggio che avevano in corso, e per aver distrutto, strappandolo di mano, un volantino raffigurante la macchina votiva della (OMISSIS), contenente lo scritto

"(OMISSIS)".

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di M.F., Avv.

Giovanbattista Freni, deducendo i seguenti motivi di ricorso.

2,1 Violazione di legge e vizio di motivazione relativa alla parte in cui la Corte, mal analizzando la sentenza di primo grado, avrebbe affermato la responsabilità di M. per i reati di cui ai capi A e B della rubrica, ovvero dei reati di violenza privata e furto.

Invero, avendo il giudice di prime cure assolto l'imputato dal reato di furto dei volantini perchè il fatto non sussiste, non si potrebbe ritenere sussistente la violenza, consistita nella asserita sottrazione del volantino, quale presupposto essenziale della violenza privata.

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento delle prove: lamenta innanzitutto la violazione dell'art. 521 c.p.p., avendo la Corte territoriale modificato la realtà fattuale rispetto alla contestazione; in secondo luogo, deduce il travisamento della prova, per avere la Corte ignorato la testimonianza del sovra intendente della Polizia di Stato D.M.C., resa all'udienza del 18.11.2013, che, intervenuto sul luogo del reato, avrebbe dichiarato di aver identificato soltanto il Forami, coimputato di M. assolto dal Tribunale dal reato di violenza privata; anche la testimonianza di L.R.C., Comandante della Polizia Municipale di (OMISSIS), che ha riferito di essere intervenuto sul posto a seguito di richiesta dell'imputato, è stata ignorata, analogamente a quella di D.B.A., di R. e di Pr..

Contesta che l'imputato abbia strappato di mano volantini, essendosi al più limitato a staccarli dal luogo dove erano stati affissi, lamenta che non sia stato approfondito il dolo, sul rilievo che M., in qualità di componente del Comitato (OMISSIS), non poteva consentire un volantinaggio offensivo della Madonna, ed aveva un dovere di intervenire

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per reprimere un fatto ritenuto quantomeno inopportuno; la violenza contestata sarebbe analoga a quella consentita dall'art. 383 c.p.p. al privato che proceda all'arresto in flagranza di reato.

2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 635 e 612 c.p.: la Corte, avendo ritenuto che la responsabilità del M. è stata accertata per il reato di furto, non avrebbe deciso in merito al reato di danneggiamento, nonchè in ordine alla richiesta di riqualificazione del reato di violenza privata in quello di minaccia.

2.4. Violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, al diniego delle attenuanti generiche, e dell'art. 131 bis c.p., negato dalla Corte immotivatamente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile.

2. Secondo la ricostruzione dei fatti accertata dai giudici di merito, nel corso di un'attività di volantinaggio dell'associazione "(OMISSIS)", dopo che P.C. aveva attaccato un volantino, sopraggiungeva M.F., che, dopo averlo letto, lo strappava e lo appallottolava, chiedendo di sospendere il volantinaggio, in quanto offensivo per la Madonna e per la città di (OMISSIS), aggiungendo che la mafia e il pizzo non esistevano a (OMISSIS), ma solo a (OMISSIS) ("Io sono M. il capo della (OMISSIS)...la (OMISSIS) è nostra e dovete chiedere il permesso...la mafia e il pizzo non c'entrano niente...la mafia non esiste...la mafia non c'è"); noncurante delle garbate repliche delle ragazze intente al volantinaggio, che attaccavano un altro volantino al posto di quello strappato, M. tornava indietro, e strappava anche questo secondo, avvertendole che avrebbe chiamato le forze dell'ordine e rivendicando il proprio potere (io sono M. il capo (OMISSIS)"); quindi iniziava a seguirle e ad insultarle, mentre strappava altri volantini, e chiedeva telefonicamente rinforzi contro

"due pazze"; la condotta intimidatoria proseguiva anche nei confronti di P.E., al quale le ragazze si erano unite, poichè seguiva il gruppetto sino ad un bar ai cui tavolini si erano seduti i volontari; aderendo alla richiesta di "rinforzi", sopraggiungeva C.F., che si

"fiondava" sul tavolino dei ragazzi tentando di sottrarre i volantini, ed insultando e minacciando i giovani, fino al sopraggiungere di una volante della Polizia, allettata dal P..

3. Tanto premessa, i motivi proposti sono inammissibili, innanzitutto perchè, oltre a reiterare le medesime censure rivolte con l'appello, e respinte con diffusa motivazione dalla Corte territoriale, con la quale omettono qualsivoglia confronto argomentativo, propongono doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto

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posti a fondamento della decisione, la cui vantazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n.

6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. II, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944;

Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).

In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), - ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito delle dichiarazioni di alcuni testimoni e della legittimità dell'opposizione all'attività di volantinaggio.

Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicchè il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.

Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.

4. Ciò posto quanto ai limiti del sindacato di legittimità, va evidenziato che il primo ed il terzo motivo sono altresì manifestamente infondati, in quanto la sentenza di primo grado aveva condannato M. per il reati di violenza privata (capo A) e danneggiamento di un volantino (capo C), assolvendolo dal reato di furto del volantino contestato al capo B, per l'assenza della finalità di profitto; la Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado, e, indicando a p. 2 la condanna per i capi A e B, è evidentemente incorsa in un mero refuso, avendo argomentato in relazione soltanto ai reati di violenza privata e danneggiamento.

Del tutto infondate sono, dunque, le censure del ricorrente, anche perchè il furto non

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integrerebbe comunque una modalità della condotta del reato di violenza privata.

Appare, invece, pacifica la qualificazione giuridica del fatto di avere strappato e distrutto un volantino come danneggiamento.

4.1. Il secondo motivo, oltre a non essere consentito, per quanto già evidenziato, è altresì manifestamente infondato: la doglianza concernente la violazione dell'art. 521 c.p.p. è del tutto infondata, non cogliendosi quale sarebbe il fatto diverso accertato dalla sentenza rispetto all'imputazione; le doglianze con cui si sostiene che l'opposizione all'attività di volantinaggio, in quanto non autorizzata o comunque blasfema, sarebbe stata legittima e che nessuna violenza o minaccia sarebbe stata esercitata, sono smentite dalla ricostruzione dei fatti accertata dalla sentenza impugnata, che ha ben evidenziato non soltanto le frasi minacciose proferite dal M. e dal coimputato C., ma l'atteggiamento intimidatorio manifestato nei confronti dei volontari dell'associazione "Addiopizzo", seguiti, insultati ed ostacolati nella loro attività di volantinaggio, per impedirne loro la prosecuzione, rivendicando un inesistente potere autoattribuitosi (di Capo (OMISSIS)).

4.2. Le doglianze concernenti le dichiarazioni dei testimoni D.M.C., L.R.C. e D.B.A., lungi dall'integrare un travisamento della prova, si risolvono, in realtà, nella mera deduzione di una erronea valutazione delle stesse, sulla base di estratti, peraltro laconici ed arbitrariamente selezionati, delle dichiarazioni rese, diretta a sollecitare una non consentita rivalutazione del merito; le dichiarazioni dei testi R. e Pr. appaiono irrilevanti, concernendo la qualifica di "capo (OMISSIS)" rivestita dal M., fatto pacifico ed incontestato, nondimeno ininfluente ai fini dell'integrazione dei reato di violenza privata, essendo chiaro che essa non attribuisce poteri pubblicistici di preteso mantenimento dell'ordine pubblico.

4.3. Manifestamente infondata è, infine, la deduzione di un errore sul fatto, in quanto la dedotta convinzione del M. di reprimere un fatto illecito, o quantomeno inopportuno (l'attività di volantinaggio), oltre a non avere un fondamento probatorio, e ad essere ictu oculi pretestuosa, per l'assenza di qualsivoglia previsione di un potere pubblicistico in capo ad un rappresentante di una manifestazione religiosa, sarebbe al più qualificabile come errore sul diritto, irrilevante ai sensi dell'art. 5 c.p. ai fini dell'esclusione della colpevolezza, salva l'ignoranza inesorabile; ignoranza, nella fattispecie, non invocatale, anche perchè, come evidenziato dalla sentenza impugnata, sia l'Assessore Ca. che il vicecomandante della Polizia Municipale L.R., consultati dal M., lo avevano avvisato che non avrebbe dovuto occuparsi della questione, e che avrebbe dovuto piuttosto rivolgersi alle forze dell'ordine.

Il ricorrente è giunto addirittura ad ipotizzare una facoltà di arresto in flagranza, ai sensi

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dell'art. 383 c.p.p., senza considerare che l'attività di volantinaggio che è stata impedita, lungi dall'essere un reato, integra una libertà costituzionalmente garantita dall'art. 21 Cost..

4.4. La finalità perseguita, di impedire il volantinaggio, è stata peraltro richiamata dalla Corte territoriale per escludere la riqualificazione, sollecitata dall'appellante, del reato di cui all'art. 610 nel reato di cui all'art. 612 c.p.; sicchè la doglianza proposta al riguardo con il terzo motivo è manifestamente infondata.

Invero, il criterio distintivo tra il delitto di violenza privata e quello di minaccia non risiede nella materialità del fatto che può essere identico in ciascuna delle due fattispecie, bensì nell'elemento intenzionale: ed infatti mentre per la sussistenza della minaccia è sufficiente che l'agente eserciti genericamente una azione intimidatoria - trattandosi di reato formale con evento di pericolo immanente nella stessa azione - la violenza privata, invece, presenta sotto il profilo soggettivo un "quid pluris", essendo la minaccia diretta a costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa, con evento di danno costituito dall'essersi l'altrui volontà estrinsecata in un comportamento coartante (Sez. 5, n. 2492 del 31/01/1991, Napoli, Rv. 186479).

5. Il quarto motivo, concernente il trattamento sanzionatorio ed il diniego delle attenuanti generiche e dell'art. 131 bis c.p., è inammissibile.

5.1. Quanto al trattamento sanzionatorio, è pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n.

36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243); sicchè è inammissibile la censura che, ne giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrano, Rv.

259142).

Inoltre, nel rammentare che, nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale (Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464), o anche al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono

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impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283), nel caso in esame la Corte territoriale ha valorizzato, quali indici fattuali di commisurazione della pena, la gravità delle condotte e la capacità criminale dell'imputato, già gravato da diversi precedenti penali.

5.2. Quanto alle attenuanti generiche, premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art.

133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n.

43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).

Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, e i precedenti penali dai quali risulta gravato l'imputato, negando la ricorrenza di motivi di particolare valore sociale o morale nella condotta intimidatoria dello stesso; al riguardo, va rammentato che, ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, non è sufficiente l'intima convinzione dell'agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, essendo necessaria l'obiettiva rispondenza del movente della condotta a valori etici o sociali condivisi e riconosciuti come preminenti dalla coscienza collettiva; ne consegue che l'attenuante non può trovare applicazione se il fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nell'erronea opinione del soggetto attivo del reato, anche in ragione della disciplina prevista dall'art. 59 c.p., in base alla quale le circostanze devono essere applicate per le loro connotazioni oggettive (Sez. 2, n. 197 del 07/12/2016, dep.

2017. Dolce, Rv. 268779).

Sicchè la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e delle altre attenuanti invocate è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o

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rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).

5.3. La doglianza concernente il vizio di motivazione in ordine all'art. 131 bis c.p., infine, è inammissibile, in quanto la causa di non punibilità non risulta essere stata richiesta nè con i motivi di appello, nè in udienza.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che si liquidano in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

PQM P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che liquida in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2020 Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2020

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3) DOLO E RICETTAZIONE.

Traccia.

Tizio veniva arrestato per detenzione e spaccio di stupefacenti. Durante la sua detenzione in carcere, la moglie Mevia, avendo bisogno di soldi per mantenere il loro bambino, li chiedeva con insistenza all’uomo. Tizio faceva in modo che l’amico Sempronio desse alla moglie 150 euro a settimana.

Dopo quattro mesi dall’arresto di Tizio, però, anche Sempronio veniva arrestato e Mevia veniva indagata per il reato di ricettazione. In particolare, gli inquirenti avevano accertato che Sempronio era il sodale di Tizio nell’attività di spaccio di stupefacenti e che il denaro corrisposto alla moglie altro non era che il frutto delle loro attività illecite.

A seguito di processo penale, Mevia veniva condannata per il reato di cui all’art. 648 c.p..

Il candidato, assunte le vesti di legale di Mevia, rediga atto di appello avverso la suddetta sentenza di condanna.

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