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TRACCE E GIURISPRUDENZA DI DIRITTO PENALE. (Con traccia per l esercitazione)

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TRACCE E GIURISPRUDENZA DI DIRITTO PENALE

III

(Con traccia per l’esercitazione)

CORSO INTENSIVO AVVOCATO 2020 a cura dell’avv. Giulio Forleo

www.jurisschool.it

www.ildirittopenale.blogspot.com

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INDICE

Premessa………. 3

Traccia assegnata nella precedente dispensa………4

Possibile soluzione parere………...5

Schema risolutivo atto………..…10

Traccia: Dolo eventuale ed omissione di soccorso…...………14

Soluzione Traccia 1………...………15

Traccia: Errore di fatto ed esclusione della colpevolezza.……...………...23

Soluzione Traccia 2……….…………. 24

Traccia: Dolo e ricettazione………..31

Soluzione Traccia 3……….…………..…32

Traccia: Colpa del medico: nozione di imperizia………38

Soluzione Traccia 4……….…………..39

Traccia: Dolo specifico e reato di addestramento con finalità di terrorismo …….…….62

Soluzione Traccia 5……….…………..63

Traccia: Dolo specifico nel reato di furto……….82

Soluzione Traccia 6……….…………..83

Traccia: Trasmissione consapevole virus HIV e reato di pandemia……….90

Soluzione Traccia 7……….…………..91

Traccia: Colpa cosciente e previsione dell’evento in concreto………110

Soluzione Traccia 8……….111

Massime rilevanti 2020………..……….116

Traccia per l’esercitazione……….………119

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Premessa Gentili ragazze/i,

in questa terza dispensa del modulo di penale affronteremo le tematiche connesse all’elemento soggettivo del reato.

Molte delle pronunce scelte in questa dispensa affrontano in maniera approfondita tematiche oggetto di importanti dibattiti giurisprudenziali. Cercate di studiare e memorizzare anche le massime poste nelle ultime pagine, scelte sempre nell’ottica degli argomenti “papabili”.

Nella prima parte della dispensa troverete altresì la soluzione della traccia del parere assegnata nel modulo di penale 2 e lo schema risolutivo dell’atto di penale. Dal prossimo modulo invertirò le soluzioni, fornendovi l’atto svolto e lo schema del parere.

La soluzione della prova intermedia di penale sarà invece presente nel modulo Penale n.4.

Per qualsiasi delucidazione e/o chiarimento non esitate a scrivermi all’indirizzo jurisschool@gmail.com.

Grazie mille e buon lavoro.

Roma, lì 21.10.2020

Avv. Giulio Forleo

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TRACCIA ASSEGNATA NELLA PRECEDENTE DISPENSA

Nella sua qualità di funzionario agronomo del Servizio Giardini del Comune Alfa, Sempronio riceveva un avviso di conclusione delle indagini preliminari in cui gli veniva contestato il reato di omicidio colposo ai danni di Tizio.

Nella ricostruzione degli avvenimenti ivi contenuta, si sottolineava come Tizio fosse deceduto a seguito di un incidente stradale mentre era alla guida della sua automobile.

In particolare, veniva rappresentato che Tizio, dopo vari sbandamenti, aveva perso il controllo della sua autovettura andando ad impattare con un albero posto al lato della carreggiata.

L’ipotesi accusatoria della Procura della Repubblica si basava sull’accertamento della irregolare struttura del manto stradale dovuta alle radici prospicienti dei pini posti al margine della strada.

In proposito gli inquirenti avevano accertato che, un mese e mezzo prima dell’evento, nel corso delle potature di alberi ad alto fusto delle strade del Comune Alfa, Sempronio aveva avuto modo di valutare le condizioni “di salute” dell’albero.

Di detta ispezione esterna, tuttavia, non era stato redatto alcun verbale, in quanto l’albero non presentava alcuna sofferenza vegetativa, né rami secchi o altre anomalie.

A Sempronio veniva, dunque, contestato di non aver preso alcuna iniziativa, né personalmente né di mera segnalazione all’Ente comunale per assicurare la manutenzione e la vigilanza dell’area in questione.

Dai rilievi effettuati dalla Procura era emerso, inoltre, che la perdita di controllo dell’automobile era stata causata dall’elevata velocità del mezzo e dalla presenza di acqua sul manto stradale, fattori che avevano impedito qualsiasi tentativo di controllo da parte di Tizio.

All’esito del processo penale, il Tribunale riteneva Sempronio responsabile del reato di cui all’art. 589 c.p. e lo condannava alla pena di anni tre di reclusione, diminuita per l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

Il candidato, assunte le vesti di legale di Sempronio:

- premessi brevi cenni sull’accertamento del nesso di causalità nei reati omissivi impropri, rediga parere motivato sulla possibilità di proporre appello avverso la sentenza di primo grado;

- rediga atto di appello avverso la pronuncia di primo grado.

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POSSIBILE SOLUZIONE PARERE

Viene richiesto parere motivato da parte di Sempronio in merito alla possibilità di impugnare vittoriosamente la sentenza di condanna a tre anni di reclusione emessa nei suoi confronti dal Tribunale penale per il reato previsto e punito dall’art. 589 c.p..

In particolare, il Tribunale accoglieva l’impostazione accusatoria della Procura che contestava a Sempronio, nella sua qualità di funzionario agronomo del Servizio Giardini del Comune Alfa, di non aver preso alcuna iniziativa, né personalmente né di mera segnalazione all’Ente comunale, per assicurare la manutenzione e la vigilanza della sconnessa sede stradale a causa della quale aveva perso la vita l’automobilista Tizio in un incidente.

Dalle indagini effettuate dagli inquirenti era emerso, infatti, che l’irregolare struttura del manto stradale era dovuta alle radici prospicienti dei pini posti al margine della strada e che, un mese e mezzo prima dell’evento, nel corso delle potature di alberi ad alto fusto delle strade del Comune Alfa, Sempronio aveva avuto modo di valutare proprio le condizioni “di salute”

dell’albero in questione.

Di detta ispezione esterna, tuttavia, non era stato redatto alcun verbale, in quanto l’albero non presentava alcuna sofferenza vegetativa, né rami secchi o altre anomalie.

Dagli elementi rappresentati emerge con chiarezza come, per fornire una risposta alla richiesta di parere, è necessario soffermarsi brevemente sugli elementi caratterizzanti i reati omissivi impropri (categoria nella quale potrebbe rientrare la condotta di Sempronio), per poi accertare se l’obbligo giuridico connesso all’esercizio di una funzione pubblica richieda o meno la consapevolezza del pubblico ufficiale di aver preso la situazione in carico in veste di garante, sulla base di un’investitura derivante da una chiara situazione di fatto.

Infine, si dovrà approfondire la tematica del nesso causale ed il suo accertamento in tale categoria reati omissivi impropri.

Come noto, nell’ambito della categoria dei reati omissivi, si è soliti distinguere tra: reati omissivi propri e reati omissivi impropri.

I reati omissivi propri (o di pura omissione) sono quelli che consistono nel solo mancato compimento da parte del soggetto dell’azione imposta da un preciso dovere giuridico. Essi sono, quindi, dei tipici reati di pura condotta, in quanto si perfezionano semplicemente con l’omissione della condotta che il soggetto aveva l’obbligo giuridico di tenere, indipendentemente dalla conseguente verificazione di un evento in senso naturalistico.

Nei reati omissivi impropri o di non impedimento, invece, la violazione penalmente rilevante consiste nel mancato impedimento di un evento materiale che si aveva l’obbligo giuridico di impedire e che rileva penalmente in virtù della clausola generale di cui all’art. 40, comma 2

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c.p., secondo cui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” (c.d. clausola di equivalenza).

La legge attribuisce, allora, in questi casi rilevanza penale non all’omissione in quanto tale ma al non impedimento dell’evento, la cui verificazione costituisce requisito strutturale del fatto tipico, a differenza che nei reati omissivi propri.

Si tratta, dunque, di reati di evento (o con evento naturalistico), ossia di reati in cui per la consumazione è necessario, oltre al compimento di una data azione od omissione (sufficiente nei reati di pura condotta), il verificarsi di un determinato effetto eziologicamente ricollegato alla condotta.

Tra gli elementi costitutivi della fattispecie omissiva impropria di cui all’art. 40 c.p. sono di centrale importanza la posizione di garanzia che deve rivestire l’agente ed il connesso obbligo di impedire l’evento, che deve avere i seguenti requisiti:

- la giuridicità dell’obbligo di attivarsi, in base al principio di legalità e riserva di legge;

- la specialità dell’obbligo di garanzia, con esclusione dal penalmente rilevante degli obblighi a contenuto generico, in base al principio di legalità – tassatività;

- la specificità dei soggetti beneficiari dell’altrui obbligo di garanzia, in base al principio di solidarietà;

- la specificità dei soggetti titolari dell’obbligo di garanzia che non può gravare sulla generalità dei consociati ma solo su specifiche categorie che si trovino in particolare rapporto con il bene giuridico da proteggere;

- l’esistenza di poteri giuridici impeditivi in capo alla garante, preesistenti alla situazione di pericolo, sulla base del principio della personalità della responsabilità penale;

- la possibilità materiale del garante di impedire l’evento.

In virtù di tali coordinate interpretative si può sin da subito escludere la sussistenza, nel caso di specie, di una posizione di garanzia in capo a Sempronio.

E’ evidente al riguardo che Sempronio è semplicemente un “funzionario agronomo” ed il suo compito è semplicemente quello di valutare lo stato di salute delle piante: egli non ha compiti di vigilanza e controllo circa lo stato dell’asfalto in conseguenza dell’innalzamento delle radici degli alberi.

Né tantomeno, può ritenersi sufficiente, di per sè sola, una mera situazione di fatto, come quella contestata dalla Procura per sostenere che sia stata effettuata una ispezione in senso tecnico-giuridico, idonea a costituire la base della richiamata posizione di garanzia in capo a Sempronio.

Difatti, come chiarito da recente giurisprudenza, “L'obbligo giuridico connesso all'esercizio di una funzione richiede un quadro fattuale-normativo che consenta al funzionario pubblico

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di essere consapevole di prendere in carico la situazione di rischio in veste di garante, sulla base di un'investitura derivante da una chiara situazione di fatto, avente rilevanza giuridica, e che investa lo stesso dell'obbligo di garanzia, con tutto ciò che ne consegue in termini di consapevolezza di dover seguire certe regole, che si connettono all'obbligo di diligenza richiesto al pubblico dipendente nell'esercizio della specifica funzione di controllo al medesimo demandata. Per l'effetto, deve essere annullata la pronuncia di merito che si limita a far discendere l'obbligo giuridico di garanzia dalla generica qualità di funzionario del Comune” (Cassazione penale sez. IV, 05/06/2019, n.37224).

Nel caso in esame, la Procura non chiarisce sulla base di quali norme, regole o disposizioni Sempronio fosse stato investito della puntuale verifica delle condizioni di pericolosità delle radici dell’albero in termini di circolazione stradale, non potendo certamente bastare, allo scopo, un evento casuale ed estemporaneo come il descritto "passaggio" sul posto per altre finalità.

In realtà, l'attivazione di poteri pubblici finalizzati alla prevenzione di un rischio potenziale per la pubblica incolumità, come quello in esame, non può discendere da una situazione casuale come quella che è stata laconicamente eccepita dalla Procura, non essendo stato adeguatamente chiarito se nella fattispecie Sempronio abbia svolto, sia pure senza verbalizzarla, una vera e propria ispezione o verifica in senso tecnico-giuridico, finalizzata alla prevenzione dello specifico rischio legato alle radici dell’albero.

Ciò detto, anche nella denegata ipotesi in cui si ammettesse la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a Sempronio, questi non risponderebbe comunque della morte di Tizio dal momento che la sua condotta non può essere causalmente connessa all’incidente.

L’aspetto ermeneutico più problematico dei reati omissivi impropri è proprio quello di individuare il nesso di causalità tra l’omissione e l’evento.

Nei reati omissivi non si tratta, infatti, di indagare sulla riconducibilità di un evento ad una determinata azione, bensì occorrerà determinare se il compimento dell’azione omessa avrebbe effettivamente impedito la verificazione dell’evento.

Tale differenza con i reati “attivi” si percepisce in maniera evidente nel compimento del giudizio controfattuale: anziché eliminare idealmente l’azione compiuta, nei reati omissivi sarà necessario aggiungere idealmente l’azione omessa per verificare se l’evento si sarebbe comunque realizzato.

In questi casi, le difficoltà di accertamento del nesso eziologico derivano dalla necessità da parte dell’interprete di svolgere un giudizio doppiamente ipotetico, dovendosi da un lato supporre l’esistenza di una condotta che non si è verificata, ossia la condotta doverosa omessa, e dall’altro lato, supporre le conseguenze che detta condotta avrebbe prodotto in termini di

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impedimento dell’evento.

In relazione ai contrasti sulla equiparabilità tra le tecniche di accertamento del nesso di causalità nei reati attivi e in quelli omissivi, è intervenuta in maniera dirimente la Cassazione a Sezioni Unite con la nota sentenza Franzese.

Con tale pronuncia, le Sezioni Unite hanno affermato che non è concepibile un diverso grado di certezza dell’accertamento per le due forme di causalità (attiva o omissiva), essendo necessario per entrambe che l’individuazione del nesso di causalità avvenga non in termini di

“certezza assoluta”, ma secondo i canoni della “certezza processuale” conducenti conclusivamente, all'esito del ragionamento probatorio di tipo largamente induttivo, ad un giudizio di responsabilità caratterizzato da "alto grado di credibilità razionale" o "conferma"

dell'ipotesi formulata sullo specifico fatto da provare: giudizio enunciato dalla giurisprudenza anche in termini di "elevata probabilità logica" o "probabilità prossima alla certezza”.

Le conclusioni raggiunte dalla sentenza Franzese, in termini identità del grado di certezza dell’accertamento, da ultimo sono state ribadite dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella più recente sentenza ThyssenKrupp, nella quale tuttavia la Suprema Corte ha precisato che le ipotesi di causalità attiva e quelle di causalità omissiva si differenziano sul piano della struttura del giudizio controfattuale. Tale differenza discende evidentemente dal fatto che l'omissione costituisce un nulla dal punto di vista naturalistico, sicchè nel giudizio controfattuale viene inserita una condotta astratta e solamente idealizzata.

Inoltre, per prevedere ciò che sarebbe accaduto nel singolo caso oggetto del processo è di grande importanza conoscere cosa accade nei casi simili.

Occorre dunque rivolgersi alle generalizzazioni formatesi a proposito del nesso causale che c'interessano, se esistenti. In questo caso si utilizzano le generalizzazioni scientifiche o esperienziali in chiave eminentemente deduttiva e, per tale ragione, è assai importante il prescelto coefficiente probabilistico (in termini di probabilità statistica) della regolarità causale.

Alla luce dei principi giurisprudenziali sopra enunciati, occorre riesaminare la dinamica dell’incidente per valutare se, secondo un giudizio controfattuale, la perdita di controllo dell’auto di Tizio e la sua conseguente morte, si sarebbe comunque verificata anche in presenza di una sede stradale non dissestata.

Al riguardo si sottolinea come la Procura abbia accertato che lo sbandamento dell’automobile di Tizio ed il conseguente urto contro le barriere è stato determinato dalla elevata velocità del mezzo e dalla presenza di acqua sul manto stradale.

Tali dati fattuali consentono di escludere la sussistenza del nesso di causalità tra l’omissione contestata a Sempronio e l’evento morte, in quanto, tenuto conto della velocità elevata e della

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pioggia sul manto stradale, non è possibile sostenere al di là di ogni ragionevole dubbio che in assenza delle radici sopraelevate degli alberi, Tizio non avrebbe comunque perso il controllo della sua autovettura.

L’assenza di una posizione di garanzia in capo a Sempronio e l’insussistenza e del nesso di causalità tra la contestata condotta omissiva e l’evento suggeriscono la proposizione dell’appello avverso la sentenza di primo grado, al fine di ottenere l’assoluzione dell’imputato con formula “il fatto non sussiste”.

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SCHEMA RISOLUTIVO ATTO

Ai fini di un corretto svolgimento dell’atto assegnato avreste dovuto sviluppare i seguenti punti.

1) Non essendo espressamente indicato il giudice di primo grado bisognava intestare genericamente l’atto di appello alla Corte d’Appello di _____.

2) Ripercorrere brevemente gli elementi del fatto mettendo in evidenza, in maniera funzionale al successivo sviluppo della parte in diritto, che:

- nella ricostruzione degli avvenimenti contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, si sottolineava come Tizio, dopo vari sbandamenti, aveva perso il controllo della sua autovettura andando ad impattare con un albero posto al lato della carreggiata.

- l’ipotesi accusatoria della Procura della Repubblica si basava sull’accertamento della irregolare struttura del manto stradale dovuta alle radici prospicienti dei pini posti al margine della strada.

- gli inquirenti avevano accertato che, un mese e mezzo prima dell’evento, nel corso delle potature di alberi ad alto fusto delle strade del Comune Alfa, Sempronio aveva avuto modo di valutare le condizioni “di salute” dell’albero. Di detta ispezione esterna, tuttavia, non era stato redatto alcun verbale, in quanto l’albero non presentava alcuna sofferenza vegetativa, né rami secchi o altre anomalie.

- a Sempronio veniva, dunque, contestato di non aver preso alcuna iniziativa, né personalmente né di mera segnalazione all’Ente comunale per assicurare la manutenzione e la vigilanza dell’area in questione.

- dai rilievi effettuati dalla Procura era emerso, inoltre, che la perdita di controllo dell’automobile era stata causata dall’elevata velocità del mezzo e dalla presenza di acqua sul manto stradale, fattori che avevano impedito qualsiasi tentativo di controllo da parte di Tizio.

- all’esito del processo penale, il Tribunale riteneva Sempronio responsabile del reato di cui all’art. 589 c.p. e lo condannava alla pena di anni tre di reclusione, diminuita per l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

3) Indicare espressamente (a pena di inammissibilità) i capi e i punti della sentenza da impugnare:

“la sentenza è errata e va riformata nella parte in cui ha ritenuto sussistente in capo a Sempronio la posizione di garanzia, necessaria ai sensi dell’art. 40 c.p., per configurare la sua responsabilità ai sensi dell’art. 589 c.p.”;

“la sentenza è errata e va riformata nella parte in cui ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la condotta omissiva di Sempronio e la morte di Tizio”;

4) Formulare apposito titoletto “Error in iudicando et in procedendo - Violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 589 c.p. – Insussistenza della posizione di garanzia - L’imputato

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doveva essere assolto perché il fatto non sussiste”.

4.1) Indicare subito che nel caso di specie Sempronio doveva essere assolto con formula “il fatto non sussiste” non essendo individuabile alcuna posizione di garanzia in capo allo stesso in assenza di un preciso obbligo giuridico di impedire l’evento connesso all'esercizio della sua funzione pubblica.

4.2) Illustrare gli elementi costitutivi della fattispecie omissiva impropria e dell’art. 40 c.p.:

- situazione tipica: il presupposto di fatto che genera una situazione di pericolo per il bene da proteggere rendendo doveroso il compimento dell’azione tesa all’impedimento dell’evento;

- la condotta omissiva, intesa quale mancato compimento dell’azione volta all’impedimento dell’evento;

- l’evento naturalistico;

- il rapporto di causalità tra non fare e l’evento.

4.3) Approfondire, poi, l’elemento della posizione di garanzia dell’agente e dell’obbligo di impedire l’evento che deve avere i seguenti requisiti:

- in base al principio di legalità – riserva di legge, la giuridicità dell’obbligo di attivarsi;

- in base al principio di legalità – tassatività, la specialità dell’obbligo di garanzia, con esclusione del penalmente rilevante degli obblighi a contenuto generico;

- in base al principio di solidarietà, la specificità dei soggetti beneficiari dell’altrui obbligo di garanzia;

- la specificità dei soggetti titolari dell’obbligo di garanzia che non può gravare sulla generalità dei consociati ma solo su specifiche categorie che si trovino in particolare rapporto con il bene giuridico da proteggere;

- sulla base del principio della personalità della responsabilità penale, l’esistenza di poteri giuridici impeditivi in capo alla garante, preesistenti alla situazione di pericolo;

- la possibilità materiale del garante di impedire l’evento.

4.4) In virtù di tali coordinate interpretative escludere nel caso di specie la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a Sempronio.

Evidenziare al riguardo che Sempronio è un “funzionario agronomo” e che il suo compito è semplicemente quello di valutare lo stato di salute delle piante. Egli non ha compiti di vigilanza e controllo circa lo stato dell’asfalto in conseguenza dell’innalzamento delle radici degli alberi.

Né tantomeno, può ritenersi sufficiente, di per sè sola, una mera situazione di fatto, come quella contestata dalla Procura per sostenere che sia stata effettuata una ispezione in senso

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tecnico-giuridico, idonea a costituire la base della richiamata posizione di garanzia in capo a Sempronio.

Difatti, come chiarito da recente giurisprudenza, “L'obbligo giuridico connesso all'esercizio di una funzione richiede un quadro fattuale-normativo che consenta al funzionario pubblico di essere consapevole di prendere in carico la situazione di rischio in veste di garante, sulla base di un'investitura derivante da una chiara situazione di fatto, avente rilevanza giuridica, e che investa lo stesso dell'obbligo di garanzia, con tutto ciò che ne consegue in termini di consapevolezza di dover seguire certe regole, che si connettono all'obbligo di diligenza richiesto al pubblico dipendente nell'esercizio della specifica funzione di controllo al medesimo demandata. Per l'effetto, deve essere annullata la pronuncia di merito che si limita a far discendere l'obbligo giuridico di garanzia dalla generica qualità di funzionario del Comune” (Cassazione penale sez. IV, 05/06/2019, n.37224).

Nel caso di specie la Procura non chiarisce sulla base di quali norme, regole o disposizioni Sempronio fosse stata investito della puntuale verifica delle condizioni di pericolosità delle radici dell’albero in termini di circolazione stradale, non potendo certamente bastare, allo scopo, un evento casuale ed estemporaneo come il descritto "passaggio" sul posto per altre finalità.

In realtà, l'attivazione di poteri pubblici finalizzati alla prevenzione di un rischio potenziale per la pubblica incolumità, come quello in esame, non può discendere da una situazione casuale come quella che è stata laconicamente eccepita dalla Procura, non essendo stato adeguatamente chiarito se nella fattispecie Sempronio abbia svolto, sia pure senza verbalizzarla, una vera e propria ispezione o verifica in senso tecnico-giuridico, finalizzata alla prevenzione dello specifico rischio legato alle radici dell’albero.

5) Formulare apposito titoletto “Error in iudicando et in procedendo - Violazione e falsa applicazione degli artt. 40, 41 e 589 c.p. – Insussistenza del nesso di causalità tra condotta ed evento - L’imputato doveva essere assolto perché il fatto non sussiste”.

5.1) Rappresentare che, anche nella denegata ipotesi in cui si ammettesse la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a Sempronio, questi non risponderebbe comunque della morte di Tizio dal momento che la sua condotta non può essere causalmente connessa all’incidente.

5.2) Approfondire l’istituto del nesso di causalità nei reati omissivi impropri alla luce delle principali teorie interpretative sviluppatesi in dottrina ed in giurisprudenza.

5.3) Accennare alle specifiche problematiche e ai contrasti giurisprudenziali connessi all’accertamento della causalità omissiva, così come risolti dalla nota Sentenza “Franzese”

delle Sezioni Unite della Cassazione che ha introdotto il criterio del giudizio di elevata

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credibilità razionale.

5.4) Proprio alla luce dei principi giurisprudenziali sopra enunciati, riesaminare la dinamica dell’incidente ricostruita dagli inquirenti, riepilogando tutti gli elementi fattuali costituenti cause dell’evento concretamente verificatosi.

5.5) In particolare, sottolineare come nel caso di specie sia stato accertato che lo sbandamento dell’automobile di Tizio ed il conseguente urto contro le barriere è stato determinato dalla elevata velocità del mezzo e dalla presenza di acqua sul manto stradale.

5.6) Tali dati fattuali consentono di escludere la sussistenza del nesso di causalità tra l’omissione contestata a Sempronio e l’evento morte, in quanto, tenuto conto della velocità elevata e della pioggia sul manto stradale, non è possibile sostenere al di là di ogni ragionevole dubbio che in assenza delle radici sopraelevate degli alberi, Tizio non avrebbe comunque perso il controllo della sua autovettura.

6) Formulare le conclusioni chiedendo che:

“l’Ecc.ma Corte d’Appello adita voglia, in riforma della sentenza impugnata, assolvere l’imputato dal reato di cui all’art. 589 c.p., con formula il fatto non sussiste”.

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1) DOLO EVENTUALE ED OMISSIONE DI SOCCORSO.

Traccia parere.

Dopo una lunga giornata di lavoro, mentre percorreva la strada per tornare a casa, Tizio investiva all’improvviso il velocipede condotto da Sempronio che, senza rispettare lo stop, gli aveva tagliato la strada.

Impaurito dall’impatto, Tizio si fermava a stento con l’auto e, accertatosi velocemente che Sempronio non avesse perso conoscenza, anziché prestargli soccorso, scappava via.

Nei giorni seguenti, Tizio apprendeva dai giornali locali che Sempronio era stato ricoverato con contusioni presso l’ospedale Alfa e che la Polizia era alla ricerca del “pirata della strada” che lo aveva investito. Nei giornali si riportava, inoltre, che, grazie alle telecamere presenti sul tragitto, presto le Forze dell’Ordine sarebbero risalite al colpevole.

Preoccupato per le conseguenze penali della propria condotta, Tizio si rivolge al vostro studio legale per ottenere motivato parere, precisandovi che, avendo visto l’uomo rialzarsi con la bicicletta, non poteva assolutamente immaginare le gravi conseguenze subite dallo stesso.

Il candidato rediga il richiesto parere.

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15 SOLUZIONE TRACCIA 1

Cassazione penale sez. IV, 16/09/2020 (dep. 01/10/2020), n.27241

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Bologna, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente R.E., con sentenza del 28/2/2019 confermava la sentenza emessa in data 1/2/2018 dal Tribunale di Tribunale di Ferrara, in composizione monocratica, che, all'esito di giudizio ordinario, lo aveva condannato alla pena di dieci mesi di reclusione, con la sospensione condizionale e la non menzione della stessa, con sospensione della patente di guida per un anno per il delitto p. e p. dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 189, commi 1 e 7 (C.d.S.) perchè, percorrendo con la propria autovettura Fiat Punto tg. (OMISSIS) Viale (OMISSIS) con direzione Via (OMISSIS), dopo il verificarsi di un incidente stradale comunque ricollegabile al suo comportamento in quanto, svoltando - a sinistra collideva con il velocipede condotto da O.L.A. (il quale a seguito della caduta riportava "poli-contusioni" giudicate guaribili in giorni cinque), che percorreva l'attraversamento ciclopedonale sulla medesima intersezione tra Via (OMISSIS) e Viale (OMISSIS), dopo essersi fermato si allontanava velocemente, non ottemperando all'obbligo di prestare assistenza alla persona ferita.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il R., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Con un primo motivo si deduce errata applicazione dell'art. 189 C.d.S., comma 7 e vizio motivazionale assumendosi che la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata con il proposto motivo di appello circa la mancanza di un'effettiva necessità di assistenza della persona offesa.

Il ricorrente richiama in proposito, oltre che giurisprudenza di merito, le sentenze 39088/2016 e 14610/2014 di questa Corte di legittimità che costituirebbero, a suo dire, orientamento maggioritario che esclude la sussistenza del necessario bisogno in caso di assenza di lesioni ovvero qualora altri vi abbiano già provveduto.

Il ricorrente evidenzia in proposito come nel caso di specie, la persona offesa sia stata immediatamente circondata da connazionali i quali ne impedivano il soccorso. Ciò si evincerebbe sia dalla testimonianza resa dallo stesso R. nel corso del procedimento di primo grado (il richiamo è al verbale udienza 1/02/2018 Tribunale di Ferrara), sia

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soprattutto dalla comunicazione di incidente stradale prot. 0106/15 redatta dal Corpo Polizia Municipale Terre Estensi (di cui alla comunicazione di incidente stradale prot.

0106/15). Da tale comunicazione emergerebbe chiaramente come all'arrivo degli operanti fosse già presente un'ambulanza al cui personale veniva impedito, da parte di numerose persone di origine africana, di soccorrere l'infortunato.

Dagli atti, ed in particolare dalla predetta comunicazione di incidente stradale, emergerebbe come tali persone, probabilmente nell'ottica di un possibile risarcimento, fossero più interessate a che venissero effettuati i rilievi stradali piuttosto che il soccorso medico per cui era giunta l'ambulanza.

La mancanza dell'effettivo bisogno di assistenza sarebbe ulteriormente comprovata dal certificato medico del Pronto Soccorso prodotto dalla difesa durante l'udienza del 1/12/2018.

La stessa sentenza della Corte d'Appello di Bologna, del resto, richiamava tale certificato, nella parte in cui viene dato atto di una "piccola ferita sanguinante" per la quale veniva formulata una prognosi di soli 5 giorni (v.si pag. 5 sentenza).

La Corte d'Appello tuttavia ometteva di considerare come la persona offesa non sia stata sottoposta ad alcun trattamento specifico per la cura di tale piccola ferita, considerata pertanto di lievissima entità anche dagli operatori del Pronto Soccorso.

Non essendosi resa necessaria alcuna cura, pertanto, apparirebbe poco plausibile la tesi secondo cui l'investito si trovasse in una situazione effettiva di bisogno di assistenza e soprattutto che l'imputato potesse rendersene conto.

Non bisogna dimenticare infatti - prosegue il ricorso - che la piccolissima ferita alla tibia (di cui al certificato pronto soccorso) era evidentemente occultata dai pantaloni che la parte offesa naturalmente indossava al momento dell'incidente verificatosi nel mese di (OMISSIS).

Alla luce di tali osservazioni appare evidente per il ricorrente che nella situazione in esame non possa dirsi sussistente uno degli elementi costitutivi del reato contestato.

Ma la fattispecie di cui all'art. 189 C.d.S., comma 7, in relazione al caso in oggetto, non appare integrata, secondo la tesi proposta in ricorso, nemmeno sotto il profilo dell'elemento soggettivo.

Viene ricordato come lo stesso Pubblico Ministero, nel primo grado di giudizio, avesse chiesto l'assoluzione dell'imputato perchè il fatto non costituiva reato per mancanza di tale elemento soggettivo.

Ciò in quanto il reato di omissione di assistenza è punibile esclusivamente a titolo di dolo,

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nel cui oggetto deve rientrare dunque anche il bisogno di assistenza delle persone offese (il richiamo è al precedente di questa Sez. 4 n. 14610/2014).

Secondo la Corte d'Appello di Bologna l'ipotesi che l'imputato non si sia reso conto che la persona offesa necessitasse di assistenza non è credibile, senza tuttavia che tale assunto venisse supportato da alcuna motivazione (v.si pag. 5 sentenza).

Uno degli elementi su cui la Corte d'Appello si basava al fine di affermare la penale responsabilità dell'odierno ricorrente consisteva nel fatto che la vettura del R. presentava un'ammaccatura riconducibile al sinistro. Ma apparirebbe assolutamente illogico il ragionamento della Corte d'Appello (v.si pag. 4 sentenza), secondo la quale l'ammaccatura riportata dalla vettura del ricorrente sarebbe da imputare ad un contatto diretto con la persona offesa e che in conseguenza di ciò quest'ultima abbia riportato solamente una piccola ferita ad una gamba.

Risulterebbe certamente maggiormente verosimile che il piccolo danno all'autovettura sia stato causato dall'impatto con la bicicletta dell'investito.

Tra l'altro, dalla sopramenzionata comunicazione di incidente stradale redatta dal Corpo Polizia Municipale Terre Estensi, emerge che non è stato possibile stabilire se la persona offesa conducesse la bicicletta a mano oppure se circolasse in sella.

A seguito di una ricostruzione logica, basata soprattutto sul referto del Pronto Soccorso, appare evidente come l'imputato, avendo urtato la bicicletta della persona offesa e non vedendo alcuna ferita, possa ragionevolmente aver ritenuto di non aver causato alcun danno all'investito.

L'incidente infatti non presentava caratteristiche di gravità tali da poter indurre il R. a ritenere sussistente in capo alla persona un effettivo bisogno di assistenza.

Il ricorrente evidenzia come l'imputato, a seguito dell'impatto con la bicicletta della persona offesa, si sia immediatamente fermato al fine di verificare le condizioni dell'investito. E soltanto dopo avere appurato l'assenza di lesioni e notato l'arrivo di diversi connazionali della persona offesa, il ricorrente si recava presso l'abitazione della propria compagna sita a poche centinaia di metri dal luogo dell'incidente. Ciò emergerebbe - prosegue il ricorso - non solo dall'esame del R., ma anche dalle dichiarazioni della stessa parte offesa nonchè da quelle del suo connazionale ( A.N.O.) acquisite con il consenso della difesa al fascicolo per il dibattimento.

Da tali dichiarazioni risulterebbe chiaramente come, a seguito dell'impatto, l'imputato si fosse fermato per verificare le condizioni dell'investito.

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Lo stesso R. spiegava che il suo successivo allontanamento si giustificava sia per il fatto che non apparivano presenti segni di lesioni sia in quanto erano sopraggiunti con atteggiamento aggressivo numerosi connazionali della parte offesa così come confermato, si ribadisce, nella comunicazione di incidente redatta dal Corpo Polizia Municipale.

In conseguenza di ciò non apparirebbe integrato l'elemento soggettivo richiesto al fine della sussistenza del reato.

Con un secondo motivo si deduce erronea applicazione dell'art. 131 bis c.p., nonchè mancanza ed illogicità della motivazione essendo completamente assente la motivazione circa il mancato accoglimento del secondo motivo proposto dalla scrivente difesa nell'atto d'appello, con il quale veniva richiesta l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Viene ricordato che questa Corte si è espressa favorevolmente all'applicazione dell'art. 131 bis c.p., in relazione a casi di omissione di assistenza ex art. 189 C.d.S., comma 7 (il richiamo è a questa Sez. 4 n. 54809/2017), richiamando la precedente sentenza delle Sezioni Unite n. 13681/2016 ed affermando che "la nuova normativa non si interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena".

In quel caso la Suprema Corte considerava una prognosi di 10 giorni indicativa della lieve entità delle lesioni patite dalla persona offesa e, in ragione di ciò, applicava l'art. 131 bis c.p., dichiarando di conseguenza l'esclusione della punibilità.

Ebbene, diverso ed ancor meno grave sarebbe il fatto imputato al R., la cui imputazione contemplava una prognosi di soli 5 giorni a carico della parte offesa.

La lieve entità del danno subito dalla persona offesa non costituirebbe, peraltro, l'unico elemento da valutarsi nel caso di specie al fine dell'applicazione dell'istituto di cui all'art.

131 bis c.p., rileva anche il comportamento post-delictum dell'agente (il richiamo è a Sez.

4, n. 29744/2017).

In tale ottica andrebbe considerato che l'imputato si allontanava dal luogo dell'incidente solamente dopo essersi fermato, aver appurato che l'investito non aveva riportato ferite o lesioni ed aver notato che quest'ultimo era stato prontamente raggiunto da connazionali i quali tra l'altro, ribadisce il ricorrente, tenevano nei confronti del R. un atteggiamento particolarmente aggressivo.

Ulteriore elemento che viene ritenuto rilevante è il comportamento della persona offesa.

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Nella sopracitata sentenza Sez. 4, n. 54809/2017, viene ricordato che questa Corte riteneva la mancata costituzione di parte civile un elemento significativo al fine dell'assoluzione per particolare tenuità del fatto.

Nel caso in esame non solo la parte offesa non si è costituita parte civile, ma addirittura si è resa irreperibile successivamente al risarcimento da parte dell'assicurazione del R. che, come documentato in giudizio (attestazione di pagamento - all'udienza del 1/2/2018), provvedeva a corrispondere la somma di 370 Euro a completo ristoro deì danni patiti.

Con un terzo motivo si lamenta erronea applicazione dell'art. 133 c.p., nonchè mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione laddove il giudice del gravame del merito ha erroneamente confermato la sentenza del Tribunale di Ferrara in merito alla quantificazione della pena.

Al R. infatti, nonostante l'applicazione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., non veniva tuttavia riconosciuto il minimo edittale, il che per il ricorrente appare in contraddizione con l'esiguità del danno patito dalla persona offesa, con l'intervenuto risarcimento da parte della compagnia assicuratrice e con la ridotta intensità del dolo (la cui sussistenza il ricorrente, peraltro, contesta in toto).

Quanto alla personalità dell'imputato, la Corte territoriale non ha poi tenuto in alcuna considerazione il fatto che quest'ultimo ha sempre collaborato con l'Autorità, confermando fin dal principio il suo coinvolgimento nell'incidente nonchè sottoponendosi ad esame durante il dibattimento durante il quale forniva la propria versione dei fatti.

La valutazione complessiva degli elementi non può che confermare la minima gravità della condotta posta in essere dall'imputato e pertanto di ciò si sarebbe dovuto tenere conto nella sentenza della Corte d'Appello.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

3. In data 2/2/2020, a fronte dell'originaria fissazione della presente procedura dinanzi alla Settima Sezione Penale di questa Corte, il difensore del R. depositava memoria ex art. 611 c.p.p., insistendo sui motivi del ricorso e sull'ammissibilità dello stesso.

All'udienza del 12/2/2020, ritenuti i motivi proposti non manifestamente infondati, la Settima Sezione Penale di questa Corte rimetteva il fascicolo a questa Quarta Sezione Penale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto viene riproposta la tesi difensiva in punto di carenza dell'elemento soggettivo del reato, che è stata disattese da entrambi i

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giudici di merito e che non può in questa sede essere riproposta tout court adducendosi la violazione di norma processuale o del vizio di motivazione, avendo in particolare il giudice di appello opportunamente chiarito che le condotte contestate nel capo d'imputazione hanno trovato ampio riscontro nelle dichiarazioni della persona offesa e del teste A.N.O., che era riuscito ad annotare il numero di targa dell'auto allontanatasi, e nei danni all'auto, oltre che nell'ammissione dell'imputato circa il suo coinvolgimento nell'incidente.

La sentenza impugnata offre sul punto una motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto, e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità, nel confutare la linea difensiva secondo cui l'imputato non si sarebbe reso conto che la persona offesa necessitasse di assistenza e cure.

Pur dato atto della circostanza che effettivamente un gruppo di connazionali della persona offesa intervenuti in suo soccorso avesse impedito che la stessa venisse soccorsa dal personale del 118 intervenuto con l'ambulanza prima dei rilievi da parte della polizia i giudici del gravame del merito hanno dato atto logicamente che il comportamento del R.

non può essere ritenuto necessitato in quanto lo stesso ben avrebbe potuto allontanarsi di non molto dal luogo dell'incidente ed attendere l'arrivo della pattuglia, oppure mettersi in contatto con la polizia per telefono o recandosi al comando per spiegare l'accaduto, mentre non ha riferito a nessuno dell'incidente fino a che non è stato rintracciato dagli agenti in tarda serata dopo lunghe ricerche, grazie al numero di targa annotato dal teste.

La pronuncia, sul punto, si colloca, pertanto, nell'alveo del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui l'elemento soggettivo del reato previsto dall'art. 189 C.d.S., comma 7, è integrato anche in presenza del dolo eventuale, ravvisabile in capo all'utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall'incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all'obbligo di prestare la necessaria assistenza ai feriti.

In altre parole, per la punibilità è necessario che ogni componente del fatto tipico (segnatamente il danno alle persone e l'esservi persone ferite, necessitanti di assistenza) sia conosciuta e voluta dall'agente. A tal fine, è però sufficiente anche il dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all'elemento volitivo, ma che può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all'incidente, è sufficiente che, per le modalità di verificazione

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di questo e per le complessive circostanze della vicenda, l'agente si rappresenti la probabilità - o anche la semplice possibilità - che dall'incidente sia derivato un danno alle persone e che queste necessitino di assistenza e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi (Sez. 4, n. 6904 del 20/11/2013, dep. 2014, Richichi, n. m.; Sez. 4, n. 36270 del 24/05/2012, Bosco, n. m.; Sez. 4, n. 33294 del 14/05/2008, Curia, Rv. 242113; SeZ. 4 n.

54809 del 18/10/2017, Conti, n. m.; Sez. 4, n. 33772 del 15/06/2017, Dentice, Rv. 271046).

Sempre con riguardo al primo motivo di ricorso, va rilevato che, diversamente da quanto opina il ricorrente, il reato di omissione di assistenza, di cui all'art. 189 C.d.S., comma 7, presuppone quale antefatto non punibile un incidente stradale da cui sorge l'obbligo di assistenza anche nel caso di assenza di ferite in senso tecnico, essendo sufficiente lo stato di difficoltà indicativo del pericolo che dal ritardato soccorso può derivare per la vita o l'integrità fisica della persona (Sez. 4, n. 21049 del 6/4/2018, Barbieri, Rv. 273255).

Inoltre, va ribadito che la sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato, che è integrato dal semplice fatto che in caso d'incidente stradale con danni alle persone non si ottemperi all'obbligo di prestare assistenza. E costituisce ius receptum che tale condotta, va tenuta a prescindere dall'intervento di terzi, poichè si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell'incidente medesimo (cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 8626 del 7/2/2008, Rv. 238973).

2. Il secondo motivo di ricorso è fondato.

Come riconosce la Corte di Appello a pag. 3, e come risulta dall'atto di appello del 14/3/2018 a firma dell'Avv. Marcello Rambaldi ed effettivamente vi era un secondo motivo di gravame (pag. 6-8) sul 131bis. ma poi - circostanza costituente il secondo motivo dell'odierno ricorso - non c'è un rigo di risposta in motivazione.

Va ricordato che, secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un.

13681 del 25/02/2016, Tushaj, in motivazione), "la nuova normativa non si interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena. Insomma, si è qui entro la distinzione tra fatto legale, tipico, e fatto storico, situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall'agente".

A tali elementi il giudice di merito deve porre attenzione nel valutare la sussumibilità del fatto nell'ipotesi normativa.

Ebbene, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dei concreti elementi riferibili alla realtà processuale ed alle emergenze istruttorie, desumibili dalle sentenze di merito dai

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quali si evinca la particolare tenuità del fatto, dei quali il giudice di legittimità può oggi tenere conto alla luce del novellato art. 620 c.p.p., lett. l).

In particolare, non è stato attribuito il dovuto rilievo alla natura delle minime lesioni riportate dalla persona offesa e alla non evidente visibilità delle stesse, alla presenza comunque di persone che si erano radunate intorno al loro connazionale, alla mancata costituzione di parte civile, all'avvenuto risarcimento da parte dell'assicurazione del R. e al fatto che l'imputato si sia comunque fermato prima di allontanarsi e che, comunque, una volta rintracciato non abbia mai negato il suo coinvolgimento nell'incidente.

Elementi che inducono il Collegio a ritenere che il fatto sia sussumibile, senza necessità di ulteriori accertamenti, nella previsione dell'art. 131 bis c.p..

Il terzo motivo di ricorso è assorbito.

3. Conseguentemente, il provvedimento impugnato deve essere annullato

senza rinvio per l'accoglimento dell'istanza di applicazione dell'art. 131 bis c.p. (cfr. Sez.

4 n. 54809 del 18/10/2017, Conti, n. m.).

PQM P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato non è punibile per la particolare tenuità del fatto.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2020

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2) ERRORE DI FATTO ED ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA.

Traccia

Nel corso della processione della Madonna lungo le strade del paesino Beta, l’associazione Gamma effettuava un'attività di volantinaggio contro la Mafia. Dopo che Tizia aveva attaccato un volantino, sopraggiungeva Mevio, capo della congregazione della Madonna, che, dopo averlo letto, lo strappava e lo appallottolava, chiedendo di sospendere il volantinaggio, in quanto offensivo per la Madonna e per la città Beta, aggiungendo che la mafia e il pizzo non esistevano a Beta. Noncurante delle garbate repliche delle ragazze intente al volantinaggio, che attaccavano un altro volantino al posto di quello strappato, Mevio tornava indietro, e strappava anche questo secondo, avvertendole che avrebbe chiamato le forze dell'ordine e rivendicando il proprio potere di organizzatore della processione. Quindi iniziava a seguirle e ad insultarle, mentre strappava altri volantini, e chiedeva telefonicamente rinforzi contro "due pazze"; la condotta intimidatoria proseguiva anche nei confronti di Sempronio, al quale le ragazze si erano unite, poichè seguiva il gruppetto sino ad un bar ai cui tavolini si erano seduti i volontari; aderendo alla richiesta di "rinforzi", sopraggiungeva Caio che si "fiondava" sul tavolino dei ragazzi tentando di sottrarre i volantini, ed insultando e minacciando i giovani, fino al sopraggiungere di una volante della Polizia, allettata da Sempronio.

A seguito di denuncia sporta dalla ragazze dell’associazione Gamma, Mevio si rivolge al vostro studio legale per ottenere parere sulle conseguenze penali della propria condotta, rappresentandovi di aver agito nella piena convinzione che la condotta delle ragazze dell’associazione fosse contraria alla legge, non essendo autorizzata durante la manifestazione religiosa “de qua”.

Il candidato rediga il richiesto parere.

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SOLUZIONE TRACCIA 2

Cassazione penale sez. V, 27/01/2020, (dep. 24/04/2020), n.12892

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 09.10.2017 la Corte di Appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina che aveva dichiarato M.F. responsabile dei reati di violenza privata (capo A) danneggiamento (capo C), condannandolo alla pena di anni uno di reclusione, per avere, in concorso con C.F., costretto P.E. e P.C. ad interrompere l'attività di volantinaggio che avevano in corso, e per aver distrutto, strappandolo di mano, un volantino raffigurante la macchina votiva della (OMISSIS), contenente lo scritto

"(OMISSIS)".

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di M.F., Avv.

Giovanbattista Freni, deducendo i seguenti motivi di ricorso.

2,1 Violazione di legge e vizio di motivazione relativa alla parte in cui la Corte, mal analizzando la sentenza di primo grado, avrebbe affermato la responsabilità di M. per i reati di cui ai capi A e B della rubrica, ovvero dei reati di violenza privata e furto.

Invero, avendo il giudice di prime cure assolto l'imputato dal reato di furto dei volantini perchè il fatto non sussiste, non si potrebbe ritenere sussistente la violenza, consistita nella asserita sottrazione del volantino, quale presupposto essenziale della violenza privata.

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento delle prove: lamenta innanzitutto la violazione dell'art. 521 c.p.p., avendo la Corte territoriale modificato la realtà fattuale rispetto alla contestazione; in secondo luogo, deduce il travisamento della prova, per avere la Corte ignorato la testimonianza del sovra intendente della Polizia di Stato D.M.C., resa all'udienza del 18.11.2013, che, intervenuto sul luogo del reato, avrebbe dichiarato di aver identificato soltanto il Forami, coimputato di M. assolto dal Tribunale dal reato di violenza privata; anche la testimonianza di L.R.C., Comandante della Polizia Municipale di (OMISSIS), che ha riferito di essere intervenuto sul posto a seguito di richiesta dell'imputato, è stata ignorata, analogamente a quella di D.B.A., di R. e di Pr..

Contesta che l'imputato abbia strappato di mano volantini, essendosi al più limitato a staccarli dal luogo dove erano stati affissi, lamenta che non sia stato approfondito il dolo, sul rilievo che M., in qualità di componente del Comitato (OMISSIS), non poteva consentire un volantinaggio offensivo della Madonna, ed aveva un dovere di intervenire

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per reprimere un fatto ritenuto quantomeno inopportuno; la violenza contestata sarebbe analoga a quella consentita dall'art. 383 c.p.p. al privato che proceda all'arresto in flagranza di reato.

2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 635 e 612 c.p.: la Corte, avendo ritenuto che la responsabilità del M. è stata accertata per il reato di furto, non avrebbe deciso in merito al reato di danneggiamento, nonchè in ordine alla richiesta di riqualificazione del reato di violenza privata in quello di minaccia.

2.4. Violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, al diniego delle attenuanti generiche, e dell'art. 131 bis c.p., negato dalla Corte immotivatamente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile.

2. Secondo la ricostruzione dei fatti accertata dai giudici di merito, nel corso di un'attività di volantinaggio dell'associazione "(OMISSIS)", dopo che P.C. aveva attaccato un volantino, sopraggiungeva M.F., che, dopo averlo letto, lo strappava e lo appallottolava, chiedendo di sospendere il volantinaggio, in quanto offensivo per la Madonna e per la città di (OMISSIS), aggiungendo che la mafia e il pizzo non esistevano a (OMISSIS), ma solo a (OMISSIS) ("Io sono M. il capo della (OMISSIS)...la (OMISSIS) è nostra e dovete chiedere il permesso...la mafia e il pizzo non c'entrano niente...la mafia non esiste...la mafia non c'è"); noncurante delle garbate repliche delle ragazze intente al volantinaggio, che attaccavano un altro volantino al posto di quello strappato, M. tornava indietro, e strappava anche questo secondo, avvertendole che avrebbe chiamato le forze dell'ordine e rivendicando il proprio potere (io sono M. il capo (OMISSIS)"); quindi iniziava a seguirle e ad insultarle, mentre strappava altri volantini, e chiedeva telefonicamente rinforzi contro

"due pazze"; la condotta intimidatoria proseguiva anche nei confronti di P.E., al quale le ragazze si erano unite, poichè seguiva il gruppetto sino ad un bar ai cui tavolini si erano seduti i volontari; aderendo alla richiesta di "rinforzi", sopraggiungeva C.F., che si

"fiondava" sul tavolino dei ragazzi tentando di sottrarre i volantini, ed insultando e minacciando i giovani, fino al sopraggiungere di una volante della Polizia, allettata dal P..

3. Tanto premessa, i motivi proposti sono inammissibili, innanzitutto perchè, oltre a reiterare le medesime censure rivolte con l'appello, e respinte con diffusa motivazione dalla Corte territoriale, con la quale omettono qualsivoglia confronto argomentativo, propongono doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto

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posti a fondamento della decisione, la cui vantazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n.

6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. II, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944;

Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).

In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), - ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito delle dichiarazioni di alcuni testimoni e della legittimità dell'opposizione all'attività di volantinaggio.

Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicchè il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.

Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.

4. Ciò posto quanto ai limiti del sindacato di legittimità, va evidenziato che il primo ed il terzo motivo sono altresì manifestamente infondati, in quanto la sentenza di primo grado aveva condannato M. per il reati di violenza privata (capo A) e danneggiamento di un volantino (capo C), assolvendolo dal reato di furto del volantino contestato al capo B, per l'assenza della finalità di profitto; la Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado, e, indicando a p. 2 la condanna per i capi A e B, è evidentemente incorsa in un mero refuso, avendo argomentato in relazione soltanto ai reati di violenza privata e danneggiamento.

Del tutto infondate sono, dunque, le censure del ricorrente, anche perchè il furto non

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integrerebbe comunque una modalità della condotta del reato di violenza privata.

Appare, invece, pacifica la qualificazione giuridica del fatto di avere strappato e distrutto un volantino come danneggiamento.

4.1. Il secondo motivo, oltre a non essere consentito, per quanto già evidenziato, è altresì manifestamente infondato: la doglianza concernente la violazione dell'art. 521 c.p.p. è del tutto infondata, non cogliendosi quale sarebbe il fatto diverso accertato dalla sentenza rispetto all'imputazione; le doglianze con cui si sostiene che l'opposizione all'attività di volantinaggio, in quanto non autorizzata o comunque blasfema, sarebbe stata legittima e che nessuna violenza o minaccia sarebbe stata esercitata, sono smentite dalla ricostruzione dei fatti accertata dalla sentenza impugnata, che ha ben evidenziato non soltanto le frasi minacciose proferite dal M. e dal coimputato C., ma l'atteggiamento intimidatorio manifestato nei confronti dei volontari dell'associazione "Addiopizzo", seguiti, insultati ed ostacolati nella loro attività di volantinaggio, per impedirne loro la prosecuzione, rivendicando un inesistente potere autoattribuitosi (di Capo (OMISSIS)).

4.2. Le doglianze concernenti le dichiarazioni dei testimoni D.M.C., L.R.C. e D.B.A., lungi dall'integrare un travisamento della prova, si risolvono, in realtà, nella mera deduzione di una erronea valutazione delle stesse, sulla base di estratti, peraltro laconici ed arbitrariamente selezionati, delle dichiarazioni rese, diretta a sollecitare una non consentita rivalutazione del merito; le dichiarazioni dei testi R. e Pr. appaiono irrilevanti, concernendo la qualifica di "capo (OMISSIS)" rivestita dal M., fatto pacifico ed incontestato, nondimeno ininfluente ai fini dell'integrazione dei reato di violenza privata, essendo chiaro che essa non attribuisce poteri pubblicistici di preteso mantenimento dell'ordine pubblico.

4.3. Manifestamente infondata è, infine, la deduzione di un errore sul fatto, in quanto la dedotta convinzione del M. di reprimere un fatto illecito, o quantomeno inopportuno (l'attività di volantinaggio), oltre a non avere un fondamento probatorio, e ad essere ictu oculi pretestuosa, per l'assenza di qualsivoglia previsione di un potere pubblicistico in capo ad un rappresentante di una manifestazione religiosa, sarebbe al più qualificabile come errore sul diritto, irrilevante ai sensi dell'art. 5 c.p. ai fini dell'esclusione della colpevolezza, salva l'ignoranza inesorabile; ignoranza, nella fattispecie, non invocatale, anche perchè, come evidenziato dalla sentenza impugnata, sia l'Assessore Ca. che il vicecomandante della Polizia Municipale L.R., consultati dal M., lo avevano avvisato che non avrebbe dovuto occuparsi della questione, e che avrebbe dovuto piuttosto rivolgersi alle forze dell'ordine.

Il ricorrente è giunto addirittura ad ipotizzare una facoltà di arresto in flagranza, ai sensi

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dell'art. 383 c.p.p., senza considerare che l'attività di volantinaggio che è stata impedita, lungi dall'essere un reato, integra una libertà costituzionalmente garantita dall'art. 21 Cost..

4.4. La finalità perseguita, di impedire il volantinaggio, è stata peraltro richiamata dalla Corte territoriale per escludere la riqualificazione, sollecitata dall'appellante, del reato di cui all'art. 610 nel reato di cui all'art. 612 c.p.; sicchè la doglianza proposta al riguardo con il terzo motivo è manifestamente infondata.

Invero, il criterio distintivo tra il delitto di violenza privata e quello di minaccia non risiede nella materialità del fatto che può essere identico in ciascuna delle due fattispecie, bensì nell'elemento intenzionale: ed infatti mentre per la sussistenza della minaccia è sufficiente che l'agente eserciti genericamente una azione intimidatoria - trattandosi di reato formale con evento di pericolo immanente nella stessa azione - la violenza privata, invece, presenta sotto il profilo soggettivo un "quid pluris", essendo la minaccia diretta a costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa, con evento di danno costituito dall'essersi l'altrui volontà estrinsecata in un comportamento coartante (Sez. 5, n. 2492 del 31/01/1991, Napoli, Rv. 186479).

5. Il quarto motivo, concernente il trattamento sanzionatorio ed il diniego delle attenuanti generiche e dell'art. 131 bis c.p., è inammissibile.

5.1. Quanto al trattamento sanzionatorio, è pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n.

36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243); sicchè è inammissibile la censura che, ne giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrano, Rv.

259142).

Inoltre, nel rammentare che, nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale (Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464), o anche al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono

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impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283), nel caso in esame la Corte territoriale ha valorizzato, quali indici fattuali di commisurazione della pena, la gravità delle condotte e la capacità criminale dell'imputato, già gravato da diversi precedenti penali.

5.2. Quanto alle attenuanti generiche, premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art.

133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n.

43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).

Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, e i precedenti penali dai quali risulta gravato l'imputato, negando la ricorrenza di motivi di particolare valore sociale o morale nella condotta intimidatoria dello stesso; al riguardo, va rammentato che, ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, non è sufficiente l'intima convinzione dell'agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, essendo necessaria l'obiettiva rispondenza del movente della condotta a valori etici o sociali condivisi e riconosciuti come preminenti dalla coscienza collettiva; ne consegue che l'attenuante non può trovare applicazione se il fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nell'erronea opinione del soggetto attivo del reato, anche in ragione della disciplina prevista dall'art. 59 c.p., in base alla quale le circostanze devono essere applicate per le loro connotazioni oggettive (Sez. 2, n. 197 del 07/12/2016, dep.

2017. Dolce, Rv. 268779).

Sicchè la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e delle altre attenuanti invocate è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o

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rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).

5.3. La doglianza concernente il vizio di motivazione in ordine all'art. 131 bis c.p., infine, è inammissibile, in quanto la causa di non punibilità non risulta essere stata richiesta nè con i motivi di appello, nè in udienza.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che si liquidano in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

PQM P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che liquida in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2020 Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2020

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3) DOLO E RICETTAZIONE.

Traccia.

Tizio veniva arrestato per detenzione e spaccio di stupefacenti. Durante la sua detenzione in carcere, la moglie Mevia, avendo bisogno di soldi per mantenere il loro bambino, li chiedeva con insistenza all’uomo. Tizio faceva in modo che l’amico Sempronio desse alla moglie 150 euro a settimana.

Dopo quattro mesi dall’arresto di Tizio, però, anche Sempronio veniva arrestato e Mevia veniva indagata per il reato di ricettazione. In particolare, gli inquirenti avevano accertato che Sempronio era il sodale di Tizio nell’attività di spaccio di stupefacenti e che il denaro corrisposto alla moglie altro non era che il frutto delle loro attività illecite.

A seguito di processo penale, Mevia veniva condannata per il reato di cui all’art. 648 c.p..

Il candidato, assunte le vesti di legale di Mevia, rediga atto di appello avverso la suddetta sentenza di condanna.

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