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SOLUZIONE TRACCIA 9.
Cassazione penale, sez. IV, 20/03/2018, n. 27390
RITENUTO IN FATTO
1. M.A., a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la sentenza resa il 21 novembre 2016 dalla Corte di appello di Bari che confermava la pronuncia di condanna del primo grado per il delitto di cui all'art. 624 c.p., e art. 625 c.p., n. 4.
2. L'imputato si era impossessato con destrezza di un borsello che la persona offesa aveva lasciato momentaneamente incustodito all'interno di un carrello della spesa in un supermercato.
3. Con un unico motivo, il ricorrente denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge.
3.1. Reitera i motivi di appello in ordine alla mancata individuazione dell'imputato, da parte del teste operante di P.S., Claudio Lopez, nei fotogrammi acquisiti al fascicolo del dibattimento, pur avendo egli asserito in dibattimento di aver visionato in precedenza il cd dell'apparato di videosorveglianza e individuato esattamente il M. quale autore del furto. Contesta pertanto la valenza probatoria di questa testimonianza posta a fondamento della pronuncia di condanna confermata dalla Corte di merito.
3.2. L'aggravante della destrezza è stata erroneamente ravvisata, perchè il relativo concetto postula un'abilità e una scaltrezza dell'azione tali da eludere la vigilanza normale dell'uomo medio. Così connotata, non può certo dirsi sussistere in ipotesi come la presente in cui l'autore del reato si è limitato a prelevare una cosa lasciata incustodita, come da ammissione della stessa persona offesa.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
2. Quanto alla doglianza inerente la valenza probatoria della testimonianza resa in dibattimento dall'operante di P.S., il ricorrente si è limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e dalla Corte territoriale esaminate e congruamente disattese. E' ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di legittimità che debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e reputate infondate dai giudici del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua
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genericità ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice d'appello senza incorrere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità dell'impugnazione.
La doglianza di cui si è appena detto attiene, inoltre, a considerazioni di merito attinenti alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione della prova che sono precluse in sede di legittimità.
3. Quanto all'invocata insussistenza della circostanza di cui all'art. 625 c.p., n. 4, la giurisprudenza di legittimità, sin dai suoi arresti più risalenti, partendo dal significato di destrezza, che nel linguaggio comune individua l'accortezza, la rapidità, l'agilità e la prestanza nel compiere una determinata azione, ma anche la qualità psichica del saper superare le difficoltà e raggiungere l'obiettivo prefissatosi, ha assegnato alla destrezza il significato di abilità o sveltezza personale dell'attività esplicata dall'agente prima o durante l'impossessamento, talvolta definite particolari, speciali, straordinarie, ma comunque connotate dall'idoneità ad eludere la normale vigilanza dell'uomo medio sul bene.
L'analisi delle situazioni concrete, oggetto di pronunce della Corte di cassazione, fa emergere che la capacità operativa, tale da integrare la destrezza, è stata riconosciuta in condotte tipicamente improvvise e repentine. In buona sostanza, la destrezza consiste in particolari - ossia speciali, ancorchè non straordinarie - abilità, astuzia o avvedutezza dell'agente, ossia in qualificazioni del suo agire che si aggiungono alla condotta furtiva in sè e per sè considerata.
Sottolineano le Sezioni Unite (Sez. U., n. 34090, data ud. 27/04/2017, Quarticelli) che la descrizione della destrezza come speciale abilità - fisica o psichica - dell'agente trova ulteriore riscontro nell'interpretazione dell'aggravante in conformità al principio di offensività. Più precisamente, vale la medesima affermazione già espressa in passato dalle Sezioni Unite (Sez.
U., sent. n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 2559749), a proposito dell'aggravante, affine, del mezzo fraudolento, di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 2. Entrambe le aggravanti, per il fatto di essere previste in funzione di un trattamento sanzionatorio deteriore (cui si sommano la procedibilità d'ufficio e l'esclusione dell'applicabilità della disciplina sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.), devono trovare radicamento in un grado più intenso di capacità appropriativa, rivelata dalle specifiche modalità dell'azione di aggressione dell'altrui patrimonio. Le puntualizzazioni concettuali richiamate danno conto della ratio della circostanza aggravante: il fatto criminoso presenta più marcato disvalore perchè l'altrui patrimonio è oggetto di aggressione compiuta con modalità più efficaci in quanto rapide, agili,
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oppure scaltre ed avvedute, dimostrative di incrementata pericolosità sociale ed in grado di menomare la difesa delle cose.
4. Premesso quanto sopra, il Collegio osserva che la Corte di appello di Bari, richiamate le modalità dell'azione nel caso concreto, ha esattamente ravvisato nella condotta del ricorrente la circostanza aggravante di cui all'art. 625 c.p., n. 4. L'azione furtiva, infatti, si è compiuta in una ridottissima frazione di tempo e può essere riassunta nei termini seguenti: resosi conto della situazione di incustodia momentanea, il ricorrente si è avvicinato con passo svelto al carrello, ha repentinamente e abilmente introdotto il braccio al suo interno ove era occultato il portafoglio. Rileva sul punto la sentenza impugnata che l'oggetto non era posato in bella vista su un ipotetico ripiano del carrello ma ben inserito all'interno di tal che l'imputato dovette velocemente introdurre il braccio all'interno per afferrarlo. Tanto repentina e tanto abile l'azione che la stessa è sfuggita all'attenzione non della sola persona offesa ma anche agli altri clienti presenti nell'esercizio commerciale nonchè al personale di quest'ultimo. In buona sostanza, l'imputato ha dimostrato una non comune abilità esecutiva, una sorta di competenza furtiva che ben integra la nozione di destrezza così come individuata dalle Sezioni Unite (Sez. U., n. 34090, data ud. 27/04/2017, Quarticelli) e consistente in agilità o rapidità motoria ed altresì in uno sforzo psichico nell'applicazione di astuzia o avvedutezza nello studio dei luoghi e della derubata così come descritto nell'impugnata pronuncia che ricorda, all'uopo, l'annotazione di servizio degli operanti e il contenuto della testimonianza di uno di loro.
Non si versa, nell'ipotesi in esame, in una situazione di mero approfittamento della situazione di momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perchè poco attenta, oppure perchè impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, in altra attività. Si tratta, al contrario, di una condotta caratterizzata da un quid pluris, presentando l'azione del M. notevoli tratti di abilità esecutiva e di scaltrezza nell'elusione del controllo non solo dell'avente diritto ma di tutti i presenti nell'esercizio commerciale in cui il furto si è verificato.
Le menzionate modalità dell'azione trascendono l'attività di impossessamento, necessaria per la consumazione del delitto rendendo ragione dell'aggravamento del trattamento punitivo.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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Così deciso in Roma, il 20 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2018
ALTRA SENTENZA SULL’ARGOMENTO.
Cassazione penale, sez. IV, 06/03/2018, n. 15216
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Brescia, con la pronuncia in epigrafe, ha parzialmente riformato la pronuncia di condanna emessa il 5/05/2015 dal Tribunale di Brescia nei confronti di R.R.
qualificando il reato contestato al capo B) (originariamente contestato come violazione dell'art.
648 c.p.) quale ipotesi di furto aggravato ai sensi dell'art. 61 c.p., n. 2 e art. 625 c.p., n. 4 e rideterminando la pena, considerato più grave il reato contestato al capo A) per violazione dell'art. 81 c.p., comma 2, e D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 55, comma 9, in un anno di reclusione ed Euro 400,00 di multa. Fatti accertati in (OMISSIS).
2. R.R. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per erronea applicazione di legge penale in relazione alla circostanza aggravante di cui all'art. 625 c.p., n. 4 e per erronea applicazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 2. Secondo il ricorrente, l'aggravante della destrezza non può farsi coincidere con il mero impossessamento della cosa incustodita, essendo necessario che la condotta dell'agente manifesti una speciale abilità nel distogliere l'attenzione della persona offesa dal controllo e dal possesso della cosa; la sentenza avrebbe erroneamente configurato l'aggravante in relazione ad un furto perpetrato allorchè la persona offesa si era allontanata per pagare il conto all'interno di un bar, non essendo stata impiegata particolare abilità per eludere il controllo della persona offesa. Il ricorrente contesta la decisione anche con riferimento alla circostanza aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 2 perchè ritiene che, nel caso in esame, la volontà di commettere il reato-mezzo, ossia il furto, non coincidesse sin da principio con la volontà di commettere il reato-fine (indebito utilizzo di carte di credito). La Corte territoriale ha collegato al fine di utilizzare la carta il furto di essa, laddove la volontà originaria coincideva con la sottrazione e l'impossessamento del borsello piuttosto che della carta di credito, la cui presenza all'interno del borsello non poteva essere nota all'agente.
Diritto
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
1.1. Nel dirimere un contrasto interpretativo sorto tra le Sezioni semplici, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che le ragioni giustificative della previsione di questa aggravante si fondano sull'esistenza di una particolare abilità dell'agente idonea a neutralizzare le ordinarie difese della persona offesa (Sez. U, n. 34090 del 27/04/2017, Quarticelli, Rv. 27008801). E' infatti significativo che l'ipotesi più frequente in cui si verifica questa situazione sia il cosiddetto
"borseggio", nel quale l'agente riesce a porre in essere tutte le cautele necessarie per evitare che la persona offesa si renda conto di quanto sta avvenendo sulla sua persona o sui suoi accessori (la borsa ecc.). Ma, anche al di fuori dei casi di "borseggio", ciò che caratterizza la destrezza è la circostanza che l'agente si avvale di una sua particolare abilità (Sez. 2, n. 9374 del 18/02/2015, Di Battista, Rv. 26323501; Sez. 4, n. 14992 del 17/02/2009, Scalise, Rv.
24320701) per distrarre la persona offesa, per indurla a prestare attenzione ad altre circostanze o, in sintesi, per attenuare comunque la sua attenzione difensiva contro gli atti di impossessamento della cosa. Per contro, non è sufficiente che l'agente si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo.
1.2. Alla luce di questi principi, nel caso di specie non si giustifica la ravvisata esistenza, da parte dei giudici di merito, dell'aggravante in esame, avendo la persona offesa riferito che la sottrazione era avvenuta quando aveva lasciato il proprio borsello sulla sedia di un bar portandosi al bancone di mescita. Tale condotta è caratterizzata, piuttosto che dalla particolare abilità dell'agente nell'eludere la vigilanza sulla cosa, dalla semplice temerarietà di cogliere un'opportunità favorevole in assenza di controlli. Deve dunque escludersi, secondo l'orientamento interpretativo sposato dalle Sezioni Unite, che nel caso concreto sia configurabile l'aggravante della destrezza.
2. Dovendosi escludere la sussumibilità del fatto nell'ipotesi aggravata ai sensi dell'art. 625 c.p., n. 4 deve rilevarsi l'improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela.
3. Il secondo motivo di ricorso è, conseguentemente, assorbito.
4. Conclusivamente, esclusa la configurabilità dell'aggravante contestata, la sentenza deve essere annullata senza rinvio perchè l'azione penale non poteva essere iniziata, in difetto di querela, in relazione al reato di cui al capo B). La precisa indicazione della pena irrogata per il reato di cui al capo A) e dell'aumento per la continuazione interna a tale capo d'imputazione
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(pena base anni uno di reclusione ed Euro 310,00 di multa, aumentata ad anni uno mesi quattro di reclusione ed Euro 450,00 di multa, da diminuire di un terzo per il rito abbreviato) consente a questa Corte Suprema di procedere alla determinazione della pena ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. I).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di furto di cui al capo B) perchè, esclusa l'aggravante di cui all'art. 625 c.p., n. 4, l'azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di querela.
Ridetermina la pena in ordine al reato di cui al capo A) in dieci mesi e venti giorni di reclusione e Euro 300,00 di multa.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2018
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