LE RELAZIONI TRA EGITTO E STATI UNITI NEL DECISIVO PERIODO 1980-
2.1 Il sostegno economico militare americano
Nel corso degli anni larghi segmenti della società egiziana hanno contestato gli accordi di Camp David. Denunciando non tanto il raggiungimento della pace di
113 Daniel Pipes, Camp David: lungimirante diplomazia o neoconolialismo?, 25 aprile 1979
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per sé, ma piuttosto la natura non democratica e le condizioni umilianti insite negli accordi.
Del resto forte era stata la discrepanza tra la percezione della pace raggiunta, tra l'opinione pubblica interna ed estera. Se la prima esprimeva vedute critiche e di rottura, nel resto del mondo il regime egiziano era ammirato per le posizioni espresse.
Sadat allora era la diretta emanazione del “popolo egiziano” essendone ultimo ed unico rappresentante, o quantomeno gli Stati Uniti e Israele hanno storicamente percepito le nazioni arabe attraverso i leader individuali e con Sadat non è stato differente. Le nazioni occidentali hanno tratto vantaggio dall’opportunità di estromettere l’Egitto dalla lotta contro Israele, elargendo generosamente a Sadat benefici, onori e finanziamenti114. Nel caso in esame Sadat viene considerato come il rappresentante non soltanto di tutti gli Egiziani, ma anche della “grande maggioranza del popolo arabo”, sostenendo che aveva corrisposto alle “speranze dell’umanità”.
Dal punto di vista occidentale e filo-israeliano, Sadat non era semplicemente un ‘artefice di pace’, ma, nelle parole del predicatore evangelico statunitense Pat Robertson, ‘un principe della pace’115
.
È stato del resto l'Egitto il miglior alleato in terra d'Africa del governo statunitense; in pochi anni esso divenne insieme ad Israele e all'Arabia Saudita, il maggiore beneficiario mondiale degli "aiuti militari" che gli Stati Uniti fornirono principalmente per cementare gli accordi di Camp David stipulati nel 1978 e creare così un fronte politico-militare conservatore, in grado di proteggere le forniture di petrolio mediorientali.
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Gli è stato conferito il premio Nobel nel 1978, perfino prima che il trattato venisse firmato ufficialmente a Washington
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Gli Usa si impegnarono a fornire diversi miliardi di dollari di sovvenzioni annuali per le due nazioni firmatarie (Egitto ed Israele). Quei contributi durano ancora oggi in forma di sovvenzioni e aiuti. Dal 1979 fino al 2013116, l’Egitto ha ricevuto 1,3 miliardi di dollari con i quali ha rimodernato l’esercito mentre Israele riceve, dal 1985, 3 miliardi di dollari che spende in ambito militare.
Parallelamente alla nascita di una collaborazione diplomatica tra Egitto ed Stati Uniti, le relazioni tra i due Stati si svilupparono anche nel settore dell'assistenza estera. Il paragrafo intende tracciare un breve quadro generale dell'aiuto economico e militare statunitense all'Egitto a partire dalla metà degli anni settanta.
Alcune considerazioni preliminari vanno dunque fatte.
L'assistenza estera può essere definita come il trasferimento, in forma di concessione, "di risorse pubbliche da un governo ad un altro" il quale è "guidato e sostenuto nel tempo"117.
Nella maggior parte dei casi gli aiuti sono stati concessi nella forma di prestiti e concessioni, ma hanno preso anche la forma di assistenza tecnica, di materiali nonché di riduzione del debito estero.
Storicamente le disposizioni in materia erano generalmente dirette verso obbiettivi differenti, "come supporto alle esigenze di budget e della bilancia dei pagamenti dei Paesi riceventi" per promuovere attività di ricerca e progetti di investimento, ma sostenendo anche programmi di riforma nell'ambito economico e politico.
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Nel aprile 2014 il Segretario di Stato americano John Kerry ha reso nota la decisione dell’amministrazione Obama di ripristinare gli aiuti all’Egitto sospesi a seguito del golpe militare
che lo scorso luglio ha deposto il presidente Morsi.
La dichiarazione di Kerry, che apre alla consegna di 10 elicotteri Apache, motiva la decisione richiamando il rispetto dell’accordo di pace sottoscritto con Israele 35 anni fa e il mantenimento di un’alleanza strategica con Washington
117 C. Lancaster, Foreign Aid: Diplomacy, Development, Domestic Politics, Chikago, The
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Anche la fornitura di "assistenza tecnica e formazione" e di "supporto umanitario" risultavano tra le maggiori iniziative adottate118.
Comunque, nonostante l'aiuto fosse solitamente concesso come proposito esplicito, un interesse politico era insito in tale trasferimento: l'attribuzione degli aiuti - in particolare quando il fornitore era uno Stato strategico o un’ importante organizzazione internazionale come la Word Bank - poteva determinare sia l'approvazione dei donatori circa le scelte politiche del ricevente, (ad esempio quando l'aiuto veniva elargito in grandi quantità) sia la loro disapprovazione quando la quantità era minore o l'aiuto veniva ritirato119.
L’opportunità di conferire o meno l'aiuto estero ha determinato la nascita di alcune controversie tra gli studiosi. Si è dibattuto sul fatto che potesse essere considerato uno strumento di "politica estera", oppure fosse uno strumento fine a se stesso. Secondo l’accezione più avanzata del concetto di aiuto estero, il maggiore impegno dei donatori risulta di carattere umanitario, finalizzato a migliorare gli standard di vita delle popolazioni dello Stato che riceve l'aiuto. Nel dibattito, sembrava che esistesse una generale unanimità di vedute circa il fatto che la fornitura di aiuto estero fosse fortemente determinata dagli interessi del paese donatore. In accordo con una visone realista l'aiuto estero veniva fornito principalmente per "interesse diplomatico". In altre parole, per garantire la sicurezza nazionale ed internazionale intervenendo nel raggiungimento di "obbiettivi di politica internazionale" e di interessi economici nonchè di "balance
of Power"120.
Come affermò Morgenthau: mentre l'aiuto militare aveva una componente politica esplicita, in ciò che è "la tradizionale strada con cui le nazioni rinforzano le loro alleanze"121 , l'aiuto estero per lo sviluppo economico risultava maggiormente
118
Ivi, p. 11
119 Ibidem. 120
J. Lebovich, National Interests and US Foreign Aid: The Carter and Reagan Years, vol. 25, 2 jun. 1988, p 115
121 H. Morgenthau, A Political Theory of Foreign Aid, in The American Political Science Review,
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ambiguo. Se da un lato veniva considerato da molti una questione prettamente economica, dall'altro lato Morgenthau, nella sua ricerca, portava alla luce che l'aiuto economico dovesse essere considerato come una parte della politica dei donatori. Sarebbe infatti errato sostenere che l'aiuto estero sia autosufficiente e non abbia conseguenze sulla politica dei Paesi che ricevono gli aiuti. Addirittura l'aiuto esterno può portare sviluppo in determinati settori economici piuttosto che in altri, modificando il tessuto sociale del Paese ricevente.
In maniera similare, durante la Guerra Fredda, l'aiuto economico era destinato alle nazioni scarsamente sviluppate, per evitare agitazioni sociali che le avrebbero portate probabilmente sotto l'influenza comunista. Così come allora, un'attenta valutazione delle "precondizioni economiche morali e politiche" deve essere fatta se ci si aspetta il funzionamento dell'aiuto estero allo sviluppo122.
Ancora, se l'interesse diplomatico prevalse nell'allocazione dell'aiuto estero, la finalità dello sviluppo risulta rintracciabile anch'essa, e ce ne sono molte: umanitaria, culturale e commerciale ad esempio. Va inoltre considerato che queste categorie sono raramente definite in maniera chiara e che quindi in molti casi gli aiuti esteri combinano più di uno di questi interessi ed obbiettivi.
La ricognizione storica data l'origine degli aiuti esteri allo scenario geopolitico emerso alla fine della seconda Guerra Mondiale, quando gli Stati Uniti attivarono aiuti per Grecia e Turchia nel 1947 e nello stesso anno istituirono il Piano Marshall.
All'inizio, come abbiamo potuto osservare, nella Guerra Fredda, non c'era niente di meglio che le armi diplomatiche per guadagnare alleanze e fu in quel periodo che vennero messi in campo i principali strumenti di aiuto: Organizzazione Internazionale dei Rifugiati, la Banca Internazionale per la Ricostruzione e Sviluppo e la Banca Mondiale. E’ doveroso notare che per quanto risultino organi formalmente indipendenti, attualmente ricevono la maggior parte dei
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finanziamenti dagli Stati Uniti che esercitano un forte ascendente sull'allocazione dei fondi in questione.
Negli anni ottanta e novanta, con la distensione e la crescita delle Organizzazione non Governative, la prospettiva dell'aiuto allo sviluppo ottenne una importanza crescente, favorendo le iniziative di aiuto alle popolazioni povere, aumentando gli standard di vita nelle nazioni più arretrate incoraggiando la crescita economica. A onor del vero “migliorare le condizioni di vita non era inizialmente una finalità insita nella maggior parte dei programmi di aiuto dei paesi donatori, ma avevano una finalità diplomatica legata alla sicurezza nazionale e internazionale”123. La componente internazionale dell'aiuto estero non può essere separata, infatti, dalla politica interna dei Paesi donatori. Dal momento in cui il bilancio destinato agli aiuti esteri è determinato dai singoli governi, gli elementi che agiscono per influenzare il processo di decison making vanno tenuti in considerazione. Molti e differenti sono intervenuti nel caso in esame.
Come detto precedentemente, dalla Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti impostarono la loro assistenza alla sicurezza con un "approccio da Guerra Fredda", la quale, come strumento di politica estera, era finalizzata a trovare alleati, a resistere ed opporsi all'influenza sovietica. L'assistenza militare, perciò, nel tempo, ha condiviso molti degli obbiettivi dell'assistenza economica, ma ebbe molto più a che fare con l'innalzamento della sicurezza nazionale degli Stati Uniti stessi. Infatti, appoggiando militarmente le nazioni amiche della regione, gli Stati Uniti diedero loro maggiori responsabilità nel garantire stabilità nei loro rispettivi scenari. D’altro canto, tale modus operandi permise alle nazioni ‘aiutate’ di essere protette rispetto ad eventuali invasioni, o di prendere parte ad azioni di
pacekeeping, evitando interventi diretti nel territorio124.
Questo modo di fare è rintracciabile anche dei rapporti tra U.S.A. ed Egitto. Nello specifico il pieno dispiegamento dell' assistenza militare all'Egitto iniziò solo
123 J.H. Lebovich, , National Interests and US… op. cit., p.117 124 Ivi, p.118
51 dopo il 1974,quando dopo l’accordo "Sinai 2125
", l'Egitto ricevette sei Hercules C- 130j aerei per trasporto truppe. A questa prima vendita ne seguì una seconda nel settembre 1977, che consistette in ulteriori 14 aerei dello stesso genere, per un valore di 184,4 milioni di dollari, e droni per 66,5 milioni126. Come la precedente fornitura, era diretta a compensare la perdita di materiale bellico sovietico da parte dell'esercito di Sadat e a rinforzare la partnership nell'attività diplomatica degli Stati Uniti in Medio Oriente.
Nei primi mesi del 1978, venne fatto un altro ulteriore passo avanti con la vendita di 15 aerei da combattimento F-5Es all'Egitto in seguito ad un aspro dibattito che portò il Presidente Carter a
intendere la vendita di armi a Egitto, Israele ed Arabia Saudita come un'unica operazione commerciale127.
Il medesimo anno venne aperto il Military Educational and Training Program (I.M.E.T.), che proponeva prestiti agli studenti egiziani per corsi di addestramento militare tenuti da personale americano128. I prestiti dell'IMET per il 1978 furono di 0,2 milioni di dollari, destinati a crescere per gli anni successivi.
Il 1979 fu l'anno cruciale per l'assistenza militare all'Egitto, il medesimo anno della firma dell'Accordo di Pace tra Israele ed Egitto. Già nel 1977 Carter suggerì a Sadat che "solo se le relazioni tra Israele ed Egitto fossero diventate forti" la sua nazione avrebbe potuto aspirare a diventare un partner al medesimo livello di Israele quanto ad assistenza tecnica e militare129.
Dopo il Trattato di Pace con Israele, gli Stati Uniti si resero disponibili "ad espandere le proprie relazioni di sicurezza con l'Egitto circa la vendita di
125
Gli accordi Sinai 2 siglati a Ginevra il 4 settembre 1975, tra Egitto ed Israele
126 S.L. Spiegel, The Other Arab-Israeli Conflict… op. cit., p.307 127
Ivi, p. 310
128
www.dsca.osd.mil/home/international_military_education_training.htm, consultato settembre, 2014
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equipaggiamenti militari e servizi e per il finanziamento di almeno, una parte di queste vendite"130.
In conseguenza di ciò, attraverso il programma di vendite militari all'estero venne concesso un credito di 1500 milioni di dollari per l'acquisto di armamenti militari131.
Appare chiaro, dunque, che l'assistenza alla sicurezza fornita dagli Stati Uniti fu una contropartita per l'impegno dell'Egitto nel processo di pace, il quale venne così stimolato a non mutare l'orientamento della propria politica estera.
Come afferma Duncan Clarke, c'erano " forti forze politiche interne negli Stati Uniti" il cui principale interesse era, la salvaguardia della sicurezza di Israele. Credevano che l'assistenza militare all' Egitto fosse fondamentale per assicurarsi la sua fedeltà al Trattato di Pace del 1979. Ne segue che "l'aiuto all'Egitto [...] in parte deriva dall'aiuto concesso ad Israele"132
La capacità di tale legame era tale che le relazioni militari tra Stati Uniti ed Egitto risultavano particolarmente soggette all'influenza Israeliana.
Erano completamente basate sull'esistenza di pacifiche relazioni tra i due Paesi, al punto tale che i gruppi e le lobby pro Israele fecero pressioni all'interno del Congresso affinché la maggioranza dei membri votassero gli aiuti all'Egitto. Gli egiziani, al contrario, mancavano di strumenti di persuasione nella politica interna degli Stati Uniti.
Da un lato, l'intrinseca relazione di Israele con l'assistenza di sicurezza all'Egitto era positiva, poiché garantiva che l'aiuto venisse approvato dal Congresso (per le dinamiche di politica interna precedentemente descritte).
Ma dall'altro lato era considerata un elemento di frizione nelle relazioni con gli Stati Uniti. 130 Ivi, p. 32 131 Ibidem. 132
D.L. Clarke, US Security Assistance to Egypt and Israel: Politically Untouchable?, in Middle
East Journal,
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Fin dall'inizio infatti gli egiziani lamentarono l'eccessiva disparità tra l'assistenza elargita loro e quella destinata ad Israele. In particolare, quest’ ultimo era autorizzato a spendere i finanziamenti militari sul proprio mercato piuttosto che su quello americano, una cosa che l'Egitto era impossibilitato a fare. Oltretutto, il Dipartimento della Difesa americano finanziava molti programmi di difesa di Israele. In breve, gli aiuti per Israele erano molto meno vincolati di quelli diretti all'Egitto133.
La cosa scatenò le rimostranze di molti paesi arabi che consideravano tali vincoli una lesione di sovranità. Di contro, non si può certo dimenticare come l'assistenza di sicurezza si fosse tradotta in supporto per Sadat. Consentì infatti a quest'ultimo di dimostrare che il distacco da Mosca "non sarebbe stato determinante per la sicurezza dell'Egitto e per il prestigio delle forze armate", sulle quali poggiava il regime134.
Dal 1978 una serie di argomenti, dinamiche e dilemmi agitarono le relazioni tra Stati Uniti ed Egitto e fecero di quest'ultimo un punto di riferimento per la politica americana in Medio Oriente.
Gli Stati Uniti d’America fornirono fino al 2011 un aiuto militare annuale all’Egitto che arrivò a 1,3 miliardi di dollari. In Egitto il pilastro dello Stato è senza dubbio l’esercito, con un milione di uomini. L’apparato statale è il guardiano e il primo beneficiario della rendita lucrativa del Canale di Suez (3,5 miliardi di dollari americani in diritti percepiti in un anno su un PIL di meno di 220 miliardi di dollari) e dell’aiuto finanziario internazionale (circa 2 miliardi di dollari all’anno)135
.
133
W.B. Quandt, The United States & Egypt,.. op.,cit., p.34
134
Ivi, p. 35
135 Gualdoni, A The Egyptian economy, 1952-2000: performance, policies, and issues. London,
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Il Ministro della Difesa egiziano Abu Ghazala dichiarò nel 1979 che il soldato egiziano costava non più di 1200 dollari annui, mentre un soldato americano costava dieci volte di più per le operazioni in Medio Oriente136.
L’Egitto è stato elemento di stabilità regionale agli occhi della politica estera americana degli scorsi trent’anni in Medio Oriente e Nord Africa. L’alleanza con l’Egitto è stata il più grande e insperato successo diplomatico, il fiore all’occhiello di Dipartimento di Stato e Casa Bianca nell’ultimo mezzo secolo.
Se è vero che Sadat è stato essenziale perché Washington potesse considerare il Cairo la sua testa di ponte araba in Medio Oriente e Nord Africa, si deve però riconoscere che l’alleanza tra Stati Uniti ed Egitto è riuscita ad andare oltre Sadat, e soprattutto a resistere a vere e proprie scosse telluriche che avrebbero potuto mettere in gioco non solo la stabilità dell’alleanza, ma gli stessi fondamenti delle relazioni tra Cairo e Washington.Sadat pagò il coraggio della sua scelta di rottura con la vita, quando venne assassinato da un estremista islamico il 6 ottobre 1981. Durante una parata militare per ricordare l’inizio della guerra del Kippur contro Israele, tre soldati infiltrati si staccarono dal corteo, gettarono tre granate verso il palco e spararono contro il presidente. Erano legati al movimento integralista della Jihad islamica e guidati dal tenente Khalid al Islambud.
Tra i presenti c’era anche Husni Mubarak, allora vice presidente, scampato illeso all'attentato, salì al potere, impegnandosi in una difficile opera di riallacciamento dei rapporti sia col mondo arabo che con l'opposizione islamica egiziana. Se in politica estera Mubarak riuscì ad ottenere dei buoni risultati, sul fronte interno incontrò grosse difficoltà, anche a causa di una crisi economica che peggiorò le condizioni di vita della popolazione, che iniziò a guardare quindi al governo con crescente ostilità, prestando il fianco alla propaganda fondamentalista.
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Fu proprio a seguito dell'attentato in cui rimase vittima il suo predecessore, che Mubarak, terrorizzato dall'ipotesi di rimanere a sua volta coinvolto in azioni terroristiche, ripristinò lo Stato di emergenza in tutto il Paese, che venne sciolto solo dopo la sua caduta. Chiara la sua volontà di combattere il fondamentalismo di matrice terroristica, ma anche di dare seguito alle linee di intervento intraprese da Nasser e Sadat, al fine di garantire la “grande riscossa” ovvero la decisiva affermazione politica ed economica dell’Egitto contemporaneo.
In questa contesto, al Presidente spettavano superpoteri nel campo esecutivo, legislativo e giudiziario, che andavano ad aggiungersi a quelli che gli assicurava la Costituzione. Egli dichiarò più volte il coprifuoco, minacciando di fare intervenire l'esercito per sedare eventuali focolai di rivolta, facendo imprigionare quei cittadini, soprattutto militanti islamici, sospettati di tramare contro lo Stato137.. Tuttavia Sadat aveva tracciato una via che qualche anno dopo diede i suoi frutti. Il suo successore Hosni Mubarak, seppe pacatamente e gradualmente far uscire il suo paese dall’ isolamento e trasformare l’esempio egiziano in modello per una soluzione di compromesso della questione palestinese138.
Nonostante i pregiudizi iniziali, nonostante i profili caratteriali diversi tra lui e Sadat, nonostante la sua diversa concezione della politica regionale egiziana, Hosni Mubarak è comunque riuscito a mantenere gli impegni presi dal suo predecessore. È riuscito, insomma, a conservare l’alleanza con gli Stati Uniti. In termini, però, diversi da quelli che Washington aveva preventivato.
Nel 1981, in occasione della visita del presidente egiziano Mubarak a Washington, il paese africano e gli Stati Uniti sottoscrissero un accordo di cooperazione bilaterale che autorizzava le forze armate USA ad utilizzare alcune
137 Hamam M., Egitto, la svolta attesa, Roma, Edizioni Memori, 2005, p. 148-149 138
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infrastrutture aeree, a costruire numerosi depositi di materiale bellico pesante e a schierare sino a 14.000 militari statunitensi139.
Il Segretario della Difesa americano in occasione della visita del Presidente Mubarak a Washington, dichiarava che l’aiuto chiesto agli Stati Uniti non solo aumentava la loro sicurezza, ma rafforzava una cooperazione più intensa tra i due paesi amici.
Gli Stati Uniti s'impegnarono a guidare il Piano di modernizzazione delle forze armate egiziane tramite la vendita di 244 carri armati M-60, di 40 velivoli F-16 e di decine di caccia F-4, di alcuni velivoli da trasporto che hanno allargato il raggio operativo delle forze egiziane, migliorandone la mobilità, e di numerose fregate per il pattugliamento dell'area del Mar Rosso. Contemporaneamente USA ed Egitto hanno dato vita, a partire dal 1982 , a periodiche esercitazioni militari congiunte nel deserto (le cosiddette "Bright Star") tese ad accrescere la capacità americana di proiezione militare nel Golfo Persico, le quali hanno ricevuto un contributo significativo anche da Somalia, Sudan e Kenya. Gli aerei statunitensi ricevettero inoltre il diritto a sorvolare senza restrizioni lo spazio aereo e accedere alle basi egiziane. Gli Usa e l'Egitto hanno condotto operazioni congiunte Bright Star nell'agosto 1983 ed hanno continuato a tenere esercitazioni Bright Star per