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DAL TRATADO DEL AMOR DE DIOS A DEL SENTIMIENTO TRÁGICO DE LA VIDA: GESTAZIONE DI DUE TRATTAT

3.2 Sostituzione o aggiunta di percibir a conocer

Sicuramente questa esacerbazione, questa acutizzazione del “sentimento tragico della vita”, e, quindi, l’inasprimento, la recrudescenza dell’esistenzialismo di Unamuno, è, come suggerisce il titolo stesso del suo libro filosofico più famoso, senz’altro un tratto distintivo, caratteristico e peculiare del passaggio dall’una all’altra opera, che si traduce anche nell’allontanamento da una fiducia ciecamente positivistica nella logica e nella scienza astratta e in un avvicinamento, per contro, ad un approccio verso il mondo e la filosofia stessa più empirico.

In altri termini, alcune varianti da T a STV testimoniano la sostituzione di parole gravitanti intorno alla radice di conocer con parole etimologicamente legate alla percepción, contropartita questa, in buona sostanza, di una malcelata, anzi manifesta crisi gnoseologica, e più precisamente epistemologica, del più grande poeta-filosofo della Spagna finisecular e primonovecentesca. Non è certo una novità questa, ma il dato interessante sta nell’insistenza, nella costanza con cui Unamuno preferisce in un discreto numero di occorenze, di cui si fornirà ora una icastica casistica, percibir a

conocer, percepción a conocimiento. Alcuni esempi, in sostanza, mostreranno una selezione di

modalità e contesti in cui tale mutamento ha avuto luogo.

Si prenda, per cominciare, questo periodo estratto da un frammento di T ed il suo corrispettivo in STV:

[...] es lo averiguado y cierto que en el orden aparencial de las cosas, en la vida de los seres dotados de algún conocer, más ó246 menos brumoso, ó que por sus actos parecen estar dotados de él, el conocimiento |se

sobre c| nos muestra ligado á la necesidad de vivir y de procurarse sustento para lograrlo. (T, p. 22)

[...] es lo averiguado y cierto que en el orden aparencial de las cosas, en la vida de los seres dotados de algún conocer o percibir, más o menos brumoso, o que por sus actos parecen estar dotados de él, el conocimiento se nos muestra ligado a la necesidad de vivir y de procurarse sustento para lograrlo. (STV, p. 123)

Come si può notare, “algún conocer, más ó menos brumoso” di T diventa “algún conocer, o percibir, más o menos brumoso” in STV. Unamuno sente la necessità (o, più prudentemente, potremmo dire che ciò rispecchia una confermata, ribadita tendenza della sua intima crisi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

246 Si ricorda qui una volta per tutte che un tratto tipico dell’usus scribendi di Unamuno, in linea con le norme ortografiche del primo Novecento, è quello di accentare tutti i monosillabi costituiti da una singola vocale (quindi á, é, ó, ú).

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epistemologica) di precisare il conoscere (in quanto strumento di sopravvivenza) come percezione del mondo circostante, una forma di conoscenza comunque indicata come “brumosa”, quindi nebbiosa, indefinita, confusa, già in T. E l’accostamento di percibir a conocer non è certo condizionale o contestuale, né tanto meno casuale. Sempre nell’ambito dello stesso frammento, infatti, pochi righi più sotto, si registra una sostituzione sistematica di termini connessi alla conoscenza con termini legati alla percezione:

Los seres sup[que parecen]247 dotados de conocimiento, conocen para poder vivir, y sólo en cuanto para vivir lo necesitan, conocen. (T, p. 22)

Los seres que parecen dotados de percepción, perciben para poder vivir, y sólo en cuanto para vivir lo necesitan, perciben. (STV, p. 124).

I lemmi percepción, perciben e, nuovamente, perciben che troviamo in STV vanno a sostituire rispettivamente conocimiento, conocen e, infine, conocen, che avevamo, invece, in T (senza considerare in questa sede altre piccole varianti dipese dal labor limae della frase). In questo passo Unamuno parla di “esseri” (seres): se in T Unamuno sostiene che le forme di vita diverse dall’uomo dotate di una qualche forma di coscienza “nell’ordine apparente delle cose” abbisognano di conoscere per vivere, gli esseri viventi per vivere abbisognano della percezione delle cose (nella loro coseità). Ora, questo potrebbe anche essere (o apparire?) una semplice scelta lessicale di natura stilistica, ma, in ultima analisi, pare perlomeno una scelta oculata e significativa, non scevra da implicazioni semantiche e filosofiche, posto che in Del sentimiento trágico de la vida, ed il titolo lo ribadisce in maniera lampante (nomina omina!), l’elemento della percezione (e del “sentimento” per quanto riguarda l’uomo) acquista una centralità indiscussa e indiscutibile, come viatico ineludibile in prima battuta per la sopravvivenza (dimensione personale/ instinto de conservación248) e, in secondo luogo, per la perpetuazione (dimensione sociale/ instinto de perpetuación249) ed eternizzazione di sé (dimensione mistica o spirituale o universale/amor de Dios250). Al centro di tutta la speculazione “teo-filosofica” che sta alla base di Del sentimiento trágico vi è proprio una consapevolezza (e, contestualmente, un dubbio) e dell’esistenza e di Dio tragica che nasce dal !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

247 Con questo segno diacritico si è indicato nel catalogo presente in “Analisi dell’avantesto di Del sentimiento trágico de la vida: l’autografo unamuniano del Tratado del amor de Dios, di Filippo Tedeschi (2006)” una aggiunta superiore nel manoscritto originale.

248 “Istinto di conservazione”. 249 “Istinto di perpetuazione”. 250 “Amore di Dio”.

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sentimento della vita e del mondo. Detto parenteticamente, poco più avanti registriamo la

sostituzione dell’aggettivo predicativo “sensible” (Tratado) con “perceptible” in Del sentimiento

trágico in seno alla frase “Y así cabe decir que es el instinto de conservación el que nos crea la

realidad y hace la verdad del mundo sensible [...]”; insomma, vi è la volontà nel passaggio dall’una all’altra opera di distinguere anche a livello linguistico il grado e la qualità di coscienza dell’Uomo rispetto agli altri “esseri” (seres). La percezione coinvolge tutte le forme di vita (compreso l’uomo), in quanto mezzo irrinunciabile di sopravvivenza, di conservazione biologica, materiale di sé, a livello del tutto personale, individuale. Il sentimento, per contro, spetta esclusivamente agli esseri umani e a un livello di consapevolezza, di coscienza più alto e più ampio, quello sociale, che porta all’istinto di perpetuazione di sé, oltre che alla conoscenza empirica del “male di vivere”, per dirla con Montale. La conoscenza di Dio, fondata non sulla logica ma sull’amore, è la forma suprema di coscienza di sé in rapporto all’assoluto in una prospettiva krausisticamente panenteistica. La conoscenza di un Dio che è il Tutto come coscienza individuale e universale al contempo; di un Universo che è organismo onnicomprensivo. È questo l’amore di Dio.

Si potrebbe inferire che l’idea di una via conoscitiva come percezione (dunque empirica) si limiti, nel trapasso da T a STV, a precisare esclusivamente la forma di conoscenza (o di coscienza) degli animali. Non è così. Facendo un passo avanti, nel capitolo 5 di STV (intitolato eloquentemente251 “La disolución racional”) si rimarca un’innovazione lessicale molto interessante: si attesta in STV l’accostamento a pensamientos252, pensar253 e pensamos254 di, nell’ordine,

percepciones255, percibir256 e percibimos257, rispetto a T.

Y, sin embargo, necesitamos de la lógica, de este poder terrible, para transmitir pensamientos y hasta para pensar, porque pensamos con palabras. (T, n.258 19)

Y, sin embargo, necesitamos de la lógica, de este terrible poder, para transmitir pensamientos y percepciones y hasta para pensar y percibir, porque pensamos con palabras, percibimos con formas. (STV, p. 222)

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251 Penso qui alla centralità che riveste in T la perdita di fiducia da parte di Unamuno nella Scienza, perdita della logica e della razionalità come certezza assoluta e possibile strumento per arrivare a Dio (in ottica positivistica), che confluisce in buona parte in questo capitolo (nonché nel capitolo 8) di STV.

252 “Pensieri”. 253 “Pensare”. 254 “Pensiamo”. 255 “Percezioni”. 256 “Percepire”. 257 “Percepiamo”.

258 Con “n.” si fa riferimento alle note (quattordici in totale) poste come corollario alle novantadue pagine che costituiscono il trattato vero e proprio in T.

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Per l’uomo, dunque, la conoscenza del mondo sensibile, del transeunte, e la sua comunicazione, interessa (e questo viene esplicitato) l’elemento percettivo, oltre a quello puramente e astrattamente logico, ineluttabile e imprescindibile.

Nel settimo capitolo 7 (Amor, dolor, compasión y personalidad), poi, va sottolineato il modo in cui Unamuno ha rivisto e modificato questo segmento testuale:

Me siento yo mismo al sentirme que no soy los demás; saber hasta donde soy es saber donde acabo, desde donde no soy. (T, p. 11)

Me siento yo mismo al sentirme que no soy los demás; saber y sentir hasta donde soy es saber donde acabo, y desde donde no soy. (STV, p.283)

Al verbo saber viene affiancato in STV il verbo sentir259. Ciò ribadisce e comprova ulteriormente l’importanza che assume il sentimento delle cose, della vita, di sé, per la conoscenza , tanto che vengono accostati direttamente (“sapere e sentire”). Tribus verbis, acquista un valore molto importante l’elemento sentimentale accanto a quello gnoseologico, del quale, anzi, il primo diviene l’elemento fondante in STV.

Per di più, non siamo di fronte ad un caso isolato. In realtà, questo segmento si inscrive in un passo più ampio nel quale l’accostamento di sentir a pensar e, più in generale, la sua aggiunta sono costanti.

Si osservi come puntualmente Unamuno, passando da T a STV, introduca l’idea del sentire e del sentimento in questi excerpta tratti dal frammento in questione:

1) [...] si contemplas las cosas todas en tu conciencia [...] (T, p. 10)

[...] si sientes y no ya sólo contemplas las cosas todas en tu conciencia [...] (STV, p. 281);

2) Toda conciencia es conciencia de muerte. (T, p. 10) !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

259 La frase rimaneggiata in Del sentimiento trágico in definitiva risulta questa: “saber y sentir hasta donde no soy, es saber donde acabo de ser, y desde donde no soy.”

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Pues toda conciencia lo es de muerte y de dolor. Conciencia, conscientia, es conocimiento participado, es consentimiento, y con-sentir es com-padecer. (STV, pp. 281-282);

3) Tener conciencia es saberse distinto de los demás seres, y á sentir esta distinción sólo se llega por el choque, por el dolor. (T, p. 11)

Porque tener conciencia de sí mismo, tener personalidad, es saberse y sentirse distinto de los demás

seres, y á sentir esta distinción sólo se llega por el choque, por el dolor más o menos grande, por la sensación del propio límite. (STV, p. 283).

Come si può notare, in questo blocco argomentativo Unamuno non lesina l’aggiunta di concetti legati al sentimento delle cose, che vengono accostati a lemmi vicini in qualche modo alla razionalità, a cominciare dall’esempio 1, dove all’idea della contemplazione (contemplas) si affianca il verbo sientes. Nel secondo esempio, viene addirittura inserita un’intera frase, che in T non c’era, nella quale don Miguel identifica conciencia e conocimiento, che associa a

consentimiento, e, giocando con l’etimologia delle parole260, avvicina con-sentir a com-padecer. Vi è qui, a ben vedere, un duplice salto logico: da un lato, il filosofo di Bilbao individua come elemento fondante della conoscenza il sentimento, quindi il sensus; dal’altro, considera il sentire stesso come sofferenza, come passione (dal latino patior). Ecco che il consenso diventa compassione, condivisione di un dolore comune, che porta alla conoscenza. Questo pensiero è confermato dalla aggiunta sostanziale dell’esempio 3: qui, oltre all’accostamento di sentirse a

saberse, già di per sé significativo e indicativo della sopraggiunta imprescinbile centralità, nel

concepire la coscienza, del sentire (o di una concenzione della coscienza che collima con quella del sentimento maturata e corroborata tra il 1908 e il 1911, ma che affonda le proprie inestirpabili radici già negli anni precedenti), è da mettere in risalto, per l’appunto, la coda della frase, che è un’innovazione. Vi compaiono il verbo sentir e il sostantivo sensación: «saberse y sentirse distinto de los demás seres» è il frutto di uno shock che deriva dalla presa di coscienza della propria finitudo

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 260 Orringer, op. cit., p. 282 (nota 31).

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(«la sensación del propio límite») attraverso i sensi, con cui si percepisce il dolore del vivere in termini empirici ed esistenzialistici.

Ma, naturalmente, vi sono anche casi in cui già in T Unamuno ha accostato l’idea di conocer a quella di sentir (e di compadecer):

Entonces se conocieron y se sintieron en su común miseria, se compadecieron, se amaron. (T, p. 7)

Entonces se conocieron y se sintieron, y se con-sintieron en su común miseria, se compadecieron y se amaron.

(STV, p. 276).

Questo frammento consente di fare alcune riflessioni di rilievo e fornisce, altresì, una serie di conferme. Gli uomini (è questo, infatti, il soggetto sottointeso) giungono al traguardo del gnothi

seautòn attraverso il sentimento di una miseria comune, che è compassione e compassione, per

Unamuno, è amore. Ma, come si può notare, vi è anche qui un riverbero della traiettoria evolutiva seguita dal progetto filosofico di don Miguel: STV insiste ulteriormente sull’idea del sentire, sulla quale indugia con quel con-sintieron, che, a ben vedere, non solo ribadisce, ma precisa il modus

sentiendi, ora risultato di un’esperienza comune, non semplicemente individuale, che unisce gli

uomini che convivono e condividono il dolore, la fatica del loro immutabile e inappellabile destino: in una parola, com-passione. Vi è anche una maggiore enfasi dettata dalla coordinazione polisindetica, che sostituisce quella asindetica, un’enfasi che non è sterile cifra stilistica, ma contraltare e riprova della sopraggiunta deriva della crisi unamuniana. Ma, forse, più che di deriva, sarebbe opportuno parlare di comprensibile continuità con la crisi che già da anni attanagliava la coscienza dell’esistenzialista dei Paesi Baschi spagnoli, cosa, perlatro, confermata da altri segnali come questo, che verrano presi in esame più nel dettaglio successivamente (soprattutto l’esacerbazione del tragicismo a livello lessicologico e concettuale, da una parte e, dall’altra, la reduplicazione di termini ed espressioni legati all’angoscia). Anche qui Unamuno gioca con l’etimologia di con-sentir e com-padecer: sentire insieme agli altri è condividerne il dolore, specchio della natura di fondo della condizione umana, e, in ultima analisi, strumento privilegiato di conoscenza. Conoscere, attraverso il dolore, la verità che mi riguarda.

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Ad un altro frammento sempre appartenente al settimo capitolo corrisponde un’altra innovazione interessante nel passaggio da T a STV, a riprova della fondamentale rilevanza acquisita dalla prospettiva epistemo-gnoseologica in chiave sensoriale:

Descendiendo desde el hombre suponemos que tienen alguna conciencia, más o menos ocura261, todos los vivientes y las rocas mismas, que también viven. (T, p. 12)

Descendiendo desde nosotros mismos, desde la propia conciencia humana, que es lo único que sentimos por dentro y en que el sentirse se identifica con el serse, suponemos que tienen alguna conciencia, más o menos oscura, todos los vivientes y las rocas mismas, que también viven. (STV, p. 285).

Risulta immediatamente chiaro come Unamuno delinei qui un quadro che vede, come proprio concetto di base e centro gravitazionale, nuovamente il sentire, il quale viene ad essere identificato (è proprio il caso di dirlo) con l’essere, o, piùù esattamente, con l’essersi. Nella coscienza umana, or dunque, non c’è scarto alcuno tra sentimento ed essenza, che collimano perfettamente: ciò che l’uomo si sente, è.

Non si prendono in esame in questo studio i rimaneggiamenti che hanno investito alcuni segmenti intratestuali comuni a T e STV. Tuttavia, al fine di restituire una ricostruzione più ampia e complessa della casistica relativa all’aggiunta di lemmi inscrivibili nel campo semantico del sensus e, più in generale, della percezione, pare utile ricordare come, in una parte significativa dell’ottavo capitolo, quale quella in cui si afferma:

Y el Dios cordial o sentido, el Dios de los vivos, es el Universo mismo personalizado, es la conciencia del Universo.(STV, p. 323),

il Dio cordiale, quindi il Dio dell’amore e della sofferenza, contrapposto a quello puramente ideale e razionale, il ‘Dios vivo’ di T (pp. 30-31) viene a caratterizzarsi ora anche come un ‘Dios sentido’ (idea percettiva e umana) e non genericamente conosciuto (idea logica e astratta). È il Dio che si è fatto uomo in carne ed ossa, non il Dio aristotelico come pura, asettica perfezione, come motore immobile indifferente alle vicende, ai destini e alle sofferenze umane. È il Dio che sentiamo, non !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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quello che pensiamo. È il Dio cristologico, non il Dio noumenico, mero pensiero. Non è un caso, d’altra parte, questa aggiunta apportata a STV rispetto a T:

Creer en Dios es, en primera instancia, querer que Dios exista y obrar como si existiese. (T, p. 17) Querer que exista Dios, y conducirse y sentir como si existiera. (STV, cap. IX)

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