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Spazi “forzati”e altri (non-)luogh

2. Situazioni ambiental

2.4. Spazi “forzati”e altri (non-)luogh

Nell'ultima sezione del primo capitolo, si intende analizzare quei film corali ambientati in spazi più o meno circoscritti, finora rimasti esclusi, a volte “forzati” per i personaggi che li devono abitare: per esempio la scuola, talora vissuta dagli studenti come costrizione, talora ambiente prediletto da ragazzi disadattati nel “mondo esterno”; l'ospedale, claustrofobico e angosciante per i pazienti che non possono uscirne; l'isola, dalla quale spesso non si riesce a “evadere” per tornare nella “realtà”; il carcere, vero e proprio luogo abitativo per i prigionieri che vi sono detenuti.

Quattro film corali, al cui centro si pone l'universo scolastico, sono rappresentativi di tre diverse generazioni a confronto.

In Terza liceo (1954), quarto lungometraggio di Luciano Emmer274,

il regista descrive le (dis)avventure sentimentali degli studenti di una classe all'ultimo anno di un liceo classico di Roma. La volontà di mettere in scena un film corale è evidente già con la prima inquadratura, durante il passaggio dei titoli di testa, in cui la macchina da presa ritrae una foto di classe (che viene in realtà scattata verso la fine del film e dell'anno scolastico), poi una didascalia introduce “il primo giorno di scuola” – e solo un'altra apre l'epilogo del “giorno degli esami”.

Con l'appello in classe si introducono, con una serie di piani medi, i singoli protagonisti: Lucia, bella e ricca ragazza; Andrea Venturi, il più bravo della classe, figlio di un ferroviere e dunque di umili origini; Giulia, orfana di madre, e la sua migliore amica e compagna di banco Maria; Giovanna, graziosa e pettegola, che si fa corteggiare sia da Piero

sia da Franco; Bruno Sacchi275 e Camilla, coppia di novelli e moderni

274 Del regista si è già scritto a proposito di Parigi è sempre Parigi e si tratta nel

capitolo successivo Domenica d'agosto (1950). Tra gli sceneggiatori di Terza liceo vi sono, oltre al regista, anche Sergio Amidei e Vasco Pratolini.

275 L'evidente omonimia con il personaggio entrato nell'immaginario collettivo italiano,

Romeo e Giulietta, contrastati nel reciproco amore dalle rispettive famiglie, che solo alla fine si rassegnano alla volontà dei figli; Teresa, nuova alunna con problemi economici, appena giunta dalla Puglia. Inoltre acquistano via via sempre maggiore spazio nella storia i personaggi di Carlo – studente universitario e giovane collaboratore nello studio dell'architetto padre di Maria, con la quale è fidanzato prima di innamorarsi di Giulia – e del giovane professore di storia e filosofia Valenti, (quasi) sempre dalla parte degli studenti.

Nel corso del film vengono presentati anche altri insegnanti, le cui lezioni sono inserite nell'intreccio in modo funzionale: l'anziano professore di storia (a metà anno sostituito appunto da Valenti) interroga su Cavour e Garibaldi, provocando “reazioni politiche” e facendo così intuire le diverse posizioni ideologiche degli studenti; lo svanito docente di storia dell'arte proietta una serie di diapositive, tra cui il quattrocentesco Nascita di Venere di Botticelli, sequenza montata subito dopo la “fuga al mare” degli innamorati Franco e Giovanna (il nudo della Venere è dunque in relazione alla “tensione amorosa” dei ragazzi); quello di religione parla della “sacra istituzione del matrimonio” (e le famiglie, talora dissolte, talora autoritarie, sono al centro della vita dei giovani fuori dalla scuola).

Scrive Guglielmo Moneti:

«si chiude il ciclo dei film costruiti – secondo la caratteristica di Amidei – a episodi intrecciati, con una organizzazione strutturale che riflette il rapporto narrativo fra l'individualità dei protagonisti e la dimensione collettiva nella quale gli stessi personaggi sono inseriti […] In questo caso è la scuola a proporsi come ambiente comune, pubblico, sul quale si proiettano le piccole grandi gesta di un privato, essenzialmente ridotto, come spesso accade in Emmer, alla sola dimensione sentimentale […] È evidente che questo affresco generazionale si appoggia ad argomenti diversi, per poter sviluppare il motivo centrale della gioventù su una pluralità di piani: la sfera dei sentimenti, il conflitto di classe, il rapporto col mondo degli adulti»276.

La scuola non è certo l'unica ambientazione del film: viene lasciato ampio spazio anche alla vita in famiglia (dalle diverse case e

proprio la “C” sono riprese (non casualmente) dalla serie televisiva italiana, a tutti gli effetti corale, I ragazzi della 3ª C (3 stagioni, 33 episodi, 1987-89) di Claudio Risi.

dal loro arredamento si coglie la differente estrazione sociale dei ragazzi) e alle uscite di gruppo (la partita di basket femminile, la gita scolastica, le passeggiate sulla spiaggia), ma la vita dei giovani, con i loro amori che fioriscono e appassiscono, le paure, le certezze e le insicurezze, le speranze e le disillusioni, ruota comunque intorno all'universo scolastico: tolte le “divagazioni”, tutto inizia e finisce tra le

mura, lungo i corridoi e nelle aule, della scuola277. Si pensi per esempio

– a proposito del valore e degli ideali che li contraddistinguono e che essi cercano di esprimere proprio a scuola, dove, uniti, sanno di poter creare qualcosa di utile e importante – all'impegno che i giovani, maschi o femmine, profondono nella redazione del “giornalino della scuola”, dai toni – lo descrive il reazionario e preoccupato preside, lo difende invece solo il giovane professor Valenti – polemici, aggressivi, faziosi.

Il finale lascia sospese alcune questioni (i risultati conclusivi degli esami, alcuni personaggi di secondo piano), mentre ne chiude altre, in particolare il rapporto tra Lucia e Andrea, sin dall'inizio osteggiato dalle famiglie, soprattutto da quella ricca della ragazza, che è infine bocciata agli esami e parte per la Svizzera, senza nemmeno salutare il giovane, sul quale indugia la macchina da presa, mentre si allontana in campo lungo con Teresa, di umile estrazione sociale come lui, e appare la scritta “fine”.

Con un'ellissi di quasi tre decadi, dagli anni Cinquanta di Emmer si può giungere a Fame (Saranno famosi, 1980), primo lungometraggio dell'inglese Alan Parker diretto negli Stati Uniti, a New York City, dove ha sede la High School of Performing Arts, istituto che fa da sfondo in particolare alle vicende di otto studenti e quattro insegnanti: tra i primi, la timida attrice Doris Finsecker, l'attore comico Ralph Garcy (o, in portoricano, Raúl García), l'artista più completa di tutti Coco Hernandez, il ballerino “di strada” Leroy Johnson, il musicista italo-

277 Ricorda Emmer: «i ragazzi avevano una naturale idiosincrasia per la scuola,

sopportavano a malapena i genitori, pensavano a innamorarsi, ma soprattutto non si dedicavano minimamente a edificanti esercizi spirituali», cit. in Irene Sollazzo, Le donne dello schermo di Luciano Emmer, Trento, Alcione, 2001, p. 28.

americano Bruno Martelli, l'attore omosessuale Montgomery MacNeil, la distratta ballerina Lisa Monroe; tra i docenti, quella di danza Miss Berg, di recitazione Mr. Farrell, di lingua e letteratura inglese Mrs. Sherwood, di musica Mr. Shorofsky. Ma da ricordare sono anche i personaggi dell'apprensiva madre di Doris e del padre di Bruno: entrambi desiderano il massimo successo per i propri figli, senza però che essi perdano la naturalezza e la spontaneità che li ha sempre contraddistinti.

La scuola non è l'unico luogo del film: così come nel lungometraggio di Emmer, numerose sono anche le sequenze girate fuori dalle mura scolastiche, per le strade (si pensi alla nota sequenza in

cui tutti ballano e cantano sulla 46th Street o alla New York notturna dei

locali e della metropolitana) e nelle abitazioni private, funzionali proprio per indagare, da più punti di vista e in vari momenti della

giornata e della vita, le spiccate personalità degli studenti278. François

Ramasse sottolinea che Parker s'interessa «non plus à des personnages déjà entrés dans leur carrière mais à des apprentis artistes assoiffés d'autre chose que ce que réserve l'éducation traditionnelle, de gloire et

non de médiocre uniformité»279.

Si rientra comunque nell'ambito del “backstage film”, secondo Francesca Rosso, che definisce Fame un «film corale e

multirazziale»280, inserendo nel medesimo filone anche il successivo A

Chorus Line (Chorus Line, 1985) di Richard Attenborough281. Il film di

Parker – definito dallo stesso regista «un musical convenzionale con pause e musica, e la musica nel film faceva venire fuori una sorta di

realismo in una scuola d'arte»282 – è diviso in cinque capitoli, relativi ai

278 Cfr. Ed Wittstein, Rediscovering Manhattan with a “Method” Art Director,

«American Cinematographer», n. 1, gennaio 1981, pp. 32-35, 70-71.

279 François Ramasse, Fame, «Positif», n. 236, novembre 1980, p. 74 [«non ai

personaggi già entrati nella loro carriera, ma agli artisti principianti, assetati di qualcosa di diverso da ciò che è relativo alla formazione scolastica tradizionale, di fama e non di mediocre uniformità», traduzione mia].

280 Francesca Rosso, Cinema e danza. Storia di un passo a due, Torino, UTET, 2008, p.

196. Per questioni relative al “genere musical”, si rimanda a Rick Altman, The American Film Musical, Bloomington – Indianapolis, Indiana University Press, 1989.

281 In Fame viene citato l'omonimo spettacolo teatrale.

282 Alan Parker, Note e appunti dal cinema di Alan Parker, cura e traduzione di Daniele

provini e ai quattro anni di scuola: «The Auditions»283, «Freshman

Year», «Sophomore Year», «Junior Year»e «Senior Year».

Se la prima parte funge da vera e propria carrellata introduttiva su quelli che sono i personaggi principali del musical, è con il secondo capitolo che la personalità degli studenti inizia a emergere, così come affiora la volontà del regista di concedere tanto spazio allo “spettacolo”, dunque ai brani cantati e danzati, quanto all'interiorità dei ragazzi. Al Auster scrive che il regista «constantly opts for exploitation

rather than insight»284: è più corretto affermare che il regista bilancia

due tipi di performance, quella esteriore e quella interiore, pubblico e privato, vita scolastica e vita familiare, e i sentimenti si esternano tanto in uno spettacolo danzato e cantato per la strada, quanto in una lacrima versata nella solitudine di casa propria. Si pensi – a proposito della volontà del regista di non trascurare nessuno dei due aspetti – alla “pausa pranzo” durante la quale tutti iniziano a suonare il proprio strumento, a ballare e a cantare: la macchina da presa, dopo alcuni minuti, abbandona la sala per seguire Doris, la quale, frastornata da tanta confusione, preferisce la compagnia del timido e problematico – come lei, d'altra parte – Montgomery, figlio di una più o meno famosa attrice, ma che non per questo ha un futuro garantito nel mondo dello spettacolo. Sempre nel corso del primo anno viene ben delineato anche il carattere di Leroy, ragazzo nero e quasi analfabeta, che arriva da un quartiere malfamato della periferia di New York (si pensi al provino, quando si presenta solo come “spalla” della sorella, per venir poi scelto al posto suo, e alla sua giacca piena di coltelli): è proprio l'insegnante d'inglese – che gli consiglia Othello di Shakespeare, in quanto “black literature” – a convincerlo dell'importanza della lingua e del valore della letteratura.

Michela Marcacci (a cura di), Il cinema di Alan Parker, «CinemaLibero», Porretta Terme (Bologna), I Quaderni del Battello Ebbro, 2006, p. 31.

283 Una delle aspiranti attrici recita una scena dal già citato The Towering Inferno.

Viene inoltre costantemente omaggiato nel corso del film The Rocky Horror Picture Show (id., 1975) di Jim Sharman – vissuto dagli studenti come un vero e proprio “rituale” a cui prendere parte.

284 Al Auster, Fame, «Cineaste», n. 4, 1980, p. 35 [«opta costantemente per lo

È nel corso del secondo anno che viene maggiormente approfondita la personalità di Ralph, ragazzo estroverso del South Bronx, comico talvolta “dal cattivo gusto”, arrogante ma con un debole per Doris, la quale, proprio grazie alla loro relazione, diviene sempre più sicura di sé. Viene inoltre introdotto un nuovo personaggio: la bionda, graziosa e ricca ballerina Hilary van Doren, che ha una relazione con Leroy – e alla fine del film viene inquadrata mentre piange tra sé, incinta (forse proprio di Leroy) e in procinto di abortire, per non compromettere la propria promettente carriera nel San Francisco Ballet.

Tra la fine del terzo e il quarto anno i sogni dei ragazzi iniziano a scontrarsi con la dura e spietata realtà, incarnata in particolare da due personaggi secondari: l'ex studente Michael, uscito dalla scuola con tanti obiettivi e speranze, riconosciuto da Doris mentre serve ai tavoli di un bar, dopo essere tornato – rigettato – da una Hollywood «di ghiaccio» («slow», “lenta”, in originale); e François Lafete, regista amatoriale che raggira Coco in una tavola calda, promettendole un ruolo in un film francese, ma che si rivela poi, durante un provino

privato, un maniaco a cui piace filmare ragazzine che si spogliano285.

L'ultimo anno si conclude con il saggio/spettacolo degli studenti, in procinto di lasciare la scuola: ispirandosi nel testo alla poesia I Sing

the Body Electric di Walt Whitman – contenuta in Children of Adam e

poi racchiusa in Leaves of Grass, antologia del 1855 – Parker riunisce tutti i personaggi, studenti sul palco, docenti e genitori tra il pubblico, e li inquadra uno per uno, felici, prima di lasciarli al loro incerto e sicuramente meno sereno futuro e di congedarsi dallo spettatore.

Dal film di Parker deriva anche la serie televisiva omonima – ideata da Christopher Gore, anche sceneggiatore del film di Parker –, in cui la coralità si manifesta ancor più evidentemente, proprio in forza della lunga durata del prodotto, composto da sei stagioni, andate in onda sulla rete NBC tra il 1982 e il 1987, con centotrentasei episodi in

285 Nei brevi dialoghi tra François e Coco, vengono citati Jean-Luc Godard e

Michelangelo Antonioni – modelli di un cinema “d'autore” – e Greta Garbo e Marilyn Monroe – punte di riferimento per tutte le attrici che vogliono avere successo.

totale. La serie mantiene solo cinque attori dell'originale film: Gene Anthony Ray nel ruolo di Leroy Johnson, Lee Curreri in quello di Bruno Martelli, Albert Hague in quello del professore di musica Benjamin Shorofsky, Irene Cara in quello di Coco e Debbie Allen in quello dell'insegnante di danza Lydia Grant (nel film di Parker poco più

che una comparsa, nella serie personaggio a tutto tondo)286. Venticinque

sono in totale i personaggi principali, che entrano ed escono dalle mura scolastiche, nel corso dell'intera serie televisiva Fame (Saranno famosi, 6 stagioni, 136 episodi, 1982-87).

Nel nuovo millennio è Robert Altman a dirigere all'interno di un istituto, una scuola di danza classica, The Company (id., 2003), sceneggiato da Barbara Turner, da un soggetto di Neve Campbell e della stessa Turner. Il regista definisce il film «another investigation into the

world that we're living […] a new adventure»287; e ancora: «I've never

done a film like this before. Nashville will be the closest thing. All the

singers were actually actors. In this, the dancers are the actors»288.

Su un palcoscenico la macchina da presa apre (accompagnata dalla voce fuori campo del presentatore) e chiude il film: tra queste due inquadrature, sono riprese le prove e gli spettacoli del Joffrey Ballet di Chicago, vero protagonista del lungometraggio di Altman. Infatti, se su tutti i ballerini spiccano le figure di Ry o Ryan (Neve Campbell) e di Mr. A. (Malcolm McDowell), alias Alberto Antonelli (alias Altman stesso?), direttore della Scuola, difficilmente essi si possono definire protagonisti di un film che non scava a fondo nelle personalità e nelle vite private di ballerini e insegnanti: l'autore ritrae le prove, gli errori,

286 Lydia Grant (autrice anche delle coreografie, che nel lungometraggio di Parker sono

invece di Louis Falco) è tra l'altro uno degli unici cinque personaggi presenti in tutte e sei le stagioni, insieme a Leroy, Shorofsky, Danny Amatullo (interpretato da Carlo Imperato) e l'anziana Gertrude Berg (Ann Nelson), segretaria tuttofare della scuola. Si ricordi infine il meno riuscito remake Fame (Fame – Saranno famosi, 2009) di Kevin Tancharoen.

287 Robert Altman, intervista di M. Letizia Maiavacca, contenuta nell'edizione dvd

UniVideo [«un'altra indagine sul mondo in cui viviamo […] una nuova avventura», sub ita].

288 Robert Altman, Dietro le quinte. Speciale, extra contenuto nell'edizione dvd

UniVideo [«Non avevo mai fatto un film così. Dei miei film, Nashville è il più simile. Tutti i cantanti erano attori in realtà. In questo, i ballerini sono gli attori », sub ita].

le difficoltà e soprattutto gli spettacoli (diciassette in totale), senza quasi mai approfondire gli aspetti personali, i momenti privati dei ragazzi. Basti pensare ai pochi secondi dedicati, per esempio, alla sequenza dell'addio al nubilato e del matrimonio di una delle ballerine e a quella del bowling dove di sera si trovano a giocare: sono momenti appena sfiorati dalla macchina da presa, che fotografa distratta, per poi tornare tra le mura della scuola, a dirigere il corpo di ballo. Alla vita privata di Ry non è dunque dedicato molto più spazio di quanto non sia concesso per esempio a Deborah, la ballerina quarantatreenne con tutti i frustranti problemi relativi all'età, a Justin, principiante che fatica a tenere il ritmo e succube del padre, a Josh, cuoco e nuovo fidanzato di Ry – unico “non ballerino” del film.

Sui personaggi al centro delle vicende – appurato che, mancando l'approfondimento psicologico, si può identificare un unico personaggio protagonista nell'intero corpo di ballo – sintetizza Fabrizio Tassi: «c'è innanzitutto la solita giostra di personaggi – come si dice – alla Altman, ma portata a una rarefazione estrema, visto che alcuni di loro sono solo dei luoghi comuni, altri sono appena abbozzati con due colpi d'acquarello e quasi tutti sembrano immobili, fissati in una forma, in una tonalità, che al massimo si arricchisce di qualche sfumatura»289.

Forse non è neppure la Scuola il luogo principale, bensì il “palco”, qualunque palcoscenico, sia quello delle prove sia quello, interno o esterno, di uno dei tanti spettacoli messi in scena, comunque esso è sempre metafora dello Spettacolo in senso astratto, a sua volta metafora della vita.

Alcune osservazioni di Andrea Bellavita forniscono inoltre diversi spunti di riflessione:

«Il sistema, il microuniverso organizzato, è il soggetto prediletto di Altman: Nashville (Nashville), Los Angeles (America oggi), un ospedale militare di campo (M.A.S.H.), la moda (Prêt-à-porter), la ricca borghesia americana (Il dottor T. e le donne), la nobiltà inglese di inizio '900 (Gosford

Park), Hollywood (I protagonisti). Luoghi, tempi, non-luoghi, gruppi sociali:

dove si colloca in questo album di colture umane in vitro il Jeoffrey Ballet of

Chicago? Lateralmente, perché forse per la prima volta l'oggetto della storia

ha costretto il dispositivo a cambiare il proprio sguardo […] Della compagnia Altman non tralascia nulla: l'aspetto economico e produttivo (non siamo a Broadway, Chorus Line, e nemmeno nella scuola di Fame […]), quello di relazione […], quello lavorativo […] Sembra di poter riconoscere un movimento preciso al quale Altman si affida: mostrare l'incredibile ricchezza narrativa che ha per le mani (The Company potrebbe essere qualsiasi altro suo film, ricco di coralità e di babelica densità), e poi nasconderla»290.

Altman predilige dunque, con taglio documentaristico, gli aspetti tecnici (le prove e le organizzazioni) e quotidiani (i problemi di budget e le difficoltà nel cercare di accontentare tutti) all'interno della scuola, senza rinunciare a un tocco personale: il temporale notturno, con vento, lampi e tuoni, che coglie di sorpresa l'esibizione di Ry e Domingo, rendendola però ancora più magica – «so theatrical», commenta Mr. A.

dopo lo spettacolo, «una vera magia teatrale», nella versione italiana291;

ancora una nota altmaniana: Antonelli che, ricordando un impegno per cui è in ritardo, se ne va dalla scena, lascia un dialogo a metà, sospeso e senza seguito, abbandonando gli interlocutori, la macchina da presa e lo spettatore, tutti spiazzati dal suo comportamento.

Analizzati Fame e The Company, due film diversamente corali, simili per ambientazione, opposti dal punto di vista dell'approfondimento psicologico dei personaggi, rimane il problema di come collocare un'opera come A Chorus Line di Attenborough, tratto dal musical di Broadway del 1975. Ebbene a metà strada, come effettivamente si situa cronologicamente.

Sicuramente l'opera del regista britannico è più corale del film di Altman, se si pensa alla coralità come elemento strettamente correlato all'indagine psicologica dei personaggi: infatti, nonostante al centro del film vi sia una prova d'ammissione da superare, attraverso questo esame – dopo una già dura selezione, sedici ballerini (otto maschi e otto femmine) devono sostenere un'altra prova, per ottenere uno degli otto posti a disposizione ed entrare nella cosiddetta “linea del coro”, sulla

290 Andrea Bellavita, The Company, «SegnoCinema», n. 127, maggio-giugno 2004, pp.

63-64.

291 Non ci si trova comunque di fronte a una delle tipiche tempeste (centrifughe o

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