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Nella prima parte del presente lavoro si è già accennato a quante e quali sono le difficoltà nell’affrontare un discorso sulla coordinata spaziale, a come una parola così semplice, “spazio”, possa racchiudere una pluralità di accezioni e di significati, senza contare i campi semantici ai quali tale lemma rimanda e le infinite declinazioni e varianti risultate dai discorsi che ciascuna disciplina, artistica come scientifica, ha prodotto su tale nozione.

Basti pensare all’evoluzione che la concezione di spazio ha subito in ambito pittorico, attraverso i secoli, le correnti e le avanguardie, dall’immensità indefinita dei paesaggi romantici, alle forme geometriche dei cubisti fino all’eclettismo spaziale dell’arte contemporanea, ad esempio, per avere un’idea della complessità di tale argomento e dell’importanza che la rappresentazione dello spazio ha sempre avuto, e continua ad avere, nella riflessione dell’essere sul mondo circostante. Senza alcun intento esaustivo né pretesa scientifica, ci limitiamo in questo paragrafo a riflettere sulle modalità di rappresentazione dello spazio nell’immaginario, e nello specifico nella letteratura, seguendo i cambiamenti che la teoria e la critica europee, a partire dalla seconda metà del secolo scorso ad oggi, hanno riportato nell’analisi epistemologica della coordinata spaziale come strumento di espressione letteraria.

Vogliamo aprire la nostra riflessione con le parole di Maurice Blanchot, il quale, nella sua opera L’espace littéraire, approccio particolarissimo al mistero della creazione artistica e letteraria, attraverso lo sguardo lucido e allo stesso tempo mistico di un romanziere e critico interamente votato alla letteratura, riflette sulla consapevolezza dell’uomo che «quelque chose comme l’art ou la littérature existe»7. La metafora spaziale creata da Blanchot, l’espace littéraire, appunto, che tanti dopo di lui riprenderanno, testimonia lo stretto legame tra lo spazio dell’opera (quello della pagina) e il linguaggio che la crea. Nel gesto

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simbolico di Orfeo8, il quale non solo deve scendere negli inferi per cogliere la profondità della notte, ma «son œuvre c’est de le ramener au jour et de lui donner, dans le jour, forme, figure, réalité», è racchiuso il segreto della creazione artistica, la quale, così come «la profondeur ne se livre pas en face, elle ne se révèle qu’en se dissimulant dans l’œuvre»9.

Ecco dunque che proprio attraverso la metafora spaziale del doppio movimento dell’artista, prima simbolico e tellurico, in discesa verso la matrice dell’opera, poi fisico, di risalita verso la superficie, verso lo spazio del testo, Blanchot apre le strada ad una nuova prospettiva dalla quale indagare la coordinata spaziale, quella dello spazio letterario appunto, anticipando le innovazioni sul rapporto tra spazio e letteratura che avranno tanta fortuna nei decenni successivi.

Alcuni anni più tardi Gaston Bachelard, nell’opera che lo consacrerà come innovatore, inaugurando la riflessione sulla poetica dello spazio10, aggiungerà nuovi tasselli alla costruzione dello spazio letterario, in nome di quella “topophilie” come strumento di indagine ed interpretazione dello spazio «vécu» e degli spazi immaginati e immaginari, che diventano i rivelatori della vera essenza dell’anima umana11. E quale luogo se non la casa, la maison, sito intimo per eccellenza, come esempio di questo spazio esperito quotidianamente e fonte di ispirazione per la creazione artistica, così che «l’image de la maison devienne la topographie de notre être intime […] la maison comme un instrument d’analyse pour l’âme humaine.», fino all’affermazione che «Tout espace vraiment habité

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Blanchot sceglie il mito di Orfeo come metafora del rapporto dell’artista con la sua opera d’arte, come afferma in apertura al saggio: «Un livre, même fragmentaire, a un centre qui l’attire [...] vers quel point il semble que le livre se dirige; ici, vers les pages intitulées Le regard d’Orphée». Ibidem, p. 9.

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Ibidem, p. 227-228.

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G.BACHELARD,La poétique de l’espace, cit.

11

«Nous voulons examiner, en effet, des images bien simples, les images de l’espace heureux. Nos enquêtes mériteraient, dans cette orientation, le nom de topophilie. Elles visent à déterminer la valeur humaine des espaces de possession, des espaces défendus contre des forces adversaires, des espaces aimés. […] ce sont des espaces louangés. À leur valeur de protection qui peut être positive, s’attachent aussi des valeurs imaginées, et ces valeurs sont bientôt des valeurs dominantes. […] Il [l’espace] concentre de l’être à l’intérieur des limites qui protègent». Ibidem, Introduction, p. 17. Tale citazione riprende e ne completa un’altra di Bachelard nel presente lavoro; a tal proposito si veda la nota n. 88 del primo capitolo.

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porte l’essence de la notion de maison […] Elle est le premier monde de l’être humain.»12. Bachelard aveva già intuito l’importanza della nozione spaziale nell’analisi e nella comprensione della psicologia umana, tanto da arrivare alla definizione di una nuova dottrina che mettesse insieme le diverse branche della psicologia e i luoghi di tale ricerca, e che egli chiama la “topo-analyse”, «l’étude psychologique systématique des sites de notre vie intime». 13

Di grande interesse la riflessione bachelardiana sul rapporto tra spazio e tempo, che abbiamo visto essere centrale del discorso sulla scrittura dello spazio nella letteratura, argomento sul quale grandi studiosi dibatteranno per decenni. Uno degli aspetti più rivoluzionari de La poétique de l’espace, e che all’epoca suscitò non poche polemiche, è il ruolo di rilevanza che l’autore affida allo spazio nell’immaginario dell’essere, rispetto al tempo che, al contrario, viene relegato ad un gradino inferiore. Se fino ad allora era la coordinata temporale il punto di riferimento dell’essere, «On croit parfois se connaître dans le temps, alors qu’on ne connaît qu’une suite de fixations dans des espaces de la stabilité de l’être, d’un être qui ne veut pas s’écouler, qui, dans le passé même quand il s’en va à la recherche du temps perdu, veut “suspendre” le vol du temps.», in realtà l’essere si ritrova bloccato e compresso in un’immobilità temporale: «Dans ses mille alvéoles, l’espace tient du temps comprimé. L’espace sert à ça.»14.

La funzione vitale dello spazio, nel rapporto dell’essere con l’incosciente e la memoria, diventa primaria, «Ici l’espace est tout, car le temps n’anime plus la mémoire. La mémoire – chose étrange – n’enregistre pas la durée concrète, la durée au sens bergsonien.» ed è la sola in grado di restituire frammenti di

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Ibidem, pp. 18-19 e pp. 24-26.

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Ibidem, p. 27. La definizione di topo-analyse che troviamo all’inizio dell’opera : «Psychologie descriptive, psychologie des profondeurs, psychanalyse et phénoménologie pourraient, avec la maison, constituer ce corps de doctrines que nous désignons sous le nom de topo-analyse. […]» (p. 18), viene ripresa alcune pagine più avanti come supporto alla psicanalisi nella continua ricerca dell’uomo di qualcosa al di fuori di sé: «Elle [la psychanalyse] appelle l’être à vivre à l’extérieur des gîtes de l’inconscient, à entrer dans les aventures de la vie, à sortir de soi. […] Pour accompagner la psychanalyse dans cette action salutaire, il faudrait entreprendre une topo-analyse de tous les espaces qui nous appellent hors de nous-mêmes. […] nous ne devons pas oublier qu’il y a une rêverie de l’homme qui marche, une rêverie du chemin». Ibidem, p. 29.

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memoria, proprio perché vissuti non più nel tempo ma nello spazio, dunque “spazializzati”: «C’est par l’espace, c’est dans l’espace que nous trouvons les beaux fossiles de durée concrétisés par de longs séjours. L’inconscient séjourne. Les souvenirs sont immobiles, d’autant plus solides qu’ils sont mieux spatialisés.»15.

In una poetica dello spazio che fa della fenomenologia la sua essenza, dove finalmente ha senso dire «qu’on “écrit une chambre”, qu’on “lit une chambre”, qu’on “lit une maison”»16, lo spazio vissuto si apre all’immaginazione e tutto ciò che di scientifico, di razionale, di logico ci può essere in una forma geometrica perde completamente senso, così che «La maison vécue n’est pas une boîte inerte. L’espace habité transcende l’espace géométrique.»17. Tale discorso sul potere dell’immaginazione ci conduce ad un altro elemento, non meno importante, della poetica bachelardiana e che assume una forte valenza in ambito letterario, vale a dire l’immagine, e con essa la metafora.

Se l’immagine è la linfa vitale della fenomenologia dell’immaginazione18 perché «Toute grande image simple est révélatrice d’un état d’âme.», non si può affermare lo stesso per la metafora, la quale nella teoria di Bachelard subisce la stessa sorte della coordinata temporale, in quanto secondaria e inferiore all’immagine. Infatti, mentre la metafora «est relative à un être psychique différent d’elle, […] n’a pas de valeur phénoménologique. Elle est, tout au plus, une image fabriquée, sans racines profondes, vraies, réelles. […] est une fausse image puisqu’elle n’a pas la vertu directe d’une image productrice d’expression, formée dans la rêverie parlée», l’immagine, «œuvre pure de l’imagination absolue», è portatrice di un valore più profondo, «tient au contraire tout son être de l’imagination. […] à une image, on peut donner son être de lecteur; elle est

15 Ibidem, p. 28. 16 Ibidem, p. 32. 17 Ibidem, p. 58. 18

«la phénoménologie de l’imagination demande qu’on vive directement les images, qu’on prenne les images comme des événements subits de la vie. Quand l’image est nouvelle, le monde est nouveau». Ibidem, p. 58.

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donatrice d’être. […] est un phénomène d’être, un des phénomènes spécifiques de l’être parlant.» 19.

Questo breve resoconto del saggio non rende tuttavia onore alla complessità del pensiero bachelardiano, che fin dalla scelta dei titoli20, dell’opera e dei capitoli, rivela l’originalità e la profondità di una poetica che nessuno studioso di spazio e letteratura può dispensarsi dal conoscere.

L’influenza che esercitò la lettura bachelardiana dello spazio letterario sulla critica degli anni seguenti la pubblicazione de La poétique, fu senza dubbio decisiva e in molti ripresero alcuni aspetti della sua riflessione, come è il caso del grande critico e teorico letterario Gérard Genette. All’interno della sua vastissima produzione, tre brevissimi ma intensi contributi hanno attirato la nostra attenzione e fornito interessanti spunti di riflessione sul trattamento dello spazio, e in particolare sul rapporto tra spazio e linguaggio, tra spazio e letteratura, e infine sul binomio narrazione-descrizione21. Nel primo studio, pubblicato nel 1966, Genette indaga i legami tra spazio e linguaggio, partendo dall’analisi sulla coordinata spazio portata avanti dal linguista e lessicologo Georges Matoré nel saggio L’Espace humain, il quale afferma «Il existe un espace contemporain»22.

Tale premessa implica secondo Genette alcune ipotesi, vale a dire «d’abord, le langage, la pensée, l’art contemporain sont spatialisés, […] ensuite, l’espace des représentations contemporains est un, […] enfin cette unité se fonde, évidemment, sur quelques traits particuliers qui distinguent notre espace, c’est-à- dire l’idée que nous nous faisions de l’espace, […]» ; da qui la ricerca dell’uomo di un punto di riferimento, di un’ancora di salvezza a cui appigliarsi per liberarsi

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Ibidem, pp. 79-81.

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Oltre alla novità della nozione di “poetica dello spazio” che dà il titolo all’opera, ricordiamo i capitoli che costituiscono il saggio e i cui titoli rimandano tutti ad una semantica spaziale: «La Maison. De la cave au grenier. Le sens de la hutte.», «Maison et Univers», «Le tiroir. Les coffres et les armoires», «Le nid », «La coquille», «Les coins», «La miniature», «L’immensité intime», «La dialectique du dehors et du dedans», «La phénoménologie du rond». Avremo modo di ritornare più avanti su alcune di queste immagini spaziali analizzate da Bachelard, che ritroveremo nella nostra esplorazione dei luoghi-simbolo dello spazio antillano.

21

Si tratta di tre studi di Genette, rispettivamente Espace et langage in Figures I, Paris, Seuil, 1966, pp. 101-108; La littérature et l’espace in Figures II, Paris, Seuil, 1969, pp. 43-48; Frontières du récit in R. BARTHES, L’analyse structurale du récit, Paris, Seuil, 1981, pp. 158- 169.

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dall’“angoisse” provata di fronte all’immensità spaziale, «il se rassure en projetant sa pensée sur les choses»23. Questa sorta di «espace-refuge» che l’uomo si crea, non è in realtà che un riparo provvisorio e illusorio di fronte alla “topologie déroutante” che la scienza e la filosofia moderne hanno inventato: «espace-temps, espace courbe, quatrième dimension, tout un visage non- euclidien de l’univers qui compose ce redoutable espace-vertige où certains artistes ou écrivains d’aujourd’hui ont construit leurs labyrinthes.»24.

Il carattere ambivalente e ambiguo del tema spaziale, nel suo eterno andirivieni tra il ruolo di signifié e quello di signifiant, assegna al linguaggio utilizzato per rappresentare lo spazio una funzione che potremmo definire “implicita”, innata nella stessa componente spaziale, poiché «Dans ces métaphores [spatiales] on ne parle pas de l’espace: on parle d’autre chose en termes d’espace – et l’on pourrait presque dire que c’est l’espace qui parle: sa présence est implicite, impliquée à la source ou à la base du message plutôt que dans son contenu»25.

Secondo Genette dunque, ammettere l’esistenza di un linguaggio dello spazio significa attribuire valenza universale a tale mezzo di comunicazione, perché «S’il y a quelque part un langage de l’espace, c’est ici qu’on le trouve […] les métaphores spatiales constituent donc un discours, à portée presque universelle, puisqu’on y parle de tout, littérature, politique, musique, et dont l’espace constitue la forme, puisqu’il fournit les termes mêmes de son langage.»26. Di conseguenza avremo sempre un significato, l’oggetto variabile del discorso, e un significante, il termine spaziale, e la differenza tra uno spazio connoté e uno dénoté sarà alla base di qualsiasi linguaggio spaziale, così che parlare di spazio sarà una questione di forma più che di contenuto27.

23

G.GENETTE, Espace et langage, cit., p. 101.

24 Ibidem, pp. 101-102. 25 Ibidem, p. 102. 26 Ibidem, pp. 102-103. 27

Tale dicotomia è costitutiva di qualsiasi rappresentazione dello spazio, ed è sempre dettata da una volontà: «Il s’agit donc ici d’un espace connoté, manifesté, plutôt que désigné, parlant plutôt que parlé […]. Au contraire, l’espace décrit par le physicien, le philosophe, l’écrivain […] est directement visé par le savant ou l’artiste comme l’objet d’une intention claire», la

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Nella sua indagine sullo spazio, e in particolare quando affronta il discorso sulle immagini e le metafore spaziali, Genette chiama in causa, oltre a Matoré, anche altri teorici e studiosi della coordinata spazio, come Bachelard o Richard, fa confronti sulle loro teorie, sui diversi approcci delle loro opere, e dà il suo contributo alla riflessione portata avanti dai suoi colleghi, attraverso critiche che risultano sempre costruttive28.

In conclusione al suo breve studio Genette arriva a due affermazioni che vogliamo qui riportare perché rivelano, pur nella loro semplicità, la profondità e l’originalità del suo pensiero. Entrambe testimoniano la stretta interconnessione tra spazio e linguaggio, manifestata in tutti i campi del sapere, «de tout temps les hommes ont emprunté au vocabulaire spatial des termes destinés aux applications les plus diverses […] Il y a toujours de l’espace dans le langage [...] Tout notre langage est tissé d’espace.»29, primo fra tutti l’arte :

Aujourd’hui la littérature – la pensée – ne se dit plus qu’en termes de distance, d’horizon, d’univers, de paysage, de lieu, de site, de chemins et de demeure: figures naïves, mais caractéristiques, figures par excellence, où le langage s’espace afin que l’espace, en lui, devenu langage, se parle et s’écrive.30

Quest’ultima immagine, il linguaggio che “si fa spazio” e lo spazio che diventa linguaggio, incarna la nuova prospettiva d’indagine inaugurata da teorici dello stampo di Genette, e ci introduce al suo studio sul complesso rapporto tra letteratura e spazio.

Punto di partenza della sua riflessione è la constatazione che parlare di spazio a proposito della letteratura possa sembrare paradossale, dato che

quale fa sì che il linguaggio o la scrittura adottati siano i veri protagonisti del discorso : «Tout se passe donc comme si l’espace dénoté dégageait moins de significations spatiales que l’espace connoté, comme si l’espace-figure parlait plus de lui-même que l’espace contenu». Ibidem, pp. 103-104.

28

«Les métaphores qu’il [Matoré] interroge ne sont pas comme les images étudiées par Bachelard ou Richard, les affleurements poétiques d’une rêverie profonde, individuelle ou “collective” au sens jungien du terme […] La “zone” qu’il “explore” est plus “socialisée”. Notre espace, qui est collectif, écrit-il, est beaucoup plus rationalisé que celui de la rêverie individuelle et de l’imagination poétique». Ibidem, p. 104.

29

Ibidem, pp. 106-107.

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«apparemment en effet, le mode d’existence d’une œuvre littéraire est essentiellement temporel […]», tuttavia è la letteratura stessa che convoca lo spazio e lo studioso può e deve indagarne i rapporti «parce que la littérature, entre autre “sujets”, parle aussi de l’espace, décrit des lieux, des demeures, des paysages […]»31. Genette sottolinea l’importanza della coordinata spaziale come strumento di interpretazione della creazione letteraria, ricordando come «une certaine sensibilité à l’espace, ou pour mieux dire une sorte de fascination du lieu» siano alla base di ciò che Valéry definiva l’état poétique32.

Il suo interrogativo sull’esistenza o meno di una spazialità letterararia è anche il nostro, si può parlare di «quelque chose comme une spatialité littéraire active et non passive, signifiante et non signifiée, propre à la littérature, spécifique à la littérature, une spatialité représentative et non représentée ?».

Genette arriva alla definizione di tre aspetti concernenti una potenziale spazialità letteraria e che sono strettamente legati all’essenza stessa della letteratura, vale a dire il linguaggio. Si parla innanzitutto di una spazialità «primaire, ou élémentaire », quella del linguaggio, lo strumento «naturellement plus apte à “exprimer” les relations spatiales […] donc à traiter de toutes choses en termes d’espace, et donc encore à spatialiser toutes choses»33, come avevano ampiamente anticipato de Saussure e altri dopo di lui, mettendo in evidenza un aspetto del linguaggio che può essere sicuramente definito spaziale. Se è vero che tale spazialità viene manifestata, e anche accentuata, nell’opera letteraria attraverso l’uso del testo scritto, l’affermazione conseguente è che «le langage (et donc la pensée) est déjà une sorte d’écriture, ou, si l’on préfère, la spatialité manifeste de l’écriture peut être prise pour symbole de la spatialité profonde du langage.»34.

Genette scende più in profondità nella sua analisi per indagare il terzo aspetto della spazialità letteraria, vale a dire la scrittura al livello stilistico, le

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G.GENETTE, La littérature et l’espace, cit., pp. 43-44, (entrambe le citazioni).

32 Ibidem, pp. 43-44. 33 Ibidem, p. 44. 34 Ibidem, p. 45.

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figures35. Ritorna dunque la dicotomia tra signifié e signifiant, ed è proprio l’espace sémantique tra il significato apparente e quello reale che abolisce la linearità del discorso e che Genette chiama une figure, così definita: «c’est à la fois la forme que prend l’espace et celle que se donne le langage, et c’est le symbole même de la spatialité du langage littéraire dans son rapport au sens.»36. Interessante, infine, il passaggio da una spazialità strettamente legata alla scrittura, al testo scritto, «l’espace du livre, comme celui de la page», ad un’ulteriore tipologia di spazialità riguardante la letteratura presa nel suo insieme, «comme une sorte d’immense production intemporelle et anonyme». Ed ecco l’immagine che Genette associa alla spazialità letteraria, il “luogo” sacro della letteratura:

La bibliothèque : voilà bien le plus clair et le plus fidèle symbole de la spatialité de la littérature. La littérature toute entière présentée, je veux dire rendue présente, totalement contemporaine d’elle-même, parcourable, réversible, vertigineuse, secrètement infinie.37

Una descrizione dunque, per concludere il discorso sul rapporto spazio- letteratura ed andare oltre le “frontiere del racconto”, per analizzare da vicino le zone di confine, i punti di contatto e di tensione tra le varie componenti della costruzione narrativa, come la dicotomia narrazione-descrizione38. Genette constata l’interconnessione tra testo descrittivo e testo narrativo come parti costitutive di qualsiasi tipo di racconto, anche se è più facile trovare una descrizione scevra di elementi narrativi che viceversa39.

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Con il termine figures preso in prestito alla retorica classica, Genette indica «ce que l’on appellerait plus généralement aujourd’hui des effets de sens». Ibidem, p. 46.

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Ibidem, p. 47. Come premessa a tale definizione, Genette sottolinea il carattere ambivalente

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