Vorrei dedicare alcune riflessioni conclusive all'analisi di una categoria di esperienze che esula dal modello interattivo società-istituzioni prospettato dalla democrazia partecipativa. Sto parlando di quell'universo di pratiche “borderline” racchiuse dalla definizione di politiche pubbliche dal basso - esperienze di auto-organizzazione sociale. Con questo termine si intendono
“le iniziative dirette, informali e autonome di elaborazione e di gestione di progetti e di processi di trasformazione sorti all’interno della società civile (spesso entro un complicato e conflittuale intreccio di relazioni con le istituzioni e le strutture amministrative), nella rete diffusa di forme di resistenza attiva, di protagonismo delle comunità, di cittadinanza attiva, di auto-espressione sociale (in generale di organizzazione dal basso di pratiche sociali in grado di produrre beni pubblici)”110.
Gli esperimenti di questo tipo si sviluppano unilateralmente, secondo una direttrice bottom-up, a causa di un atteggiamento troppo spesso ostile da parte delle strutture amministrative.111 Si poterebbe affermare che i principali obiettivi di tali procedure siano simultaneamente la nascita di “valori di processo” e il miglioramento delle condizioni di vita che opprimono le fasce più disagiate della popolazione. Questa doppia finalità viene perseguita mediante la creazione di pratiche sociali piuttosto che
109
Cit. Ivi, p. 16.
110
Paba, Partecipazione, deliberazione, auto-organizzazione, conflitto, cit. p. 17.
111
“La condizione di solitudine, nella quale spesso operano le organizzazioni che stanno dietro esperienze come quella della Comunità delle Piagge (e delle cento altre della stessa natura), non è una solitudine cercata e desiderata, ma deriva dall’incapacità di molte amministrazioni di accompagnare positivamente, senza soffocarle, le iniziative di auto-organizzazione sociale e di produzione dal basso di politiche pubbliche. Incapacità materiale (mancanza di riconoscimento e di un sufficiente sostegno finanziario), ma soprattutto distanza politica, sociale, potremmo dire psicologica.” G. Paba, A. L. Pecoriello, C. Perrone, F. Rispoli, Partecipazione in Toscana: Interpretazioni e racconti, in G. Paba, A. L. Pecoriello, C. Perrone, F. Rispoli, Partecipazione in Toscana: Interpretazioni e racconti, pp. 3-14. Cit. p. 12.
83
con la formulazione di specifiche policies. Una dimensione esclusivamente pratica, che può essere compresa in maniera adeguata soltanto riferendoci ai contesti in cui si sviluppa. Gli esempi di auto-organizzazione dal basso fioriscono prevalentemente dentro orizzonti sociali caratterizzati da un elevato livello di precarietà. È nelle porzioni più degradate delle città che spesso “si forma una contro-città di relazioni umane, per contrastare la povertà, il disagio, la tristezza urbanistica e sociale”.112 Questa rete associativa informale si deve confrontare con problemi di importanza decisiva, la cui soluzione determina interamente la sorte dei destinatari. Si tratta di tematiche di “giustizia locale”, che emergono quando si devono ripartire beni di prima necessità - come la casa o l'ammissione per i bambini agli asili infantili - pur sapendo che le richieste di tutti non potranno essere soddisfatte, a causa della scarsa disponibilità di risorse. In che modo le politiche pubbliche dal basso rispondono a queste domande? Attraverso un'adesione radicale ai principi della democrazia partecipativa: “puntano a risolvere un determinato problema di giustizia locale, attraverso una forma consapevole di ingiustizia locale”.113 Entrano in conflitto con la legislazione ordinaria
poiché adottano criteri di tipo redistributivo, che “obbediscono al bisogno, non alla legge”114, provocando l'ostilità e il boicottaggio ad opera delle amministrazioni interessate. Le politiche pubbliche dal basso provano a rispondere ai bisogni primari di alcuni soggetti sociali deboli mediante il consolidamento di pratiche relazionali del
112
Paba, Partecipazione, deliberazione, auto-organizzazione, conflitto, cit. p. 41. Cfr. Ibidem: “la città «è anteriore alla costruzione di edifici pubblici e risiede nel rapporto sociale che persone o gruppi riescono a determinare fra loro»; è l’interazione, la commonality costruita nelle pratiche, a radicare gli abitanti nella città e a porre le condizioni per la trasformazione e il consolidamento degli abitati.”.
113
Cit. Ivi, p. 44.
114 “Escludono gli inclusi, per includere gli esclusi. Violano una normativa comunale, una graduatoria,
una lista d’attesa; alterano i processi standardizzati di valutazione dei requisiti e dei criteri di ammissione. Le Politiche pubbliche dal basso sono illegali per definizione, o almeno indifferenti alla legge, disobbedienti.” Cit. ibidem.
84
tutto estranee al principio di advocacy. Fondate su “valori d'uso, valori di esistenza”115 come la solidarietà orizzontale e l'interazione costruttiva. Le esperienze radicali di microcredito mi sembrano illuminanti in tal senso:
“Contano i modi della relazione, contano le vite delle persone, non le garanzie o le fideiussioni. La possibilità di restituzione del credito non è un requisito che il destinatario deve già possedere, ma una costruzione collettiva, l’esito delle interazioni. Chi riceve un prestito diventa parte di un collettivo, e chi lo fornisce acquisisce subito un incremento del proprio capitale di relazioni”116.
Credo che la spinta verso un'effettiva democratizzazione della società in senso partecipativo debba necessariamente passare per il sostegno alle forme di auto- organizzazione sociale. Perché solo queste mi sembrano in grado di realizzare una trasformazione della democrazia che abbracci sia la sua componente sostanziale che quella procedurale. In particolare, rispetto a quest'ultima, le politiche pubbliche dal basso sembrano provocare davvero quei miglioramenti rivendicati dai procedimenti di tipo deliberativo. I quali troppo spesso si dimostrano strumenti poco efficaci: inseguendo obiettivi ideali di democratizzazione dialogica non producono cambiamenti sostanziali nelle relazioni tra i diversi soggetti sociali. Né trasformano una società che è composta da individui concreti, e non da semplici teste pensanti.
115 Cfr. Ivi, p. 45.
85
Capitolo 3
La legge regionale toscana sulla partecipazione e la “questione”
geotermia
Introducendo l’argomento di una possibile sistematizzazione normativa per le pratiche partecipative ho evidenziato l’assenza di precisi riferimenti a questo tema nelle legislazioni nazionali. La Costituzione italiana non fa eccezione in tal senso. Sebbene al suo interno sia sottolineato il valore della partecipazione come diritto-dovere di ogni cittadino, i diversi accenni non vengono mai concretamente sviluppati1. L’ideale partecipativo svolge la sua funzione di importante principio regolativo per la vita della collettività, senza essere tuttavia declinato in forme giuridiche “operative”. Nonostante questa tendenza, nell’ultimo decennio stiamo assistendo ad una progressiva integrazione delle norme costituzionali con legislazioni regionali specifiche in tema di partecipazione. Il sostegno alle esperienze partecipative si struttura lungo una doppia direttrice. In primo luogo molti statuti regionali contengono dei rimandi sempre più espliciti ad una gestione congiunta della cosa pubblica tra cittadini ed amministrazioni2. Senza dubbio questa dimensione rappresenta una profonda novità all’interno del panorama politico. Tuttavia vorrei concentrare la mia riflessione su una seconda linea di sviluppo. Mi riferisco alla creazione di apposite leggi regionali volte ad incoraggiare, promuovere e disciplinare la nascita di specifici progetti inclusivi. Il tentativo è quello di mettere in pratica i principi della democrazia partecipativa,
1 A questo proposito si veda U. Allegretti, Basi giuridiche della democrazia partecipativa: alcuni
orientamenti, in Democrazia e Diritto, 3, 2006, pp. 149-164. Specialmente le pp. 152-154.
2 Si veda V. De Santis, La spinta partecipativa negli statuti delle regioni italiane, in U. Allegretti (a cura di),
86
attraverso una regolamentazione più o meno rigida, capace di assegnare chiaramente obblighi, diritti e doveri ai diversi attori coinvolti nei nuovi procedimenti.
Ad oggi vi sono tre regioni che hanno promulgato normative in tema di partecipazione. In ordine cronologico si tratta dell’Umbria - l.r. 4 dicembre 2006, n°163 -; della Toscana - l.r. 27 dicembre 2007, n°694 - e dell’Emilia Romagna - l.r. 9 febbraio 2010, n°35. Potrebbe essere interessante proporre una comparazione tra le differenti proposte legislative, o tra le loro applicazioni pratiche. Tuttavia in questa sede mi propongo un obiettivo diverso. Vorrei concentrarmi in maniera esclusiva sul caso della regione Toscana. Questa scelta è in parte motivata dalla mia vicinanza con il contesto territoriale specifico di questa legge. Ritengo infatti che la conoscenza di –alcuni- orizzonti sociali a cui la normativa si applica possa essere un elemento molto importante nella valutazione dei suoi effetti pratici. Una valutazione che aspiri ad essere il più possibile comprensiva, mostrando contestualmente i casi più o meno riusciti di realizzazione degli esperimenti; le criticità emerse dall’applicazione della struttura legislativa alle dinamiche particolari; e infine alcuni contesti in cui, invece di adottare un atteggiamento decisionista di tipo top-down forse sarebbe stato più opportuno ricorrere al nuovo strumento normativo.
3
“Disciplina dei rapporti tra l'autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali e l'azione di comuni, province, Regione, altri enti locali e autonomie funzionali in ordine allo svolgimento di attività di interesse generale secondo i principi di sussidiarietà e semplificazione”. Per il testo completo della legge
si veda: http://www2.regione.umbria.it/norme_fe/Asset.aspx?ID=71547B4B-1938-438D-BE29-
F459BCE9BBDE.
4
“Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali.” Per il
testo completo della legge si veda:
http://raccoltanormativa.consiglio.regione.toscana.it/articolo?urndoc=urn:nir:regione.toscana:legge:200 7-12-27;69.
5 “Norme per la definizione, riordino e promozione delle procedure di consultazione e partecipazione
alla elaborazione delle politiche regionali e locali.” Per il testo completo della legge si veda:
http://demetra.regione.emilia-romagna.it/al/monitor.php?vi=nor&dl=f52106cd-ec3b-1993-02ff- 4e4cc2345123&dl_t=text/xml&dl_a=y&dl_id=10&pr=idx,0;artic,1;articparziale,0&ev=1
87