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Spesa pro-capite per interventi e servizi sociali dei Comuni singoli e associati della

SEZIONE III – LA CIRCOLARITA’ DELLA RICERCA: ANNOTAZIONI E

Grafico 7. Spesa pro-capite per interventi e servizi sociali dei Comuni singoli e associati della

Se consultiamo il Secondo Rapporto sui servizi sociali del Lazio (2010), possiamo constatare che l’offerta regionale – per lo più composta da asili nido e centri diurni per anziani – è maggiormente concentrata nel territorio del Comune di Roma, che ospita oltre il 40% di tutta l’infrastrutturazione sociale individuata. Inoltre, nel Comune di Roma è presente più del 47% del totale dei posti esistenti nelle strutture e nei servizi regionali. Seguono la provincia di Roma, dove è presente il 22,7% del totale dei posti dell’offerta socio-assistenziale laziale e, a grande distanza, la provincia di Frosinone (con il 9,1%) e

0   20   40   60   80   100   120   140   160   180   200  

Roma   Rieti   Viterbo   Frosinone   Latina  

Lazio   Italia  

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quella di Viterbo (con l’8,8%).

Per quanto riguarda il grado di copertura dell’offerta (congruità di questa rispetto alla domanda), tra le singole Province e il Comune di Roma e anche all’interno di questi stessi territori, tra i Distretti e tra i Municipi, esiste una diversificazione estrema dei livelli di copertura (Primo e Secondo rapporto sui servizi sociali del Lazio, 2009-2010), a scapito dell’equità e della qualità del sistema nel suo complesso. L’analisi distrettuale, riportata nel Secondo rapporto sui servizi sociali del Lazio (2010), espressa in forma di graduatoria, conferma la variegata articolazione territoriale della capacità di copertura del sistema di offerta: nei primi dieci posti della graduatoria si collocano tre distretti del reatino, un distretto della provincia romana, due Municipi e quattro distretti del viterbese. Negli ultimi dieci posti, invece, con capacità di accoglienza particolarmente bassa, si riscontrano quattro Municipi romani, quattro distretti della provincia di Roma e due della provincia di Latina.

È interessante sottolineare il fatto che l’offerta regionale ha conosciuto negli ultimi anni, soprattutto a partire dal 2001, una dinamica espansiva, trasversale a tutte le province, sia rispetto al potenziamento quantitativo sia rispetto all’articolazione delle tipologie di strutture e servizi per rispondere all’evoluzione della domanda sociale (Secondo rapporto sui servizi sociali del Lazio). Tuttavia, è sufficiente uno sguardo alle previsioni demografiche, ma anche ai dati sui tagli alla spesa sociale, per capire che l’attuale sistema di offerta difficilmente riuscirà a tenere il ritmo di incremento della domanda sociale (Giovannetti et al., 2014). Quest’ultima aumenterà non solo per questioni demografiche, legate ad una popolazione che invecchia, ma anche per via di dinamiche socio-culturali che moltiplicano le fragilità sociali, rendendo appunto più intensa la sollecitazione della domanda sul sistema di offerta. Ciò richiede, e richiederà ancora in futuro, la capacità da parte del sistema regionale di ottimizzare e razionalizzare le risorse all’interno dei distretti, ma anche la capacità di innescare virtuosi processi di prevenzione dell’insorgenza di alcune problematiche sociali, promossi attraverso l’implementazione di servizi innovativi e sperimentali che tengano conto anche di altre tipologie di utenza, accanto a quelle dei minori e degli anziani.

Oltre ad una disomogenea distribuzione territoriale degli interventi sociali, il sistema di welfare del Lazio è caratterizzato da squilibri funzionali, ovvero da un forte sovradimensionamento del sistema sanitario rispetto a quello sociale. Innanzitutto, va specificato che ci troviamo di fronte ad una delle cinque Regioni italiane che nel 2011 hanno avuto maggior disavanzo in sanità: nel Lazio, assieme a Liguria, Campania, Calabria e Sardegna, infatti, si concentra oltre l’87% del deficit sanitario nazionale5. Nonostante dal 2007 il contenimento della spesa sanitaria, operato attraverso Piani di rientro, sia stato l’obiettivo principale delle azioni di riordino in ambito sanitario, tuttavia questo non hanno prodotto ancora gli effetti sperati. In sostanza, continuano a prevalere i tratti storici del sistema, sbilanciato sul fronte dell’offerta ospedaliera e residenziale privata e ancora poco sviluppato sul piano dei servizi territoriali (Ciarini, 2012; Tilli, 2011; IX

5 IX Rapporto Sanità (2013) a cura di CEIS (Centre for economic and international studies) e CREA

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Rapporto Sanità 2013). In questo contesto, anche l’integrazione socio-sanitaria soffre di un forte deficit di attuazione, rimanendo ancora un progetto di riforma piuttosto che una realtà operativa.

In definitiva, sulla base di quanto detto e anche in relazione ad alcune recenti pubblicazioni (Ascoli, 2011; Moro e Bertin, 2012; Kazepov e Barberis, 2013), si può sostenere che il sistema di welfare della Regione Lazio si attesta su un livello di funzionamento medio-basso. Infatti, pur avendo un’alta spesa sociale procapite e servizi che si attestano su un grado di innovatività complessivamente medio-alto, le politiche di assistenza risultano essere ancora scarsamente integrate, sottodimensionate rispetto all’area sanitaria e distribuite in maniera non omogenea tra i territori. Rispetto all’antica segmentazione Nord-Sud, dunque, il Lazio rappresenta “un territorio di confine, non assimilabile ad un vero e proprio modello di politica sociale” (Ciarini, 2012 p.186) e per molti aspetti vicino alle regioni meridionali.

5.3 La suddivisione territoriale per l’organizzazione e la gestione dei servizi

socio-sanitari

La Regione Lazio è composta da 378 Comuni, di cui i 2/3 (n. 253) con popolazione uguale o inferiore ai 5.000 abitanti6. Al numero totale degli enti locali va poi aggiunto quello dei 15 Municipi7 di Roma, ossia le istituzioni di decentramento amministrativo in

cui è suddiviso il territorio capitolino. La Provincia con più enti locali è quella di Roma (n.121), cui fa seguito quella di Frosinone (n.91), di Rieti (n. 73), di Viterbo (n. 60) e, infine, di Latina (n. 33). Le Province con un maggior numero relativo di piccoli comuni sono Frosinone e Rieti.

Nel nostro Paese tutte le funzioni amministrative di gestione, organizzazione, erogazione, nonché di progettazione della rete dei servizi sociali sono in capo ai Comuni. Tuttavia, sin dal DPR 616/77, il nostro ordinamento prevede che il territorio regionale sia suddiviso in ambiti territoriali al fine di garantire una migliore e più razionale gestione dei servizi sociali e sanitari, attraverso forme di cooperazione e associazione fra gli enti locali, le quali, in caso di necessità, possono anche essere obbligatorie. Con la normativa sul Servizio sanitario la suddivisione in ambiti o distretti si fa concreta in tutto il territorio nazionale e, dopo alcune variazioni nel tempo, ad oggi vi è una sostanziale coincidenza tra i distretti sociali e quelli sanitari, funzionale alla realizzazione di un sistema integrato di interventi che risponda in modo globale ai bisogni della cittadinanza. Nel Lazio, i Distretti

6 Nella Riforma Delrio si stabilisce questo limite di popolazione per la definizione di “piccolo Comune”.

Tuttavia, va precisato che la legge regionale concernente disposizioni in favore dei piccoli comuni per le emergenze socio-assistenziali (L. R. 6/2004) prevede che il limite sia quello di 2000 abitanti. Nel Lazio i Comuni con popolazione uguale o inferiore a questa soglia sono quasi la metà (n.157).

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socio-sanitari sono 518, di cui 15 ricadenti nel Comune di Roma, e la loro configurazione attualmente si presenta così come viene mostrato dalla figura 12 e dalla tabella 14. Da quest’ultima, in particolare, si può evincere una situazione molto variegata che va, ad esempio, dai circa 34.000 abitanti del Distretto di Poggio Mirteto ai 200.000 di alcuni Municipi di Roma, oppure da porzioni di territorio composte da solo uno o due comuni ad altre caratterizzate dalla presenza di 27 piccoli comuni. I distretti più popolosi si trovano nelle Province di Roma e Latina.

Figura 12. La suddivisione del territorio regionale in Distretti socio-sanitari

8 La Legge regionale n. 38/96 “Riordino, programmazione e gestione degli interventi e dei servizi socio-

assistenziali”, all’art. 47, comma 1, lettera c, ha previsto che fosse il Piano socio-assistenziale regionale (PSAR) a definire gli ambiti territoriali adeguati alla gestione degli interventi sociali. Il primo Piano 1999- 2001, in effetti, stabilisce (p.36) che è il distretto, nella forma e nelle dimensioni stabilite per l’organizzazione delle USL dalla L.R. 18/94, il luogo migliore per il funzionamento dei servizi. Questo anche perché i territori compresi nei distretti sanitari erano già abituati a lavorare insieme, quindi si è supposto avessero raggiunto un certo grado di “zonizzazione” e di stabilità istituzionale-operativa.

155 Tabella 14. Composizione dei Distretti della Regione Lazio

Distretti N° Comuni Comune Capofila Abitanti (dati 2011)

PROVINCIA DI ROMA (n°17 distretti)

RM D1 1 Fiumicino 69.692 RM F1 4 Civitavecchia 78.770 RM F2 2 Cerveteri 77.264 RM F3 5 Bracciano 54.702 RM F4 17 Formello 106.792 RM G1 3 Monterotondo 91.854 RM G2 9 Guidonia Montecelio 127.836 RM G3 17 Tivoli 83.907 RM G4 22 Olevano Romano 35.053

RM G5 10 San Vito Romano 81.471

RM G6 9 Carpineto Romano 77.605

RM H1 7 Monte Porzio Catone 91.438

RM H2 6 Lanuvio 107.645

RM H3 2 Ciampino 76.620

RM H4 2 Pomezia 102.785

RM H5 2 Velletri 65.886

RM H 6 2 Anzio 96.615

COMUNE DI ROMA (n° 15 distretti): ASL RM A, B, C, D, E

1 ente di decentramento

amm.vo 2.617.175

PROVINCIA DI VITERBO (n°5 distretti)

VT 1 19 Montefiascone 55.342

VT 2 9 Tarquinia 44.821

VT 3 8 Viterbo 98.696

VT 4 13 Vetralla 64.644

VT 5 11 Nepi 58.355

PROVINCIA DI FROSINONE (n° 4 distretti)

FR A 15 Alatri 91.851

FR B 23 Frosinone 185.000

FR C 27

Consorzio A.I.P.E.S. – Associazione Intercomunale per l’Esercizio Sociale

104.591

FRD 26 Consorzio dei Comuni del Cassinate 115.000

PROVINCIA DI LATINA (n° 5 distretti)

Distretto Aprilia-Cisterna 4 Aprilia 116.482

Distretto Fondi-Terracina 7 Fondi 105.505

156

Distretto Formia-Gaeta 9 Formia 107.239

Distretto Latina 5 Latina 174.196

PROVINCIA DI RIETI (n° 5 distretti)

RI 1 25 Rieti 75.871

RI 2 20 Poggio Mirteto 34.244

RI 3 12 Unione Comuni Valle dell'Olio 28.449

RI 4 7 Comunità Montana Salto Cicolano 10.024

RI 5 9 Comunità Montana del Velino 9.544

TOTALE: 51 DISTRETTI 378 Comuni

+15 Municipi

Totale abitanti Regione: 5.502.886

L’ambito territoriale non ha di per sé poteri amministrativi, a meno che tutti gli Enti locali che lo compongono non decidano di aggregarsi in determinate forme associative previste per legge. Le modalità organizzative attraverso cui i Comuni possono associarsi sono differenti e disciplinate dal Capo V del Testo Unico degli Enti Locali. Qui viene previsto che le Regioni favoriscano il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi e l’esercizio associato delle funzioni dei Comuni di minore dimensione demografica, da incentivare attraverso un sistema premiale. Ad ogni modo, i Comuni possono determinare autonomamente i soggetti, le forme e le metodologie di associazionismo.

Tra le forme associative, disciplinate dalla legge, abbiamo lo strumento della Convenzione, utile per gestire in modo coordinato funzioni e servizi determinati; essa può prevedere anche la costituzione di uffici comuni, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero la delega a favore di uno degli enti associati.

Il secondo strumento di associazionismo è il Consorzio, a cui possono partecipare anche altri enti pubblici (ad es. le ASL), finalizzato alla gestione comune di uno o più servizi e all’esercizio associato di funzioni. Questa modalità gestionale prevede un certo tipo di infrastrutturazione organizzativa: deve essere accompagnata dall’approvazione di uno statuto e di una convenzione, di concerto tra tutti gli EELL, in cui si stabiliscono le nomine e le competenze degli organi consortili, che sono l’assemblea e il consiglio.

Un altro strumento è quello dell’Unione di Comuni, istituto modificato di recente, nel 2012 e poi con la Riforma Delrio. Si tratta di un vero e proprio ente locale costituito da due o più comuni (con un limite demografico minino di 10.000 abitanti, ovvero 3.000 se si tratta di comunità montane); gli organismi che lo compongono sono il Presidente, la Giunta e il Consiglio, vengono scelti dai Comuni associati e sono formati, senza nuovi o maggiori oneri, da amministratori già in carica. Il T.U.E.L. prevede che le Regioni privilegino questo tipo di forma associativa (insieme alla fusione di comuni), stabilendo una maggiorazione dei contributi in favore degli Enti locali che la scelgono. L’Unione ha autonomia statutaria e potestà regolamentare e ad essa si applicano le disposizioni previste

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per gli Enti locali; inoltre, attraverso uno statuto, vengono stabilite le sue funzioni e le corrispondenti risorse, che comunque non dovranno superare le somme precedentemente sostenute dai singoli Comuni partecipanti.

L’Accordo di programma è un'altra modalità per esercitare la gestione associata e può essere utilizzato per la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di programmi che richiedono, per la loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di una varietà di soggetti: Comuni, Province, Regioni, amministrazioni statali e altri enti pubblici. In sostanza, l’Accordo consiste nel consenso unanime dei soggetti coinvolti e viene approvato attraverso un atto formale. Nel caso dei Comuni viene promosso dal Sindaco, il quale convoca una conferenza tra i rappresentanti di tutte le amministrazioni interessate, che saranno poi anche i responsabili della vigilanza sull’esecuzione dell’Accordo.

Gli enti locali, in forma singola o associata, hanno altre possibilità di gestire i servizi, e queste si concretizzano nei seguenti organismi: le Aziende speciali, ossia enti strumentali dotati di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di un proprio statuto; l’Istituzione, preposta esclusivamente per l’esercizio di servizi sociali, dotata di autonomia gestionale, obbligata al pareggio di bilancio e assoggettata al patto di stabilità (così come le aziende speciali); le Società per azioni, che possono costituirsi anche senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria e in cui gli enti locali provvedono alla scelta dei soci privati.

Nella Regione Lazio gli unici due distretti che hanno scelto forme di gestione associata dei servizi sociali, ossia il Consorzio, appartengono alla Provincia di Frosinone e sono proprio i due ambiti composti dal maggior numero di Comuni (FR C, che comprende i 27 comuni della Valle del Liri; FR D, composto dai 26 comuni della zona del Cassinate). Esistono poi sul territorio regionale altre associazioni intercomunali: si tratta delle diverse Unioni di Comuni presenti nella Provincia di Rieti, che però non coinvolgono tutti gli enti locali presenti in un Distretto; anzi, spesso, gli ambiti sono composti da più Unioni (sub- ambiti 9), o queste ultime si trovano a cavallo di più Distretti. È il caso, ad esempio, di RI 3 costituita dall’Unione dei Comuni della “Valle dell’Olio” e dall’Unione dei Comuni “Alta Sabina”, o di RI 2 che, oltre ad essere formata da tre Unioni conta la presenza di Comuni singoli e di una Comunità Montana. Tutti gli altri territori della Regione gestiscono e coordinano la programmazione associata sulla base di un Accordo di programma, istitutivo dell’ambito sociale, che rappresenta poi il fondamento del consenso necessario per l’approvazione del documento di Piano, così come previsto dalla L.328/00.

A tale proposito, la legge regionale n. 38/96 sul “Riordino, programmazione e gestione degli interventi e dei servizi socio-assistenziali” aveva previsto che la Regione promuovesse forme associative e di cooperazione fra gli enti locali e tra questi e l’ASL, secondo le indicazioni del Piano socio-assistenziale regionale (PSAR). Quest’ultimo, nella

9 Quella dell’organizzazione in sub-ambiti è stata per lungo tempo una realtà molto presente nel Lazio, non

solo nella Provincia di Rieti, ma anche in quelle di Frosinone e Viterbo. Spesso si è trattato di forme di aggregazione che non hanno avuto un profilo istituzionale, ma solo organizzativo ai fini dell’attuazione del Piano di Zona. Inizialmente, la Regione Lazio ha appoggiato la formazione di queste sub-aree e negli anni più recenti le ha lasciate operare, pur sapendo che erano un ostacolo per la piena definizione di un Distretto unico. Solo dal 2012 gli uffici regionali hanno cominciato a scoraggiare queste forme di aggregazione.

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sua prima edizione, ha effettivamente sollecitato i territori all’individuazione di forme associative (anche erogando fondi di incentivazione), considerandole necessarie per la gestione dei Piani di zona e per la costruzione dei distretti sociali. Esso ha, altresì, indicato come strumenti potenzialmente efficaci, innanzitutto, l’Azienda Società per Azioni con la partecipazione minoritaria delle organizzazioni di Terzo settore, ritenendo potesse costituire una soluzione sia rispetto alla razionalizzazione delle risorse sia dal punto di vista dell’offerta e della qualità dei servizi. In secondo luogo, ha segnalato la possibilità di ricorrere anche alla Convenzione, alla delega all’ASL, al Consorzio e all’Accordo di programma 10. Evidentemente la volontà iniziale della Regione di aggregare gli enti locali attraverso soluzioni organizzative “forti” e vincolanti non ha avuto molto seguito e questo, a nostro avviso, è avvenuto per almeno due ragioni: una forte resistenza dei Comuni a collaborare, figlia di un campanilismo ben radicato nel nostro paese, e una difficoltà della Regione di sostenere nel tempo questo tipo di trasformazioni. Rispetto al primo fattore causale, la programmazione associata si è dovuta confrontare con geometrie del territorio multiple e con una lunga tradizione di frammentazione amministrativa – consolidata anche dall’idea del territorio come bacino di utenza –, in cui i distretti tendono ad operare come un livello tecnico che moltiplica, e non integra, le funzioni e le articolazioni organizzative (Bifulco, 2006). Per quanto riguarda il secondo elemento causale, invece, trattandosi di trasformazioni lunghe e difficili, da attuare in contesti rigidi e resistenti al cambiamento, la Regione avrebbe dovuto presidiare con costanza questo tipo di processi e fornire stimoli graduali nel lungo periodo attraverso un adeguato supporto tecnico, formativo ed economico. Tuttavia, dopo un iniziale periodo di sperimentazione, l’ente regionale non è riuscito ad investire risorse proporzionali al tipo di cambiamento richiesto, né a promuovere adeguate azioni di sistema che assicurassero coerenza e continuità agli assetti istituzionali ed operativi auspicati. Le ragioni di ciò sono molteplici ed avremo modo di analizzarle nel corso della trattazione.

Ad oggi la forma associativa prevalente nel territorio regionale, l’Accordo di programma, pur avendo permesso la possibilità di una cooperazione fino a dieci anni fa inconcepibile per i singoli Comuni, viene comunque considerata da molti uno strumento debole che non ha garantito l’affermazione di relazioni interorganizzative forti e stabili e che ha permesso la sopravvivenza dei municipalismi all’interno dei Distretti. A nostro avviso, la diffusione capillare di questo strumento è legata ad alcuni fattori sostanziali, tra cui quelli appena richiamati, relativi al brevissimo percorso sperimentale e al successivo mancato investimento della Regione su forme alternative di associazionismo intercomunale. Accanto a tali elementi, riteniamo che ne vanno considerati altri, ossia

10 Il Primo PSAR ha dato avvio alla sperimentazione dell’Azienda per la gestione dei servizi socio-sanitari in

alcuni territori della Regione; due dei quali conservano ancora questa strutturazione nella formula del Consorzio (appunto, FR C e FR D). Nell’indicare gli strumenti privilegiati per la realizzazione delle associazioni intercomunali, il primo Piano regionale effettua anche una valutazione delle criticità degli altri strumenti messi a disposizione dalla legge, affermando che l’Istituzione come forma di gestione nel Lazio non ha praticamente attecchito; mentre l’Azienda speciale, avendo carattere di municipalità, potrebbe costituire un limite per una politica di ambito distrettuale. Anche rispetto al Consorzio, che comunque viene indicato come un possibile dispositivo da adottare, il PSAR evidenzia alcune debolezze, sostenendo che, seppur rappresenti uno strumento vincolante, tuttavia non sempre ha dato risultati positivi.

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l’approvazione di Linee-guida regionali che hanno spesso fatto riferimento allo strumento dell’Accordo di programma; una sorta di isomorfismo mimetico che ha portato i Distretti ad assomigliarsi sempre più tra loro; una convenienza generale ad utilizzare uno strumento debole che permettesse ai Comuni di continuare a pensarsi ancora come soggetto singolo. In sostanza, molti Enti locali (ma non tutti) in questi anni hanno proseguito ad organizzare e gestire singolarmente la maggior parte dei servizi sociali, destinando al livello distrettuale esigue risorse finanziarie. In proposito, gli intervistati sostengono:

Una maniera per raggirare, per non realizzare i piani di zona sono gli accordi di programma, perché discrezionali. Un accordo è tra me e te, e quindi è locale e su singoli argomenti. Non c’è il volontariato al suo interno. È una cosa dei servizi, proprio accentramento da servizio a servizio. Poi, è difficilissimo che si mettano d’accordo, per fare questo accordo passano 3 o 4 anni, e quando lo hanno fatto non lo applicano. [Componente Conferenza Regionale del Volontariato]

Siccome le linee guida della Regione parlavano di Accordo di programma da realizzare con l’Azienda sanitaria, anche i Consorzi fecero accordi con l’ASL, inserendo all’interno di essi anche la Provincia. Di fatto fu più una cosa di facciata che non di sostanza. [Tecnico Settore Politiche sociali Provincia di Frosinone]

Lo strumento dell'accordo di programma è troppo leggero; non è un ente cha ha un suo bilancio preciso, un suo personale dedicato. Deve passare sempre attraverso i comuni, che poi devono mettere a disposizione personale. Non avendo personalità giuridica, è legato ad una serie di situazioni che fa il Comune capofila. Ci sono dei passaggi che rallentano l'azione; c'è la difficolta di creare anche un ufficio stabile di piano che abbia una sua stabilità nel tempo. Ci sono anche limiti di assunzione; una serie di questioni che andrebbero affrontate. [Funzionario Area Programmazione sociale Regione Lazio]

È importante mettere in luce che i recenti interventi normativi di contenimento della spesa pubblica (L.135/12 “spending review 2”) hanno introdotto l’obbligo, per i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, di esercitare in modo associato, attraverso lo strumento dell’Unione o della Convenzione, alcune funzioni fondamentali, tra cui appunto la progettazione, la gestione e l’erogazione dei servizi sociali locali. Le novità introdotte