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Nel XII secolo, dunque, dopo l’attardamento nelle forme della corsiva nuova che si era verificato nel periodo precedente, i notai bolognesi hanno recepito il modello introdotto da Angelo e Bonando, e così la carolina è diventata finalmente scrittura d’uso anche in ambito documentario, in linea con quanto altrove avveniva ormai da secoli.

La ricezione di questi modelli va intesa, a nostro avviso, anche come una risposta alle richieste di una società e di un’economia sempre più dinamiche, in cui il conseguente aumento della domanda di documentazione scritta richiede una nuova attenzione alla forma degli instrumenta, nonché una rinnovata esigenza di chiarezza e leggibilità, a garanzia dell’autenticità degli atti e delle scritture che certificano i negozi giuridici.

Tuttavia, la diffusione di tale novità lungo tutto il territorio bolognese non è stata capillare né uniforme, bensì si è svolta in maniera lenta e graduale nel corso del secolo. La velocità di ricezione delle nuove istanze grafiche varia, infatti, a seconda delle zone: in alcuni casi è stata molto rapida; in altri, al contrario, lenta e non completa. Soprattutto nel contado bolognese si registrano le situazioni più variegate e, talvolta, arretrate.

Nell’arco della prima metà del secolo, infatti, accanto alle forme mature, già di “transizione” verso la gotica, di alcuni notai, specialmente cittadini, coesistono scritture evidentemente attardate nell’uso della precedente corsiva, in cui abbondano legature e compendi arcaici. È questo il caso, ad esempio, dei tabellioni che rogano nelle zone marginali di Castenaso (come Bonfantino I e Martino VIII), di S. Lazzaro di Savena (si veda in particolare il caso di Pietro XXVII) e di Galliera.

In altri casi, invece, il contado si caratterizza per sviluppi autonomi rispetto a quelli visibili in città e che possono essere considerati la maturazione di quanto era possibile osservare in questi territori già nell’XI secolo, come avviene, ad esempio, nella zona di S. Maria in Strada e in tutta l’area al confine con Modena e Nonantola, ovvero nel territorio di Medicina, che già nel secolo precedente mostravano situazioni grafiche molto avanzate, con una diffusione della carolina a livello documentario precoce rispetto a quanto era dato riscontrare a Bologna nello stesso periodo.

Anche all’interno delle mura cittadine, d’altra parte, nonostante la ricezione della carolina sia completa fra i tabellioni attivi in città, si possono cogliere modi diversi di elaborazione dei modelli

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minuscoli.La carolina viene eseguita con lievi sfumature esecutive e stilistiche, che consentono di distinguere tra i notai maggiormente legati agli usi di Angelo (come Aimerico I, Ramberto, Bonusdies, Damiano e Cristiano) e quelli che possono invece essere considerati i prosecutori di Bonando (Iohannesbonus, Gripione e soprattutto Gerardo VI e Rodolfo III).

Questo quadro può quindi essere ulteriormente definito attraverso le relazioni rilevabili tra scrittura, committenza e luoghi di rogazione o ubicazione dei beni, come si è detto. Attraverso questo tipo di indagine è infatti possibile non solo seguire, e in qualche caso spiegare, le modalità di diffusione della minuscola carolina dalla città al contado, ma anche osservare un po’ più da vicino come si svolgeva l’attività notarile, e, ancora, individuare gli elementi che appaiono peculiari di singoli gruppi di scrittori o di vere e proprie famiglie grafiche. In tal modo è dunque possibile porre in stretta relazione tra loro alcuni tabellioni che presentano le somiglianze scrittorie più marcate. Quanto al primo aspetto, è stato possibile osservare, ad esempio, come una delle direttrici preferenziali di espansione delle innovazioni grafiche cittadine fuori dal tessuto urbano sia rappresentata, come si è visto, dalla zona di S. Giovanni in Triario e Lovoleto, dove già con Giovanni XXXIII e Beniamino negli anni ‘30 i documenti mostrano l’adozione della carolina, e giungono con Ginamo, alla metà del secolo, a una carolina in transizione verso le forme della gotica. E non è un caso, dal momento che questa zona rappresenta tradizionalmente una delle aree di espansione patrimoniale del monastero bolognese di S. Stefano e della chiesa di S. Giovanni in Monte e perciò vi ritroviamo attivi proprio Angelo, Bonando e i loro successori162: naturale, dunque, che i loro usi qui abbiano avuto modo di attecchire direttamente e più rapidamente.

In tal senso va sottolineato, per inciso, come proprio la relazione tra scrittori, committenti e luoghi di rogazione e ubicazione dei beni offra spesso informazioni storiche di un certo interesse: la documentazione di quei tabellioni che rogano per i maggiori enti monastici ed ecclesiastici bolognesi, di cui rappresentano in un qualche modo i notai ufficiali e di fiducia, diviene infatti la cartina tornasole tramite cui è possibile ricostruire una “mappa” degli interessi economici e patrimoniali degli enti stessi.

Quanto al secondo aspetto, proprio l’analisi della scrittura, congiuntamente ai dati riguardanti la committenza e i luoghi di rogazione o l’ubicazione dei beni, ha consentito di mettere in relazione fra loro singoli notai, che vengono a costituire gruppi o ‘filoni’ ben distinti gli uni dagli altri spesso non solo perché presentano caratteri grafici comuni e peculiari, ma anche perché rogano per gli

162 Questo elemento si spiega facilmente con il fatto che, quando un notaio agiva prevalentemente per uno o più enti ecclesiastici, di conseguenza i suoi documenti riguardavano principalmente i territori sui quali si estendeva il patrimonio fondiario della chiesa o del monastero che egli rappresentava

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stessi committenti e negli stessi luoghi163. È il caso, ad esempio, proprio dei due innovatori e dei loro successori (in primis i sopra citati Gerardo VI e Rodolfo III), ma anche quello di Giovanni XX, Bonushomo e Ugo III, legati al territorio di Borgo Panigale e alla chiesa di S. Maria in Panicale. Ma è anche il caso di alcuni notai che rogano per privati all’interno di una medesima zona e che risultano ugualmente accomunati dall’indicazione topografica relativa ai beni oggetto dei vari negozi giuridici.

D’altra parte, è molto probabile che nella maggior parte dei casi i notai operassero sul territorio per una clientela individuata nel proprio luogo di residenza e attività, come attesta il fatto che frequentemente i documenti sono rogati nel luogo in cui risiedeva almeno uno dei committenti storici (autore, destinatario o emittente) dell’atto (si ricordi il caso già menzionato di Fredulfo, ma anche quello di Alberto VIII, che oltre ad agire per conto del monastero di S. Maria in Strada, roga spesso per conto di privati che si definiscono habitatores in loco o in villa de Sancta Maria in Stratha).

Oltre al dato territoriale e a quello legato alla committenza, altri elementi concorrono a connotare questo quadro. Ciò accade, ad esempio, nel caso dei legami di parentela che intercorrono tra alcuni notai, che inducono a ipotizzare una trasmissione della professione di padre in figlio: si può citare ancora una volta Ugo III, figlio di Giovanni XX, il quale, a sua volta, è figlio di Petrus (Pietro VIII), notaio attivo nell’XI secolo, al quale lo stesso Giovanni si avvicina molto anche dal punto di vista della scrittura.

Altro elemento di rilievo in questa prospettiva ci viene dalle rogazioni. Come per l’XI, anche per il XII la trasmissione delle rogationes tra i diversi notai costituisce una prova del collegamento tra i vari rogatari: Gerardo VI riceve le rogazioni di Bonando, e un legame di questo tipo si osserva anche tra Gerardo VI e Rodolfo, che, come evidenziato in precedenza, appaiono strettamente legati tra loro non solo da un punto di vista grafico, ma anche territoriale e della committenza.

Venendo quindi alle conclusioni, quanto descritto finora ci consente di ipotizzare, per il XII secolo bolognese, una situazione composita per quanto riguarda la cultura e, di conseguenza, le modalità di apprendimento della pratica notarile.

Da un lato, infatti, in molti casi sembra potersi individuare una vera e propria “scuola”, nei termini in cui ne parla Giovanna Nicolaj, che rileva come “Quando si parla di scuola […] si fa riferimento immediato a quel concetto, e modello, di “scuola scrittoria” così noto ai paleografi, per avere il quale ‘è necessario un insegnamento o un insegnante, o quanto meno un caposcuola e dei discepoli’. Quel concetto che può calarsi tanto bene negli ambiti definiti, regolati e protetti di uno

163 Sarebbe interessante verificare se all’interno dei gruppi così individuati sia possibile osservare affinità anche sul piano del formulario

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scriptorium ecclesiastico, di una bottega libraria, di una corporazione tabellionale altomedievale, o anche, nella sua forma più breve e essenziale, nel rapporto fra un maestro e un apprendista164”. È la stessa Nicolaj, del resto, a rilevare come “un abbozzo di scuola così” si possa cogliere per Bologna, nel momento del passaggio della minuscola corsiva alla carolina, proprio nella documentazione notarile, in cui “si individueranno bene gli innovatori e le loro scuole” 165

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D’altro canto, sembra possibile rilevare, in particolare per i notai di una parte del contado, una sostanziale continuità rispetto ai modelli di trasmissione del sapere in uso nel secolo precedente, l’XI, per il quale la storiografia ha ipotizzato un’organizzazione dell’insegnamento della pratica notarile legata, come per altre professioni, a una sorta di formazione di “bottega”, a livello familiare o meno, organizzata intorno ad un singolo maestro e tramandata di generazione in generazione166. Sebbene non sia possibile stabilire se nel territorio bolognese del secolo XII fosse presente una scuola unica di notariato afferente al centro urbano o se continuassero a esistere in città scuole legate a singoli magistri (il che è assai più probabile, alla stregua di quanto avviene per le scuole di diritto, anche dopo l’avvento di Irnerio), ciò che conta è constatare che, nel corso di questo secolo, si assiste a profonde innovazioni in campo grafico, che hanno preso il via con Angelo e, anche grazie al suo operato in determinate zone, si sono quindi diffuse dalla città al contado. Questa diffusione è avvenuta in maniera più evidente e immediata in città, dove la corporazione ha avuto modo di entrare a contatto più diretto con i nuovi modi introdotti dai notai innovatori, mentre nel territorio del contado essa non si è sviluppata in maniera omogenea e uniforme, ma con modalità discontinue. Qui, infatti, spesso le novità apportate dagli innovatori convivevano con situazioni arcaiche o comunque peculiari della singola zona; questa situazione composita sembra essere il riflesso diretto di un maggiore attaccamento ai modi del passato, ossia a modalità di apprendimento grafico ancora molto artigianali.

Il notariato bolognese del secolo XII appare, dunque, nel suo insieme come un ceto variegato e complesso, all’interno del quale, sebbene sia possibile individuare figure di spicco come Angelo e Bonando, continuano a convivere, nel corso del secolo, personaggi e situazioni legati a schemi passati. Soprattutto il contado si mostra più lento nel recepire le istanze di rinnovamento culturale elaborate in città nel corso del secolo.

In linea con quanto la storiografia ha evidenziato a riguardo, anche l’analisi grafica della documentazione privata bolognese conferma dunque che il processo di rinnovamento della corporazione dovette essere successivo all’impresa irneriana, traendo probabilmente alimento anche 164 N ICOLAJ 1986, p. 58 165 I BID., p. 59 166

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dai rapporti diretti e documentati tra Irnerio e alcune personalità più avanzate del notariato bolognese167.

Non si deve ipotizzare, insomma, una ‘via notarile’ allo Studium, quanto piuttosto il contrario: il notariato bolognese prese forza proprio dal rinnovamento culturale che interessò il capoluogo emiliano nel secolo XII e che portò al confluire nel territorio bolognese di “istanze culturali quanto mai complesse e diverse. Qui, su base povera ma costruita come un invaso naturale estremamente ricettivo, si rovesciano cultura e tecnica della scuola longobardista […]; qui confluisce il magico splendore di ritrovati exemplaria di epoca giustinianea […]; qui assai presto confluisce ancora l’armoniosa levità del primissimo gotico, recentemente scaturito dall’innesto della minuscola insulare sulla carolina normanna; qui confluisce tutto quanto potete ritrovare nelle carte bolognesi del secolo XII, un magma che annulla le distanze fra i secoli e che di tutto si appropria, rigenerando dalle diverse realtà del passato e del presente una propria, nuova, luminosa realtà168”.

167 Si ricordi, a questo proposito, il già citato documento del 1116 in Angelo e Bonando compaiono a fianco di Irnerio 168

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