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Il presente lavoro si è inizialmente prefisso lo scopo di analizzare i vari ambiti della topografia archeologica delle città di Messina, Taormina, Catania e Siracusa al fine di comprendere l’effetto che la crescente potenza di Roma aveva avuto sul territorio orientale dell’isola. La messe di dati raccolti ha permesso la realizzazione di alcune considerazioni che tenteranno di mettere in luce nello specifico le caratteristiche delle realtà indagate in rapporto al periodo perso in esame, tralasciando, momentaneamente, il contesto ‘Sicilia’ in toto.

Relativamente all’impianto urbano Messina subì una contrazione dell’abitato che si concentrò nei pressi della baia a sottolineare l’importanza, per Roma, dell’area portuale e dello Stretto. Purtroppo poco si conosce relativamente agli importanti monumenti pubblici se non l’esistenza di una cavea e di un portico, rinvenuti sotto l’attuale Municipio, interpretati come facenti parte del foro della città. Si può supporre tuttavia che, esattamente come per Catania e Siracusa, il foro venne realizzato solo dal I secolo a.C. in poi. Circa monumenti di Taormina antecedenti il III sec. a.C. poco è noto: la Naumachia fu probabilmente una stoà ellenistica ristrutturata e modificata in età augustea; il Teatro realizzato nel III sec. a.C. subì varie modifiche fino al II sec. d.C.; il foro, di cui nulla si conosce con certezza, dovette probabilmente insistere sull’agorà pre-esistente ed essere successivamente fornito di nuovi elementi come una porta d’ingresso e un muro di recinzione. Il Teatro di Catania è stato cronologicamente posto tra I sec. a.C. al II sec. d.C., anche se sono stati rinvenuti nell’area contesti materiali più antichi. L’anfiteatro di Catania è stato datato invece al I sec. d.C. mentre le terme della città andrebbero ascritte ad un periodo successivo (II-III sec. d.C.), anche se per le Terme della Rotonda sono stati identificati livelli di età ellenistico-romana. Per quanto riguarda il teatro di Siracusa fu costruito nel V sec. a.C., tuttavia ad epoca ellenistico-romana risalgono alcuni rifacimenti come l’aggiunta di seggi nella proedria, la realizzazione della scena in muratura, la costruzione di una stoà ad U, l’inserimento di un pulpitum ligneo con un aulaeum per l’alloggiamento del sipario e una balaustra. Il foro siracusano insisteva probabilmente sull’agorà greca della città. Cifra caratterizzante il programma urbanistico ed ideologico dell’imperatore Augusto è l’arco onorario realizzato come ingresso monumentale al quartiere siracusano di Neapolis: questa tipologia

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di costruzione è stata rinvenuta anche nelle provincie come Cartagine, Tarragona, Arles, Merida e Corinto.

Mura e fortificazioni furono erette o restaurate, lì dove bastevoli, in tutte le città indagate: evidentemente Roma si trovò ad affrontare un nemico, Cartagine, dal quale dovette difendersi anche con la costruzione di opere difensive nelle città sede dei suoi stanziamenti.

L’approvvigionamento idrico delle città costiere della Sicilia conobbe nuova vita con l’avvento di Roma, nota per la grande maestria ingegneristica nell’ambito. Sebbene di Messina si conosca quasi nulla e per i due acquedotti di Taormina non esista datazione certa, l’acquedotto romano di Catania è rimasto conservato per alcuni tratti dalla zona delle sorgenti sino al centro cittadino. La datazione dell’acquedotto catanese non è ben accertata ma si pone anteriormente al I sec. d.C. Gli acquedotti siracusani invece si datano al pieno III sec. a.C.

I porti della Sicilia orientale ebbero, già da prima dell’avvento di Roma, una grande importanza nel panorama del Mediterraneo antico, tuttavia acquisirono anche un ruolo strategico-militare alla fine del III secolo a.C. La posizione nevralgica dello Stretto, soprattutto, fu determinante per lo sbarco delle legioni romane sull’isola, utile per il trasporto dei bottini di guerra e fondamentale come stazione intermedia per carichi commerciali che dall’Oriente si dirigevano verso il Mediterraneo Occidentale. Inoltre nell’Itinerarium maritimum il porto di Catania è considerato tappa di un itinerario che parte dalla Grecia e raggiunge il porto di Siracusa e Taormina. L’impianto viario incorse in trasformazioni dovute alla strategia dei Romani che avevano la necessità di muoversi contro i Cartaginesi di stanza nella parte Occidentale dell’isola. Per quanto concerne i collegamenti tra la Sicilia d’oriente e d’occidente furono dunque utilizzate e restaurate, in quanto tratti già esistenti nel periodo greco, , la Via Pompeia, la Via Veleria, la Via

Selinuntina e la via cosiddetta Elorina. Si può supporre che rimasero in uso

le cosiddette “trazzere”, piste armentizie molto semplici, aventi funzione di luogo attraverso cui le greggi venivano trasferiti dalla montagna alla zona lungo costa analogamente al fenomeno dei “tratturi” e della transumanza nella zona appenninica della penisola italica585. Alla fine del II secolo a.C., con l’istaurarsi della grande proprietà privata, e ancora più con Ottaviano e la diffusione del latifondo, la viabilità si concentrò dunque sulle “trazzere”:

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da queste si raggiungevano scali minori da cui la merce veniva poi smistata ai grandi scali. Sotto Augusto si registrò una sorta di stagnazione nella viabilità probabilmente dovuta alla scelta di rendere l’Egitto, non più la Sicilia, il nuovo granaio di Roma.

Le vie interne alle città seguirono invece i tracciati viari precedenti o cambiarono la loro direzione in funzione dei nuovi edifici realizzati.

La costruzione di ponti, altro grande cavallo di battaglia ingegneristico romano, interessò i corsi fluviali dell’Alcantara, dell’Anapo e del Simeto; di queste infrastrutture pervengono, ma non sempre, solo le fondazioni di epoca romana.

La Sicilia era a pieno titolo inserita nell’apparato economico romano soprattutto poiché coinvolta nel commercio di grano con la caput mundi che dall’isola era rifornita. Tuttavia procedeva di pari passo, evidentemente, la produzione e commercializzazione interna dei prodotti locali. Un esempio è rappresentato dal vino Mamertino destinato per lo più al commercio privato o ancora del tonno lavorato col metodo della salatura. Oltretutto va considerata l’esistenza delle cosiddette “officine dello Stretto” specializzate nella produzione di ceramica a vernice nera e ceramica da cucina la cui produzione continua anche in età imperiale. La realtà messinese del commercio di lucerne con l’Africa apre alla possibilità di relazioni scevre dal controllo di Roma. Per quanto riguarda Taormina la produzione del famoso vino locale scavalcò i confini dell’isola per giungere nella penisola italica. Le officine di ceramica con impasto locale sono state ritrovate anche nel territorio della suddetta città, nella vicina Naxos. Anche Catania possedevano un’officina di produzione ceramica, nello specifico di anfore. Siracusa invece si caratterizzava per la produzione ceramica a vernice nera, di anfore destinate al commercio vinario, di vasi potori e lucerne, ceramiche sigillate Italiche e Orientali. Importante la lavorazione del bronzo a Siracusa che venne inviato persino a Roma per rifinire il tempio di Vesta.

In Sicilia i Romani si occuparono dell’esproprio di proprietà regie e della confisca di terreni spesso ceduti come ricompensa a personaggi alleati. Molto probabilmente parte di questi terreni furono utilizzati a scopo agricolo. In particolare si ricorda la produzione del vino bianco detto Pollio. Interessante anche lo sviluppo delle tonnare che si occupavano della lavorazione e salatura del pesce e la realizzazione di prodotti ittici.

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La monetazione si esplica secondo diverse direttrici nelle città oggetto di studio. A Messina tra III e II secolo a.C. circolarono contemporaneamente emissioni mamertine e romane secondo una politica di ‘non intervento’ attuata da Roma la quale non imponeva il proprio sistema ma rendeva possibile la circolazione locale della moneta romana; dal II sec. a.C. in poi si verificò la sostituzione del nominale locale con la moneta romana. Taormina mantenne,tra III e II sec. a.C., una certa autonomia nelle emissioni monetali. A Siracusa le emissioni locali circolarono insieme a quelle romane fino almeno agli inizi del II sec. a.C., come unica eccezione il bronzo ieroniano si protrasse fino ad epoca augustea.

Interessante evidenziare come a partire dal II secolo a.C. a Messina, Taormina, Catania e Siracusa, così come in molte altre città della penisola italica, fu particolarmente sentita l’influenza orientale soprattutto in ambito religioso. A Messina la dea egizia Iside sostituisce Afrodite, dea protettrice della navigazione, a Taormina si installò un santuario dedicato ad Iside e Serapide, a Catania il cosiddetto arco di Marcello è stato recentemente considerato un edificio sacro attribuito a Iside, infine a Siracusa il Ginnasio romano sembra essere in realtà un edificio destinato ai culti orientali. Altro cambiamento registrato nel pantheon messinese riguarda il dio Asclepio, la cui figura approda a Roma nel III sec. a.C., che figurò come dio protettore della città di Messina attorno al II-I secolo a.C. e per buona parte dell’età imperiale.

In ambito istituzionale compaiono a Messina figure quali i meddices, magistrati di città di lingua osca prima del I secolo a.C. A partire dalla prima età imperiale è verificata anche la presenza di sacerdotesse devote al culto dell’imperatore. Cariche riferibili ad un contesto coloniale sono quelle di

duoviri, quaestores e vico magistri accertati, attraverso fonti epigrafiche, a

Taormina a partire dalla metà del III secolo a.C. A Siracusa, tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., si prese atto della presenza di conventus di cittadini romani tra cui molti cavalieri.

In conclusione si può dedurre che l’atteggiamento della potenza romana nei confronti della Sicilia si esplicò diversamente rispetto a quello messo in atto in qualunque altro territorio conquistato: Roma non applicò alle città siciliane il suo “solito” sistema di alleanze ma, forse per paura che i Sicelioti potessero allearsi nuovamente ai Cartaginesi, stanziò un presidio militare permanente. Da ciò derivò la necessità di fortificare le città costiere e migliorarne la viabilità.

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Gli stessi cambiamenti, almeno alla fine del III sec. a.C., non coinvolsero l’impianto urbano che ebbe un proprio sviluppo sulla base delle costruzioni greche precedenti.

L’identità della popolazione della Sicilia non sembrò essere profondamente cambiata dalla sottomissione al potere della caput mundi; a tal proposito, prendendo in prestito le parole di Jonathan R.W. Prag, si può senza alcun dubbio affermare che “l’identità ‘anticipa’ la provincia”. Probabilmente per questo motivo i Romani trattarono la Sicilia come entità unitaria rispetto al resto della penisola italica586. Secondo La Torre Siracusa ed i territori di quello che era stato il regno di Ierone II attraversarono, nel periodo dell’arrivo dei Romani sull’isola, una fase di stagnazione almeno fino all’arrivo di Augusto587. La Sicilia dunque, durante la prima età imperiale, attraversò una fase di suburbanitas dovuta allo sfruttamento agricolo destinato all’annona e all’assenteismo politico588.

Vinte le guerre puniche, la Sicilia non ebbe più alcun valore strategico militare; l’interesse si spostò esclusivamente alle zone portuali di Messina, Catania e Siracusa e “la scelta dei siti per la deduzione delle colonie augustee sembra sottolineare questa preferenza accordata alle città portuali, in relazione con l’intensità dei rapporti tradizionali con l’Africa e soprattutto di quelli recentemente instaurati con l’Egitto”589. Riguardo le infrastrutture principali come i luoghi di sosta e i ponti, la viabilità romana in Sicilia stata poco approfondita archeologicamente. Alcune ville e fattorie, comunque non propriamente poste sugli assi stradali in accordo ai precetti dell’agronomia, sorsero come luogo di sosta lungo strade come la via da Catania ad Agrigento o ancora fuori Messina lungo la via Pompeia590. Le testimonianze archeologiche della presenza di ponti realizzati con le tecniche romane dei nuclei cementizia con paramenti in pietra locale e conci lavorati nei piloni, sono abbastanza scarse e si presentano per lo più sotto forma di ruderi a causa dei danni subiti nel periodo di piena torrenziale591.

L’analisi dell’attività commerciale ha messo in luce l’ormai noto problema dell’integrazione della Sicilia nel complesso apparato economico romano. I 586 PRAG 2009, 89-91. 587 LA TORRE 2004, 112. 588 BONACINI 2011, 72. 589 Ibidem. 590 UGGERI 2004, 21-24; 84. 591 SERGIO -PEREZ 1962, 20.

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dati raccolti dallo studio Franco-Capelli sulle anfore a fondo piatto prodotte in Sicilia a partire dal I secolo d.C. aggiungono importanti informazioni sui recipienti di trasporto vinario sull’isola: le anfore a fondo piatto siciliane sono state ampiamente distribuite attraverso il Mediterraneo (in particolare in Nord Africa, nel Sud della Francia e nell’area del Reno in Germania) e verso una sezione del mercato nord europeo592. In età romana si assistette ad una standardizzazione dei manufatti probabilmente collegata ad un aumento del livello di consumo da parte della popolazione. L’analisi condotta sulle produzioni italiche ed orientali ha dato nuove informazioni sul sistema economico e socio-culturale tra I e II sec. d.C., arricchendo il dinamico quadro della Sicilia romana rendendola “un punto di osservazione privilegiato all’interno di un sistema generale di emporia internazionali che costellavano le coste del bacino del Mediterraneo”593. Per quanto riguarda l’ambito artistico, la Sicilia, dopo la conquista di Roma, non subì cambiamenti rilevanti. I Romani invece portarono innovazioni soprattutto funzionali nell’ambito architettonico: oltre a specifici edifici come gli anfiteatri e le terme introdussero l’opera cementizia con paramento in reticolato e laterizio, che venne ad affiancarsi e a sostituire le precedenti tecniche, in particolare l’opera quadrata594.

L’analisi delle città della costa orientale della Sicilia secondo i dati della topografia archeologica ha messo in luce, più o meno indirettamente, le lacune della ricerca archeologica del secolo scorso. Monumenti antichi, sculture, materiali ceramici e fonti antiche di ogni tipologia sono stati datati e studiati in maniera poco scientifica e, talune volte, soggettiva; l’attribuzione al periodo ellenistico siciliano (tra IV e III secolo a.C.) è sembrata immediata lì dove si è voluto intenzionalmente creare una netta separazione con il periodo romano considerato portatore di immobilismo creativo e cancellazione di quel glorioso passato greco delle città costiere. D’altro canto emerge anche l’intento opposto: attribuire alla romanità il merito della monumentalizzazione di alcune città siciliane.

Essendo inserita nel sistema economico romano la Sicilia ha subito quel processo di integrazione ed assimilazione dei principi romani, ciò nonostante Messina, Taormina, Catania e Siracusa, poleis greche innanzitutto, possedevano già storia e tradizione che la presenza delle

592 FRANCO-CAPELLI 2014, 352-353. 593 PANTELLARO 2014, 113.

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strutture della romanitas come terme, portici e acquedotti arricchirono senza cancellare. Usare il termine ‘romanizzazione’ è, probabilmente e a fronte degli studi e scavi condotti negli ultimi decenni, un errore non da poco. Innanzitutto il concetto stesso di romanizzazione implicherebbe la presenza costante e permeante di Roma sull’isola, ma così non fu. Roma vide sempre la Sicilia con una sorta di distacco e come una realtà a se stante che non necessitasse di grandi cambiamenti se non quelli di natura puramente logistica e strategica. Secondariamente la ‘romanizzazione’ dell’isola sarebbe dovuta apparire come un processo mirato, voluto e univoco; non solo ciò non accadde ma addirittura ebbe luogo un’influenza che si potrebbe definire ‘inversa’. Gli stimoli siciliani che giunsero a Roma sono ben noti ad esempio in ambito artistico tra tutti con il sarcofago di Lucio Cornelio Scipione Barbato595 di cui esempio analogo si trova oggi al Museo Nazionale di Agrigento.

Nel periodo indagato dal presente lavoro, cioè dal III secolo a. C. al I secolo d.C., è evidente come la sottomissione alla potenza romana non si esplichi con una cancellazione dell’identità siciliana, bensì con un sincretismo, uno scambio culturale bilaterale. Si dovrà aspettare la piena età imperiale per notare infine quella conformità nella produzione, nel commercio e nei monumenti tipica della romanitas ma anche in quella circostanza il sostrato culturale delle città della costa orientale manterrà sempre una propria coloritura ed identità.

595 COARELLI 1972, 36-106.

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