. Il nostro è un linguàggio di molta stòria! Sente
usso dei suoni dei vari dialetti, spècie del to- (Vedi . i | paràgrafo Sopratutto), e su le parolev TA 73 I A Gi hi da
è Pu
aturale dello scambio dei suoni e imperadore; © il cambia di una lettera © sìllaba, interpretare € interpetrare, e spèngete: ZE E
bene uniformarsi
. Ud a tarioy ComeuD DIS amico che
bbe sostituito il suo doventare n diventare, MA non per questo S1 creda di
di anti-italianità. (Vedi elenco di alcune di queste parole a pàgina 45 e 46).
d un critèrio di unità di
A nessun patto avre
PAROLE DI NUOVA CREAZIONE. Si pòssono creare parole nuove? Certo che si può, e Se NE crèano tante, spècie di parole dotte. Ma per le parole comuni so vrano è il pòpolo. D'Annunzio rinnovò * una bella
parola velivolo, e durante la guerra fu adottata uffi- cialmente. Eppure prevale aeroplano! Invece di taxì o tassì è stata proposta autovetturetta; ma finchè durerà il tax?, il pòpolo dirà tax.
PAROLE DISPOSTE MALE. Siccome quello che im- porta è farsi capire, ogni confusione è difetto.
Spesso la confusione avviene per pìccole càuse di parole collocate fuori di posto. Biscottini per bam- bini al burro. No! Biscottini di burro per bambini si Al conducente è proibito di parlare, si legge sui _ tranvai di una città. Voleva dite: È proibito parlare
al conducente. . A
Molte volte cambiando disposizione alle parole, ciò che è oscuro diventa chiaro, ciò che è brutto
Dro SA È ko
do di sapere, sono del tutto ignoranti ».
diventa bello. Come tenere un quadro rivoltato la parete. La collocazione del soggetto prima d vo bo e dell’oggetto dopo il ve DIE adatta per ottenere chiarezza.
Spesse volte però per ragioni di arte o di spont neità noi collochiamo l’oggetto prima del verbo È ; in questo cèlebre verso: /a bocca sollevò dal fer pasto. Non tutti quelli che scrìvono hanno èbbliso di èssere artisti, ma chiari scrittori. È
rbo, è la maniera più
PAROLE DOTTE E RARE: le persone di mondo o che hanno studiato, èùsano spesso parole dotte e rare. Va bene; ma se leggèssimo al pòpolo quelle loro scritture, troveremmo che il pòpolo poco in- tende o non le intende così che si direbbe esìstano due lìngue.
Di ciò è bell’esèmpio nel romanzo Dox Chisciotte:
Dice don Chisciotte a Sàncio di non prèndersi cura delle loro cavalcature: « colui che le guidò per tanto rimoti e longìnqui paesi, avrebbe pensiero di sosten- tarle ». E Sàncio risponde: «Non intendo questa parola longìngui, nè la ho più udita da che uscii dal corpo di mia madre ».
| « Longìnqui, — rispose don Chisciotte, — vuol dir lontani, nè mi meravìglio che tu non intenda per non èssere tu obbligato a saper di latino, nè ad
| èsser letterato, nè essendo tu di quelli che presumen- I grandi autori preferìscono le parole che sono tese anche dal pòpolo.
a,
pi CHE FANNO CAMBIO.
iù paturali, € porta nome così di enallage! Io venni in luogo (Dante); Stava in orecchi per VE
(Manzoni).
diva il rumore dell’acqua \
ide (Petrarca). Che mestte- fai? Fàccio il muratore. Pòpolo e scrittori vanno queste belle libertà, perchè la lingua
| dei fenomeni p
ie
PAROLE PREZIOSE, STRABILIANTI, rerripini. È consigliabile un uso moderato. Giulio Cèsare che fu non soltanto perfetto scrittore, ma si occupò anche
\ di questioni grammaticali, lasciò scritto così: « evite- rai come uno scoglio ogni parola inusitata e strava- gante » (fanquan scòpulum fugies inauditum atque insolens verbum).
PAROLE STRANIERE FANNO MALE A UN LINGUÀG- cio? Quando sono limitate a quelle volute dalla ne- cessità, come tante voci internazionali, 0 da un natu- rale scàmbio, non rècano gran danno. Avviene poi
con le parole quello che avviene con le piante. Una ‘Al forza naturale fa SÌ che le piante di una stessa fa- Sa miglia impedìscono ad una pianta forestiera di svi ce lupparsi. La pianta forestiera spesso col tempo intri- p: - stisce e muore, Oppure prende i catàtteri della pianta ò postrana, Chi usa più oggi enveloppe? wagon? e — dice: busta, carrozza. Signori, in carrozza! Radium. hs non si dice più, ma il ràdio (da non confòndere con IR la ràdio).
Non si può tuttavia negare una certa goffàsoi de da provinciali in questo non sapersi esprìmere a
"gl domandare la carità delle parole alle altre ea
$ Certe pàgine costellate di corsivi stranieri O gliano a vestiti di mendicanti, pieni di toppe : viene a formare una spècie di servitù che indebolisce te l’organismo del linguaggio. « Il tale è un poeta 7204- Si dit >, dice un giornale letteràrio, e non si può dire maledetto anche se la Frància ha la specialità di que- Fat sti poeti? E esternare per manifestare, dire, non fa rì 5 dere? Sta bene in francese, externer; per noi è pròprio
una servile goffàggine. E il grosso modo? e l'apporto?
& E insieme con l’eccesso delle voci straniere si accompagna lo smarrimento delle voci vive nostrane.
__— Nel linguàggio della moda, le nostre signore, prima
| ‘i far comitati per una moda italiana, potrèbbero, con un poco di buona volontà, diminuire almeno l’abuso delle voci francesi. Perchè dire plissé, jupe, crépe, manteau, ecc., quando esìstono le parole nostre
| corrispondenti?
— Anche molte parole ritenute necessàrie, come S bar, taxi, sport, film, ecc., potrèbbero èssere accolte
|—’ron lievi modificazioni. E specialmente — ripetiamo —
| sopprimendo la s del plurale, che non è cosa italiana:
gli sport e non gli sports.
Non è cosa piacèvole vedere, anche in carte uffi-
i, tight, frack, smoking, ecc. Che cosa sostituire?n è è facile. Certe sostituzioni non sono pràtiche o
alla parola straniera NON si annettesse iù fine che alla parola italiana. (Vedi agina 128).
; a
Ma più grave forse delle parole straniere È il te voci deformate € deformanti nostra creazione, VIVE purtroppi» € che si potrèbbero
aragonare 2 quei forùncoli, nodetti, rossot1, pallori della pelle, che fanno sospettare poca sanità nel sàn- ue. Ecco uN pìccolo sìggio, e Sono tante! Matèrie prime (gròggie), negoziazioni (negoziati), commèdia (in senso traslato per farsa), quadro (cornice), prestt- gioso, carenza, svuotare (vuotate); controllare; s0- cietàrio, forfetizzare, stuporoso; poi parole ripetute in sensi vari € indeterminati, come nostalgia, incìdere, mistico, aderenza, gesto, ecc. E poi gli innumèrevoli aggettivi in Jstico, (pompierìstico, futballìstico, diri- gibilìstico, utilitarìstico, individualìstico, regionalìsti- CO; formalìstico, attivistico, solidarìstico).
« Chi tiene l’òcchio aperto Su la stòria di più di un linguàggio, crede che oramai sia segnata la fine dei linguaggi limitati e chiusi da strette barriere € appàia all'orizzonte l’alba dei grandi scambi linguistici. li udmini hanno bisogno di intèndersi su una infinità di cose e concetti comuni, per j quali un ùnico tèr- mine tècnico deve prevalere ». Così si legge, e S€
non si parla più dell’esperanto come una volta, si insiste sempre sul problema di una lingua ausiliària internazionale o interlìngua, pazionalmente costrui- ta. Tutto ciò è vero, ma per chi ama l’idioma natio, — dolce o non dolce che esso sia, è un dispiacere. ‘ALS
meno non andàssimo nella ba
PARTICELLE pronominali affisse al verbo come sonvi, vassi, fassi, non ùsano più nell’italiano mo-
dolo, scrìvergli, cioè imperativo, gerùndio infinito;
e anche particìpio passato.
«e moderno è più agile, ràpido, pere come si parla, pàgina 142).
s erìodo, credo nOn dispiacerà quel sse Aristòtele, maestro del re Alessandro:
do un grupP® di parole insieme, 1 simo ha il suo princìpio € la sua : distende tanto che si può facilmente com-
».
%
facilmente tanto valeva al tempo di Ales-
PLURALE IN j E ANCHE IN 4 come i frutti, le frutta, (la frutta). (Vedi pàgine 42 e 43).
Q è uguale a c, 2 non si usa che unita all’
(qu). E allora perchè si scrive quoziente, quota, qua dro, ecc., Mentre si scrive coco, € cuore?
Si scrive qua, que, qui, quo, quando le due vo- cali fòrmano un suono inico; si adòpera la c quando le due vocali si pronùnciano un po’ distinte. Vedi la
differenza tra qui € cui. Si osservi la parola taccuino (4 sìllabe) e non tacquino (3 sillabe).
Il raddoppiamento della 4g è cq (dcg44, acquie- tare, acquistare). Eccezione: soqquadro.
QUESTI: (vedi pàgine 54 e 55). Questi nei buoni scrittori vale quest'uomo; cioè è sostantivo € sogget- to: negli altri casi si dice, di questo, a questo, ecc.
Dire di questi — come Spesso si legge — è una difet-
tosa reminiscenza di una buona règola. Lo stesso SÌ
dica di quegli. Quegli ch'usurpa in terra il luogo mio.
(Dante).
Eu RADDOPPIAMENTO: nei dialetti esìstono innumè revoli varietà di consonanti raddoppiate quando dè.
vono èssere sèmplici, e viceversa: fera, guera (Roma) 3 robba, pippa (Marche) dirrei, farrei (Toscana). A frica e Africa (alla latina).* Nella parlata di Toscana non solo il raddoppiamento è frequente, ma pur la fusio- ne in un ùnico suono di più suoni: guardo io torno a casa (accasa); o come mai? (occomemmai); di già na che tu ci sei, (di giacchettucci sei, facendo quasi gio- co di parola con giacca, o giacchetta). Anche se ciò
= è toscano, non è da imitare. I vèneti abolìscono le ta dòppie, mùtano la 2 in s; tre anni (tre ani); il ro-
manzo (il romanso). Le persone, appena un po’ istrui- 3 te, fanno sentire al mìnimo questi suoni regionali;
mE ma nella scrittura è desideràbile una unità, se no la L lîngua nazionale ne soffrirebbe di troppo. Quanto
|_— ‘alle particelle che raddòppiano la consonante sèmpli- ce della parola con cui èntrano in composizione, vedi (s: al paràgrafo: Sopratutto.
RADICE E SVILUPPO DELLA PAROLA. La parola
‘Sì può paragonare a una pianta: diverse sono le qua- lità delle piante. Esse pòssono con un innesto mutare