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Alfredo Panzini. Grammatica italiana. (/ I etcm Kt. delate. Sellerio editore Palermo

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Academic year: 2022

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(1)

Alfredo Panzini

Grammatica italiana

(/ I etCm Kt

delate

Sellerio editore

Palermo

(2)

cusa 50 Palermo

1939 Quinta ca

(3)

Grammatica italiana

(4)
(5)

Premessa

E necessària la grammàtica? C'è chi risponde sì e

chi risponde no.

Ometo scrisse l’Ilìade, pare, senza grammàtica. Dante quando scrisse la Divina Commèdia non pensava alla grammàtica, però l’aveva studiata con molta diligenza.

Alessandro Manzoni che usò ne I Promessi Sposi una lingua così schietta, era minuzioso osservatore delle cose della lingua e della grammatica.

Noi avvertiamo il caldo e il freddo anche senza ter- mòmetro; però è bene averlo in casa; e così noi possiamo scrivere e parlare anche senza grammìàtica; però è bene che essa vi sia.

La presente grammàtica è limitata alle cose principali, Nel suono del pàtrio linguàggio ogni pòpolo sente e ama la pàtria.

La potenza di un pòpolo fa potente e dominatore un linguàggio sopra gli altri linguaggi; i poeti che scrìssero grandi cose lo fanno glorioso; e dalla parlata dei pòpoli potenti e dalle scritture dei grandi poeti sono poi state ricavate quelle leggi le quali per comune consentimento fòbrmano la grammàtica.

E come si vèdono le bollicine dell’acqua sòrgere e salire, così sòrgono e sàlgono le parole nuove che ìndica- no le nuove cose. Quante parole ha creato la guerra!

quante il fascismo! e poi l’aeronàutica, l’automobilismo, lo sport, la moda!

Le parole di un linguàggio affluìscono in altro lin-

(6)

golato sin dove è pos:

; Ja lingua naz

a mancare di

i e precisione. , ; È

chiarezza € sv sta 2 guàrdia della lingua nazionale;

i) Anagni vera è il sentimento di dignità che ogni

ala pill ri

ent Gar

ino deve avere anche nella parola.

Questa orammàtica è divisa in due patti: nella prima arte CS Fidotte a brevità, € facilità anche di espres- peas ‘rcipali del discorso.

ve, o mira a risolvere, alcune sso si presèntano @ chi scrive.

adottato un òrdine alfa- leune osserva- La secon

di quelle dub Per como bètico; e SO:

zioni, modest

per vaghezza ‘on Potrà sorprendere un Unic parole sdrùcciole; ciò per signi accento sono piane; € sono la gra

parole italiane. ‘Ho messo l’accento a nche su le parole come focàccia, provincia, bacio, ufficio, Atàccio, ecc., pur consentendo che quell’i sia un accorgimento fonètico e quelle parole sìano sdrùcciole solo in apparenza: ma così accentate le trovo pur nei dizionari del Petrocchi e del Rigutini.

‘Avtemmo voluto distinguere anche i diversi suoni vocali; ma ci trattenne il timore di ingombrare di troppi segni la pàgina, e poi l’efficàcia pràtica di queste segna- arie non ne hanno l’educa- difetto della buona pronùnzi dell di Ile, d î Sa non deforma t h anto la parola quanto l’accento fuori di 3 o dell’s, della z,

‘posto,

A. P.

no state anch e e semplici,

di dire che con pre ;

o segno di accento su le ficare che le parole senza

nde maggioranza delle

(7)

Prefazione alla seconda edizione

È stata cosa inaspettata € di molto conforto l’ac- coglienza che giornali e pùbblico fècero a questa Guida grammaticale, quasi fosse stata un romanzo vincitore di premi letterari.

In questa seconda ristampa ho tenuto conto delle osservazioni che mi sono state fatte, ed ho special- mente ampliato la seconda parte, quella del Prontuà- rio delle incertezze.

È stato osservato che si sarèbbero dovute affer- mare più risolutamente le leggi della grammatica;

ma come far questo quando tante cose si rinnòvano e con tanta rapidità?

L'autore poi di questo libretto si trova di fronte al vivo linguàggio nella condizione di certi mèdici, i quali, più che nelle specialità farmacèutiche, hanno fidùcia nella buona costituzione e nella sanità della vita.

AE:

Agosto 1933

(8)
(9)

Vocali e consonanti

La lingua italiana, armoniosa € piana, abbonda di suoni vocali, e le vocali sono: 4, e, 1, 0; % (aiuola:

Vaiuola che ci fa tanto feroci).

Le consonanti sono così chiamate perchè da sole non hanno suono determinato, ma suònano insieme con le vocali. Le consonanti sono proferite con Vaiu- to o delle labbra, o della gola, © dei denti; e perciò formano come delle parentele fra loro, e sono chia- mate labiali, gutturali, dentali.

Impuro = non puro.

È scritto bene inpuro? No, ma va scritto impuro.

Perchè? Perchè la consonante che si pronùncia con le labbra, p, vuole affine a sè la n. N diventa 72.

L'alfabeto in antico era chiamato santacroce perchè preceduto da una croce. E dal suono dell’a, b, c, è detto abbiccì.

a, b, (S) d, e, f, 8 h, i, j, k, I, m, Nn, 0, Py q, 1, $, t,u,

VIEW NV oZi

j, k, x, y, W, sono lèttere usate per scrìvere parole latine o straniere.

(10)

scrittura delle pa- Ortografia, cioè la corretta tu

role, è una spècie di convenzione che si è venuta per-

,

ionando col tempo.

* La unità ortogràfica è un vàlido della lingua nazionale.

fez, aiuto all’unità

Accenti.'

Le parole di una sola sillaba (monosìllabi) si

scrivono senza accento V4, fa; qua, qui, Po, me, re,

ecc.

abi in dittongo però si scrìvono di uso, ed anche per mèglio de su la seconda vocale Alcuni monosìl!

con l’accento per effetto far capire che l'accento ca

del dittongo: ciò, può, già, giù, più, ecc.

Alcuni monosîllabi si scrivono con l’accento quando hanno un senso, senza accento quando ne hanno un altro. Questa convenzione è così rispettata che il non seguirla si consìdera errore:

Sì (affermazione, così). Si (pronome, questo si

5 comprende).

(verbo, Dio è buono). E (congiunzione, #4 e i0).

14

(11)

io nè Ne (pronome, ge sai nier-

ne, #é ! RA

Nè (negazio NI (3

bo:

Di (preposizione, di pIer

dI

me) Dì (giorno; buon di).

( bo, dà @ 71€) Da (preposizione, da me).

- Di i

Dà (ver

n

a

è o - Che (pronome € congiunzio- east crche)s POCO e I ome e Conf CE

ne, so che tu sel buono).

sato.

i

Là (qu ando indica luogo, La (articolo, la mamma).

“oè lontano, Men tre lì îndica luogo vicino.

Lì (avv

Li (pronome, liamii libri?).

}

Sè (pronom®; ognuno pensa a sè — ma Se stesso. mè- glio senza accento).

Se (quando indica condi- zione, se verrai, mi farat piacere).

Qui e qua senza accento. Fra d'uso quì e quà nelle vècchie stampe, ora non più.

Dei (preposizione artico- lata).

Danno (nome).

Dèi (divinità).

Dànno (verbo).

| Apòstrofo.

Apòstrofo, vuol dire come uncinetto rivoltato, e si usa per segnalare pelle scritture l’annullamento

(elisione) di una 0 più lèttere in corrispondenza a quell’annullamento che già facciamo con la voce al fine di evitare un cattivo suono (iato = apertura di { bocca). Se anche scrivo lo #0mz0, con la voce io pro-

nùncio l’uomo.

Questo segno dell’apòstrofo cominciò a usarsi nel | secolo xvi. È una pìccola convenzione ortogràfica,

ma un po’ complicata! 2

(12)

Scriverò mèglio /a amz0, che l'amo, se Mi rife risco a donna per non confòndere col maschile. Scri. a I54S

Ò ere cj

verò le età e non l'età, per non confòndere Singolare

e plurale. 3 i i

Scriverò: ci insegue e c segue, ci era ec era. Ma non scriverò c'odia (che suonerebbe còdia), ci ud) e non c'4dì (che suonerebbe cudì), ci 4129 e non cana.

Una, femminile (di un, uno) si apòstrofa da. 3 vanti al nome femminile che comìncia per vocale:

un'anima.

Gli, davanti a nome cominciante per i: gl’ingegni (ima gli astri e non glastri).

Se, raramente è apostrofata.

Questo, al plurale si apòstrofa più raramente che non al singolare e ciò per ragione di chiarezza. Questi anni e non quest’anni.

Da si apòstrofa in fin d'allora. Casa da affittare e non d’affittare.

Gli antichi scrittori apostrofàvano con certa audàcia

€ oggi non usa più. Perch'io, c'altri = che altri, c'odo = che odo, dovrebb'èssere,

ecc. In poesia si fa quasi sempre l’elisione, ma non sempre la si scrive, Torna a fiorir la T0sa, suona come f0r;'z fiorir la rosa.

Chi vuole imitare nella scrittura Ja parlata to- Scana, scrive ye’ per nei, su per sui, de’ per dei, ecc.

Così fece il Manzoni quando andò a zi

(13)

mean Go ve = vedi, je = tieni, di = dici,

»— to li

ose

10 eo voglio (vo = vado), po° = poco,

cc Ie: ev = egli, i = i0. SODO troncamenti,

v—= mo >

mo

È > P

î rezza.

i ’apù f DEE gione di chia segnatl con l’apostro

o pe a

. n; 13. >

cani tròncano anche 77210, #40, suo in mi, tu, SU LORA ivendo, sèégnano con l’apòstrofo. Così i : fanno gli imperativi fai, stai, dùi, invece di fa, da, e perciò scrivendo, tròncano IN fa’, sta’, da’ (sta

t)

de Ma chi usasse tali modi, sembrerebbe affettato.

cheto).

APÒSTROFO IN FINE pi RIGA: generalmente si insegna che in fine di riga non può stare una parola apostrofata. Sta invece il fatto che valenti scrittori e stampatori non èbbero riguardo di lasciare la paro- Ja apostrofata în fine di riga. Non è bello dividere in fin di riga Di -0, mi -0, anche se le due vocali appat- tèngono a sillabe differenti.

I nùmeri in fin di riga è bene non divìderli per- chè può nàscere confusione.

Troncamenti.

Nel parlare accade di tògliere ad alcune parole l’ultima vocale o anche tutta la sillaba: doman l’altro, render pan per focàccia, ben detto, mal fatto, capitan Fracassa, Gian Pàolo, e coi verbi: dan, van, fan, andar, ecc. Ebbene, come si tronca nel parlare, così si tronca nello scrìvere.

Se la parola tèrmina con due consonanti, una di esse cade insieme con la vocale: potraz(n0), var(n0), A

caval(lo), ecc,

(14)

Bello si tronca in 5el davanti a consonante (bel

libro). TA 5: i

AI plurale si dice Zei davanti a consonante (Le;

libri); e si dice belli o begli davanti a vocale (bepl; tbri);

uomini). id ES

Bel spècchio, bel stùpido si può dire? Non si Do trebbe, ma per cattivo uso si dice.

Grande si può troncare in gran davanti a conso- nante (gran libro e grande libro).

È un gran brutto tempo. È una gran bella cosa ecc.

Qui l’aggettivo grande ha quasi valore di avvèrbio.

Il pronome quello si tronca come bello, (quel, quei, quegli), cioè quello e bello si compòrtano come gli articoli /o (plurale gli), il (plurale i).

Santo si tronca in san, quando è aggettivo e da- vanti al nome pròprio che comìncia per consonante:

san Pietro. Se il nome pròprio comìncia pet vocale, non si tronca ma si apostrofa: sant’Antònio.

Pover'uomo, con l’apòstrofo, è elisione. Si può troncamento poètico (Carducci )A x

Fra = frate, davanti a nome pròprio che comìn-

(15)

Dittonghi mòbili.

Uo e ie sono chiamati dittonghi mòbili. (Dit- tongo è suono di due vocali pronunciate insieme:

pieno. Pia, invece, non è dittongo).

Uo e ie sono chiamati dittonghi mòbili, perchè quando su di essi non cade l’accento, si semplificano in o ed e: scuola e scolaro, siedo e sedevo, cielo e celeste, ecc.

Questa règola bisogna intènderla con buon senso.

Quell’u e quell’e hanno ufficio di dare gràzia alla pa- rola. I toscani dicono boro, core, 00, scola, ece., ma nelle altre parti d’Itàlia si dice buono, cuore, ecc., e i migliori scrittori si attàngono a questa norma, Si preferisce dire giaggiolo, fagiolo, gioco, ecc., (evi- dentemente per evitare il brutto suono wo); e si dice nuovo e novo, ruota e rota, fuoco e foco, ecc. Piede fa piedino e piedone. Ma si dice pedina, pedone (chi va a piedi), dieci fa diecina, decina e dècimo. Pietra, pieve, piega, pieno, pietà, lieto, consèrvano il dittongo anche nei derivati su cui non cade l’accento.

Nei verbi muòvere, scuòtere, percuòtere, riscuòtere, si dità mzoveva, moverò, percotevo, scotessi, ecc., perchè l’accento non cade sul dittongo. Ma si dice wzossé e 720550;

scossi e scosso, ecc., benchè l'accento cada sul posto del dittongo.

Vuotare, nel senso di evacware, conserva di sòlito l’uo per distinguere questo verbo da votare = dare il

voto.

Voto (= promessa) è distinto da voto o vuoto (= va- cuità) dal suono chiuso dell’o.

(16)

Il nome, il verbo e le altre parti

del nostro discorso

Come il corpo umano è composto di molti òtga-

ni: cervello, cuore, stòmaco, vene, artèrie, ecc., così il ragionamento dell’uomo è formato di diverse parti,

Due di queste parti sono le principali: zozze e

verbo. 5

Il rome è la parola che fa conòscere e distìnguere una persona, una cosa, un'idea. Perciò il nome è ma- schile o femminile, singolare o plurale, pròprio (Roma), o comune ( città).$

Il verbo esprime la vita, l’azione della vita. Que- Sta vita e questa azione è cosa tanto importante che la parola verbo significò saggezza, e anche Dio.

Il nome è come la lìmpada, il verbo è Ja luce.

Senza luce, che vale la làmpada?

Ogni verbo sottintende l’esistenza, cioè èssere:

quindi io am0 = jo Sono amante,

Il verbo avrà variazioni secondo che esprime la

DAS

L'articolo è una Piccola parola che serve a distìn- guere il maschile dal femminile (; cantante, la can- 20.

(17)

tante) e aiutato da alcune particelle di, a, da, (per, con, su, ecc.) detèrmina l’azione del verbo (io vado alla città, io vengo dalla città).

L'aggettivo è la parola che si congiunge al nome quando è necessàrio far capire le sue qualità ( biondo era e bello e di gentile aspetto). Si usa anche per dare bellezza e forza; ma bisogna farne buon uso altrimenti non si dà nè bellezza nè forza.

Il pronome è una spècie di sostituzione del nome

per non ripètere sempre la stessa parola.

Vedi la bèstia per cui z0 (Dante) mi volsi (volsi me = Dante).

Aiùtami da lei (dalla bèstia), famoso sàggio,

Ch'ella (la bèstia) #7i (a Dante) fa tremar le vene e i polsi.

Le altre parti del discorso sèrvono ad indicare speciali condizioni di tempo, di azione, di sentimen- to, di dipendenza o indipendenza fra le vàrie azioni.

Alcun non può saper da chi sia amato Quando felice in su la ruota* siede.

Queste altre parti del discorso si chiàùmano: 4v-

vèrbio, congiunzione, preposizione, esclamazione, e sono invariàbili.

Nove di nùmero, dunque, sono le parti del di-

SCOrSO.

(18)

Articolo

Questa parolina vuol dire « pìccola articolazione » ed è più difficile che non si creda.

Gli artìcoli sono: i, i; /o, gli, per il gènere ma.

schile, /z, Ze, per il gènere femminile.

Esiste in latino, in greco, in tedesco un altro gènere, il nèutro, cioè non maschile e non femminile. Alcune parole in italiano si pòssono considerare come nèutre:

«questo » è vero: «ciò» è possibile: il nuovo non è bello, il bello non è nuovo. La questione se il nèutro c'è o non c'è in italiano, è stata già dibattuta fra i vecchi grammdtici, Bembo diceva di no, Salviati di sì.

Il libro (davanti a consonante), l’azzore (davanti a vocale), /o stàdio (davanti a s seguita da conso- nante, detta s impura), /o zero (davanti a 2)?

L’artìcolo vale, come si è detto, a determinare il gènere (;/ parente, la parente) e qualche volta an- che il Nùmero, se il nome è Invariàbile (17 re, i re;

Perciò le età e non l’età se no SI confo, d -

, nde col sin:

L'articolo specialmente vale in composizione di 22

pi

è Pra À

= RE NT

(19)

alcune particelle (di, a, da, in, su, con, per). Queste particelle si pòssono considerare come perni snodati sui quali le parole si muòvono, si vòltano in tutti i sensi, si avvicìnano, si allontànano secondo le neces- sità dei rapporti fra loro, pròprio come le articola- zioni del bràccio e della gamba nel ‘corpo umano.”

Idroplano nel mare, idroplano sul mare, idropla- no dal mare.

Sono tre rapporti differenti.

PROSPETTO DELLE PARTICELLE O PREPOSIZIONI ARTICOLATE

Maschile Femminile

e ———tr__r"-‘2 — P-_-r-

davanti davanti davanti davanti davanti conson. vocale simpuraoz conson, vocale

di } sing. del dell” dello della dell’

1 plur. dei degli delle

( sing. al all' allo alla all

a ( plur. ai agli alle

| sing. dal dall* dallo dalla dall'

d "

a ( plur. dai dagli dalle

: ( sing. nel nell’ nello nella nell*

In ( plur. nei negli nelle

$ sing. sul sull’ sullo sulla sull*

su ( plur. sui sugli sulle

sing. col coll* collo colla coll )

con i plur. coi ( cogli colle

sing. (P5i)

per ( plur. pei

fra tra (separate dall'articolo).

La scrittura collo (con lo), colla (con la), cogli (con gli), pella LR (per la), pelle (per le), sono da evitare perchè si confondono con

altre parole (la colla, la pelle). Anche invece di sullo, sugli, sulla, sulle è preferibile scrìvere separato, cioè su lo, sw la, ecc.

(20)

a l’artìcolo?

Quando si usa e quando non si us

Per noi è facile perchè cosa naturale, per uno Sh en ero è difficile! è difacile! E =»

ni Si usa quando si vuole determinare: 477; il

1 i0è e sal,

libro, cioè quello ch =

Il nome pròprio maschile è senza artìcolo ( Carlo, e non #/ Carlo, come dìcono a Milano, E così nome e cognome Carlo Cattàneo; e non il Carlo Cattàneo).

Il Dante vuol dire il libro di Dante. È un’ellissi (omissione).

E il cognome? Il buon uso, e più specialmente direi l’orècchio, con certi cognomi quasi tradizionali, domanda l’artìcolo (; Petrarca, il Manzoni). Però è notèvole la tendenza dell’italiano moderno a trala- sciare l’artìcolo davanti al cognome. Ciò deve èssere pet influsso di alcuni cognomi, divenuti cèlebri, che hanno un po’ per volta acquistato forza di nome.

Oggi chi direbbe ;/ Garibaldi, il Cavour, il Mus- solini? Coi nomi stranieri l’artìcolo stona un po? (;/

Goethe, lo Swift, lo Hugo, il Dumas).

Però non è règola fissa. I cognomi di donna ricèvono sempre l'attìcolo per evitare l'ambiguità, la Stampa, la Serao, la Eliot, la Sand, ecc.

. In antico si usava, in taluni casi, dare desinenza fem.

minile al cognome, come talora usa il pòpolo, la Borro- così le navi, /4 Lèpanto, la Morosini

(21)

I sopranomi ! sono preceduti dall’articolo, come si leage nei clàssici e come usa il pòpolo.

I nomi propri di donna, se usati familiarmente, hanno per lo più l’artìcolo.

È la Tittì come una passeretta, Ma non ha penne per il suo vestire.

Una donna illustre, no.

Intanto Erminia in fra le ombrose piante...

Si dice gli Dei, e non i Dei. (In antico: gli Iddei; e anche perchè non si riesce a dire dei Det).

Lo, davanti a nomi comincianti per consonante, è ancora in uso nei dialetti meridionali.

Si dice il #4, il lei, il voi, nelle tipiche espressioni, dare del tu, del voi, del lei.

Non è ben detto l’uomo il più bello, che è ritenuto modo francese, ma mèglio dire l’uomo più bello o il più bell’uomzo. Non màncano però esempi in contràrio, quan- do si vuol ottenere un maggior rilievo: l’uomo il più felice di questo mondo, dice il Manzoni.

I nomi propri di città e villaggi non hanno artìcolo (Roma, Londra, ecc.).

Fanno eccezione: la Spèzia, la Miràndola, il Cairo, la Mecca, l’Aia, (l'Incisa, il Galluzzo, l’Impruneta, ecc.).

I nomi delle regioni, stati, fiumi, monti, ìsole, laghi, hanno, di sòlito, l’artìîcolo, ma pòssono anche usarsi senza di esso: l’Itàlia, la Spagna e anche Itàlia e Spagna.

Dovrà però dirsi: il Messico, il Perù, l'India, il Ben-

gala, le Baleari, l’Elba, il Gìglio, la Capràia, la Gorgona, i e in gènere quei nomi che denòtano i gruppi insulari. i

Invece Malta, Cipro, Corfà, Càndia, Pròcida, Ischia ; si ùlsano senza artìcolo.

25

(22)

Si dice al singolare, conforme l’uso fiorentino, #10 padre, tua madre, suo fratello, mèglio che: il zzi0 Padre, ecc. Però dico /a mia mamma più frequente che 779 mamma. Quel mamma sa di più }ntimo, e porta quasi alla maggiore determinazione dell’artìcolo. È il caso di quella signora che voleva sapere se era mèglio dire:

partecipo le nozze di mia figlia, o della mia figlia.

Si dice: Sua Maestà, Sua o Vostra Altezza, o Emi.

nenza, o Paternità, senz’artìcolo, e in ciò avverte l’orèc- chio. diceva una volta: Monsignore il me, Madama 13 regina, come oggi si dice: Sua Maestà il re, la regina.

Per esprimere una cosa o una persona in modo indeterminato, noi adoperiamo:

; per il maschile: 47 * davanti consonante 0 vocale uno davanti s impura (0 2) ) peri femminile: una un° (0 una) | davanti vocale davanti consonante

c'è uni, une come articolo, così si dice, alcuni, certi.

Cir 4 Esèmpio: conosco alcuni, o certi giòvani. E più comu- nemente si dice dei giÒvani; cioè Ja preposizione di tu vai con giòvani, ecc. dirai mèglio e più sèmplice,

e una parte, questo caso

(23)

Declinazione dei nomi

Declinazione di un nome vuol dire modificazione del nome secondo che esso è singolare o plurale, ma- schile o femminile.

Non tutti i nomi si compòrtano nello stesso modo.

Osservando questi diversi comportamenti, i nomi si pòssono raggruppare in quattro declinazioni.

Prima declinazione.

Singolare 4, plurale e.

La vocale 4 ìndica il gènere femminile (m2472224);

oppure quelle cose e sostanze non animate che noi consideriamo come fòssero di gènere femminile (wm2e- la, pietra).

I latini consideràvano gli àlbeti come femminili, per- chè gènerano frutta. Il maschile e il femminile delle cose e sostanze non animate non sempre corrispòndono fra lìîngua e lìngua: fonte, in latino (fons) è maschile; fatica, in latino (labor) è maschile: il fiore in italiano, la fleur in francese.

Molti nomi però tèrminano in 4, e sono invece maschili (papa, poeta).

27

(24)

Questi maschili Ma nomi come

in 4 al plurale non tèrminano iù e, ma in & (papi, poeti).

artista, pianista, Pòssono Èèssere e di uomo e di donna, e al singolare non Si distin:

guono. E allora vien la pianista).

I seguenti nomi golare:

Boia, vaglia (il),

e in aiuto l’artìcolo (;/ Pianista, sono nel plurale uguali al sin pèria (servo), Giuda (traditore), balilla (pìccolo fascista), nonnulla (cosa da niente), Eco:

Duca, duchi (grado di nobiltà) e duci (capitani): ma in questo si

duce. Tema e temi (voce poètica, di poco cuni nomi, in 4, solitamente maschili:

cluta, guèrdia.

gnificato, nel singolare, si dice comunemente (lavoro, dissertazione). La tema uso al plurale, ;/ timore). 5 ed e al plurale, îndicano indivìdii, guida, sentinella, spia, scolta, re- Enea, Elia, Epaminonda, Leònida, Pelòpida, sono illustri, antichi nomi

Alcuni nomi sono propri maschili.

soltanto femminili perchè, di sò- lito, sono uffici femminili (Galia, levatrice = popolar- mente 7ammana, stir, atrice e stiratora),

del Pavaglione (Carducci).

cos

Una spècie di règola, anche ì si scrive comincerò e non comincierò, se POCO osservata sarebbe questa: i nomi che al singolare tèrminano in 3

28

(25)

tt.

ato — pèrdono la ia — SÌ intende non accent

do la c e la g sono precedute da conso- lència, lance; gòccia, gocce; sàggia, sagge;

gge; quèrcia, querce, ecc. Consèrvano la do la c e la g sono precedute da vocale:

acàcie; règia, règie; audàcia, audà- (càmice è la sopraveste sacer- -cia € =8

vocale 1 Quan nante: i

piòggia, pio

vocale ? quando * sòcia, sòcie; acacia, |

cie; camìcia, camicie; bo: te s

dotale). Provincia invece fa provìncte; grèggia = grezza, TOZzA, fa grèggie, altrimenti si confonderebbe con gregge (grèggia) = armento; la règgia, le règgie per non confondere con regge dal verbo règgere.

Seconda declinazione.

Singolare o, plurale è.

La vocale 0 ìndica il gènere maschile (worzo) e quelle cose e sostanze non animate che noi conside- riamo come fòssero di gènere maschile (libro, pero).

Tutti i nomi della seconda declinazione sono

maschili. i

Fanno eccezione: ma70, la mano; eco, la eco (0 l'eco), perchè in antico immaginata come una dea:

ma al plurale gli echi; dìînazzo = macchina elèttrica (plurale uguale al singolare); virago ® = donna virile;

imago = immigine, voce poètica (plurale in222dginî);

Saffo (poetessa greca); Cloto, Atropo (divinità della morte, immaginate come donne); Clio (musa della stòria), Calipso (piccola dea), Erato (musa), (duto la automobile, ràdio, moto, la motocicletta).!9

Quanto al plurale dei nomi in -io, se l’accento

(26)

cade su l’î, allora al plurale vanno due i (zio. zi), un’;

perchè la sìllaba accentata non si perde, l’altra ; per segno del plurale. E così si scrive zii (210); mormo ri;

(mormorio); desiî (desio); pendii ( pendio), ece.

Se l’accento non cade sull’;, allora basta per il plurale una sola i. E così si scrive baci (bàcio); elogi (elògio); agi (àgio). Nel caso di incertezza, si ap.

giunge una seconda i: Mmartirii, per non confòndere con martiri!

I nomi che al singolare tèrminano In co e in go, come fanno al plurale?

Il suono forte del singolare desìdera rimanere forte anche al plurale, e perciò stomachi, mànichi, fuchi, didloghi, catdloghi, ciechi, chirurghi, carichi, valichi, stràscichi, ecc.

Questa è Ja disposizione prevalente, ma con mol.

fe eccezioni, come mèdici, equìvoci, greci, chièrici, monaci, erètici, Spàragi, ecc.; e anche incertezze come

1 aggettivi in ico fanno «ici: benèfici magnifici

#_. . * è.

i

d ci

nòrdici, idèntici, ecc,

I nomi di Orìgine greca, in -Ologo, indicanti lea per lo PIÙ scienziati,

tèrminano comunemente

jin *Ologi;

socidlogi, tedlogi, fildlogi, fisidlogi, ecc,

(27)

one.

Terza declinazi

j. Comprende nomi maschili è quello che fa capire se il

mminile (#1 pare, la fame).

Poche parole: canìzie, effigie, progènie, De spècie, sèrie (la), barbàrie, hanno il plurale uguale al singolare, ma il plurale è usato di rado.

Moglie al plurale fa mogli; superficie, fa super- ficie.

Singolare © plurale e l’artìcolo e femminili, e oppure fe nome è maschil

I moderni scrìvono anche le superfici da un singolare superfice, ma è scrittura meno buona (latino superficies);

e così scrivono facente, sufficente per faciente, sufficiente, che è più conforme al latino (faciens, sufficiens).

Si dice: il trave e la trave; il fonte e la fonte; il fine (scopo) e la fine; il càrcere e la càrcere; il gregge e la gregge, ed altri.! La cènere, il resìduo della com- bustione: ma del corpo umano, si dice piuttosto il cènere. AI plurale, le cèneri in tutti e due i sensi.

Quarta declinazione.

Raggruppiamo in una quarta declinazione 19 quei nomi maschili e femminili che nel plurale sono uguali

al singolare, Essi sono i seguenti: i

1. Nomi con l’accento in fine (virtà). >

2. Nomi di una sìllaba sola (re). as

Sag: Nomi della scienza che al singolare tèrminano 2)

in i; (questi nomi sono femminili, tesi, eclissi, andà. | °°

lisi).

(28)

Pd

4 patità con l’uomo, così tende a

Si pòssono considerare della quart anche:

a. I cognomi: i Savòia, i Bentivòglio, i Colonna (che di sòlito non vàtiano al plurale. Però anche qui non v'è sicura règola. Dipende dall’orècchio e dal.

Puso). |

6. I nomi che tèrminano in consonante, e sono nomi di gènere maschile per lo più stranieri ormai accolti dall’uso: bazar, tram = tranvai, bétel (=

ostello, abusivo per albergo), fuzzel (voce caduta in disuso: oggi galleria, traforo), gas, alcool, sport, filma, Gar. È pròprio inùtile e servile mèttere la 5 per fare il plurale: sports.

c. I nomi composti di un verbo e di un nome:

il portafogli, il portapenne, il portabandiera, il porta- lettere, il guardarobe.

Per questi nomi composti un po’ difficili, vedi pàgina 40,

a declinazione

Maschile e femminile del nome,

Un piccolo Nùmerto di nomi fo

In essa (oste, ostessa); ma oggi ch tma il femminile e la donna tende Parità anche nel

(29)

nome o in titoli nuovi per donna, e troviamo avvo- cato, dottore, medico, professore, detto anche di donna; non però così dice il pòpolo, che rimane fedele alla determinazione essa.

Si trova anche poeta per poetessa, ma non è pròprio bello.

Il maschile in -fore fa di sòlito il femminile in -trice (attore, attrice). Il pòdpolo si attiene, ove può, alla più semplice terminazione in d: traditore, tradi- tora.

Pochi nomi, ma di uso molto comune, hanno due forme: una per il maschile, l’altra per il femminile:

Màschio, fèmmina.

Uomo, donna.

Marito, mòglie.

Padre, babbo, papà; madre, mamma, mammà.

Compare e comare.

Fratello, sorella (da cui poi frate, suora).

Gélibe (scapolo), nùbile (zitella).

Género (il marito della figlia, rispetto ai genitori di questa), zuora (la mòglie del figlio, parimente rispetto ai genitori di questo).

Messere, madonna (voci antiche per signore, signora), e per sublimità, cioè antonomàsia, Madonna, la Signora, madre di Cristo.

Bue, vacca (vaccina, mucca, voci più decorose).

Cavaliere, dama.

Porco o verro, (o maiale), scrofa, trdia (voce plebea).

Gallo, gallina.

Ape (regina), fuco.

Montone (0 arlete), pècora.

23

(30)

Cavallo, cavalla 0 giumenta, (alfana, Voce antica), Dio, (Dea in senso non cristiano); re, regina; ero e;

eroina,

Cane, cagna.

Cavaliere, amàzzone.

I nomi di alcuni animali, dei pesci, degli uccelli, degli sa insetti, non sempre sono distinti in maschili e femmi.

x nili. Aquila, volpe, ròndine, vipera. A

Si dice, è vero, il serpe e la serpe, il pàssero e la passera, il ranòcchio e la ranòcchia, ma ciò non ìmplica lat: distinzione di sesso.

Occorrendo distìnguere, si aggiunge 7dschio o tènr- mina; volpe màschio, volpe fèmmina.

T nomi in e della terza declinazione si distìnguo- no — come già fu detto — per mezzo dell’artìcolo se sono maschili o femminili (; nepote, la nepote).

Automòbile è femminile (vettura autombbile). Froy- È: te (della battàglia) nel buon italiano è femminile.

i Durante la guerra europea si disse il fronte (francese Ta le front).

| I nomi di città e di Ìsole sono considerati femmi- A nili, qualunque ne sia la desinenza: si sottintèndono le

Fanno eccezione: il Cdiro, l'Havre (le Havre).

I nomi dei fiumi, laghi, monti sono di règola ma- schili, anche se terminano in «4: gi sottintèndono le

| parole fiume, lago, monte (i Volga, il Mella, l’Adda, il

— Garda, lo Spluga, l’Imaldia). zioni, dovute a cause antiche, lnenza in -a (/a È Abbòndano particolari dei luoghi Dora, la Stura, la però 30

(31)

Piave [e nell'uso moderno e locale, il P:

la Maiella, le Alpi, le Cevenne, ecc.). iave), la Falterona, I nomi di piante sono maschili

pino, il noce, l’aràncio, ecc.) Al come quèrcia, vite, palma.

I nomi dei frutti sono invece femm mela).

Pomo vale frutto in gènere; detto per rela, è idioti- smo dell’alta Itàlia. La pira (o pignolo) la noce, l’aràn- cia, (o aràncio), il banano, la banana (frutto),

Fico, cedro, ananasso, pistàcchio, limone, ìndicano tanto la pianta quanto il frutto.

Per alcune piante, il nome del frutto è diverso da quello dell’àlbero: quercia, ghianda; alloro o lauro, bacca o còccola; vite, uva; palma, dàttero.

(il pero, il melo, il cuni sono femminili, inili (la pera, la

(32)

Aggettivo

Aggettivo vuol dire parola aggiunta al nome (vedi pàgina 21): l'azzurro Adriàtico (ma l’àcqua del l’Adriàtico è piuttosto amara, perciò un nostro poeta chiamò 472470 questo mare, anzi amarìssimo; per ra- gioni che c'èrano allora e che dùtano ancora).

Siccome l'aggettivo è al servìzio del nome, così è femminile o maschile, secondo che deve èssere unito a nome femminile o maschile (rosa odorosa, giglio

= odoroso).

Per una naturale simpatia, l'aggettivo ha preso le ter- minazioni 4 per il femminile, o per il maschile (e sono i è fàcile, ma per lo straniero quel dogye gentili è difficile,

€ c'è caso che dica donne gentile.

. rente con il loro aggettivo. do si tratta di concordare due nomi Una certa difficoltà comìncia anche di 8ènere diffe. per noi quan- S Se i due o più nomi sono di persona, prevale sa l'aggettivo maschile: ;/ sarto e la mòglie, commossi xd e confusi, non trovavan parole.

36 bi

(33)

Se si tratta di cose o nomi astratti, i . allora si cerca disporre l’aggettivo in modo che concordi col nome più vicino: il gìglio e la rosa odorosa, O prati e selve vastìssime, o vastìssimi prati e selv Ive vastìssim e. La virtù e il gènio italiano, oppure si può adoperare il plurale maschile: lo sguardo e la fàccia stravolti (Manzoni).

Si dirà: lo stàdio delle lingue italiane e greche?

No, ma dirai: italiana e greca per ragione evidente di buon senso.

Se l’aggettivo forma parte del verbo, dovrà mèt- tersi al maschile plurale quando è riferito a nomi di diverso gènere, anche se inanimati; il gìglio e la rosa sono odorosi, ecc.

L’aggettivo va usato poco e bene.

L'aggettivo si mette prima o dopo il suo nome?

Non c’è legge. Comunemente dopo. Dire la italiana favella per la favella italiana, oggi sonerebbe antico o ricercato. La collocazione, come la scelta dell’agpet- tivo, spesso è òpera d’arte.

Accrescitivi, diminutivi, vezzeggiativi, spregiativi.

La lìngua italiana è anche troppo ricca di nomi e aggettivi alterati per indicare gràzia, affetto, me- schinità, grossolanità, ecc.

Donna, donnina, donnetta, donnàccia, donniccio- la, donnona.

Caro, carino, carùccio.

Uomo, omino, ometto, omarino, omàccio, omac- cione.

(34)

Sarà bene non abusare di (

Nutivi, come quel tale che chiedeva ad Un co imòglie e otto figli, come sta la ty famigliola? ich Sei

Oppure:

La mi dia quattòrdici centesimini di nortadellina.

questi ACCrescitivi e dimi Ilega con

Comparativo e superlativo.

L'aggettivo ìndica una qualità del nome. Ora fra due nomi può avvenire un confront o di uguaglianza Ma (come), di maggioranza ( più), di minoranza (72610):

PE gl

Î0 sono come fe, io sono più di te, io sono meno

È di te. i

ss Come io, come tu, come egli, come ella, non è

$i x più dell’uso. Oggi si dice: come me, come lui, ecc.

pari i

. . . . . n . q1-

ac. Dopo il comparativo si dice che 0 si dice di? Di sòlito ha |

si dice dî: io sono più bello di te. Ma vi sono alcuni

; casi in cui il di suona male o ambìguo. Ecco alcuni ud x esempi:

a Firenze si sta mèglio che a Roma (davanti una pre- posizione);

è più facile comandare che ub ito);

#1 potente è più temuto che amato

| cipio o aggettivo);

ho più fame che sete (fra due nomi),

bidire (davanti un in- (davanti un parti-

La qualità al più alto si esprime con la des ssimo.

5A Questo -lssimo è tanto adoperato che può far

— pèrdere valore al superlativo; ed è così che illustre

n i

:

grado si chiama superlativo inenza ìssizzo: illustre, illy

(35)

vale più di il/ustrìssizzo. Coi superlativi più adàgio si va, e mèglio è.

Alcuni pochi aggettivi fòrmano un secondo com- parativo e superlativo alla maniera del latino: grande ; più grande o maggiore; grandìssimo o màssimo.

È modo popolare, ma da evitare quale grosso- m lano errore, dire: più maggiore, più migliore.

Comparativo Superlativo

__—— , _—_—__——P

(sopra) (più alto) superiore (altissimo) sommo 0 supremo (addie- (più addietro) posteriore postremo (poèùti-

tro) co), pòstumo 21

basso (più basso) inferiore (bassìssimo) ìnfimo buono {più buono) migliore, (bonìssimo) òttimo

(mèglio)

cattivo (più (cattivo) peggiore, (cattivissimo) pèssimo (peggio)

esterno {più esterno) esteriore estremo

giòvane (più giòvane) iuniore

grande (più grande) (grandìssimo) massimo

interno (più interno) interiore piccolo (più piccolo) minore vècchio (più vècchio) seniore molto (più)

ìntimo (piccolìssimo) miìmimo

(moltissimo) plùrimo

Gli aggettivi acre, integro, salubre, cèlebre, mìsero formano il superlativo in -èrrirzo, ma solo nell’uso lette- ràrio; ac-èrrimo, integ-èrrimo, salub-èrrimo, celeb-èrrimo (raro), 772îs-èrrizzo (più usato wiserissimo).

Gli aggettivi benèfico, munìfico, magnifico fanno nel superlativo beneficentìssimo, munificentìssimo, magnifi- centìssimo; ma sanno di latinismo, Nell’uso è mèglio dire: molto benèfico o sommamente benèfico, ecc.

Quando si fa un superlativo di confronto, si dice:

Emilio è il più studioso scolaro, oppure Emilio è lo sco- laro più studioso.

39

(36)

Emilio è lo scolaro

= (Vedi pàgina 25). il più Studioso, è alla frances

ESC Plurale delle parole composte.

ì La lîngua italiana ha un certo nùmeto di Parole esi x composte, Spesso se ne abusa come chissà, . Seramai

. 3

“ie caffelatte, cosidetto, ecc Il plurale di queste parole

|

x .

ni composte non è sempre sicuro.

Ferrovia, manoscritto, sordomuto, terrapieno, me.

bs lograno, pomidoro (e porzodoro) fòrmano il plurale regolare, ferrovie, manoscritti, ecc. perchè senti noe le due parole come una parola sola.

135%

Non màncano però varietà di scrittura e incertez.

ze, così che mutiamo al plurale le due parole compo- nenti quando non le sentiamo ben fuse da formare su un’ùnica parola: pannolano, pannilani; cassaforte,

| casseforti; mezzalana, mezzelane; pescecane, pescica- ni; bassorilievo, bassirilievi; terramara, terremare (e SE terramare).

Paai è, 6. x;

si

v-- |

amo

___ Molte dî queste parole sono ci bo e di un nome che ne è og

| èssere singolare o plurale. In qu __ invaridbile,

omposte di un ver- getto, il quale può esto caso il nome è

diva il sigillo del re, poi

"di gràzia ‘e giustizia), ;/ guardaboschi, il te, il paracadute.

(37)

Molti nomi sono composti con capo nel senso di superiore, come capostazione, caposquadra, capopò- polo, e allora si muta soltanto capo in capi. Capi- squadra = capi della squadra, capipòpolo = = capi del pòpolo.

Non si dice però capiversi, capilavori, capigiri, ecc., perchè non vògliono dire capi dei versi o del verso, ma verso o lìnea che va a capo; non capo dei lavori, ma lavoro capitale © prìncipe; non capo dei giri, ma giramento di capo

Molte volte le due parole non si unìscono insie- me in una sola parola, ma stanno accostate con una lineetta. In questo caso la prima parola forma come un nèutro, cioè non ha gènere, e naturalmente non muta al plurale. Società italo-americana, Società italo- americane.

Parole con plurale irregolare:

(Uomo) «dini; (Dio) dèi e anche diî; (bue) buoi e bovi; (uovo) uova; (paio) paia; (mille) mila;

(migliaio) wigligia; mìglio (nel senso di misura li- neare) 72ìglia; (mio) miei.

Nomi che hanno comunemente il solo plurale: i calzoni (mèglio che i pantaloni, che sa di francesi- smo), le mutande, le nozze, le stovìglie, le sàrtie (i cànapi che tèngono fermo l’àlbero della nave), le forbici o cesòie, le spèzie (le droghe), le braghe o brache.

I Penati divinità tutelati della casa nell’antica Roma;

i Lari i trapassati che fùrono buoni e considerati come

41

(38)

e. “Se ed cio \ 4 ;I 3; È x 3

HSE:

dèi; si potrebbe però dire anche il dio Penate, il dio Lare.

i Mani = le ànime dei defunti Presso i romani; /6 calen, È de = il primo dì di ogni mese Presso i romani; /, I anche gli) Idi = il 15 marzo, morte di Cèsare gli annali = le storie di ciascun anno; i fasti = gli AVVe.

nimenti illustri presso i romani; i pòsteri; le tèmpora, più comunemente le quattro tèmpora cioè j tre giorni di digiuno, che nel rito cristiano precèdono le quattro sta- gioni, in latino fèmpora; i vanni = poeticamente per ali;

i le interiora = plurale in -4, le viscere; /e esequie; i lgi = } i lamenti, voce antica; le busse; le efemèridi = giornali, I diari, anche efemèride; i maccheroni; i mustacchi; gli

occhiali; le nari; le moine; le mene = pràtiche, nel sen.

so di macchinazioni; i rostri — nella frase parlare dai } rostri, cioè dalle tribune pùbbliche, perchè Je tribune da Fr cui parlavano gli oratori al pùbblico nel foro romano

‘erano trionfalmente ornate dei rostri od uncini delle navi tolte ai nemici: Je froge = le estremità carnose delle 3 narici dei cavalli.

so Nomi senza plurale: pro (vantaggio); il domani

|__ ._ (2’indomani sa di francesismo); prole; progènie.

Nomi ino con due plurali: uno regolare in ;

“ed un altro irregolare in 4, preceduto dall’artìcolo sd femminile /e, Questo non vuol dire 55 | mmàschio sia diventato femmina (domandò che il nome da due uova

Il plurale in 4 esprime due parti appaiate la), Oppure collettività. Una volta questi plurali in (/e lenzuo.

(39)

I più usati sono:

1. Braccio,

2. Cervello,

3. Cìglio, 33 Corno, 5. Dito, 6. Filo,

SI . Fondamento, 8. Frutto,

No) . Gesto,

10. Ginòcchio, 11. Labbro, 12. Legno,

13. Lenzuolo,

- . ,

i bracci (detto di cose sporgenti), le braccia (del corpo umano). (In To- scana popolarmente i bracci).

i cervelli (intelligenze), le cervella (la matèria cerebrale). Un fritto di cer- vella, mèglio che di cervello.

le dita, i diti (Toscana).

- i fili, (del telègrafo, del telèfono) il guardiafili, le fila (di un tessuto, del càcio, di una congiura).

i fondamenti (morali), le fondamenta (di un edificio).

i frutti (del lavoro, della terra), le frutta (da tàvola: un cestello di frut- ta), e anche la frutta al singolare.

i gesti (atti), le gesta e le geste (azio- ni erdiche). In antico c’era anche la gesta nel senso di stirpe gloriosa, on- de poi le gesta, canzoni di gesta, quasi di eroi.

i ginòcchi, le ginòcchia.

i labbrî (di un vaso o di una ferita), le labbra (del volto).

i legni (veìcoli, navi, quando èrano di legno), le legna (da èàrdere). (E anche la legna).

i lenzuoli, le lenzuola (un paio di len- zuola, sotto le lenzuola).

43

(40)

) 14. Membro, = £ membri (individui d À o i UN cor lo)

I ino! corpo umano). cànico o sociale), /e eno (de (0, 15. Muro, s

- i muri, (di una casa), /e mura (di

; una città).

; 16. Osso,

- gli ossi (in gènere), /e ossa (del Corpo:

i m

mi dòlgono le OSSA).

Ù 17. Riso,

- é risi (la pianta: ma è poco usato nel plurale), /e risa (il rìdere).

\' 18. Suolo,

- £ suoli (dei piani, terreni); Ze suola A 19. Uovo, (delle scarpe) e /e suole (latino SÒlea).

- le uova (forme dialettali, uovi, ovi

G e ove).

x x . . » . .

presi 20. Vestigio,

“E vestigi, le vestìgia (e anche Je ve- stige).

e St le anella, le castella, le strida. Le poma, le coltella, le pugna, le gÒmita, le cuòia,

"CSI

Carra, stdia, sacca, plurali di carro, stàio, sacco sono a nomi di misure di Capacità, usati in antico ed oggi an-

@ dit ele dify __—òndere con la grida = bando), | «ora vivi nel pòpolo. In alcuni nomi le due —si'usano indifferentemente: ; gridi e le grida ; i ginocchi e le ginòcchia; i budelli gli stridi e le strida, i (da non con- terminazioni e le

ne far le fusa, detto del gatto.

i Vi sono alcuni pochi nomi che sèguono due declina- Ss gie zioni: ranòcchio e ranòcchia;

orècchio e orècchia; ode

© oda (le odi); arma € arme (le Strofe); destriere e destriero, cavaliere ito). E in antico, pensiero e Densiere, armi); strofa e strofe (le (titolo) e cavaliero scolaro e sco- (antico singolare ale).

(41)

Il prigione (= il prigioniero, spècie in guerra); la

prigione (la càrcere). Ù

Il camerata (= il compagno; il sodale); la camerata (la stanza).

Il cènere, le cèneri (= i rèsti mortali); la cènere (Vedi pàgina 31).

Il trombetto o trombetta (l’araldo);

(l’istrumento).

Il pianeta (corpo celeste); la pianeta (paramento del sacerdote).

L’oste (il vinattiere); la oste (voce antica, l’esèrcito nemico, ostile).

Alcuni nomi maschili prèndono anche il gènere fem- minile per indicare alcuna varietà di forma: il fosso e la fossa; il coltello e la coltella; il cucchidio e la cucchidia:

il buco e la buca; lo spillo e la spilla e qualche altro. ; la trombetta

Alcune parole hanno una certa varietà di suono e col suono spesso anche di senso, e quindi di scrit- tura: dnace e ànice, ànitra e ànatra, annerare e anne- rire (detto del fumo o altre sostanze), avo e volo, bulletta (chiodi) e bolletta (cèdola), ciliègia e cerasa, badia, abbadia, e abbazia, cavaliere, cavalleria (i cavallieri antichi), èlica ed èlice, cannocchiale e ca- nocchiale, domanda e dimanda, obbedisco e ubbi- disco, crocefisso e crocifisso, grèggio e grezzo, sùdicio e sùcido, grembiale e grembiule, scarpello e scalpel- i lo, cotesto e codesto, giòvine e giòvane, paio e paro, patriota e patriotto, palude e padule, fino e fine, ordigno e ordegno, prosciutto e presciutto (giambone è francesismo), portafogli e portafòglio, pilota e pi- loto, eguale e uguale, rosignolo e usignolo, maravì- glia e meraviglia, rumore e romore, fra e tra, scàn-

(42)

dolo e scandalo, questione e quistione, sopra e son profferire e proferire (vedi elenco verbi), x 1065 officio, e uffizio.® Africa e Africa (vedi Raddo ppi o menti), lòdola e allòdola, riga e rigo ( Toscan 2), riverenza e reverenza, apòstrofe e apòstrofo, laguna (di Venèzia) e /acuna (cosa tralasciata), fristo ( Cattivo) e friste (melancònico), camino (focolare) e Cammino (strada), bràgia e brace, ecc. Alcune forme sono più letteràrie, altre più popolari o più vicine al latino.

(43)

Il pronome

Pronome di prima e di seconda persona.

Un bambino pìccolo dirà: Ninì ha fame. Poi di- venuto grande, dirà: io ho fame.

To dunque è parola che tiene le veci del nome (pronome).

Io è il pronome di prima persona, e serve pel maschile e femminile, Plurale woi.

Tu è il pronome di seconda persona, e serve per il maschile e femminile. Plurale voi.

E perchè, qualche volta, invece di #4 dico lei oppute 207?

Questa è cosa un po’ difficile e la vedremo più avanti.

Abbiamo detto che le particelle di, a, da, in, con, per, su sono come giunture o perni pet mèttere in movimento i nomi; e così anche per mèttere in mo- vimento i pronomi: soltanto che non si dice di i0, ma di me; non si dice di tu, ma di te.

Ciò avviene naturalmente senza aiuto della gram- màtica.

Io e tu sèrvono per indicare la persona che òpera 47

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