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Stabilità, decadimento di ampiezza ed elongazione del periodo

Nel documento ELEMENTI DI DINAMICA DELLE STRUTTURE (pagine 36-44)

2.6 Risposta ad un’azione non periodica

2.6.3 Stabilità, decadimento di ampiezza ed elongazione del periodo

Si esaminano più in dettaglio le proprietà di stabilità e di accuratezza del metodo delle differenze centrali e del metodo di Newmark, come esempi di procedure esplicite ed im-plicite, rispettivamente. L’analisi verrà condotta con riferimento alle oscillazioni libere di un sistema non smorzato, la cui equazione del moto, utilizzando il tempo adimensionale τ = ωt, è (2.6):

¨

x(τ ) + x(τ ) = 0 (2.88)

Stabilità del metodo delle differenze centrali

Introducendo la velocità come variabile autonoma e tenendo conto della (2.88), le equazioni (2.85) possono essere riscritte, dopo aver eliminato xk−1, nel seguente modo:

xk+1= µ 1 +∆τ 2 2 ¶ xk+ ∆τ ˙xk ˙xk+1= µ ∆τ3 4 − ∆τ ¶ xk+ µ 1 −∆τ2 ¶ ˙xk (2.89)

Queste equazioni si sintetizzano nella forma matriciale:

xk+1 = Axk (2.90)

in cui xk è il vettore di stato del sistema al tempo τk:

xk= · xk ˙xk ¸ (2.91)

mentre la matrice di trasformazione A è formata con i coefficienti delle equazioni (2.89):

A= " 1 −∆τ22 ∆τ ∆τ3 4 − ∆τ 1 −∆τ22 # (2.92)

2.6 Risposta ad un’azione non periodica 34

Indicando con x0 il vettore delle condizioni iniziali ed applicando ripetutamente la (2.90), si ha:

xk = A · A · · · A| {z }

kvolte

x0= Akx0 (2.93)

La matrice A può essere diagonalizzata utilizzando la base dei suoi autovettori; indicando con Ψ la matrice degli autovettori di A e con Λ la matrice diagonale degli autovalori, si ha: Λ = Ψ−1AΨ; di conseguenza la matrice A si può decomporre nella forma normale:

A= ΨΛΨ−1 (2.94)

Sostituendo l’eq. (2.94) nella (2.93) si verifica facilmente che si ottiene:

xk = ΨΛkΨ−1 (2.95)

Poiché la matrice Λ è digonale, la sua k-esima potenza è la matrice (diagonale) i cui elementi sono gli stessi della matrice Λ elevati alla potenza k.

Dalla (2.95) appare evidente che il comportamento della soluzione è governato dagli autovalori della matrice A. Se gli autovalori fossero reali la soluzione crescerebbe o decre-scerebbe esponenzialmente, senza oscillare: quindi se si vuole che la soluzione sia oscillante, come è effettivamente quella esatta, gli autovalori λ1 e λ2 di A devono essere complessi coniugati e, affinché l’ampiezza delle oscillazioni non aumenti, cioè che la soluzione sia stabile, il modulo dei due autovalori non deve risultare maggiore di 1.

Gli autovalori di una matrice si ottengono come radici dell’equazione caratteristica

det(A − λI) = 0

in cui I indica la matrice unità. Per una matrice 2 × 2, l’equazione caratteristica è semplicemente:

λ2− tr(A)λ + det(A) = 0 (2.96)

in cui tr(A) indica la traccia della matrice A. Poiché l’eq. (2.96) è un’equazione di secondo grado, la condizione che le sue radici siano complesse implica che il discriminante sia minore di zero, ossia che:

tr(A)2− 4 det(A) < 0

Per il metodo delle differenze centrali la matrice A è espressa dall’eq. (2.92); sostituita nella precedente si ottiene la condizione:

(2 − ∆τ2)2− 4 < 0 che, con l’ovvia condizione ∆τ > 0, ha come soluzione:

0 < ∆τ < 2 (2.97)

Se le soluzioni dell’equazione (2.96) sono complesse coniugate allora si ha che |λ|2 = det(A); poichè è facile verificare che risulta

2.6 Risposta ad un’azione non periodica 35

ne segue che se è soddisfatta l’eq. (2.97) gli autovalori di A sono complessi, dunque la soluzione è oscillante, ed inoltre, poiché in tal caso |λ| = 1, è anche stabile.

Se le soluzioni sono reali allora risulta:

|λ|2max= Ã 1 −∆τ 2 2 + r ∆τ2∆τ 4 4 !2

La condizione |λ| ≤ 1 implica ∆τ ≤ 2: pertanto si può concludere che il metodo delle diffe-renze centrali è stabile se ∆τ ≤ 2 e fornisce anche una soluzione oscillante se èsoddisfatta la più restrittiva eq. (2.97), che nel tempo naturale t = τ /ω = τ T /2π significa:

∆t T <

1

π (2.99)

Come si è notato in precedenza la condizione di stabilità non implica l’accuratezza della soluzione; essa è condizione necessaria, ma non sufficiente, perché la soluzione numerica dell’equazione differenziale approssimi quella esatta. Per giudicare circa l’accuratezza del metodo si esaminano altri due aspetti della soluzione: il decadimento dell’ampiezza e lo scorrimento del periodo.

Gli autovalori di A, supponendo che le condizioni di stabilità siano verificate, sono complessi coniugati e quindi si possono porre nella forma:

λ1= |λ|e λ2 = |λ|e−iφ

in cui |λ| = det(A)1/2 è il modulo e φ l’argomento degli autovalori. Al k-esimo passo di integrazione gli autovalori risultano elevati alla k-esima potenza, per cui si ha:

λkj = |λ|ke±ikφ (j = 1, 2) (2.100)

Se |λ| fosse maggiore di uno il modulo degli autovalori di Ak crescerebbe indefinitamente con k, per cui il procedimento sarebbe instabile; viceversa se |λ| < 1 il modulo degli autovalori decresce e tende a zero per k → ∞: la soluzione in questo caso è stabile ma si manifesta un decadimento dell’ampiezza delle oscillazioni, analogo a quello prodotto da un termine viscoso, che però nell’equazione (2.88) che stiamo integrando non è presente. Poiché la soluzione delle equazioni (2.88) è una combinazione di funzioni armoniche di periodo 2π, prendendo come passo di integrazione una frazione di questo periodo: ∆τ = 2π/n, il decadimento di ampiezza in un periodo risulta:

|λ|n= |λ|2π/∆τ (2.101)

Dopo k iterazioni, tali che:

kφ = 2π

si ha xk/|λ|k = x0. Se ∆τ è il passo di integrazione, il periodo della soluzione numerica risulta pertanto

Π= k∆τ = ∆τ φ Lo scarto dal valore esatto Π = 2π è dunque:

Π− Π = 2π µ

∆τ φ − 1

2.6 Risposta ad un’azione non periodica 36

e lo scarto percentuale è dato da:

Sp= T − T T = Π− Π Π = ∆τ φ − 1 (2.102)

Nel metodo delle differenze centrali, se è soddisfatta la condizione (2.99), si ha

|λ| = det(A)1/2= 1

per cui non si verifica decadimento di ampiezza. Inoltre risulta

cos(φ) = tr(A)

2 det(A)1/2 = 1 −∆τ

2

2 che sostituita nella (2.102) da luogo a:

Sp = ∆τ

arccos(1 − ∆τ2/2)− 1

Sviluppando in serie questa funzione si ottiene la relazione approssimata:

Sp= −∆τ

2

24 −576017 ∆τ4+ O(∆τ6) (2.103)

che, espressa in termini del tempo effettivo t, diviene:

Sp= −π 2 6 µ ∆t T ¶2π 4 360 µ ∆t T ¶4 + O "µ ∆t T ¶6# (2.104)

Si può quindi concludere che al crescere del rapporto ∆t/T il periodo della soluzione numerica ottenuta con il metodo delle differenze centrali si discosta, risultando più piccolo, da quello esatto.

Metodo di Newmark

Quando il sistema è elastico lineare, l’equazione (2.88) può essere usata per esprimere ¨xk+1 in funzione di xk+1 e ˙xk+1; questo permette di eliminare l’accelerazione di fine passo dalle equazioni (2.87), che così divengono esplicite, e si possono porre ancora nella forma (2.90), in cui la matrice A è: A=     2 + (β − 1)∆τ2 2 + β∆τ2 2∆τ 2 + β∆τ2 (α − β)∆τ3− 2∆τ 2 + β∆τ2 2 + (β − 2α)∆τ2 2 + β∆τ2     (2.105)

Esplicitamente, la condizione che gli autovalori siano complessi, e quindi la soluzione oscillante, si esprime ora:

tr(A)2− 4 det(A) = ∆τ2∆τ 2 (1 − 8β + 4α + 4α2) − 16 (2 + β∆τ2)2 < 0 da cui segue: ∆τ < p 4 1 + 4(α2+ α − 2β) (2.106)

2.6 Risposta ad un’azione non periodica 37

ovvero, nel tempo naturale t, ∆t

T <

2 πp

1 + 4(α2+ α − 2β)

Se gli autovalori sono complessi si ha |λ|2 = λ1λ2 = det(A); quindi la soluzione è stabile se:

det(A) = 2 + (1 + β − 2α)∆τ2

2 + β∆τ2 ≤ 1

Questa relazione è soddisfatta per qualunque valore di ∆τ che soddisfi la condizione (2.106), se risulta:

α ≥ 1

2 (2.107)

Se l’eq. (2.106) non è soddisfatta gli autovalori sono reali; in questo caso il modulo dell’autovalore maggiore è dato dalla relazione:

max|2=  tr(A) 2 + s tr(A)2 4 − det(A)   la condizione di stabilità, cioè che λmax≤ 1, è soddisfatta se:

∆τ ≤ √

2 √

α − β (2.108)

Si deve peraltro osservare che la condizione (2.107) deve comunque essere verificata, se si vuole che la soluzione resti stabile anche quando il passo di integrazione è abbastanza piccolo da soddisfare l’eq. (2.106).

Se α = β ed α ≥ 0 l’equazione (2.108) è soddisfatta per qualsiasi valore di ∆τ; in questo caso l’integratore si indica come incondizionatamente stabile; tuttavia la soluzione risulta oscillante solo se il passo di integrazione è abbastanza piccolo da soddisfare l’eq. (2.106), che per α = β ora si scrive:

∆τ < 4 |1 − 2α|

Un altro modo per avere condizioni di stabilità incondizionata, sempre ammesso che si abbia α ≥ 1/2, consiste nel rendere infinito il secondo membro dell’eq. (2.106): in tal modo la soluzione risulta sempre oscillante (perché è verificata l’eq. (2.106)) e stabile, perché è imposta la condizione (2.107). Annullando il denominatore del termine a secondo membro dell’eq. (2.106) si ottiene:

1 + 4(α2+ α − 2β) = 0 che è verificata se si pone;

β = (1 + 2α)

2

8 (2.109)

Poiché la condizione di stabilità richiede che si abbia α > 1/2, è conveniente porre

α = 1

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Sostituendo questa posizione nell’eq. (2.109) si ottiene la condizione per β:

β = (1 + ²)

2

2

Per ogni scelta di ² tale che 0 ≤ ² ≤ 2 − 1 si ottiene un procedimento che risulta in-condizionatamente stabile. Si osservi che per ² = 0 si ha α = β = 1/2: questo dimostra che il metodo dell’accelerazione media è incondizionatamente stabile. Al contrario il me-todo dell’accelerazione lineare (α = 1/2 β = 1/3) non è incondizionatamente stabile; la condizione di stabilità dell’equazione (2.108) diviene per questo caso:

∆τ ≤ 23

Gli algoritmi di Newmark incondizionatamente stabili sono generalmente dissipativi, in quanto risulta che |λ| < 1. Infatti, ponendo α = β = 1/2 + ² il modulo degli autovalori complessi risulta:

|λ|2 = det(A) = 4 + (1 − 2²)∆τ2 4 + (1 + 2²)∆τ2

Ponendo invece α = 1/2 + ², β = (1 + ²)2/2, altra combinazione che rende il procedimento incondizionatamente stabile, si ha:

|λ|2 = det(A) = 4 + (1 − ²)2∆τ2 4 + (1 + ²)2∆τ2

Quindi risulta evidente che |λ| < 1, con l’eccezione del caso ² = 0. Il metodo dell’accele-razione media è il solo, tra gli algoritmi di Newmark, che sia incondizionatamente stabile e non presenti decadimento di ampiezza.

Per ² > 0 si manifesta un decadimento di ampiezza; dalle due combinazioni per cui il metodo risulta incondizionatamente stabile si ottengono risultati molto simili; nel seguito si fa riferimento alla scelta che rende la soluzione stabile ed oscillante. Sostituendo allora la precedente espressione di |λ| nell’eq. (2.101) si ottiene che la riduzione di ampiezza in un periodo è: DA= · 4 + (1 − ²)2∆τ2 4 + (1 + ²)2∆τ2 ¸π/∆τ

I primi termini dello sviluppo in serie di questa espressione sono:

DA= 1 − π ² ∆τ +12π2²2∆τ2+ O(∆τ3)

Il logaritmo dell’inverso di DA è il decremento logaritmico delle oscillazioni libere; a questo decremento corrisponde uno smorzamento percentuale che si calcola con l’eq. (2.31). Sviluppando in serie di Taylor l’espressione che ne risulta si ha:

ξ = 1

2²∆τ −2² + 3²

3

16 ∆τ

3+ O(∆τ4)

Questo smorzamento non compare esplicitamente nelle equazioni del moto ma è equiva-lente, nel senso che produce gli stessi effetti dell’algoritmo numerico; per questo motivo è chiamato smorzamento numerico dell’algoritmo. Se ∆τ è sensibilmente inferiore ad uno, in modo che siano trascurabili gli infinitesimi superiori, lo smorzamento numerico è circa

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²∆τ /2. Quindi, se si vuole ridurre il decadimento di ampiezza, occorre assumere valori piccoli di ² ed usare un piccolo passo di integrazione.

Per determinare l’entità dello scorrimento del periodo si determina il coseno dell’argo-mento degli autovalori di A:

cos(φ) = tr(A) 2 det(A)1/2

Quindi lo scorrimento di periodo si calcola con l’eq. (2.104). Per gli algoritmi incondizio-natamente stabili ed oscillanti, ponendo α = 1/2 + ², β = (1 + ²)2/2, e sviluppando in serie di ∆τ , si ha:

Sp = 1 + 3²

2

12 ∆τ

2+ O(∆τ4)

Per il metodo dell’accelerazione media si ha in particolare:

Sp = ∆τ 2 12 −∆τ 4 180 + O(∆τ 6)

mentre il metodo dell’accelerazione lineare (che non è incondizionatamente stabile) ha un’elogazione del periodo:

Sp = ∆τ

2

24 −576017 ∆τ4+ O(∆τ6)

Per ∆τ → 0 il metodo dell’accelerazione lineare produce lo stesso scarto di periodo del metodo delle differenze centrali (ma con segno opposto); al crescere di ∆τ però la situazione diviene più favorevole per il metodo di Newmark, come dimostra, nello sviluppo in serie della funzione Sp, la differenza di segno tra il termine quadratico e quello di quarto grado.

Capitolo 3

Sistemi discreti con più di un

grado di libertà

3.1 Introduzione

Gli oggetti reali, da un punto di vista macroscopico, sono continui e quindi caratterizzati da infiniti gradi di libertà. Tuttavia, come insegna la teoria delle strutture, i mezzi continui possono essere discretizzati, per esempio mediante la tecnica degli elementi finiti (e.f.), e le equazioni differenziali che ne descrivono il comportamento ridotte a sistemi di equazioni algebriche, la cui soluzione approssima quella esatta tanto meglio quanto più fitta è stata la discretizzazione impiegata.

Analoghe considerazioni si applicano al problema dinamico, spesso in modo ancora più marcato, come avviene ad esempio quando la maggior parte della massa è associata a pochi gradi di libertà: in tal caso i gradi di libertà a cui è associata una massa trscurabile possono essere “condensati” e non compaiono più come incognite esplicite nelle equazioni del moto.

Per esempio, prendendo in esame un telaio multipiano a maglie rettangolari, come quello illustrato nella fig. , se si trascura la deformabilità assiale delle travi e si ritiene che le masse associate ai gradi di libertà di rotazione dei nodi siano piccole in confronto con quelle relative alle traslazioni, tutte le masse si possono considerare concentrate a livello dei piani. Non essendovi masse (e quindi forze) associate agli altri gradi di libertà, la matrice di rigidezza della struttura può essere condensata, ponendo in relazione solo le forze applicate ai piani e gli spostamenti corrispondenti.1

Con la notazione delle matrici, l’equazione di equilibrio della struttura si scrive:

Ku= f (3.1)

in cui K indica la matrice delle rigidezze, u è il vettore degli spostamenti dei piani ed f è il vettore delle forze applicate ai piani. Se le sole forze applicate sono quelle d’inerzia,

1

La matrice condensata si può ottenere direttamente, p.es. mediante un programma ad e.f. standard, imponendo uno spostamento unitario ai nodi di un piano e spostamenti nulli agli altri: le reazioni che si ottengono formano una colonna della matrice di rigidezza condensata; variando a turno il piano a cui è imposto lo spostamento si determinano tutte le colonne.

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