4 Discussione
4.2 Stagione riproduttiva
Come già sottolineato da diversi autori (Cramp, 1983; Del Hoyo et al., 1996; Malvaud, 1996; Vaughan & Vaughan 2005), il periodo di nidificazione dell’occhione è piuttosto ampio, includendo quasi interamente sia la stagione primaverile che quella estiva. I dati raccolti nella nostra area di studio mostrano chiaramente un picco di deposizione delle prime covate all’inizio di aprile, sebbene si possano registrare nuovi tentativi di nidificazione fino all’inizio di giugno, con un secondo picco verso la metà di maggio. Questo andamento temporale risulta sostanzialmente anticipato rispetto a quello riportato per l’Inghilterra (Nethersole-Thompon & Nethersole-Thompon, 1986; Bealey et al., 1999; Green et al., 2000; Vaughan & Vaughan 2005), per la Repubblica Ceca (Vaughan & Vaughan 2005) e, almeno in parte, per la Spagna (Barros & De Juana, 1997), mentre si dimostra confrontabile con i dati relativi alla Francia ed al Portogallo, in cui una percentuale rilevante di covate viene deposta alla fine di marzo (Malvaud, 1996; Vaughan & Vaughan 2005). Per quel che riguarda l’Italia, com’è già stato evidenziato nell’Introduzione, la fenologia della riproduzione della specie non è conosciuta in dettaglio, ma alcune note relative al Lazio e alla Toscana (Meschini & Fraschetti, 1989) e all’Emilia Romagna (Brandolini, 1950; Tornielli di Crestvolant, 1991) si dimostrano in linea con quanto da noi riportato. È opportuno sottolineare che, in pratica, tutti i
dati riportati in letteratura sono stati raccolti su individui non marcati (ma si veda Green et al., 2000), e quindi senza la possibilità di distinguere con relativa certezza le prime covate da quelle di sostituzione oppure dalle seconde covate. Questo problema è rilevato da diversi autori (ad es. Malvaud, 1996; Barros & De Juana, 1997), al punto che Bealey et al. (1999) considerano solo la distribuzione delle deposizioni entro il 30 aprile nella stima della data media di deposizione delle prime covate, assumendo che questa strategia rimuova gran parte delle covate di rimpiazzo. Ipotizzando che le linee generali dell’andamento delle deposizioni illustrate nella Fig. 3.5 possano essere almeno parzialmente estese ad altre zone dell’areale, risulta evidente che il limite considerato da Bealey et al. (1999) porti ad eliminare una frazione anche consistente di prime covate deposte in maggio, anticipando quindi in maniera significativa la stima del picco di deposizione delle prime covate.
Il numero di sostituzioni rilevato nella nostra area di studio è piuttosto elevato (ca. il 34% delle covate totali individuate e per le quali è stato possibile stabilire la tipologia) ed evidenzia, da un lato, la percentuale consistente di fallimenti (vedi oltre) e, dall’altro, la relativa facilità con cui la specie può deporre covate di rimpiazzo (fino ad un massimo di 3 nel nostro caso, come anche riportato da Green 1988). Questa caratteristica della specie è già stata evidenziata in letteratura (Glue & Morgan, 1974; Cramp, 1983; Malvaud, 1996; Barros & De Juana, 1997; Nethersole-Thompon & Nethersole-Thompon, 1986; Vaughan &
Vaughan 2005), sebbene nessun lavoro riporti stime quantitative del fenomeno, vista la sostanziale assenza di studi su larga scala basati sulla marcatura individuale degli occhioni.
Considerazioni analoghe possono essere proposte per quel che riguarda le seconde covate, per le quali esistono in letteratura soprattutto notizie di carattere aneddotico (Cramp, 1983; Nethersole-Thompon & Nethersole-Thompon, 1986; Malvaud, 1996; Green et al., 2000; Vaughan & Vaughan 2005), che, comunque, ne sottolineano la scarsa frequenza, anche se Geroudet (1982) le considera sostanzialmente diffuse nelle zone mediterranee, a differenza di quelle centro europee. I dati qui riportati non sembrano confermare questa tendenza, poichè le seconde covate costituiscono solo ca. il 4% del totale di quelle individuate. Questa proporzione differisce marcatamente dalle poche stime riportate sia a livello europeo (10-20% per la Francia, Malvaud, 1996) che italiano (in media 10 covate annue all’interno del Parco del Taro; Ravasini, 1995). Le ragioni di questa differenza possono essere molteplici, ma sicuramente gli aspetti metodologici debbono essere presi in considerazione in maniera adeguata. È opportuno ricordare, infatti, che, considerata la sovrapposizione temporale tra prime covate tardive, covate di sostituzione e vere seconde covate, è probabile che la frequenza di queste ultime sia stata sovrastimata in letteratura in assenza di riconoscimento individuale degli animali nidificanti. A questo si deve aggiungere però che nella nostra area di studio diviene sempre più complicato individuare i siti di nidificazione con il
procedere della stagione, poiché si verifica un significativo aumento della copertura vegetale, e questo potrebbe rendere conto di una possibile sottostima nei dati qui presentati.
4.3 Dimensione della covata
La famiglia dei Burhinidae, ad eccezione di Esacus magnirostris che normalmente depone un solo uovo, si caratterizza per una dimensione della covata di due uova (Del Hoyo et al., 1996). I nostri dati confermano che la covata composta di due uova rappresenta il caso decisamente più frequente, tanto che la proporzione di covate da un solo uovo risulta estremamente ridotta (ca. il 10%, pari a una dimensione media della covata di 1.9 uova ± 0.31 DS). Questi dati sono sostanzialmente comparabili con quanto riportato in letteratura per varie aree di nidificazione nella specie (Glue & Morgan, 1974; Cramp, 1983; Nethersole-Thompon & Nethersole-Thompon, 1986; Urban et al., 1986; Solis & De Lope, 1995; Malvaud 1996; Barros & De Juana, 1997; Vaughan & Vaughan 2005). La sostanziale omogeneità della dimensione della covata in aree anche piuttosto lontane tra loro mostra come questo carattere sia estremamente conservativo a livello di popolazioni differenti. Questo dato si accompagna ad un investimento parentale nella covata relativamente ridotto (il peso delle uova all’interno di una covata risulta essere ca. il 19% di quello della femmina), specie se confrontato con quello di altre specie filogeneticamente vicine (si veda Nethersole-Thompon & Nethersole-Thompon, 1986). Sembra quindi evidente che la strategia di riproduzione della specie sia legata ad una serie di tentativi di nidificazione relativamente poco costosi (in termini di produzione delle uova)
nel corso della medesima stagione. È significativo osservare che questo tipo di strategia sia evidente anche in altre specie con uno scarso investimento nella covata, come ad esempio la beccaccia di mare europea, Haematopus ostralegus, e americana,
Haematopus palliatus (Nol et al., 1984; Jager et al., 2000), dove
però la dimensione della covata tende a ridursi in maniera evidente in successivi tentativi di nidificazione (Nol et al., 1984). Nel caso dell’occhione nella nostra area di studio, la dimensione della covata non sembra invece diminuire né col procedere della stagione riproduttiva, né in relazione ai tentativi successivi di nidificazione di una medesima femmina. La notevole stabilità della dimensione della covata è comunque ulteriormente confermata dall’assenza di covate da tre uova o quattro, che pure sono state riportate, sebbene con frequenza ridotta, per l’Inghilterra, la Francia, la Polonia, e l’Olanda (Glue & Morgan, 1974; Cramp, 1983; Nethersole-Thompon & Nethersole- Thompon, 1986; Malvaud, 1996; Vaughan & Vaughan 2005). Questo dato appare significativo sia in considerazione dell’elevato campione di nidi visitati, sia perché conferma pienamente quanto indicato in Ravasini (1994, 1995) per la medesima area di studio in anni precedenti.