• Non ci sono risultati.

Aspetti della biologia riproduttiva della popolazione di occhione (<I>Burhinus oedicnemus</I>) nidificante nel Parco Fluviale Regionale del Taro

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Aspetti della biologia riproduttiva della popolazione di occhione (<I>Burhinus oedicnemus</I>) nidificante nel Parco Fluviale Regionale del Taro"

Copied!
102
0
0

Testo completo

(1)UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTÁ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI. CORSO DI LAUREA IN SCIENZE BIOLOGICHE TESI DI LAUREA Aspetti della biologia riproduttiva della popolazione di occhione (Burhinus oedicnemus) nidificante nel Parco Fluviale Regionale del Taro. RELATORI: Dott. Dimitri Giunchi. Prof. Natale Emilio Baldaccini. CANDIDATO: Francesco Carpita. Anno accademico 2005-2006.

(2) Indice Riassunto………………………………………………………...3 1. Introduzione ........................................................................... 5. 2. Materiali e metodi ................................................................ 13 2.1. Posizione sistematica .................................................... 13. 2.2 Habitat............................................................................... 16 2.3 Distribuzione e fenologia.................................................. 17 2.4 Predatori e strategie antipredatorie ................................... 19 2.5 Biologia riproduttiva......................................................... 21 2.6 Inquadramento geografico e geomorfologico................... 24 2.7 Copertura vegetazionale.................................................... 26 2.8 Periodo di monitoraggio e localizzazione dei siti di nidificazione............................................................................ 31 2.9 Determinazione della data di deposizione ........................ 33 2.10 Stima della data di deposizione tramite la misura della densità delle uova.................................................................... 35 2.11 Sopravvivenza della covata ............................................ 40 3. Risultati ................................................................................ 45 3.1Stima della data di schiusa................................................. 45 3.2 Andamento delle deposizioni............................................ 53 3.3 Dimensione della covata................................................... 56 3.4 Dimensione delle uova...................................................... 58 3.5 Sopravvivenza della covata .............................................. 61. 1.

(3) 4. Discussione .......................................................................... 67 4.1 Stima della data di schiusa................................................ 67 4.2 Stagione riproduttiva......................................................... 70 4.3 Dimensione della covata................................................... 74 4.4Dimensioni delle uova ....................................................... 76 4.5 Sopravvivenza della covata .............................................. 80. 5. Bibliografia .......................................................................... 87. Ringraziamenti………………………………………………..100. 2.

(4) Riassunto L’occhione (Burhinus oedicnemus) è incluso nella lista delle specie d’interesse conservazionistico europeo (Allegato 1 della Direttiva “Uccelli” 79/409/CEE) a causa dell’evidente e generalizzato declino numerico, iniziato già a partire dalla seconda metà del XIX sec. e successivamente divenuto più pronunciato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questo andamento negativo si è evidenziato anche nel territorio italiano, dove la sostanziale riduzione e frammentazione degli habitat idonei per la nidificazione ha portato la specie ad essere inclusa come “in pericolo” all’interno della “Lista Rossa degli Uccelli Nidificanti in Italia”. A fronte di un tale stato di conservazione tutt’altro che favorevole, la disponibilità di informazioni dettagliate sulla biologia dell’occhione è sostanzialmente lacunosa, in parte a causa delle sue abitudini elusive e prevalentemente notturne. Queste informazioni sono tuttavia da considerare indispensabili al fine di mettere in atto adeguati piani di gestione della specie. Lo scopo di questa tesi è stato quello di indagare alcuni aspetti della biologia riproduttiva dell’occhione all’interno del territorio del Parco Fluviale Regionale del Taro (PR), ove nidifica una delle popolazioni più consistenti di questa specie nell’Italia continentale. A tal fine, nel periodo 2000-2004, è stato compiuto un monitoraggio intensivo dei siti di nidificazione, raccogliendo dati concernenti la fenologia della riproduzione, la dimensione delle uova e delle covate, ed il successo di schiusa.. 3.

(5) Nel complesso, la stagione riproduttiva dell’occhione nel Parco del Taro si è rivelata molto lunga. La deposizione delle uova è iniziata nei primi giorni di aprile, mentre le ultime covate rinvenute erano state deposte in agosto. La gran parte delle covate era composta di due uova, con una bassissima frequenza di covate di un solo uovo. La dimensione delle due uova è risultata molto omogenea, specialmente se confrontata con la variabilità esistente a livello di covate differenti. Questa dimensione tendeva però a diminuire in maniera rilevabile sia col procedere della stagione che in covate successive della medesima coppia (seconde covate e covate di sostituzione). Il successo di schiusa. si. è. rivelato. sostanzialmente. disomogeneo. sia. considerando anni differenti, sia periodi diversi della medesima stagione riproduttiva. In generale si è dimostrato un significativo tasso. di. fallimenti. durante. l’incubazione,. probabilmente. imputabili ad eventi di predazione. Nel complesso i dati raccolti permettono di delineare un quadro sufficientemente rappresentativo della biologia riproduttiva dell’occhione in ambiente fluviale e costituiscono una delle pochissime indagini sul successo riproduttivo della specie condotte a livello europeo con metodologie standardizzate.. 4.

(6) 1 Introduzione La parola biodiversità è usata nel linguaggio comune per definire la varietà delle forme viventi presenti sulla Terra (Wilson, 1999). Più correttamente essa può essere applicata sia a livello ecologico, per evidenziare le differenze di habitat ed ambienti, che a livello intraspecifico per descrivere quindi il risultato del progetto biologico presente nel patrimonio genetico di una specie ed il suo realizzarsi fenotipicamente, all’interno dell’ ambiente di adattamento. Con biodiversità si intendono dunque le sorgenti di diversità. organica. e. suborganica. nonché. ecologica. e. paesaggistica (biomi). La realtà biologica ci insegna che ogni ambiente ospita una serie più o meno numerosa di forme viventi diverse a seconda delle caratteristiche storiche e climatiche della regione considerata (Dallai, 2005). Sebbene sia difficile stimare le conseguenze della perdita di una specie, molte indicano che al declinare della diversità biologica si riduce costantemente la funzionalità dell’ecosistema (Lawton & Brown, 1994), diversi componenti di un ecosistema infatti, interagiscono fra di loro e con l’ambiente non vivente. Viene da chiedersi perché preoccuparsi oggi della progressiva diminuzione di biodiversità se già nel lontano passato vi sono state estinzioni di interi gruppi animali.. 5.

(7) Da studi paleontologici delle faune del passato si evince che la diversità biologica è andata sempre crescendo nonostante vi siano state ben 6 estinzioni di massa. Di queste quella del Cretaceo è certamente la più nota poiché portò alla scomparsa di tutti i dinosauri, evento che liberò molte nicchie ecologiche che presto furono occupate dai mammiferi. All’estinzione del Cretaceo, come del resto in quelle precedenti, segui quindi una grande radiazione delle faune residue, ciò ci ha portato ad avere oggi circa 40 phyla viventi contro gli 11 del Cambriano. Dunque nessun phylum è scomparso ma anzi i tipi animali sono aumentati (Dallai , 2005). La risposta alla domanda perché preoccuparsi della riduzione della biodiversità, va però ricercata nella durata dei processi evolutivi. Le estinzioni di massa che si verificarono nel passato avvennero così lentamente da permettere a nuove forme di vita di affermarsi attraverso adattamenti a un mondo in continua trasformazione. A partire da quando i primi Homo sapiens fecero la loro comparsa, la biodiversità è progressivamente diminuita: prima attraverso la caccia e successivamente a causa delle attività umane connesse ad un nuovo tipo di vita non più basato sulla raccolta di prodotti spontanei ma affidato alla coltivazione di piante e all’allevamento di animali. In tempi più recenti, il fenomeno della riduzione della biodiversità si è accentuato per un concorso di cause: l’avvento dei processi di industrializzazione, la scomparsa di foreste e la. 6.

(8) messa a cultura di molte terre per far fronte alle maggiori richieste. di. cibo. dovute. all’aumento. vertiginoso. della. popolazione. La tendenza dell’uomo a modificare l’ambiente che lo circonda per trarne maggiori benefici ha provocato quindi una brusca accelerazione dei tassi di estinzione di molte specie che non consentono il realizzarsi di un evoluzione naturale. In altre parole, un estinzione così rapida non può esser bilanciata dalla speciazione, un processo che normalmente prevede tempi assai più lunghi, dell’ordine di 2000-100.000 generazioni e che permette,. quando. le. circostanze. sono. favorevoli,. una. diversificazione evolutiva e ossia l’aumento del numero di specie (Dallai R., 2005). Quindi la biodiversità è di importanza fondamentale poiché dalla sua conservazione dipende il mantenimento dell’equilibrio ecologico del Pianeta. L’idea di conservazione è più antica di quanto non si creda, si è sviluppata più di mille anni fa in forme differenti e in varie parti del mondo. Storicamente questa era focalizzata su specie importanti per la caccia, per l’attrattiva che suscitavano o per altre forme di guadagno che potevano generare. Poi l’aumento di interesse per aree incontaminate e la costituzione di parchi nazionali ha enfatizzato l’idea di preservare il paesaggio; solo recentemente è stata data importanza alla conservazione dell’intero ecosistema e di tutte le specie in esso contenute.. 7.

(9) Trovare quindi una definizione di conservazione che metta tutti d’accordo è arduo; nella World Conservation Strategy del 1980 questa viene definita come: la gestione dell’uso, da parte dell’uomo, della biosfera affinché possa rendere i migliori benefici sostenibili per la generazione del presente e soprattutto, affinché questo potenziale sia mantenuto per i bisogni e le aspirazioni delle generazioni future (Hamber, 2004). Sebbene questo argomento desti un grande interesse di pubblico un po’ in tutto il mondo, le risorse investite per la tutela dell’ambiente sono generalmente minori rispetto a quelle necessarie, ciò è dovuto anche al fatto che esistono altre fonti di guadagno in grado di garantire introiti maggiori più a breve termine. C’è quindi il rischio che la decisione su come investire i fondi destinati a fini conservazionistici sia soggettiva e che l’importanza attribuita a una specie o a un habitat dipenda da chi compie la valutazione. Affinché le risorse vengano investite nel miglior modo possibile è. perciò. necessario. destinare. una. parte. di. queste. all’arricchimento delle conoscenze su ciò che si intende preservare. La conservazione richiede pertanto soldi da investire per la ricerca, il monitoraggio, la gestione, la sensibilizzazione e per la compensazione.. 8.

(10) É di fondamentale importanza capire quali sono le specie e gli habitat a cui va data la priorità quando si decide di investire nella conservazione (Hamber, 2004). Alcuni dei parametri su cui si basano queste scelte possono essere: il rischio d’estinzione di una determinata specie o di una particolare popolazione, un basso tasso riproduttivo, la grande influenza che alcuni organismi hanno sull’intero ecosistema (le così dette specie-chiave), o magari l’esser una specie con esigenze ecologiche maggiori rispetto ad altre e che di conseguenza è la prima a divenir rara e a scomparire quando l’habitat subisce delle alterazioni (una così detta specie ombrello). La domanda principale che dobbiamo porci a questo punto è: come conservare la biodiversità in modo compatibile con lo sviluppo della nostra società? Dare una risposta a questa domanda è tanto importante quanto difficile poiché i vari habitat sono sempre più frammentati e le popolazioni di varie specie sono sempre più isolate. L’isolamento ha portato sempre di più alla suddivisione delle popolazioni in varie sottopopolazioni normalmente definite con il termine di metapopolazioni (Massa & Ingegnoli, 1999), in collegamento tra loro per fenomeni di vagilità dei soggetti (emigrazione, irradiamento, dispersione). In questi casi, nell’ambito dei vari frammenti dell’areale, è possibile individuare zone definite come “sorgenti” in cui l’habitat è ottimale e la sottopopolazione residente riesce a riprodursi con sufficiente successo da. 9.

(11) aumentare numericamente; altre zone sono invece definite “gorghi”, in queste l’habitat è subottimale e la natalità non compensa la mortalità. Affinché si mantengano le popolazioni nei gorghi è necessario che la natalità nelle sorgenti sia elevata e, che si verifichino flussi popolazionistici attraverso i cosi detti “corridoi faunistici” che collegano le varie subpopolazioni. Il successo riproduttivo degli habitat ottimali influenza pertanto la presenza di una specie negli habitat subottimali che, in certi casi, assumono la funzione di sistema tampone: se si verificano delle alterazioni negative nell’ambiente per specie in questione, queste zone sono le prime a essere abbandonate; se la situazione migliora saranno le ultime ad esser ricolonizzate. Quando si deve lavorare a un piano di conservazione è necessario dunque conoscere parametri demografici fondamentali come natalità, mortalità,. immigrazione. e. emigrazione. di. ciascuna. sottopopolazione per una determinata specie (Massa & Ingegnoli, 1999;Perrins et al. 1991). Questo tipo di conoscenza ci permette di indirizzare le risorse destinate verso le zone che hanno un’importanza fondamentale (ossia sorgenti) che vanno necessariamente tutelate se si intende mantenere quella specie in quel territorio. Gli uccelli sono uno dei gruppi di animali certamente più studiati e meglio conosciuti, questo perché probabilmente inspirano un interesse maggiore rispetto ad altri animali: sono infatti spettacolari e relativamente facili da osservare. Avendo ricevuto grande attenzione sia dalla comunità scientifica che dalla grande. 10.

(12) schiera di appassionati, i volatili ci hanno aiutato a documentare gli effetti dell’interferenza antropica sulla biodiversità. Queste conoscenze ci permettono quindi di usare gli uccelli come bioindicatori in modo più efficace rispetto ad altri gruppi di animali molto meno studiati (Furness & Greenwood, 1993). Non tutte le specie di uccelli però hanno ricevuto la medesima attenzione: esistono specie che per le loro caratteristiche biologiche e comportamentali non sono facili da osservare e per le quali occorre compiere ancora studi approfonditi. L’argomento da noi affrontato riguarda appunto una specie poco studiata. e. con. grossi. problemi. dal. punto. di. vista. conservazionistico: l’occhione (Burhinus oedicnemus). L’occhione è specie di elevato interesse conservazionistico a causa dell’evidente e generalizzato declino numerico delle sue popolazioni. È infatti presente negli allegati di molte convenzioni internazionali per la salvaguardia delle specie ed in particolare nell’allegato 1 della Direttiva “Uccelli” 79/409/CEE; è inoltre classificato come SPEC3 (BirdLife, 2004). L’andamento negativo dovuto alla riduzione e alla frammentazione degli habitat idonei per la nidificazione ha portato la specie ad essere inclusa come “in pericolo” all’interno della “Lista Rossa degli Uccelli Nidificanti in Italia” (Bulgarini et al., 1998). La disponibilità di informazioni dettagliate sulla biologia di questo animale è sostanzialmente lacunosa, in parte a causa delle sue abitudini elusive e prevalentemente notturne. Il nostro lavoro si e quindi concentrato in particolar modo su alcuni aspetti della. 11.

(13) biologia riproduttiva che è una componente essenziale da approfondire per poter mettere in atto adeguati piani di conservazione per questa specie.. 12.

(14) 2 Materiali e metodi 2.1 Posizione sistematica L'occhione Burhinus oedicnemus (Linnaeus, 1758) appartiene all’ordine dei Charadriiformes sottordine dei Charadrii, famiglia Burhinidae che raggruppa un ristretto numero (9 specie in tutto) di limicoli, di taglia media. Questi sono caratterizzati da zampe lunghe e piumaggio mimetico e frequentano generalmente gli ambienti aperti, aridi o semi-aridi, di tutte le regioni biogeografìche ad eccezione dell'Antartide, sebbene si possano trovare soprattutto nelle aree tropicali del Vecchio Mondo (Del Hoyo et al., 1996). Nonostante in passato la Famiglia Burhinidae sia stata inclusa nell'Ordine Gruiformes, a causa delle somiglianze morfologiche con gli Otitidae (otarde), attualmente un numero sostanziale di caratteri scheletrici, biochimici e parassitologici inducono a considerarli membri dell'Ordine Charadriiformes. La loro posizione all'interno di questo gruppo non è comunque chiara. I Burinidi presentano molte differenze rispetto agli altri membri di questo taxon. mentre invece mostrano un numero significativo di similitudini morfologiche (soprattutto nelle strutture ossee post-craniche) con i membri più antichi dei Charadriiformes ritrovati nel tardo Cretaceo e all'inizio del Paleocene. Questa notevole somiglianza ha indotto a ritenere questo tipo di uccelli come uno dei pochi sopravvissuti alla crisi del. 13.

(15) Cretaceo, dai quali si ritiene sia partita la radiazione evolutiva che ha dato origine alle specie moderne (Feduccia, 1999). Recenti studi. biomolecolari. sembrano. indicare. che. le. Famiglie. Recurvirostridae (avocette) e Charadriidae (pivieri) siano le più vicini filogeneticamente ai Burhinidae (Del Hoyo et al., 1996). I generi riconosciuti all'interno della Famiglia sono attualmente due: a) Esacus, con due specie (E. recurvirostris ed E. magnirostris) presenti nell'Asia meridionale e nell'Australasia; b) Burhinus, con sei specie presenti esclusivamente in Africa (B. senegalensis, B. vermiculatus, e B. capensis), in Asia (B. oedicnemus) in Centroe Sud-America (B. bisatriatus e B. super ciliarìs), in Australia (B. grallarius), a cui si aggiunge B. oedicnemus, il cui areale si estende dal sud Inghilterra fino all'India, comprendendo anche le isole mediterranee e il nord Africa. Il becco è robusto e di forma conica, giallo con la punta nera; gli occhi gialli sono caratterizzati da una grande orbita scura che è contornata da un evidente sopracciglio e da una larga linea sulla guancia, entrambi bianchi (Cramp, 1983) Le zampe, gialle, sono lunghe e robuste e con l'articolazione tarsale notevolmente ingrossata. Il piumaggio è color sabbia con macchie e vermicolature che lo rendono particolarmente criptico e non presenta variabilità stagionale (fotografia 1).. 14.

(16) Fotografia 1 - Esemplare adulto di occhione.. Il dimorfismo sessuale è quasi nullo: la femmina è appena un po' più piccola e più scura del maschio, e con la testa più arrotondata, anche se questi particolari sono difficilmente valutabili sul campo e non sempre risultano significativi (Green & Bowden, 1986). Il giovane si differenzia dall'adulto per le bande poste sulla parte superiore dell'ala: la banda chiara è più larga e di colore bianco sporco, tendente al marrone chiaro, e non presenta al di sotto alcuna banda scura. Il sopracciglio bianco sopra l'occhio è generalmente assente e le copritrici auricolari sono bianche, mentre negli adulti sono marrone chiaro (Green & Bowden, 1986).. 15.

(17) 2.2 Habitat L'occhione predilige le regioni aride, steppiche e desertiche. Evita i climi freddi e ventosi e le latitudini più elevate, mentre sembra gradire la vicinanza di luoghi umidi e superfici d'acqua (Cramp, 1983). Frequenta prati, pascoli e in generale lande aperte, inclusi i terreni incolti, i greti sassosi dei fiumi, le dune e le zone costiere fino alle steppe a margine di deserti. Probabilmente a causa della recente riduzione e trasformazione dei siti di nidificazione abituali (Tucker & Heath, 1994), l'occhione si è adattato a nidificare in ambienti antropizzati come aree coltivate, aree dove la vegetazione è ampiamente spaziata oppure è mantenuta bassa (campi per le esercitazioni militari, campi da golf, ecc.), riserve di caccia, cave, piccoli appezzamenti, vigneti o giardini nelle vicinanze di villaggi e fattorie, dove non è disturbato (Cramp, 1983).. 16.

(18) 2.3 Distribuzione e fenologia La sottospecie B. oedicnemus, oggetto di questo studio, è presente in Europa orientale e occidentale. Complessivamente, penisola Iberica, Francia e Russia ospitano circa il 95% della popolazione europea (Hagemeijer e Blair, 1997). In Italia la presenza dell'occhione è piuttosto frammentaria e localizzata anche se la sua distribuzione non è ben conosciuta a causa delle abitudini schive e crepuscolari della specie (Meschini & Frugis, 1993; Bulgarini et al., 1998). Nell'Italia settentrionale è localizzato in alcuni greti fluviali della pianura padana centrooccidentale, nelle aree magredili e nei greti della pianura friulana. È scarsamente presente nell'Italia peninsulare, con una maggiore diffusione lungo il litorale tosco-laziale; in Puglia è presente nell'area del Gargano e sulle Murge mentre in Basilicata e Calabria è molto raro e localizzato. In Sicilia e in Sardegna risulta relativamente. ben. distribuito. (Meschini. &. Frugis. 1993).. Complessivamente la popolazione italiana è stata stimata agli inizi degli anni '90 attorno alle 200-500 coppie in leggero decremento (Snow & Perrins, 1998). Nella provincia di Parma si ritrova nelle aree di greto fluviale, nelle praterie xerofile delle golene e nei coltivi attigui. Nel 1995 è stata stimata una popolazione di 63 coppie nidificanti distribuite in alcuni tratti del fiume Taro, dei torrenti Enza, Baganza, Parma e Ceno e in un isola sabbiosa del fiume Po (Ravasini 1995). Per quel che riguarda la fenologia, le popolazioni dell'Europa settentrionale ed orientale e della Siberia. 17.

(19) occidentale sono principalmente migratrici, mentre nei Paesi meridionali la specie può essere residente o migratrice parziale con corti movimenti stagionali. I principali quartieri di svernamento dell'Africa. sono. localizzati. (Marocco,. Algeria,. nella. parte. Egitto),. settentrionale. sebbene. alcuni. occhioni si fermino in Spagna e Francia meridionale in siti già utilizzati da popolazioni residenti (Cramp, 1983). In Italia lo svernamento è stato accertato in Sardegna, Sicilia, Puglia, Campania, Calabria, Lombardia, e Toscana (Meschini, 1991).. 18.

(20) 2.4 Predatori e strategie antipredatorie I predatori principali sono rappresentati da cornacchie e corvidi in generale, che si nutrono di uova e pulcini (fotografia 2 e 3). Inoltre le volpi, i mustelidi in genere, e i cani randagi possono costituire un pericolo sia per le uova e i pulcini sia per gli adulti. II sistema di difesa dai predatori degli adulti è in generale passivo e consiste quindi nella fuga sia attraverso la corsa che il volo. Per quanto riguarda la difesa del nido, durante il periodo di incubazione i membri della coppia si mantengono in contatto vocale e l'individuo di guardia avverte rapidamente il partner del pericolo. Al primo segnale di disturbo, il genitore in cova si alza dal nido e si allontana furtivo il più possibile per poi alzarsi in volo lontano dal nido, rendendo così più difficile la localizzazione delle uova (Morgan in Cramp, 1983;). Display aggressivi, normalmente rari, possono essere rivolti a cornacchie fagiani, taccole ed altri uccelli di taglia simile, che non sempre vengono tollerati nelle vicinanze del nido (Robertson, 1954 in Cramp, 1983).. 19.

(21) Fotografia 2 - Esemplare adulto in prossimità del nido che si accinge a covare.. Fotografia 3 – Resti di uovo predato .. 20.

(22) 2.5 Biologia riproduttiva L'occhione è l'unico rappresentante della famiglia dei Burhinidae nella regione Paleartica; questo elemento comporta un'unica stagione riproduttiva confinata in un breve periodo in confronto alle altre specie, essenzialmente tropicali, che possono contare su un periodo più lungo (Del Hoyo et al., 1996). La stagione riproduttiva inizia con l'arrivo delle coppie ai siti di nidificazione; in generale sembra che il maschio preceda la femmina ed inizi ad occupare un territorio di nidificazione. Di solito gli occhioni si dimostrano fedeli al sito di nidificazione, a meno di consistenti cambiamenti ambientali. La specie è essenzialmente monogama. La gran parte degli individui sembra riprodursi per la prima volta a 1-2 anni di età (Green & Griffiths, 1994), sebbene esista una certa frazione di animali di un anno che può tornare nei luoghi di nascita, senza però accoppiarsi (Cramp, 1983). Il nido è costituito da una semplice depressione sostanzialmente nuda, oppure arricchita con qualche rametto o con piccoli sassi (fotografia 4), il cui numero tende ad aumentare con il procedere della cova (Cramp, 1983). Il diametro è di 16-22 cm con profondità di 5-7 cm. La densità dei siti di nidificazione si aggira attorno a 1 coppia/km2, sebbene in condizioni di habitat più favorevoli la densità possa aumentare consistentemente: ad esempio 11 coppie/4 km (Inghilterra), 7080 coppie/60 km2 (Francia) (Cramp, 1983).. 21.

(23) Le uova sono deposte tra gli 11 ed i 48 giorni dopo l'arrivo nei quartieri riproduttivi (Nethersole-Thompson & NethersoleThompson, 1986). Normalmente la covata è composta da due uova di colore grigio-marroncino, con numerose chiazze o vermicolature scure che le rendono fortemente criptiche (Solis & De Lope, 1995).. Fotografia 4 – Nido di occhione.. La cova inizia dopo la deposizione del secondo uovo (Cramp, 1983). Il periodo di cova è compreso tra i 24 ed i 27 giorni. Alla cura delle uova partecipano entrambi i genitori con cambio al nido ca. ogni 2-3 ore. Escludendo i casi di disturbo dovuto a predazione, le uova vengono lasciate incustodite solo per un periodo compreso tra l'1.5% ed il 9% delle ore diurne (Karavaev,. 22.

(24) 1998). La schiusa dura dalle 14 alle 41 ore (Glue & Morgan, 1974). I pulcini sono precoci e si possono allontanare dal nido già dopo poche ore dalla nascita (Cramp, 1983). Il loro peso si aggira attorno ai 40 g a cinque giorni dalla nascita (NethersoleThompson & Nethersole-Thompson, 1986). Il colore del dorso è marrone chiaro e grigio con striature nere lungo tutto il corpo, mentre le zampe e il becco sono di colore grigio chiaro. L'involo avviene dopo 36-40 giorni (Cramp, 1983).. 23.

(25) 2.6 Inquadramento geografico e geomorfologico II Parco Fluviale Regionale del Taro si estende per circa 20 km, dal ponte stradale di Fornovo (130 m s.l.m.) a quello di Pontetaro (56 m s.l.m.), con una larghezza media di 1.5 km. Ad Ovest è delimitato quasi interamente dall'autostrada Parma-La Spezia e a sud-est dalla linea ferroviaria Parma-La Spezia e da altre strade secondarie. La superficie del parco è di circa 2500 ha, suddivisa fra i comuni di Fornovo, Collecchio, Medesano, Noceto e Parma (cartina 1). Il fiume Taro è uno dei più importanti affluenti del Po. Ha origine dal Monte Penna (1735 m) sul versante Nord dello spartiacque che separa la provincia di Parma da quelle dì Piacenza e Genova. Il corso principale del fiume si sviluppa con direzione SW-NE, fino allo sbocco di pianura (località Fornovo Taro). Qui da luogo ad un'ampia conoide, ovverosia un corpo sedimentario che si forma lungo un corso d'acqua al passaggio tra la regione montuosa e la pianura caratterizzato in genere da una morfologia superficiale convessa, rialzata rispetto alle zone circostanti e simile nella forma a un tronco di cono. Le caratteristiche morfologiche, idrologiche e dinamiche del fiume sono quelle di un corso d'acqua a carattere torrentizio il cui regime di portata varia nelle diverse stagioni dell'anno. Sopra la conoide si snodano numerosi rami d'acqua che formano canali intrecciati separati da numerosi ciottoli che emergono dall'acqua come isolotti a formare le cosiddette barre fluviali. I. 24.

(26) canali intrecciati, detti anche anastomizzati o "braided", devono la loro origine all'abbondante carico di fondo trasportato dalla forza delle acque sino alle zone più prossime alla pianura (Centro Villa Ghigi, 1994). I depositi attuali dell'alveo sono costituiti da ciottoli e ghiaie misti a sabbie. Le dimensioni del materiale diminuiscono progressivamente da monte verso valle come conseguenza della graduale perdita di energia delle acque (Centro Villa Ghigi, 1994). I suoli della conoide del Taro sono costituiti principalmente da sabbia e ghiaie con elevata permeabilità e localmente, da lenti argillose impermeabili che danno luogo a fenomeni di ristagno idrico (fotografia 5). Dal punto di vista climatico l'area è caratterizzata da un clima sublitoraneo padano, con bassa piovosità nei mesi estivi e invernali.. Fotografia 5 – Veduta aerea di un tratto del fiume Taro.. 25.

(27) Cartina 1 – Parco Regionale Fluviale del Taro.. 26.

(28) 2.7 Copertura vegetazionale La vegetazione del Parco Fluviale Regionale del Taro è stata analizzata in dettaglio attraverso una metodologia di tipo fitosociologico da Biondi et al. (1997). In questo lavoro le associazioni vegetali vengono raggruppate sulla base delle principali tipologie ambientali: Nelle acque più o meno profonde risulta essere molto frequente la vegetazione di idrofile sommerse costituita da varie specie del genere. Potamogeton,. che. vanno. a. costituire. fitocenosi. generalmente monospecifiche talvolta compenetrate tra loro. Nelle anse del fiume e nei laghi di cava si rinviene anche la vegetazione dominata da Chara hispida. Nelle acque poco profonde le formazioni di elofite di gran taglia che si sviluppano nei canali laterali interessati dalle piene o sulle sponde del corso d'acqua principale vengono riferite all'associazione Typho angustifoliae-Schoenoplectetum. tabernaemontani,. che. si. presenta con una discreta diffusione nel bacino del Taro. Nei canali d'irrigazione è frequente l'associazione Spraganietum erecti, spesso in continuità con piccoli nuclei di vegetazione riferiti all'associazione Caricetum acutiformis delle zone di sponda nella quale penetrano talvolta specie provenienti dai campi circostanti. Sul greto fluviale, su substrati limoso-ciottolosi, fortemente nitrificati dal deposito di materiali organici trasportati dalle acque, si sviluppa l'associazione Polygono-Xanthietum italici. Alle specie dominanti, si associano numerose terofite nitrofile. 27.

(29) della classe Stellarietea mediae, provenienti dai campi e dagli ambienti ruderali. In alcuni tratti del fiume, su materiale grossolano, povero di resti limosi è presente la variante a Diplotaxis tenuifolia e. Reseda lutea che. rappresenta. l'evoluzione della fitocenosi verso formazioni perenni. Nelle zone leggermente più elevate del letto fluviale, sulle ghiaie e i ciottoli frammisti a sabbia, è presente sporadicamente l'associazione Epilobio dodonaei-Scophularietum caninae, che appare molto evidente nel periodo tardo estivo per le vistose fioriture di Epilobio dodonaei. Nelle depressioni laterali del fiume con acque stagnanti durante la stagione invernale, su substrati argilloso-limosi o al margine di profondi canali laterali del fiume si sviluppano le formazioni dominate da Lythrum salicaria, che formano cinture di vegetazione profonde circa 1-2 m. Sui substrati argilloso-limosi degli isolotti e barre fluviali o dei terrazzi, dove si trovano depressioni che permettono il ristagno d'acqua è presente l'associazione Loto tenuis-Agropyretum repentis. Sui greti fluviali soggetti solo occasionalmente alle piene, su suoli umidi e freschi, si rinvengono fitocenosi erbacee dense dominate da Solidago gigantea. Sugli isolotti fluviali si sviluppano formazioni pioniere di salici arbustivi delle associazioni Salicetum incano-purpureae. e,. meno. frequentemente,. Salicetum. triandrae. Ai lati del letto di magra, dove si ha scorrimento di acqua per tutto l'anno, e nei canali, su substrati limosi è sporadicamente rinvenibile l'associazione Salicetum albae.. 28.

(30) I substrati ciottolosi frammisti a sabbie ed argille compatte dei primi terrazzi che affiancano il letto ordinario del fiume, invasi saltuariamente dalle acque, sono colonizzati da formazioni pioniere di vegetazione termo-xerofila riferibile all'associazione Astragalo. onobrychis-Artemisietum. albae.. Sui. terrazzi. leggermente più elevati, in aree interessate da una maggiore presenza di suolo con buona componente argillosa, si sviluppano formazioni di prateria continua dell'associazione Centaureo aplolepae-Brometum erecti. Sui terrazzi recenti, accanto al letto ordinario del fiume, in zone che possono presentare acqua stagnante durante il periodo invernale, l'abbandono recente delle pratiche colturali ha favorito lo sviluppo di formazioni dense, fisionomicamente caratterizzate dalla presenza di Cynodon dactylon, Dactylis glomerata e da Erigeron annuus. Su depositi sabbioso-limosi in situazioni stabili non soggette a piene frequenti si sviluppano formazioni forestali ad Alnus glutinosa che vengono attribuite all'associazione Aro italici-Alnetum glutinosae. La ricostituzione delle cenosi boschive della serie delle formazioni ad ontano è caratterizzata da un pre-bosco attribuito all'associazione Frangulo alni-Prunetum avium. Il mantello. di. vegetazione. delle. ontanete,. su. substrato. ciottoloso-ghiaioso, è costituito da formazioni arbustive a dominanza. di. Hippophae. rhamnoides. subsp.. fluviatilis. dell'associazione Spartio juncei-Hippophaetum fluviatilis subass. salicetosum eleagni. Hippophae rhamnoides è inoltre specie pioniera che, partendo dal mantello di vegetazione, si espande a. 29.

(31) colonizzare le garighe dell'associazione Astragalo onobrychisArtemisietum albae, dando origine ad arbusteti che vengono riferiti alla subass. coriarietosum. La vegetazione ruderale e antropogena presente a margine dei boschi ripariali, in prossimità dei sentieri e come infestante nelle culture agricole, è riconducibile alle classi Artemisietea vulgaris, Stellarietea mediae e Sedo-Scleranthetea.. 30.

(32) 2.8 Periodo di monitoraggio e localizzazione dei siti di nidificazione I dati sono stati raccolti negli anni 2000, 2001, 2004 e 2005. Dalla fine di marzo alla fine di agosto sono state condotte ricerche scrupolose all’interno dell’area di studio al fine di individuare i nidi di occhione presenti. I rilievi sono stati effettuati principalmente durante le prime e le ultime ore di luce della giornata, quando l’occhione mostra picchi di attività diurna ed inoltre quando il riverbero, determinato dal riscaldamento dei ciottoli del greto, è minore. I siti di nidificazione sono stati individuati attraverso osservazioni condotte con due cannocchiali (20×-60×) da punti situati (dove possibile) vicino o tra la vegetazione delle ripe fluviali, al fine di ridurre al minimo il disturbo agli animali. Una volta individuati, i nidi sono stati direttamente visitati e la loro localizzazione è stata determinata sfruttando foto aeree aggiornate (voli del 1999 e 2000) e, a partire dal 2001,con un GPS (Garmin GPS 12CX). Nella maggioranza dei casi, l’identità di almeno uno degli animali della coppia è stata attribuita sfruttando l’intensa attività di marcatura degli individui adulti con anelli colorati, iniziata a partire dal 1998 (si veda Pollonara et al., 2001). Il monitoraggio ripetuto nelle medesime aree, nonché la presenza di individui marcati, ha permesso di distinguere i primi tentativi di nidificazione dalle seconde covate oppure dalle covate di sostituzione. Sulla base di quanto riportato in letteratura (Cramp, 1983; del Hoyo et al.,. 31.

(33) 1996; Pollonara, 1999) e di osservazioni personali su coppie composte da animali entrambi marcati con contrassegni colorati, si è assunto che le coppie nidificanti fossero stabili durante l’intera stagione riproduttiva e cioè che ad ogni individuo marcato corrispondesse il medesimo partner nel corso dei vari tentativi di nidificazione osservati. Oltre alla loro localizzazione, nel 2004 e 2005 i siti di nidificazione sono stati anche caratterizzati da un punto di vista ambientale. allo. scopo. di. valutare. il. possibile. effetto. dell’ambiente di nidificazione sul tasso di sopravvivenza della covata. Le variabili considerate sono state: L’altezza della pianta più alta in un’area di 1 m2 centrata sul nido (Hmax). Il numero e la classe dimensionale degli elementi vegetali (vivi oppure fluitati) presenti in un raggio di 15 m attorno al nido, aventi una dimensione superiore a 100 cm × 10 cm × 30 cm (lunghezza × profondità × altezza). Ai fini dell’analisi successiva, i parametri dimensionali sono stati trasformati in volume e sommati in modo da ottenere un singolo valore per ciascuna covata (Vol15). La distanza in metri (± 1 m) dal gruppo di almeno 10 alberi di altezza superiore ai 5 m più vicino, misurata con un telemetro laser (Bosco).. 32.

(34) 2.9 Determinazione della data di deposizione La data di deposizione delle uova è stata determinata utilizzando i seguenti metodi, elencati in ordine di importanza: 1. Osservazione della deposizione del primo uovo. 2. Osservazione della schiusa del primo uovo. In questo caso si è assunto che la deposizione avesse avuto inizio 26 giorni prima della schiusa medesima (Tabella 2.1), sulla base di quanto riportato in letteratura (Cramp, 1983; Westwood, 1983; Vaughan & Vaughan, 2005) nonché di osservazioni personali relative a covate di cui era nota sia la data di deposizione che quella di schiusa. In accordo con quanto indicato in letteratura (Karavaev, 1998; ma si veda Cramp, 1983) e con osservazioni personali, si è assunto che la cova avesse inizio dopo la deposizione del primo uovo. Tabella 2.1 - Periodo di incubazione registrato in un sottocampione di uova per le quali era nota sia la data di deposizione che quella di schiusa. Nido 1 2 3 4. Anno NUova Depos1Uovo Schiusa1Uovo Intervallo 2004 2 31/05/2004 24/06/2004 24 2004 2 15/05/2004 10/06/2004 26 1999 2 14/05/1999 09/06/1999 26 2001 2 21/06/2001 18/07/2001 27. Mediana Media. 26.0 25.8. 33.

(35) 3. Stima della fase di incubazione delle uova sulla base della densità delle medesime al momento del rilievo. Data la sua importanza metodologica, questa tecnica verrà illustrata in dettaglio.. 34.

(36) 2.10 Stima della data di deposizione tramite la misura della densità delle uova Quest’ultima metodologia si basa sulla perdita di peso delle uova durante l’incubazione, per la gran parte causata dall’evaporazione dell’acqua contenuta al loro interno, la quale avviene ad un tasso relativamente costante (Rahn & Ar, 1974; Drent, 1975). Questa perdita di peso si traduce in una riduzione della densità delle uova col procedere della cova, che può essere utilizzata per prevedere la data di schiusa di uova di età non nota (Furness & Furness, 1981), da cui poi derivare la data di deposizione sottraendo a questa 26 giorni (v. prima). A questo scopo le uova presenti all’interno di ciascun nido sono state misurate tramite un calibro digitale (± 0.01 mm) da un medesimo rilevatore. Il volume delle uova in cm3 (Vu) è stato stimato secondo quanto riportato in Douglas (1990) come: Vu = K v ⋅ L ⋅ W 2. dove L = lunghezza dell’uovo (cm), W = larghezza massima dell’uovo (cm) e Kv è una costante che tiene conto della variazione nella forma ed è data dalla formula:  0.5236 ⋅ 2 ⋅ (L W ) K v = 0.5236 −   100 . 35.

(37) Le uova sono state pesate nel giorno del rilievo utilizzando una bilancia digitale (± 0.1 g) e da questa misura è stata derivata la densità espressa in mg/cm3Nel caso di covate da un solo uovo, il nido è stato visitato nuovamente a pochi giorni di distanza, al fine di verificare l’eventuale deposizione di un uovo aggiuntivo. In quest’ultimo caso, entrambe le uova sono state nuovamente misurate e pesate (fotografia 6).. Fotografia 6 – Misurazione delle uova.. La relazione tra età delle uova e densità è stata determinata per un campione di covate degli anni 2004-2005 di cui era noto il giorno preciso della schiusa. Le densità delle uova appartenenti ad una sola covata sono state mediate prima dell’analisi ed. 36.

(38) inoltre non sono stati utilizzati dati appartenenti alla medesima femmina in covate successive all’interno del medesimo anno, onde ridurre fenomeni di pseudoreplicazione (Hurlbert, 1984). Tutta l’analisi si è basata sul modello di Regressione Lineare (Sokal & Rohlf, 1995), ma le tecniche utilizzate sono state differenti e rappresentano fondamentalmente lo spettro di possibilità che si possono individuare in letteratura per questo tipo di problematica: Analisi di misure ripetute (MR; Gaston et al., 1983) Calibrazione classica (CC; si veda ad es. Galbraith & Green, 1985; Yalden & Yalden, 1989 e referenze incluse) Regressione inversa (RI; si veda ad es. Grant, 1996) Per quel che concerne il metodo MR, un campione di n = 29 covate è stato misurato 2 volte durante l’incubazione, con un intervallo medio di 12 giorni (± 3.6 DS, range = 6-18 giorni). L’analisi è stata condotta secondo il modello: D = D0 + cd → d = (D − D0 ) c. (1). Dove: D = densità dell’uovo a “d” giorni dalla schiusa d = numero di giorni mancanti alla schiusa D0 = densità dell’uovo alla schiusa c = tasso di cambiamento della densità dell’uovo durante l’incubazione. Se Di = densità dell’uovo al primo rilievo, di giorni dalla schiusa,. 37.

(39) Dii = densità dell’uovo al secondo rilievo, dii giorni dalla schiusa, allora è possibile derivare le seguenti equazioni: cd i = Di − D0 cd ii = Dii − D0 Risolvendo in funzione di c e D0 otteniamo:. ci = (Di − Dii ) (di −dii ) D0i = (di Dii − diiDi ) (di − dii ) Ripetendo questo calcolo per tutte le covare è possibile stimare il valore di c e D0 della popolazione secondo le formule:. c=. ∑c. D0 =. i. n. ∑D. 0i. n. Tramite questi parametri risulta quindi possibile stimare i giorni mancanti alla schiusa (d) per uova di età non nota utilizzando la formula (1). Per quel che concerne il metodo CC, il modello di partenza è ancora una volta rappresentato dall’equazione (1), ma in questo caso i valori di c e D0 della popolazione sono stati stimati attraverso un campione n = 52 covate misurate una sola volta. Nel caso di misure ripetute è stata considerata una sola di queste, estratta a sorte. La terza metodologia, RI, è stata condotta sulle medesime 52 covate considerate nel metodo CC si basa sul modello: d = d 0 + c1 D. ovvero su un modello in cui la variabile dipendente ed indipendente risultano scambiate rispetto ai primi due. In questo. 38.

(40) caso, sebbene i rapporti tra le variabili risultino invertiti rispetto al naturale arrangiamento dei dati, la stima dei giorni mancanti alla schiusa di covate di età non nota risulta derivabile in maniera diretta dall’equazione del modello stesso. La validità in termini predittivi dei modelli considerati è stata saggiata su un campione di 27 covate di età nota appartenenti agli anni (2000-2001). Per ciascuna di queste covate è stata calcolata la differenza in giorni tra la età (= giorni mancanti alla schiusa) reale delle uova e quella stimata dai tre modelli e gli errori dei tre metodi così derivati sono stati confrontati in modo da determinare quale delle metodologie restituisse risultati migliori. Tutta l’analisi statistica è stata condotta tramite il software R 2.2 (R Development Core Team, 2005).. 39.

(41) 2.11 Sopravvivenza della covata Il metodo correntemente più utilizzato per stimare il tasso di sopravvivenza delle covate è il cosiddetto metodo di Mayfield (Mayfield, 1975; Johnson, 1979; Hensler & Nichols, 1981; Bart & Robson, 1982). Questa metodologia, che pure rappresenta un consistente miglioramento rispetto alla semplice valutazione del tasso di sopravvivenza apparente, che non tiene conto della diversa probabilità di trovare i nidi con il progredire dell’incubazione, presenta diverse limitazioni. Il primo problema è rappresentato dalle assunzioni del metodo, che spesso risultano poco realistiche: (1) la probabilità di fallimento di un nido è costante durante tutto il periodo di incubazione; (2) la probabilità di fallimento è analoga per covate differenti; (3) l’esito di una covata è indipendente da quello delle altre presenti nell’area di studio. Inoltre, questo tipo di metodologia non permette analisi più complesse, che tengono conto dell’effetto di diverse variabili, sebbene recenti sviluppi di questo tipo di approccio, ed in particolare la sua integrazione all’interno dei modelli di tipo logistico. (Aebischer,. 1999;. Hazler,. 2004),. permettano. attualmente una flessibilità molto maggiore. Questo tipo di sviluppi, sebbene ammorbidiscano le assunzioni (2) e (3), non hanno alcun effetto sull’assunzione (1), che, di fatto, rappresenta il principale punto critico dell’applicazione di questo metodo. Proprio per risolvere questo problema insito nel metodo sono state proposte diverse alternative che di fatto rendono. 40.

(42) l’assunzione (1) non rilevante (si veda ad es. Pollock & Cornelius 1988; Stanley 2000, 2004; Manly & Schmutz 2001). Senza dubbio una delle più promettenti è rappresentata dall’Analisi di Sopravvivenza (Hosmer & Lemeshow, 1999; Nur et al. 2004), originariamente sviluppata per applicazioni di tipo biomedico, che è stata adottata anche in questo contesto. La tipologia di dato utilizzata per questo tipo di analisi è rappresentata dal singolo tentativo di nidificazione trovato ad un’età di t giorni, dove il giorno 0 è rappresentato dal giorno di inizio dell’incubazione. In questo tipo di analisi non è necessario che il nido sia effettivamente trovato all’età 0, poiché i vari tentativi di nidificazione possono entrare nel modello in età differenti attraverso una procedura definita di “troncamento a sinistra”. Inoltre, questo metodo non richiede che l’esito di tutte le covate sia noto, poiché i dati possono anche essere “censurati” a destra, e quindi entrare nel modello solo nel periodo di effettiva osservazione. Uno degli elementi importanti di questo approccio è la necessità di determinare l’età del nido con una certa precisione e questa esigenza è stata alla base dell’analisi condotta per determinare la data di deposizione della maggior parte delle covate (v. prima). L’esito delle covate è stato determinato tramite controlli periodici. Al fine di ridurre il più possibile gli effetti negativi della visita periodica ai nidi sul successo di schiusa dei medesimi (si veda ad es. Westmoreland & Best, 1985; Major, 1990; Martin & Geupel 1993), le covate sono state controllate in gran parte attraverso osservazioni condotte al cannocchiale. La. 41.

(43) periodicità delle visite non è stata regolare, anche se la gran parte dei nidi è stata visitata ad intervalli di 4-7 giorni. Durante ciascuna osservazione è stata annotata la presenza dell’animale in cova oppure la sua assenza dal nido per un periodo superiore a 30 minuti. In caso di mancato avvistamento dell’animale in cova, i nidi sono stati visitati al fine di raccogliere dati sul destino della covata (tracce di predazione, pulcini appena schiusi, etc.). Nel caso in cui l’esito della covata non fosse noto, i dati sono stati considerati “censurati”. Il modello utilizzato per l’analisi è stato il modello di rischio proporzionale di Cox (Hosmer & Lemeshow, 1999), che nel caso di una singola covariata, assume la forma: h(t , x, β ) = h0 (t )e xβ. Dove: h = tasso di rischio (tasso di fallimento giornaliero delle covate) t = età della covata x = covariata β = coefficiente di regressione h0 = tasso di rischio di basale Secondo questo approccio il tasso di rischio basale (h0) varia funzione del tempo, ma la relazione tra h0 e t non deve essere determinata esplicitamente. Al contrario, questa tecnica assume che l’effetto delle variabili considerate nel modello sia costante durante il periodo di studio (in questo caso l’incubazione). In questo contesto il modello permette di stimare rapporto tra i tassi di rischio ottenuti in differenti condizioni, ovverosia per. 42.

(44) differenti valori delle covariate. In termini espliciti, nel caso di una variabile binaria che possa assumere solo i valori a oppure b, il modello di Cox permette di determinare il rapporto tra il tasso di rischio ottenuto nelle due diverse condizioni, secondo la formula: h(t , a, β ) h0 (t )e aβ = = e(a−b )β bβ h(t , b, β ) h0 (t )e. L’analisi è stata condotta in due fasi successive. Nella prima fase sono state considerate tutte le covate del periodo 2000-2005. Non disponendo di un numero elevato di covate per ciascun anno di analisi, le stagioni riproduttive sono state raggruppate in relazione al verificarsi (stagioni 2000, 2001, 2004) o meno (stagione 2005) di eventi di piena autunnali e/o primaverili rilevanti (massimo del livello idrometrico superiore a 130 cm, misurati nella stazione idrometrica di Fornovo, 44°41'29'' N 10°05'14'' E, 142 m slm) immediatamente precedenti alla stagione in esame (fattore Piena). La scelta di considerare questo tipo di fattore nell’analisi è stata motivata dal fatto che gli eventi di piena di questa entità hanno l’effetto di “pulire” in maniera sostanziale il greto fluviale dalla vegetazione sviluppatasi nel periodo primaverile-estivo dell’anno precedente, contribuendo quindi a fornire un ambiente aperto per la nidificazione dell’occhione. Le altre variabili valutate in questa fase sono state la data di deposizione (Data) ed il volume medio delle uova all’interno della covata (VolUova). Data la sua natura, il fattore piena è stato considerato di livello gerarchicamente superiore a. 43.

(45) tutte le altre variabili e di conseguenza il modello di analisi utilizzato è stato di tipo nidificato. Nella seconda fase sono state considerate solo le covate relative al 2004-2005, per le quali erano disponibili informazioni di carattere ambientale (v. sopra). Anche in questo caso l’analisi è stata condotta secondo un modello nidificato, considerando l’anno come fattore gerarchico superiore (2004 = Piena presente; 2005 = Piena assente), e includendo poi tutte le variabili scelte nella prima fase di modellizzazione dei dati (in questo caso la Data, v. dopo), a cui sono state poi aggiunte Hmax, Vol15 (incluso nel modello come logaritmo in base 10) e Bosco (v. sopra). La scelta del modello ottimale è stata condotta considerando i modelli che contenevano tutte le possibili combinazioni tra le variabili e scegliendo il modello migliore in base alla versione corretta per piccoli campioni del Criterio di Informazione Asintotica di Akaike (AICc; Burnham & Anderson, 2002). Secondo questo tipo di tecnica, il modello più parsimonioso tra il gruppo di modelli considerato è quello che fa registrare il valore di AICc più basso. Dato il numero relativamente ridotto di covate disponibili, specialmente nella seconda fase dell’analisi, le possibili interazioni tra le variabili non sono state prese in considerazione. Tutta l’analisi statistica è stata condotta tramite il software R 2.2 (R Development Core Team, 2005).. 44.

(46) 3 .Risultati 3.1Stima della data di schiusa La relazione tra l’età e la densità delle 29 uova utilizzate per l’analisi delle misure ripetute (metodo MR) è illustrata nella Figura 3.1, la quale riporta anche il valore dei parametri c e D0 stimati con la tecnica in esame. Come si può notare, la densità diminuisce col procedere dell’incubazione secondo l’atteso ed in generale la pendenza delle varie rette risulta piuttosto confrontabile, a parte alcune covate per le quali si registra un andamento particolarmente anomalo ed in generale molto ripido. Questo porta ad una stima di c particolarmente imprecisa, come evidenziato dall’elevato valore della deviazione standard in rapporto alla media.. 45.

(47) 1050. 3. Densità (mg cm ). 1000. 950. 900. c = 7.05 ± 2.35 DS 850. D0 = 893 ± 48.3. 5. 10. 15. 20. 25. Giorni alla schiusa. Fig. 3.1. Metodo MR: relazione tra la densità delle uova e la fase di incubazione espressa come numero di giorni dalla schiusa. Le linee uniscono due misure ripetute della medesima covata.. Per quel che concerne la metodologia della calibrazione classica (metodo CC), la Fig. 3.2 mostra la relazione tra l’età e la densità delle 52 uova utilizzate per questo tipo di analisi. Come risulta chiaramente. indicato. dalla. curva. di. smussamento. non-. parametrico (LOWESS; linea rossa della Fig. 3.2), la relazione tra densità e giorni dalla schiusa è sostanzialmente lineare e questo risultato giustifica l’utilizzo di un modello parametrico lineare per derivare i parametri di interesse.. 46.

(48) 1050 950. 3. D ensità (mg cm ). 1000. Regressione lineare Regressione robusta LOWESS. 900. Regressione lineare y = 7.31x + 890 Regressione robusta y = 6.62x + 903 850. n = 52. 5. 10. 15. 20. Giorni alla schiusa. Fig. 3.2. Metodo CC: relazione tra la densità delle uova e la fase di incubazione espressa come numero di giorni dalla schiusa. Per i dettagli, si veda il testo.. L’utilizzo di questo modello (linea nera della Fig. 3.2) restituisce un risultato altamente significativo (F1, 50 = 203.4, P << 0.001) con un’elevata percentuale di varianza spiegata dalla retta di regressione medesima (R2 = 0.80,) ed una diminuzione di densità stimata di 7.31 mg·cm-3·giorno-1. È però importante sottolineare come questa analisi sia viziata dall’esistenza di valori anomali particolarmente rilevanti, specialmente nelle fasi avanzate dell’incubazione. Non avendo alcun motivo a priori per eliminare. 47.

(49) questi valori dal calcolo, l’analisi in questione è stata condotta anche utilizzando un modello di regressione robusta (metodo MM; Venables & Ripley, 1999), allo scopo di ridurre il peso di questi valori sulla stima dei parametri. La retta così determinata (linea blu della Fig. 3.2) mostra una pendenza minore della precedente e, dato più interessante, tende quasi a coincidere con la curva di smussamento non parametrico.. 48.

(50) 20. Regressione lineare Regressione quadratica Regressione robusta LOWESS. Regressione lineare. 15. Regressione quadratica 2. y = 4.58e-04x - 0.776x + 332 Regressione robusta. 10. y = 0.120x - 105. 5. Giorni alla schiusa. y = 0.109x - 95.3. 850. 900. 950. 1000. 1050. 3. Densità (mg cm ). Fig. 3.3. Metodo RI: relazione tra la fase di incubazione espressa come numero di giorni dalla schiusa e la densità delle uova. Per i dettagli, si veda il testo.. Passando infine a considerare il metodo della regressione inversa (metodo RI), la Fig. 3.3 mostra la relazione tra le medesime variabili considerate nella Fig. 3.2, ma con i ruoli invertiti. In questo caso, la curva di smussamento non-parametrico LOWESS (linea rossa della Fig. 3.3) mostra chiaramente un andamento. 49.

(51) curvilineo, con un evidente appiattimento della pendenza in prossimità della schiusa. In considerazione di questo tipo di andamento, i modelli saggiati sono stati 2, ovvero quello lineare (y = ax + b) e quello quadratico (y = ax2 + bx +c), i cui parametri statistici sono riassunti nella Fig. 3.3. Il confronto tra questi due modelli condotto. tramite. ANOVA. statisticamente significativa (F1,. evidenzia 49. una. differenza. = 23.04, P << 0.001),. indicando quindi la necessità del termine quadratico per parametrizzare in maniera efficiente la relazione tra le due variabili. Il modello così ottenuto (linea verde della Fig. 3.3) risulta essere altamente significativo (F2, 49 = 158.1, P << 0.001) e spiega percentuale molto elevata della varianza dei dati (R2 = 0.86). Anche in questo caso è però importante sottolineare il peso elevato in questa analisi di un numero relativamente ridotto di covate misurate in prossimità della schiusa, le quali, pur non essendo individuate come dati anomali dalle normali procedure di diagnostica del modello, sembrano esercitare un peso relativamente elevato nel determinare la forma della curva (v. Fig. 3.3). In maniera analoga a quanto riportato per il metodo CC, la relazione tra le due variabili è stata calcolata anche utilizzando un modello di regressione robusta (metodo MM; Venables & Ripley, 1999), allo scopo di ridurre il peso di questi valori sulla stima dei parametri (linea blu della Fig. 3.3). Come ricordato nei materiali e metodi, i 3 modelli considerati sono stati vagliati considerando un campione di 27 covate di età. 50.

(52) nota appartenenti agli anni (2000-2001). La Fig. 3.4 riassume la. 0 .5 0 .0 -0 .5 -1.0 -1 .5. E tà rea le -E tà stim a ta (M e d ia ± In t. C on f. 9 5 % ). 1 .0. distribuzione degli errori dei vari modelli considerati.. MR. CC (Reg. lineare). CC (Reg. robusta). RI (Reg. quadratica). RI (Reg. robusta). Modelli. Fig. 3.4. Differenza media tra l’età reale (numero di giorni mancanti alla schiusa) e l’età stimata con i 5 modelli considerati nell’analisi. Le linee verticali indicano gli intervalli di confidenza. La linea rossa orizzontale evidenzia il valore teorico atteso nel caso di coincidenza assoluta tra il valore reale e quello stimato.. Come si può notare, tutti i modelli tendono a posticipare la data di schiusa, vale a dire tendono ad attribuire un’età inferiore alle covate rispetto a quella reale. In generale comunque gli errori medi dimostrati sono tutti piuttosto ridotti, e sempre inferiori ad un giorno, dimostrando quindi come tutti i modelli tendano a comportansi piuttosto bene in termini predittivi. Se però si considera l’entità dell’errore e la variabilità dello stesso, espresso in termini di ampiezza dell’intervallo di confidenza, appare. 51.

(53) evidente come il modello quadratico della regressione inversa tenda a restituire il risultato migliore e per questo è stato scelto per tutte le analisi successive.. 52.

(54) 3.2 Andamento delle deposizioni Il periodo di deposizione delle uova nell’area di studio si è dimostrato piuttosto ampio, iniziando nei primi giorni di aprile e terminando nella prima metà di agosto (Fig. 3.5a). L’andamento temporale mostra 3 picchi principali, uno dei quali all’inizio di aprile, un secondo a metà maggio ed un terzo verso la fine di giugno. Passando a considerare la tipologia delle covate, si può notare come questi tre picchi corrispondano a differenti tipi di covate (Fig. 3.5b): il primo picco corrisponde infatti alla prima fase di deposizione delle prime covate; il secondo invece è determinato dal sommarsi di un picco tardivo di prime covate e di un picco di covate di rimpiazzo; il terzo ed ultimo è invece determinato per la gran parte da covate di rimpiazzo, con l’aggiunta di un numero esiguo di seconde covate.. 53.

(55) (a) 40 35. Numero di nidi. 30 25 20 15 10 5 0 1/4. 11/4 21/4 1/5. 11/5 21/5. 1/6. 11/6 21/6 1/7. 11/7 21/7 1/8. 1/4. 11/4 21/4. 11/5 21/5. 1/6. 11/6 21/6. 11/7 21/7. (b) 35 30. Numero di nidi. 25 20 15 10 5 0 1/5. 1/7. 1/8. D ata di deposiz ione 1° covate. Rimpiazzi. 2° covate. Fig. 3.5 Distribuzione delle date di deposizione (raggruppate in periodi di 10 giorni) degli occhioni nidificanti nel Parco del Taro nel periodo 2000-2005 non suddivise (a) e suddivise per tipologia di covata (b). I dati considerati in (b) costituiscono un sottocampione di (a), da cui sono state eliminate le covate la cui tipologia non era nota.. 54.

(56) È importante rilevare che, considerando le notevoli difficoltà insite nel ritrovamento dei nidi di questa specie a causa della sua elusività, (1) non si può escludere che alcune delle prime covate tardive siano in realtà covate di sostituzione e (2) che il numero di seconde covate risulta probabilmente sottostimato a causa della difficoltà di individuazione degli animali in cova nella tarda estate a seguito del consistente sviluppo della vegetazione nel greto fluviale e della riduzione della loro attività nelle ore diurne.. 55.

(57) 3.3 Dimensione della covata La proporzione di covate da uno oppure da due uova è riportata nella Fig. 3.6. Esiste chiaramente una netta preponderanza di covate composte da due uova, che fondamentalmente non cambia nel corso della stagione (χ2 = 3.21, df = 3, P = 0.36). 90 80. N um ero di covate. 70 60 50 40 30 20 10 0 Marzo-Aprile. Maggio. Giugno. Luglio-Agosto. Mese di deposizione 2 uova. 1 uovo. Fig. 3.6 Proporzione di prime covate da uno o due uova in relazione al mese di deposizione.. Bisogna sottolineare a questo proposito che, non potendo controllare tutti i nidi al momento della deposizione, non si può escludere che, almeno in alcuni casi, la presenza di un solo uovo nella covata sia stata causata da eventi di predazione. Si deve comunque notare che i nidi da uno o da due uova sono stati visitati ad un’età comparabile (covate da un uovo, media ± DS:. 56.

(58) 6.8 ± 5.7 giorni, n = 18; covate da due uova: 8.7 ± 6.2 giorni, n = 184; t200 = 1.33, P = 0.18).. 57.

(59) 3.4 Dimensione delle uova Il volume medio delle uova all’interno di ciascuna covata si è dimostrato omogeneo tra gli anni (Tabella 3.1). La variazione all’interno di un medesimo anno è invece sostanziale, come dimostra il valore del coefficiente di variazione (CV%) che si assesta attorno al 7-8%. Probabilmente il miglior indice di variabilità del volume delle uova all’interno di ciascun anno risulta essere il rapporto tra il valore massimo e minimo del volume medio delle uova di una covata, che oscilla tra ca. 1.4 ed 1.8. Tabella 3.1 Volume medio delle uova all’interno di ciascuna covata negli anni considerati. CV% = coefficiente di variazione.. Anno. Volume (cm3) Media ± DS. CV%. Max/Min. 2000. 38.7± 3.19. 8.2. 1.49. 2001. 38.3± 3.35. 8.8. 1.75. 2004. 38.1± 2.55. 6.7. 1.36. 2005. 38.8 ± 2.81. 7.2. 1.39. F3,195. P. 0.739. 0.53. 58.

(60) n=47. n=10. 1°. 2°. 3°. 25. 30. 35. 3. Volume (cm ). 40. 45. n=103. Sequenza covata. Fig. 3.7 Box-plot relativi al volume medio delle uova in tentativi successivi di nidificazione.. Un risultato analogo si ottiene considerando le covate da uno e due uova dei 4 anni cumulati (1 uovo: 37.6 ± 3.74 cm3, n = 18; 2 uova: 38.5 ± 2.94 cm3, n = 184; t197 = 1.09, P = 0.28). Contrariamente a questi risultati, la dimensione delle uova varia in funzione del tipo di covata considerato. La Fig. 3.7 illustra l’andamento del volume medio delle uova della prima covata e dei tentativi successivi nei 4 anni cumulati. Si può notare come in generale le uova delle covate successive tendano a risultare più piccole rispetto a quelle della prima covata (F2, 43 = 29.50, P << 0.001, modello lineare a schema misto).. 59.

(61) 40 30. 35. 3. Volume (cm ). 25. r = -0.30. 40. 60. 80. 100. Deposizione (1 = 1 Marzo). Fig. 3.8 Relazione tra il volume medio delle uova e la data di deposizione delle prime covate. La freccia indica un dato particolarmente anomalo.. Anche la data di deposizione sembra esercitare un debole effetto sul volume delle uova. In effetti, come si può notare nella Fig. 3.8, il volume medio delle prime covate risulta correlato in maniera negativa con la data di deposizione (F1, 101 = 9.749, P < 0.01) e questo risultato non si modifica escludendo il dato particolarmente anomalo evidenziato nella Fig. 3.8 con la freccia.. 60.

(62) 3.5 Sopravvivenza della covata Il tasso di sopravvivenza cumulativo delle covate in relazione all’anno di deposizione è illustrato nella Fig. 3.9. Come si può notare, il tasso di sopravvivenza risulta piuttosto omogeneo tra le covate di tutti gli anni ad eccezione del 2005, in cui si registra un deciso peggioramento del successo di schiusa. In termini quantitativi, il tasso di sopravvivenza complessivo registrato nel periodo 2000-2004 risulta in genere superiore al 60%, mentre nel 2005 (successivo ad un periodo di sostanziale assenza di piene). 0.8 0.6 0.4 0.2. 2000 2001 2004 2005. Piena presente. 0.0. Frazione di covate sopravvisute. 1.0. questo parametro scende a valori inferiori al 40%.. 0. 5. 10. 15. 20. 25. Età della covata (giorni). Fig. 3.9 Tasso di sopravvivenza cumulativo delle covate in relazione all’anno di deposizione.. 61.

(63) Se si considera l’analisi condotta con il modello di Cox (Tabella 3.2), risulta evidente come il modello migliore per spiegare la variabilità dei tassi di fallimento delle covate includa oltre al fattore piena anche la data di deposizione, sebbene la plausibilità dei. modelli. con. e. senza. data. di. deposizione. risulti. fondamentalmente comparabile. Tabella 3.2 Analisi del tasso di fallimento dei nidi 2000-2005 utilizzando il modello di Cox. Abbreviazioni: k = numero di parametri del modello; ∆AICc = differenza tra il valore minimo della versione corretta per piccoli campioni del Criterio di Informazione Asintotica di Akaike (AICc) ed il valore di AICc del modello in esame; wi AICc = plausibilità del modello i, ovvero peso relativo delle evidenze in favore del modello in esame. Numero di nidi considerato=199.. Modello. k Log-verosimiglianza ∆AICc wi AICc. Piena/Data. 4. -323.98. 0.00. 0.36. Piena. 2. -326.09. 0.13. 0.34. Piena/(Data + VolUova) 6. -322.74. 1.72. 0.15. Piena/(VolUova). 4. -325.42. 2.89. 0.09. Nullo. 1. -328.81. 3.55. 0.06. La stima degli effetti delle variabili incluse nel modello migliore viene riportata nella Tabella 3.3. Si può notare come la presenza di piena tenda a ridurre il rischio di fallimento della covata di ca. il 47%. Anche la Data di deposizione contribuisce a ridurre il rischio di fallimento della covata di un’entità pari a ca. il 25% al mese. È interessante notare come l’effetto della data sia sostanzialmente analogo sia negli anni con piena presente che in quelli con piena assente.. 62.

(64) Tabella 3.3 Risultati del modello di Cox identificato come migliore utilizzando il criterio AICc (modello Piena/Data). Viene riportato il valore del rischio relativo legato alle variabili incluse nel modello ed i relativi intervalli di confidenza. L’effetto della variabile Data è stato valutato su un periodo di 30 giorni.. Variabile. Rischio relativo h. Piena presente vs. Piena assente 0.538. IC 95% 0.214-1.35. Data (30 giorni) Piena assente. 0.758 0.477-1.204. Presente. 0.752 0.474-1.195. La Tabella 3.4. riassume i dati relativi alla scelta del modello migliore nell’analisi condotta sui dati del 2004-2005. Come si può notare, il modello migliore scelto in base al criterio AICc è risultato quello che include tutte le variabili considerate. La stima degli effetti delle variabili incluse nel modello migliore è riportata nella Tabella 3.5. Risulta evidente come l’effetto delle variabili di carattere ambientale tenda a cambiare di entità e, nel caso di Hmax, di segno in relazione al verificarsi (2004) o non verificarsi (2005) dell’evento di piena. In particolare, sia l’effetto della variabile Bosco che quello della variabile Vol15 risulta sensibilmente più marcato nel 2005. in particolare, la distanza dal bosco più vicino tende a diminuire il tasso di fallimento della covata, mentre la quantità e la dimensione di elementi vegetali intorno al nido hanno un effetto opposto.. 63.

(65) Tabella 3.4 Analisi del tasso di fallimento dei nidi 2000-2005 utilizzando il modello di Cox. Per le abbreviazioni si veda la Tabella 3.2. Numero di nidi considerato=86.. Modello. k. Log-verosimiglianza ∆AICc wi AICc. Anno(Data+Hmax+Bosco+Vol15) 10. -120.02. 0.00. 0.47. Anno(Data+Hmax). 6. -125.62. 1.57. 0.21. Anno(Data+Hmax+Vol15). 8. -123.33. 1.68. 0.20. Anno(Data+Hmax+Bosco). 8. -123.94. 2.89. 0.11. Anno(Data+Vol15). 6. -129.30. 8.94. 0.01. Anno(Data+Bosco+Vol15). 8. -127.47. 9.96. 0.00. Anno(Data+Bosco). 6. -129.87. 10.08. 0.00. Tabella 3.5 Risultati del modello di Cox identificato come migliore utilizzando il criterio AICc (modello Piena/Data). Viene riportato il valore del rischio relativo legato alle variabili incluse nel modello ed i relativi intervalli di confidenza. L’effetto della variabile Data è stato valutato su un periodo di 30 giorni, quello della variabile Hmax per un intervallo di 10 cm, quello della variabile bosco per un intervallo di 20 m, e quello del variabile Vol15 per un incremento unitario in scala logaritmica (pari ad un incremento di un fattore 10) del volume.. Variabile. Rischio relativo h. 2004 vs 2005. IC 95%. 0.280 0.0153-5.113. Data (30 giorni) 2004. 0.382 0.172-0.848. 2005. 0.912 0.536-1.553. Hmax (10 cm) 2004. 1.396 1.174-1.659. 2005. 0.733 0.531-1.011. Bosco (20 m) 2004. 0.980 0.734-1.309. 2005. 0.772 0.622-0.958. Vol15 (scala logaritmica) 2004. 1.826 0.829-4.020. 2005. 2.540 1.137-5.674. 64.

(66) 60 40 20. 60. 80. HMax (cm). 80. 100. 100 120 140 160. U = 1292, P < 0.001. 0. 40. Data (1 = 1 marzo). U = 4094, P = 0.45. 2005. 2004. U = 969, P = 0.53. 1.0. 10.0. 3. Vol15 (m ). 100 0. 0.1. 50. Bosco (m). 2005. 100.0. 1000.0. U = 926, P = 0.80. 150. 200. 2004. 2004. 2005. 2004. 2005. Fig. 3.10 Box-plot delle variabili considerate nel modello di Cox per i nidi del 2004-2005. I valori riportati sopra ciascun diagramma si riferiscono al confronto tra i dati dei due anni condotto con il test U di Mann-Whitney.. 65.

(67) Per quel che concerne Hmax, è interessante osservare come nel caso di piena presente (2004) un incremento dell’altezza della pianta più alta vicina al nido comporti un aumento del tasso di fallimento pari a ca. 40% / 10 cm, mentre in condizioni di piena assente l’effetto si inverta completamente, con una riduzione del tasso di ca. il 25% / 10 cm (fotografia 7). È importante sottolineare a questo proposito che HMax risulta essere l’unica variabile il cui valore medio cambia in maniera significativa nei due anni, come evidenziato nella Fig. 3.10. Fotografia 7 – Uova deposte sotto un arbusto di Amorpha fruticosa, stagione 2005.. 66.

(68) 4 Discussione 4.1 Stima della data di schiusa Come già anticipato nei Materiali e Metodi, la determinazione della data di schiusa e, di conseguenza, dell’età della covata, ha un’importanza rilevante nell’ambito degli studi avifaunistici. In prima istanza, si può rilevare l’aspetto meramente pratico legato alla conoscenza anticipata della data di schiusa, che può essere utilizzata per catturare e marcare i pulcini di specie a prole precoce che, come nel caso dell’occhione, abbandonano il nido dopo poche ore dalla schiusa (Galbraith & Green, 1985; Yalden & Yalden, 1989). In secondo luogo, la conoscenza dell’età della covata permette di derivare alcuni parametri della popolazione in esame, quali ad esempio il periodo di deposizione delle uova, la sincronia della deposizione, ecc., anche. laddove. risulti. problematico rilevare tramite osservazione la data di deposizione medesima (Gaston et al, 1983; Collins & Gaston, 1987). Infine, come dimostrato in questo lavoro, la possibilità di stimare in maniera accurata l’età della covata permette di utilizzare metodologie di analisi del suo tasso di sopravvivenza particolarmente raffinate, che rendono non necessarie alcune assunzioni particolarmente restrittive di metodologie alternative (Pollock & Cornelius 1988; Stanley 2000, 2004; Manly & Schmutz 2001; Dinsmore et al. 2002; Nur et al. 2004).. 67.

Riferimenti

Documenti correlati

Identificare e nominare i nodi del circuito, ogni nodo sarà identificato da un  potenziale μ

Una soluzione a questo problema è data dai classificatori basati su analisi statistiche del traffico, i quali caratterizzano il comportamento di una applicazione

Esercizio 4 [4 punti] Risolvere nel piano complesso l’equazione 2¯ z 3 = 3i,.. rappresentandone le soluzioni in

Elencare le sigle delle regole nell’ordine che corrisponde alla sequenza di applicazione delle regole: il primo elemento (a sinistra) della lista deve essere la sigla che

Altrimenti si scelga un nodo del circuito con archi incidenti ancora liberi (deve esistere perch´e il grafo `e connesso) e si ripeta la procedura a partire da tale nodo.. Si ottiene

La chiave esterna Medico della tabella Visite è in relazione con la tabella Medici mediante la chiave primaria Codice. La chiave esterna Medico della tabella

Il sistema operativo, quando c’è bisogno di eseguire un nuovo servizio (e quindi di mandare in esecuzione un nuovo processo) decide di mandarlo in esecuzione sul processore che

Prendo la variabile fuori base con coefficiente di costo ridotto pi` u piccolo (quindi la x 32 ) e aggiungo il relativo arco all’albero di supporto (vedi Figura 2). Non esistono