• Non ci sono risultati.

Stamperie e cartiere “

Con la nascita della stampa molti tipografi arrivarono in Veneto dalla Germania e si insediarono a Verona, Padova, Vicenza, Piove di Sacco, Santorso. Fino al XVII secolo a Bassano non risultano stamperie, forse quella di un certo Crivellari non particolarmente avviata, nella quale nel 1657 sarebbe stato stampato il primo libro bassanese dal titolo Deianira. Dal Crivellari, Giovanni Antonio Remondini intorno al 1657 acquistò un torchio e alcune immagini di santi intagliate sul legno.

A vendere il primo torchio calcografico a Giovanni Antonio Remondini fu il vecchio incisore bassanese Crestano Menarola. Con questa prima povera attrezzatura nel 1660 Remondini entrò nel mondo della stampa. ‘Al vecchio torchio a stella del Menarola, Giovanni Antonio ne affiancò ben presto uno tipografico (forse quello del Crivellari) con buon corredo di materiale da composizione, ingaggiando, non si sa dove, i tipografi necessari. Passò parola e subito fioccarono le commesse. I primi a presentarsi furono i tesini, grandi venditori girovaghi: scendevano a Bassano da Castel Tesino, confinante con lo stato veneto, per approvvigionarsi e proseguire in tutte le direzioni. Chiedevano certi miserelli opuscoli di divozione e raccontini da leggere ‘a filò’: i chiacchierati ‘libretti da risma’ facilmente trasportabili nelle bricolle. Ma chiedevano anche le ingenue, grezze, eppure non brutte immagini di Madonne e Santi incise nel legno e talvolta violentemente colorate a spugna. Erano queste destinate a coprire in qualche modo le porte sgangherate dei rustici più poveri e derivavano chiaramente da modelli diffusisi in seguito al Concilio di Trento. Intraprendente, il Remondini, poiché il rame non bastava, avviò alla silografia i ‘malghesi’, che nei lunghi inverni intagliavano grossolani Crocifissi nel pero corvino coltivato per le amelanopatie dei decoratori di tessuti’. I tesini intagliavano e rifornivano le stamperie di legno corvino, abbandonando le loro attività agricole, tanto che si diceva che I Santi dei Remondini ga magnà i campi dei tesini. Giovanni Antonio intuì subito verso quali prodotti e quale clientela indirizzare la propria produzione: ‘operette di poco conto, libri di devozione, immagini di santi e figure di

65 animali’, facilmente smerciabili nelle campagne e che non imponevano forti investimenti. L’intuizione si rivelò vincente, ma l’anno seguente, quasi a voler nobilitare il livello della produzione, Giovanni Antonio dava alle stampe il suo primo volume, L’Humiltà sublimata del dotto bassanese Gio.Battista Freschi.

Nel 1663 ottenne dallo stampatore ducale G. Pietro Pinelli il permesso di stampare per la zona di Bassano le bollette dei dazi ed altri documenti pubblici. Fu l’inizio di un progressivo incremento delle attività e del volume di affari. Nel 1670 la stamperia comprendeva quattro torchi, pertanto la pubblicazione di opere subì un significativo salto di qualità. Iniziava in quegli anni la pubblicazione del vocabolario latino di Cesare Calderino che verrà ristampato per oltre 40 anni. Tuttavia Giovanni Antonio rimase fuori dalle contese culturali in cui erano coinvolte le stamperie veneziane e si limitò alla pubblicazione di opere di poco conto che comunque gli garantivano ampi guadagni.

Se i tesini fecero la fortuna dei Remondini, non minore fu l’importanza dei tanti collaboratori, artisti, intagliatori, incisori, artigiani. ‘Nel fitto succedersi degli incisori, la prima a comparire fu l’insolita figuretta di una clarissa fresca, vivace e genuinamente veneziana, Isabella Piccini.

66 Aveva appreso ad incidere dal padre, Jacopo, ed entrata nel convento di S. Croce nel 1666 a ventidue anni, si diede ad intagliar rami per librai e calcografi con lena instancabile: sentiva la responsabilità di assicurare al convento quel reddito di 200 ducati all’anno ch’era frutto del suo lavoro’. Quando Isabella morì, intorno al 1734, non si trovava in Veneto libro da Messa che non avesse tra le pagine almeno un santino inciso da lei e stampato ‘in Bassano per il Remondini’

Altri importanti incisori presso i Remondini furono i maestri bellunesi Giampiccoli e Baratti, ma il più importante fu indubbiamente il bassanese Giovanni Volpato.

Foto 18: Incisione di Giovanni Volpato.

Era nato nel 1735 in Angarano, da Paolo Trevisan e da Angela del Bello, detta ‘Volpata’. Iniziò a lavorare come ricamatore, manifestando un grande talento per il disegno. Giovanni Antonio II ne apprezzò il gusto e gli affidò numerose opere d’impegno. Altri importanti incisori che si formarono presso i Remondini furono Giovanni Folo, Pietro Fontana, Luigi Schiavonetti, i fratelli Vendramini, e numerosi altri. Una citazione a parte merita l’incisore fiorentino Francesco Bartolozzi, che pur non avendo mai inciso per i Remondini, fu un importante consigliere e collaboratore e maestro di importanti incisori remondiniani quali Antonio Zecchin, G.B. Cipriani, Antonio Conte.

Nel 1715 l’azienda comprendeva dodici torchi calcografici, dieci torchi tipografici e due presse. Progressivamente crescevano la ricchezza della famiglia e i beni immobili posseduti. La grande intuizione che stampe e libri fossero ‘merci’ e non solo strumenti per la diffusione del sapere, e che le incisioni a soggetto popolare avessero

67 una vasta diffusione, furono le condizioni dell’impetuoso sviluppo delle attività dei Remondini.

Giuseppe Remondini guidò la stamperia fino al 1742. Negli anni successivi si aggiunsero quattro cartiere, una fonderia per i caratteri, stabilimenti calcografici e tipografici, botteghe di libri e stampe a Venezia, Bassano e Pieve Tesino, con oltre un migliaio di addetti e mercati aperti in tutto il mondo.

A cavallo tra il 1859 e il 1860, dopo ben duecento anni di imponente attività, le varie produzioni vennero vendute e smembrate tra le città di Bassano e Venezia. Nel 1893 il più importante collezionista e studioso italiano di stampe popolari, Achille Bertarelli, acquistò a Bassano “ ... dal cartolaio Menegazzi tre quintali di stampe remondiniane per lire 350”. Queste stampe vennero raccolte e conservate presso il Castello Sforzesco di Milano, nell’omonima Civica Raccolta delle stampe Achille Bertarelli.

Lo sviluppo delle carte silografate non andò in totale declino, poiché tra il 1900 e il 1902, la Contessa Pasolini, semplicemente per passione, decise di riattivarne la produzione e coinvolse alcuni parenti nella nobile impresa. E’ proprio grazie a questo avvenimento che si spiega il significato della sigla PESP - STAMPI REMONDINIANI presente sui fogli di carta decorata. Tale marca fu registrata e presenta le iniziali dei cognomi di Remigia Ponti Spitalieri, Ester Esengrini Ponti, Antonia Suardi Ponti e Maria Pasolini Ponti, eredi comproprietari delle matrici remondiniane.

Secondo la testimonianza di Salvatore di Giacomo, nel 1924 la stampa fu affidata all’Istituto Arti Grafiche di Bergamo. Non è chiaro il susseguirsi degli eventi perché già attorno al 1904 il varesino Giuseppe Rizzi inizia a commerciare la carta. L’attività di Varese così si innesta nella tradizione artistica della stampa di carta decorata, grazie soprattutto alla “ ... migrazione di questi legni, alcuni della fine del XVIII altri invece del XIX secolo, che diedero origine agli stampi della Carta Varese, la quale ben presto assunse forme sue particolari e fu quasi altrettanto famosa che le carte remondiniane”. Il Rizzi riprese la realizzazione di questo particolare manufatto

68 servendosi della Cartiera Molina, all’epoca già famosa e produttiva stamperia attiva a Malnate, lungo il corso del fiume Olona. Egli fu essenzialmente un negoziante di oggetti d'arte e antichità, come recitava l’insegna del suo negozio che si trovava presso Via San Martino a Varese, ma egli ampliò enormemente il mercato della carta. L’imprenditore fu solito inviare a potenziali clienti raffinate lettere scritte in inglese e francese in cui raccontava in sintesi la storia della Carta Varese inserendo all’interno dei piccoli campioni. Grazie a questo semplice espediente egli riuscì a commerciare il manufatto in Svizzera, Belgio, Francia, Spagna e Inghilterra, fino a raggiungere gli Stati Uniti. Giuseppe Rizzi morì nel 1931, ma l’attività continuò grazie all’intraprendenza del figlio Cesare che purtroppo morì pochi anni dopo nel 1939 e a cui seguì la definitiva cessazione della produzione della carta. L’anno seguente, nel ‘40, la Ditta Ghiggini acquistò in blocco dal Negozio Rizzi tutte le rimanenze di fogli ed iniziò nel suo laboratorio una nuova attività di lavorazione di oggetti in carta sui quali venivano applicati, su fondo bianco, disegni e decorazioni ritagliate da fogli di Carta Varese. Presero forma nuovi modelli decorati di servizi da scrittoi, portaritratti, scatole, vassoi e originali piatti di cartone che venivano appesi alle pareti. L’avvento della Seconda Guerra Mondiale creò difficoltà economiche, ma questa particolare produzione, tipicamente locale, semplice e allo stesso tempo raffinata, riuscì comunque a riscuotere molto successo e venne commercializzata per decorare le abitazioni piuttosto che per essere regalata. La Carta Varese visse così il suo momento d’oro in quanto il suo stile ben si armonizzava con quello liberty ed eclettico di alcune ville del borgo di Velate e di Sant’Ambrogio Olona. L’interesse relativo alla diffusione della carta decorata iniziò una lenta decadenza attorno al 1948 a causa dell’esaurimento di fogli e soprattutto all’introduzione capillare di sistemi meccanici di produzione. Il fascino e il contenuto estetico della famosa Carta Varese andò così perdendosi soprattutto in seguito alla volontà di portarne avanti la produzione a livello industriale con una certa ripetitività delle tipologie e forme.

69 Nel 1957 gli stampi superstiti ritornarono al Museo Civico di Bassano del Grappa grazie al lascito Esengrini, Pasolini e Suardi e all’intercessione del conte Guido Suardi di Bergamo. 13

13

70