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Stato tra sovranità e ragione economica: il valore del desiderio

Parte Seconda

2.6. Stato tra sovranità e ragione economica: il valore del desiderio

Stato e mercato, politico ed economico, nella narrazione liberale raffigurano polarità disomogenee, l‟uno ambiente artificiale animato da una pulsione endogena a inglobare tutto ciò che gli sia esterno, nell‟affermazione di un principio di sovranità che lo pone oltre che al di fuori, anche al di sopra di uno spazio con il quale intrattenere un rapporto giuridico asimmetrico; l‟altro ambiente naturale, luogo di verità e di libertà dell‟azione individuale, spazio espressivo degli affetti e della capacità produttiva dei soggetti economici, principio regolatore della società civile, in cui legami economici e non giuridici consentono l‟integrazione della comunità umana organizzata. L‟uno, come Stato di diritto, portatore dell‟ideale egualitario; l‟altro fondato sulla differenza e promotore di diversità, sola possibilità per la concorrenza, senza la quale il mercato non riuscirebbe ad assolvere alla sua propria funzione naturale di compenetrare interessi spesso divergenti.

La prospettiva governamentale consente di scomporre questa immagine fornita dal liberalismo, che da un lato poggia, e non potrebbe farne a meno, su uno Stato ipostatizzato, dato prima della politica, entità universale dalla mostruosa e indomita propensione alla statalizzazione, e dall‟altro presenta quindi lo spazio sociale come “[…] luogo puro della negazione dello Stato” 181

, perché ambito di costruzione dell‟ordine politico attraverso un principio economico. Nel simulare un conflitto tra naturalità e artificio, il liberalismo tende a potenziare la produttività umana “[…] in

180

Ivi, p. 166.

181

modo che sia fertile economicamente e inabile politicamente” 182

. Tuttavia Foucault, negando lo Stato, riesce a portare in emersione questa simulazione, la cui finalità strategica risiederebbe nell‟aver individuato proprio in tale entità politica, pur governamentalizzata, “[…] uno dei baluardi dell‟estensione del bio-potere […]”183

, di cui “[…]ostacola l‟espansione, disarticolando, con un‟ingerenza di carattere specificamente politico, le gerarchie sociali determinate naturalmente dall‟economia di mercato”184. L‟esito di questa analisi fa entrare in opposizione governo democratico e

governo liberale, nella misura in cui da un lato, lo Stato, tramite le politiche di welfare, interviene nell‟arginare il potere egemonico del mercato; e dall‟altro quest‟ultimo è “[…] ritenuto condizione necessaria per la diffusione della democrazia” 185

.

Negare lo Stato non significa comunque elidere definitivamente una categoria politica, ma operare una variazione semantica del concetto all‟interno di un paradigma, che esclude la possibilità di trattarlo come un‟entità con natura, struttura e funzioni proprie.

Lo stato non è altro che l‟effetto, il profilo, la sagoma mobile di un processo di statalizzazione, o di statalizzazioni incessanti, di transazioni continue, che modificano, spostano, rovesciano, oppure introducono insidiosamente […] le fonti di finanziamento, le modalità di investimento, i centri di decisione, le forme e le modalità di controllo, i rapporti tra poteri locali e autorità centrale ecc. 186.

Trattarlo come processo, come pratiche di governo emerse da un discorso sullo Stato, da una scienza politica, nel momento in cui la sovranità è in crisi e questo appare sempre più permeabile alla governamentalità neoliberale, consente di salvaguardarne la sussistenza “[…] nello spazio delle tecniche che promettono la coesione sociale senza

182 Ivi. p.123. 183 Ivi, p.124. 184 Ivi, p.125. 185 Ivi, pp.125-126. 186

affidarsi agli effetti di veridicità stabiliti dai parametri dell‟economia di mercato” 187

, depotenziando la strumentazione analitica dei suoi critici. L‟operazione che dunque interpreta lo Stato come complesso di pratiche e strategie, di oggetti materiali e immateriali – in breve un dispositivo – , consente di ergerlo a barriera delle forze centrifughe e transnazionali della globalizzazione economica, per tentare di comporre nella pratica la frattura logicamente insanabile tra differenze ( di risorse, di capacità produttiva, di consumo, di caratteri individuali e ambientali) e uguaglianza ( di diritti, di accesso alle opportunità, di possibilità di vita).

Una frattura che nel complesso dell‟economie di potere della governamentalità liberale si gioca strategicamente sul versante del principio di sovranità, sull‟indebolimento del suo carattere legittimante. Questa ragione governamentale infatti “[…] producendo una valutazione negativa dello Stato[…]”188

determina “[…] un vuoto di legittimazione politica e, simultaneamente, di sgomento sociale in modo da favorire una declinazione del governo degli uomini come strumento di sorveglianza della popolazione” 189

. Dal sentimento di vuoto e di carenza insorge così una forte volontà di governo, di rassicurazione e di ispezione, un desiderio di Stato come “[…] formula che definisce l‟auto-produzione sociale del controllo” 190

.

Il desiderio, in questa specifica angolazione, assolve la medesima funzione che riveste in tutta l‟economia della governamentalità moderna: quando la massa della popolazione, e non più il corpo individuale, si costituisce quale termine di proiezione del biopotere, opaca e misteriosa, impenetrabile allo sguardo del governo, unica variabile aggredibile, attingibile, intelligibile, risulta essere l‟invariante dell‟interesse singolare, perché motore dell‟azione. Solo se si riesce a controllare il desiderio, forgiandolo e orientandolo lungo percorsi prestabiliti, è possibile garantire l‟ordine sociale necessario al dispiegamento delle naturali forze produttive. Un ordine che dunque, non potendo essere attinto in base a interventi violenti o imperativi, poiché

187

P. Amato, Tecnica e potere, cit., p.129.

188 Ivi, p. 133. 189 Ibidem. 190 Ibidem.

questi delegittimerebbero pratiche in contrasto con la sussunta libertà e naturalità delle dinamiche sociali e economiche, si contrappone al sollevarsi dirompente e distruttivo delle passioni se “[…] si interviene direttamente sul vivente, condizionandone sogni, aspirazioni, angosce ( in altre parole, la tecnica politica liberale è virtuosa se genera desideri sociali con l‟apparente consistenza di un‟esigenza naturale)” 191

. Si assiste così, non tanto alla scomparsa della politica, quanto alla sua colonizzazione da parte dell‟economia, che vi si innesta in profondità con la logica della scelta razionale.

Il desiderio, con la sua costruzione e il suo modellamento, con il suo controllo, è la pietra angolare che regge l‟intera architettura del discorso sulla biopolitica, perché consente la piena comprensione di come l‟affermazione e la difesa della libertà si risolva nel paradosso della paura e nei dispositivi di sicurezza. Potere disciplinare e biopolitica producono individui che, sempre più isolati nel perseguimento di interessi egoistici, intravedendo nel moltiplicarsi dei desideri, il moltiplicarsi dei rischi, chiedono un correlato moltiplicarsi di dispositivi di sicurezza sempre più specifici e parcellizzati; e danno forma a una società del controllo paranoica, che mette in relazione protezione della privacy - spazio precipuo di agibilità di libertà – , e sorveglianza.

La governamentalità moderna, in definitiva, riesce a inserire i soggetti sociali in un circuito a spirale: denunciando l‟artificialità della politica quale luogo della sovranità, vi inocula una razionalità economica che interviene considerando gli individui dal lato del consumo di beni o della fruizione di servizi. Questa, quindi, nel focalizzare le proprie pratiche sull‟interesse individuale, crea il desiderio nel suo senso più generale, perché lo pone al centro dell‟esistenza, e così facendo lo espone alla necessità di una sorveglianza costante, grazie alla quale poter ulteriormente dispiegare tutta la sua virtù di condotta di condotte. Foucault rileva dunque come “provocare il desiderio di Stato sia la manifestazione estrema della mentalità di governo moderna” 192, emersa nell‟alveo delle pratiche discorsive del neoliberalismo, il quale tende a perseguire l‟ordine e la coesione sociale, solo minimamente con l‟imposizione e la frustrazione del desiderio, quanto piuttosto attraverso la capacità di incanalare le

191

Ivi, p.135.

192

pulsioni dei governati nel senso voluto dai governanti, non ostacolando, ma producendo e stimolando il desiderio, per mezzo di un esercizio del potere, che date le modalità soft, può così interfacciarsi a soggetti politicamente docili, perché nella società del controllo è definitivamente sfumato e corroso il limite che separa sujets e collaborateurs193.

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