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Dalla sua posizione nello Zwischenraum, nella gola fra lingue e culture, in quel “terzo spazio” ibrido e creativo, Tawada presenta ora il Giappone ora l'Europa come esotici e lontani l'uno agli occhi dell'altra, dimostrando l'interscambiabilità di stereotipi e proiezioni mitiche.

In “Wo Europa anfängt”, Mosca è la città che rappresenta l’Europa, e viene indicata come qualcosa di così lontano che forse non si può davvero raggiungere, come la sede di un'enorme biblioteca in cui si può trovare un romanzo infinito.

La prospettiva straniera non è fatta per leggere città, culture, oggetti come sono stati concepiti, ma per reinventarli e riscriverli. A un occhio straniero, oggetti misteriosi ed enigmatici diventano lo spunto per inventare nuove storie: è questo lo stimolo artistico per Tawada, simboleggiato dai suoi “occhiali giapponesi”, perché uno straniero dà sostanzialmente la propria versione della cultura che si trova davanti.

Si tratta di una forte scossa per entrambe le culture che vengono a contatto: la visione del mondo che fino a quel momento reputavano l'unica possibile ed esistente viene messa in discussione, e per la prima volta si comprende che simboli considerati ovvi e “naturali” nella propria cultura vengono percepiti in modo completamente diverso da altri sistemi culturali.

Dalla sua prospettiva “nel mezzo”, Tawada sviluppa uno sguardo penetrante e analitico nei confronti dei processi di percezione dello straniero/estraneo.

A volte i suoi protagonisti arrivano alla frustrante constatazione che il loro sguardo sull'Europa non ha portato a una conoscenza vera e oggettiva della stessa, ma solo al riflesso, alla proiezione delle proprie fantasie su questo continente. Per questo nella raccolta di racconti e poesie dal testo speculare in tedesco e giapponese “Nur da wo du bist da ist nichts” (“Anata no iru tokoro dake nani mo nai” 「 あ な た の い る と こ ろ だ け な に も な い 」, in italiano “Solo dove ci sei tu, non c’è nulla”), arriva a sostenere:

A nessuno è permesso dirlo, ma l'Europa non esiste.65

Venendo a contatto con lo straniero, nel processo di percezione e assorbimento di ciò che consideriamo estraneo, il soggetto accoglie l'estraneità dentro di sé e si lascia divenire “estraneo” a sua volta pur senza perdere la propria autonomia, in una perenne metamorfosi dell'io e di un'identità che muta continuamente.

Perdi te stesso all'inizio, in una lingua straniera. È una condizione simile alla meditazione o alla trance dello sciamano, nella quale svuoti te stesso per poter essere ricettivo, per accettare voci straniere che, in realtà, non sono straniere ma molto familiari.66

Si tratta di una trasformazione in cui le dicotomie “sé/altro”, “proprio/estraneo” perdono ogni significato. La contrapposizione tra Asia ed Europa è assimilabile al binomio “io/tu”, in cui ogni termine è condizionato dall'altro. “Io” è tale solo perché delimitato da “tu”, termina dove il “tu” inizia; allo stesso modo, il “tu” non potrebbe esistere se non fosse contrapposto all' “io”. Quando l'io cerca di riconoscere e comprendere l'altro, il sé tenta di assimilare l'altro a se stesso (cerca per l'appunto di cum prehendere, di prenderlo dentro di sé).

Lo stesso avviene nel binomio Asia/Europa: è la contrapposizione tra le due a definire l'altra; è l'estraneità di una – delle sue lingue e delle sue culture – a far percepire l'altra come “propria” e familiare.67

66 TOTTEN e MITSUTANI, “A conversation...”, cit., pp. 93-100

Capitolo Sette

“Città che si dissolvono, strade trasparenti”

Tokeru machi, sukeru michi 「 溶け る 街   透 け る 路」 – letteralmente “Città che si dissolvono, strade trasparenti” – è l'opera presa in esame per la traduzione. Si tratta di un diario di viaggio delle città visitate da Tawada dalla primavera del 2005 alla fine del 2006, racconti che sono stati pubblicati a puntate sul Nikkei Shinbun 日経新聞 (Nihon Keizai Shinbun) e poi raccolti in un libro.

Come lei stessa scrive nella postfazione, sono principalmente città in cui è stata invitata a partecipare a festival letterari, interviste, incontri con studenti liceali o universitari. Città in cui vive “anche solo una persona interessata agli strani romanzi che scrive”68, con cui è possibile un dialogo:

privilegio difficilmente concesso ai viaggiatori, che di rado hanno l’occasione di intavolare uno scambio dialettico non superficiale con gli abitanti delle città che visitano.

Pur non trattandosi di un'opera di fiction, emergono chiaramente numerose tematiche già trattate nei capitoli precedenti: nei piccoli episodi di vita quotidiana, nell'approccio al nuovo, all'“estraneo” che incontra nei suoi viaggi in Paesi stranieri o in quello in cui vive, la Germania.

Nella percezione degli avvenimenti intorno a sé e nel modo di raccontarli si ritrova quello che è il pensiero di Tawada in relazione a temi già affrontati, quali l'identità, il rapporto con lo straniero, la fluidità dei confini fisici e geografici e persino la metamorfosi.

Gli avvenimenti esterni diventano spunto di riflessione e analisi della realtà; spesso anche degli eventi storici che hanno portato una determinata realtà a essere ciò che è, percorrendo quindi il legame verticale che è il rapporto tra la città nel presente e la stessa città nel passato.

La voce narrante è una scrittrice giapponese trapiantata in Germania – ad Amburgo prima, a Berlino poi – che conosce profondamente la storia, la letteratura, la mitologia giapponese allo stesso modo di storia, letteratura e mitologia occidentali, nello specifico europee, anche se non mancano riferimenti alla cultura americana. I momenti narrati nel presente si intrecciano a episodi accaduti nel passato nella stessa città, spesso ricordi di vita vissuta dell'autrice.

Trattandosi di un’opera scritta in lingua giapponese, è chiaramente rivolta a un pubblico nipponico, al quale vengono spiegati citazioni e riferimenti storici e letterari – spiegazioni di cui un lettore occidentale non avrebbe generalmente bisogno. In altri punti si strizza invece l’occhio al lettore,

quando elementi storici e culturali europei vengono filtrati da una prospettiva che non li considera scontati e usuali.

Non mancano osservazioni profonde e spunti critici, in quella che è sì l’osservazione della storia e della cultura di una specifica città e di uno specifico Paese, ma considerata spesso in una visione più ampia e globale.

Le persone che Tawada incontra nelle diverse città sono indicate dalla semplice iniziale del nome; spesso viene indicata la loro professione e che tipo di rapporto hanno con l'autrice, ma di nessuno viene mai rivelato il nome per intero.

L’opera è idealmente un diario di viaggio lungo un anno, anche se i viaggi si riferiscono a quelli effettivamente compiuti dall’autrice tra il 2005 e il 2006, come spiega nella postfazione. I capitoli portano i nomi dei dodici mesi dell’anno, a loro volta divisi in sottocapitoli dedicati alla città visitata, di cui vengono riportati il nome giapponese e quello originale. Anche i nomi dei mesi sono scritti in giapponese e poi nella lingua dei Paesi visitati in quell’arco di tempo, così che per esempio “gennaio” è scritto, oltre che in giapponese, in ungherese e tedesco; “giugno” in francese e “dicembre” in francese, inglese e arabo.

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