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Uno dei primi obbiettivi dell’analisi del materiale faunistico di un sito archeologico è quello di stabilire la frequenza relativa di ogni singola specie, stabilire cioè la percentuale dei resti di un determinato taxon (abbondanza tassonomica) all’interno di un – relativa a un- campione con l’obbiettivo di stabilire l’importanza economica di un animale rispetto ad un altro. Un campione faunistico rappresenta quasi sempre solo una parte della biocenosi (la comunità delle specie di un ecosistema che vivono insieme nello stesso posto) ed è maggiormente attribuibile ad una tanatocenosi (l’insieme degli organismi morti entro un sedimento). Questa non rappresenta quasi mai una completa biocenosi ma generalmente una sua parte ed è quindi preferibile intendere una tanatocenosi come un set di organismi morti, in qualche modo stratigraficamente e analiticamente delimitati. Sebbene quasi mai un campione faunistico rappresenta una completa tanatocenosi, gli organismi che la compongono derivano in qualche modo da una o più biocenosi.). Una tanatocenosi, infine, attraverso fenomeni di deposizione, di dispersione, di deterioramento chimico e meccanico forma una tafonocenosi che costituisce l’insieme dei resti degli organismi (in questo caso, resti faunistici) trovati generalmente sepolti e spazialmente (stratigraficamente) associati. Anche la tafonocenosi è rappresentata solo in parte in un campione faunistico dato che non tutti i reperti vengono recuperati, e fra quelli recuperati non tutti sono attribuibili ad uno specifico taxon. Dallo studio dei reperti sopravvissuti alle

transizione che intercorrono dalla biocenosi alla tafonocenosi attraverso la tanotocenosi verrà stabilita l’abbondanza tassonomica di un deposito faunistico.

Questa può essere calcolata attraverso unità quantitative fondamentali note col nome di NISP e NMI acronimi rispettivamente di number of identified speciments e minimum

number of individuals, generalmente indicati in italiano (e in seguito nel testo) come NRD

(numero dei resti determinati) e NMI (numero minimo di individui). Il NRD consiste nel conteggio del numero di elementi scheletrici (ossa e denti), interi o frammentati, attribuibili

Figura 4.1: rappresentazione schematica di alcuni fattori che influenzano i dati archeozoologici (Davis, 1987).

alla specie animale che rappresentano. Correlata al NRD è il NR (numero dei resti) che comprende l’intero campione compresi i resti faunistici che non si sono potuti determinare a livello di specie, di genere e di parte anatomica. I principali vantaggi nell’utilizzo del NRD sono dovuti al fatto che è una misura rilevabile in quanto consiste in un conteggio diretto e non derivato, che procede di pari passo con la determinazione dei resti. È un calcolo addizionale e cumulativo che non necessita di essere ricalcolato ad ogni nuova determinazione (come ad esempio può accadere con il NMI). I problemi nell’utilizzo del NRD per il calcolo dell’abbondanza tassonomica sono molti e sono stati affrontati nel corso del tempo da numerosi autori (cfr. Lyman 2008). Il NRD, può variare a seconda della specie perché il numero di ossa e denti può essere differente a seconda del taxa. Il numero di ossa di un perissodattilo (i.e. cavallo) per esempio è differente da quello di un artiodattilo (i.e. capra) e nella comparazione della loro abbondanza all’interno di un campione in base al numero dei resti la specie con un numero maggiore di ossa risulterà sovrastimata. Un metodo per controllare questo problema è quello di contare solo gli elementi scheletrici che hanno un identica frequenza. Nel caso di equini e caprini ad esempio non si terra conto delle falangi che nel primo taxon sono numericamente inferiori (12) a quelle del secondo (24). Il NRD è influenzato differenti tipi di accumulo, recupero e frammentazione degli elementi scheletrici a seconda del taxa. La struttura delle ossa di alcuni animali (per esempio degli uccelli) è maggiormente soggetta a frammentazione con la conseguente perdita delle pardi diagnostiche necessarie a determinare e distinguere una specie da un'altra. Il grado di identificabilità può ridursi anche nelle grandi ossa soggette a frammentazioni di tipo antropico e animale per il recupero di nutrienti (midollo). I problemi principali nell’utilizzo del NRD nella stima dell’abbondanza tassonomica sono però la sovra rappresentazione e la potenziale interdipendenza dei resti scheletrici. La tabella 4.1 mostra un ipotetico campione osseo formato da 21 reperti, 1 appartiene al taxon A, 10 al taxon B e 10 al taxon C. considerando l’abbondanza tassonomica in base al NRD il taxon A costituisce il 5% il taxon B e C il 47.5%. ma se i 10 frammenti del taxon B appartenessero ad un solo individuo la sua abbondanza sarebbe sovrastimata. Considerando il NMI (cfr. dopo) le percentuali sarebbero infatti molto differenti (taxon A e B 5%, taxon C 95%). Le definizioni del NMI sono numerose e in qualche caso articolate (Lyman 2008 e biblio citata) ma può essere considerato come l’elemento scheletrico

maggiormente ricorrente in un campione faunistico. Così se in un deposito faunistico sono presenti due omeri sinistri e uno destro di pecora devo essere presenti almeno (minimo) due individui di questa specie rappresentata dai tre reperti perché tutti i mammiferi possiedono un omero destro e uno sinistro. Oltre considerare l’elemento anatomico maggiormente numeroso (destro e sinistro) nel calcolo del NMI si tiene conto della fascia di età e delle indicazioni morfologiche e sessuali. Il NMI salvo rari casi (i.e sepolture) non si riferisce ad individui necessariamente completi. L’utilità maggiore di questa unità quantitativa sta nel fatto che tenta di risolvere i problema critico del NRD dell’interdipendenza dei reperti (appartenenza di più frammenti ossei allo stesso elemento scheletrico e quindi allo stesso individuo) con il risultato di limitare la sovrastima di un taxon. Ma anche l’utilizzo del NMI nella stima dell’abbondanza tassonomica presenta dei problemi il più critico dei quali è quello dell’aggregazione. Tale problema riguarda la scelta del campione su cui effettuare il calcolo del NMI. Vengono così a formarsi degli aggregati i cui confini vengono stabiliti dall’analista in relazione alle unità stratigrafiche, all’area di scavo o altro. La scelta di calcolare il NMI di un campione in base all’area di provenienza o in base agli strati di recupero produrrà risultati differenti.. Le due unità di quantificazione presentano entrambe vantaggi e svantaggi alcuni dei quali di difficile soluzione e la stima dell’abbondanza tassonomica calcolata con questi parametri deve tenere conto degli obbiettivi della ricerca. La scelta di un aggregato per il calcolo del NMI può essere fatta in relazione ad un insieme di Unità Stratigrafiche che comprendono una particolare area (abitato, sepoltura), situazione (rituale, sacrificio), periodo temporale ecc. l’uso del NRD è comunque una misurazione fondamentale, diretta e additiva rispetto al NMI che è derivata e maggiormente soggetta ad interpretazione. Altre unità quantitative spesso utilizzate per stabilire l’importanza di una specie all’interno di un campione osseo sono il calcolo della biomassa e del calcolo della quantità di carne. La biomassa viene definita paleontologicamente come la quantità totale del tessuto biologico dei taxa presenti nel deposito faunistico in studio. L’archeozoologia misura la quantità dei tessuti molli consumabili (carne) in un insieme faunistico. La resa in carne viene generalmente calcolata in base al NMI (per taxon) che viene moltiplicato per la media della resa totale di carne di un individuo (del taxon). L’analisi della quantità di carne ricavabile da ciascuna specie è basato sui dati ottenuti da bestiame attuale spesso di taglia differente da quello antico;

inoltre il peso varia in ciascuna specie con l’età, il sesso, la razza e lo stato nutrizionale. Più che per stabilire l’importanza economica di una specie all’interno di un campione questo calcolo è utile per ridimensionare il ruolo di alcuni animali presenti con un numero maggiore di resti rispetto ad un altro con resa carnea maggiore. Per esempio un femore di bovino fornisce la quantità di carne di numerosi femori di pecora.