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L’operatività di un simile dispositivo proibizionista produce diversi e profondi strappi al tessuto costituzionale di cui pure l’intero ordinamento penitenziario dovrebbe essere foderato. Eccone il repertorio, parametro per parametro.

4.1. Violazione del principio di legalità delle pene (art. 25, comma 2, Cost.).

Ad essere violato è, innanzitutto, il principio costituzionale di legalità delle pene, sancito all’art. 25, comma 2, Cost.

52 N. VALENTINO, L’ergastolo. Dall’inizio alla fine, Sensibili alle foglie, 2009, 47; infatti – ai sensi dell’art. 30-ter, comma 1 – i permessi premio possono avere una durata non superiore ogni volta a quindici giorni, né possono superare complessivamente i quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione.

53 A. SOFRI, Note sul sesso degli uomini prigionieri, in A. SOFRI-F.CERAUDO, Ferri battuti, cit., p. 106.

54 G.BOLINO-A.DE DEO, Il sesso nelle carceri, cit., p. 22.

55 Cass. Pen., sez. I, sent. 26 novembre 2008, n. 48165. Sempre la Cassazione ebbe a valutare manifestamente infondata la quaestio legitimitatis avente ad oggetto gli artt. 18, comma 2, e 30-ter, legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non prevedono la concessione di permessi da trascorrere in carcere, sollevata con riferimento agli artt. 3, 13, 27, 31 e 32 Cost.: nella fattispecie, il condannato aveva chiesto un incontro in condizioni di detenzione con la moglie, in alternativa al permesso premio (Cass. Pen., sez. I, 9 aprile 1992, dep. 12 maggio 1999, Guagliardo, in Cass. Pen., 1993, pp. 1549-1550).

La detenzione in carcere a seguito di condanna comporta la privazione della libertà personale, non anche la mutilazione di tutte le libertà della persona56. È certamente vero che il concetto di privazione è connaturato a quello di pena, traducendosi nella compressione di altri diritti del detenuto, con la decisiva avvertenza, però, che la legittimità costituzionale di tali ulteriori restrizioni «dipende dalla loro inevitabilità»57, correlata allo stato detentivo. Non altro, né nulla di più. Fuori da tale perimetro non c’è spazio per effetti sanzionatori aggiuntivi che, esorbitando dal tipo e dall’entità della pena passata in giudicato, sarebbero privi di un valido titolo esecutivo58.

La domanda da porsi, allora, è la seguente: tra gli effetti afflittivi a traino della sanzione detentiva, rientra legittimamente anche la compressione del diritto alla sessualità del detenuto? Certamente sì, ma solo nella misura imposta da esigenze di ordine e sicurezza e di prevenzione dei reati. Esorbitando da queste, «la limitazione acquisterebbe unicamente un valore afflittivo supplementare rispetto alla privazione della libertà personale, non compatibile» con la Legge fondamentale dello Stato59.

Eppure è quanto, oggi, accade per tutti i detenuti cui è indistintamente negato il diritto alla sessualità intramuraria, in ragione di un’organizzazione penitenziaria che – se diversamente normata, come pure è possibile e come già accade in altri paesi – consentirebbe di annullare tale permanente proibizione, frutto dunque di una scelta normativa (illegittima) e non di un’inevitabile situazione di fatto. La forzata astinenza sessuale inframuraria rivela così i tratti di una vera e propria pena accessoria «che attualmente si infligge ai detenuti uomini e donne, giovani o adulti, coniugati o meno in conseguenza automatica della esecuzione della condanna alla pena» detentiva60.

Tutto ciò è particolarmente grave in caso di condanna all’ergastolo. È vero che anche agli ergastolani sono stati estesi il beneficio penitenziario del permesso premio e le misure alternative alla pena (inclusa la liberazione condizionale). Tuttavia, per l’ergastolano comune, l’accesso a benefici e misure extramurarie rappresenta un’eventualità remota e possibile solo per concessione largamente arbitraria. Quanto all’ergastolano senza scampo, perché sottoposto al regime ostativo dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, il ritorno in libertà (temporaneo o definitivo) è addirittura precluso per legge, salva l’ipotesi di una possibile e utile collaborazione con la giustizia. In ambo le ipotesi,

56 Sulla differenza concettuale tra libertà personale e della persona cfr. M. RUOTOLO, Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, 2002, p. 47 ss.; ID., Dignità e carcere, Napoli, 2014, p. 51 ss. Sulla stessa lunghezza d’onda è la giurisprudenza costituzionale, laddove riconosce che, della libertà personale, lo stato detentivo «costituisce certo una grave limitazione, ma non la soppressione» (sentenze costituzionali nn. 349/1993 e 526/2000).

57 A. PULVIRENTI, Diritti del detenuto, cit., p. 173, che opportunamente ricorda come la privazione di diritti ulteriori del detenuto «potrebbe, semmai, derivare dall’applicazione di diverse ed autonome pene».

58 Con conseguente violazione delle riserve di legge e di giurisdizione che l’art. 13, comma 2 e 3, Cost. impone per qualsiasi forma di limitazione della libertà personale: così A. PULVIRENTI, Diritti del detenuto, cit., p. 174 nota 5, sulla scia di P. NUVOLONE, Esecuzione della pena, cit., p. 24. Analogamente L. RE, La sessualità rimossa, cit., p. 1, secondo la quale «nella castità forzata vi è una violenza istituzionale che nessuna legge ha formalmente autorizzato».

59 Sentenza costituzionale n. 153/2013. Per analoghe conclusioni cfr. Corte EDU, 21 febbraio 1975, Golder c. Regno Unito, §39; Corte EDU, 13 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia, §65; Corte EDU, 6 ottobre 2005, Hirst c. Regno Unito, §§69-70; Corte EDU, 12 novembre 2002, Ploski c. Polonia, §§30-31.

de facto o de jure, il diritto alla sessualità non è semplicemente circoscritto, semmai integralmente negato sia dentro che fuori dal carcere: «per loro la castrazione affettiva e sessuale è sancita in modo definitivo e senza appello»61. Ma quando la prevalenza di uno degli interessi in gioco comporta il totale sacrificio dell’altro, siamo certamente fuori dalla logica di un corretto bilanciamento costituzionale.

4.2. Violazione della libertà di disporre del proprio corpo (art. 13, comma 1, Cost.).

Lo stesso spartito argomentativo conduce a individuare una compressione oltremisura della libertà personale del detenuto, intesa nel senso più stretto e autentico di libera disponibilità del proprio corpo (art. 13, comma 1, Cost.) anche a fini sessuali. Diversamente, declinando la reclusione corporale in negazione del godimento sessuale, «la persona viene privata di sé stessa»62 e la pena si trasforma in una sorta di obbligazione penitenziale63.

Contro tale deriva anche qui ritorna utile richiamare l’insegnamento di una consolidata giurisprudenza costituzionale secondo cui «chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale»; un residuo esercitabile compatibilmente con le limitazioni che lo stato di detenzione necessariamente comporta64.

Vale certamente per il diritto al godimento sessuale del proprio corpo, che – come dimostra l’esperienza comparata – può trovare soddisfazione all’interno di appositi spazi carcerari secondo modalità compatibili con le esigenze di ordine e di sicurezza proprie dello status detentivo. Un diritto che – come già visto65 – la stessa Corte costituzionale, nella sua sentenza n. 301/2012, ha ritenuto non incompatibile con la detenzione. Dunque il libero esercizio della propria sessualità dovrebbe risultare «invulnerabile alla sanzione giuridica»66, nel rispetto del principio del minor sacrificio della

61 N. VALENTINO, L’ergastolo, cit., p. 44; di «ergastoli sessuali» parla anche A. SOFRI, Note sul sesso, cit., p. 99.

62 G. SILVESTRI, La dignità umana dentro le mura del carcere, in www.dirittopenitenziarioecostituzione.it, 28 maggio 2014, p. 5. Analogamente, A. PULVIRENTI, Diritti del detenuto, cit., p. 186, include nella libertà personale in senso stretto anche «il diritto di gestire il proprio corpo, nei limiti imposti dal rispetto dell’altrui libertà sessuale».

63 Che l’impossibilità di rapporti sessuali inframurari «corrispond[a] appieno alla funzione penitenziale del regime detentivo» è la convinzione di F. CARNELUTTI, Lezioni sul processo penale, vol. IV, Roma, 1949, p. 94. A me, invece, viene in mente l’«annichilimento d’ogni odore di carnalità» propria di determinate tradizioni monastico-penitenziali indagate da P. CAMPORESI, L’officina dei sensi, Milano, 1991, p. 78. O il trittico del modello canonico della penitenza (confessio oris, contritio cordis, satisfactio operis) scandito dai tre momenti del riconoscimento della colpa, della purificazione nel pentimento e dell’emenda (G. BOLINO-A.DE DEO, Il sesso nelle carceri, cit., p. 16).

64 Cfr. sentenze nn. 204/1974, 185/1985, 312/1985, 374/1987, 53/1993, 349/1993 (da cui è tratta la citazione testuale).

65 Vedi supra, §3.2.

66 L’espressione è di G. BOLINO-A.DE DEO, Il sesso nelle carceri, cit., p. 34. Che la dimensione affettiva e sessuale rientri tra «gli spazi di libertà-autodeterminazione che non possono mai essere sottratti al detenuto» è

sfera soggettiva del detenuto che – secondo Costituzione – deve ispirare le scelte normative in ambito penitenziario.

4.3. Violazione del diritto alla salute, individuale e collettivo (art. 32, commi 1 e 2, Cost.).

Violato è anche l’art. 32, commi 1 e 2, Cost., posto a garanzia del diritto alla salute, sia individuale che collettiva.

Quanto al profilo individuale, non v’è dubbio alcuno sulla titolarità del diritto alla salute da parte del soggetto recluso in carcere67, qualunque sia la pena cui è stato condannato: fino al paradosso – narrato da Foucault – per cui negli ordinamenti non abolizionisti anche il condannato a morte, in attesa dell’esecuzione capitale, riceve tutte le cure e l’assistenza di cui abbisogna. Anche qui, la legittima pretesa punitiva dello Stato deve coordinarsi sempre con la tutela della salute del recluso: salute che (secondo i dettami della Organizzazione Mondiale della Sanità, recepiti nella giurisprudenza costituzionale e di legittimità) non è da intendersi semplicemente come assenza di malattia, bensì come uno stato complessivo di benessere fisico e di equilibrio psichico. Ora, non serve una laurea in medicina o in psichiatria per comprendere che l’astinenza coatta e prolungata, in persone che hanno ormai superato l’età puberale, inibisce uno sviluppo normale della sessualità con nocive ricadute stressanti di ordine sia fisico che psicologico68, perché «il sesso solo pensato mutila, inibisce e disadatta»69.

Quanto al profilo dell’interesse della collettività, è sufficiente il richiamo al parere del Comitato Nazionale di Bioetica, approvato all’unanimità il 27 settembre 201370, per la dimostrazione di come

anche il parere di V. ONIDA, Prefazione, in M. RUOTOLO, Dignità e carcere, cit., XIII-XIV, e di A. MARTUFI, Diritti dei detenuti, cit., p. 100.

67 Esplicito ne è il riconoscimento nell’art. 11, legge n. 354 del 1975; la sua garanzia ne esce rafforzata a livello costituzionale dalle prescrizioni degli artt. 13, comma 4, e 27, comma 3, Cost. In argomento, tra molti, F. CECCHINI, La tutela del diritto alla salute in carcere nella giurisprudenza della Corte EDU, in Dir. Pen. Cont., 23 gennaio 2017; C. FIORIO, Libertà personale e diritto alla salute, Padova, 2002; G.M. NAPOLI, Salute, affettività, cit., Cap. II, §2.1; M. RUOTOLO, Dignità e carcere, cit., p. 83 ss.; su tutti resta fondamentale, anche per la sua base empirica, il volume di D. GONIN, Il corpo incarcerato, trad. it. E. Gallo, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1994.

68 Cfr. C. BRUNETTI-M.ZICCONE, Manuale di diritto penitenziario, Piacenza, 2005, pp. 333-334. In tema, con approcci diversificati, cfr. G.A. BELLONI, L’eros incatenato. Studio sul problema sessuale penitenziario, Milano, 1939; L. BOCCADORO-S.CARULLI, Il posto dell’amore negato. Sessualità e psicopatologie segrete, Tecnoprint, Ancona, 2008; D. CLEMMER, Carcere e società liberale, trad. it. E. Santoro, Giappichelli, Torino, 1997; I. GENGHI, L’espressione della sessualità nella restrizione della libertà, in C. Serra (a cura di), Devianza e difesa sociale, Franco Angeli, Milano, 1981, p. 33 ss.; G. PANIZZARI, Il sesso degli angeli. Nei labirinti della sessualità carceraria, Milano, 1991; G. SALIERNO, La repressione sessuale nelle carceri italiane, Roma, 1973.

69 RISTRETTI ORIZZONTI, L’amore a tempo di galera, cit., p. 164. Lo nega A. DIDDI, Il diritto del detenuto a coltivare legami intimi con persone esterne al carcere: una questione antica e non (ancora) risolta, in Proc. Pen. e Giust., 2013, p. 104 nota 24, per il quale «mancano evidenze scientifiche che documentino danni alla salute conseguenti a tali situazioni». Come no. L’astinenza sessuale e la repressione della libido, specialmente se prolungate nel tempo, fanno bene alla salute e temprano lo spirito. Provare per credere.

70 Cfr. La salute “dentro le mura”, Rapporto del Comitato Nazionale per la Bioetica sulla salute in carcere (27 settembre 2013), dove la salute è indagata non solo come diritto in sé ma quale concetto multifattoriale

e perché la tutela della salute negli istituti penitenziari si ripercuota sulla salute dell’intera comunità. Ciò è particolarmente vero se solo si pone mente agli effetti collaterali dell’astinenza eterosessuale cui è costretto il detenuto. Favorendo il ricorso a pratiche omosessuali – indotte o addirittura coercite – tale forzata astinenza è responsabile di un’intensificazione dei rapporti a rischio, che incrementa in maniera significativa la diffusione tra i ristretti di malattie infettive sessualmente trasmissibili: il parere del Comitato Nazionale di Bioetica conferma, ad esempio, i tassi di morbilità più elevati tra i detenuti (rispetto alla popolazione generale) con riferimento ai livelli di HIV (oltre che di patologie psichiatriche e, purtroppo, di morti suicidarie).

L’operante dispositivo proibizionista concorre così a un paradosso: quello per cui il carcere «fa ammalare anche chi è in buona salute. Non a caso la prigione è l’unico luogo in cui si apre una cartella clinica a una persona sana, che non è malata, ma che probabilmente lo diventerà»71.

4.4. Violazione della dignità personale del detenuto (art. 2 Cost.).

Epitome di tutti questi strappi costituzionali è l’annichilimento della dignità personale del detenuto. La sessualità è costitutiva di ciascun individuo, non essendoci data la possibilità di abbandonare la carne che ci rende umani: «noi non abbiamo, ma siamo un corpo»72. Ecco perché «l’invalidazione del corpo […] diventa inevitabilmente invalidazione di tutta la persona»73, ed è proprio in ragione di ciò che «ogni situazione di estrema costrizione fisica, di mancanza di beni essenziali per una vita decente si converte in una lesione della dignità»74.

Lo sa bene la Corte costituzionale, che ha definito il diritto all’affettività – di cui l’attività sessuale è «indispensabile completamento e piena manifestazione» – come «uno degli essenziali modi di espressione della persona umana [...] che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost.

(inclusivo anche della sua dimensione affettivo-sessuale), concorrente alla finalità rieducativa della pena e quale presupposto e condizione per la stessa legalità della detenzione. A commento del parere vedi C. PICIOCCHI, «La salute “dentro le mura”»: commento al rapporto del Comitato Nazionale per la Bioetica sulla salute in carcere (27 settembre 2013), in Studium Iuris, 2014, p. 845 ss.

71 L. CASTELLANO-D.STASIO, Diritti e castighi. Storie di umanità cancellata in carcere, Milano, 2009, p. 243.

72 A. SOFRI, Altri Hotel. Il mondo visto da dentro 1997-2002, Milano, 2002, p. 148 (i corsivi sono testuali).

73 F. MAISTO, Afflittività e affettività, in S. ANASTASIA-F.CORLEONE-L.ZEVI (a cura di), Il corpo e lo spazio della pena. Architettura, urbanistica e politiche penitenziarie, Roma, 2011, p. 177.

74 Così G. SILVESTRI, La dignità umana, cit., 5, con riferimento al sovraffollamento carcerario, ma – come argomento nel testo – è altrettanto vero anche per l’operante dispositivo proibizionista della sessualità inframuraria. Coglie egualmente il nesso tra dignità personale e negazione dei bisogni umani comuni a tutte le persone, tra i quali la sessualità, G.M. NAPOLI, Salute, affettività, cit., Cap. I, §1.2. Anche il Magistrato di Sorveglianza di Firenze nella sua ordinanza di rinvio (vedi, supra, nota 19), indicando a parametro di giudizio l’art. 2 Cost., prospettava la violazione del «principio supremo della libertà-dignità».

Sulla dignità personale quale «punto archimedico» dell’ordinamento, con specifico riguardo alla condizione del detenuto, vedi ora la ricognizione giurisprudenziale e dottrinale di A. BONOMI, Status del detenuto e ordinamento costituzionale. Le tecniche di bilanciamento nella giurisprudenza del Giudice delle leggi, Bari, 2018, pp. 27-33.

impone di garantire»75. Ed è proprio su questo assunto che il Parlamento ha inteso giustificare la ricollocazione nel codice penale dei delitti contro la libertà sessuale fra quelli contro la persona (e non più contro la morale), avvenuta con legge 15 febbraio 1996, n. 6676.

Né il diritto alla vita sessuale può essere negato al soggetto detenuto in ragione della sua condizione di cattività: anche il carcere è, infatti, una formazione sociale (sia pure coattiva) dove il detenuto continua a svolgere la propria personalità, e la cui organizzazione può non essere incompatibile con l’esercizio del diritto77.

Intendiamoci. Le modalità del sesso immaginato e solitario, come pure dell’omosessualità non vanno sindacate, rientrando indubbiamente tra le espressioni legittime della propria sessualità. Ma ad una condizione: che siano l’esito di una libera scelta. Se frutto, invece, di un consenso rassegnato alla situazione detentiva, il ricorso a pratiche masturbatorie o a rapporti omosessuali assume tutt’altro significato: quello di un avvilimento del detenuto e del degrado della sua dignità personale. Perché un conto è cantare – come fa uno sconsolato e abbandonato Tiziano Ferro – «ho levigato la tua assenza/solo con le mie braccia». Un conto è ironizzare – come fa Woody Allen in Manhattan – sull’onanismo come «uno dei miei hobby preferiti». Altro è doverlo dire (e doverlo fare) perché costretti dall’assenza di alternative, come forma di «adattamento sessuale del recluso alla vita carceraria» 78 . Non diversamente, «nel microcosmo unisessuato del carcere» quasi mai l’omosessualità «può essere una scelta felice, e nemmeno una scelta»79, essendo il più delle volte praticata in funzione compensativa, vissuta con vergogna, forma di godimento mortifero e «fonte di sopraffazioni e costruzioni di gerarchie concorrenti»80.

75 Sentenza n. 561/1987. Si veda anche la sentenza n. 26/1999, laddove collega la dignità della persona al bagaglio dei diritti inviolabili dell’uomo «che anche il detenuto porta con sé lungo tutto il corso dell’esecuzione penale».

76 Il pertinente rilievo è di A. PULVIRENTI, Diritto del detenuto, cit., p. 186.

77 Esplicito, sul punto, è il già ricordato parere del Comitato Nazionale di Bioetica, secondo cui dovrebbe essere garantita «la possibilità di godere di intimità negli incontri tra detenuti e coniugi/partner, in modo da salvaguardare l’esercizio della affettività e della sessualità. In tal modo si sostanzia il principio etico della centralità della persona, anche in condizioni di privazione della libertà».

78 A. RICCI-G.SALIERNO, Il carcere in Italia, cit., p. 207: «Non era facile tirare avanti in circostanze così ostili. Spesso l’astinenza sessuale portava i reclusi a essere meno esigenti in fatto di compagnia. Una volta, mentre andavo alle docce, ho visto due uomini fare l’amore. Decisi che quella doccia non era poi così indispensabile e me ne tornai da dov’ero venuto. Per non disturbare nessuno. Nemmeno i secondini che a turno si godevano lo spettacolo. Pensai a lungo a quello che avevo visto. Non era amore, non era sesso, forse era qualcos’altro. Mi era sembrata più una forma di sopravvivenza» (S. BONVISSUTO, Dentro, Torino, 2012, pp. 43-44).

79 N. VALENTINO, L’ergastolo, cit., p. 51. È, la libertà di scelta, una pre-condizione indispensabile eppure assente nell’analisi controcorrente di P.P. PASOLINI, Il carcere e la fraternità dell’amore omosessuale, ne Il Mondo, 11 aprile 1974 (poi ripubblicato nei suoi Scritti corsari, Milano, 1975, p. 197 ss.) che, in ragione di tale omissione, non riesce a persuadere.

80 A. SOFRI, Note sul sesso, cit., p. 107. Lo testimonia, ad esempio, S. LUPO, Che cos’è la mafia, Milano, 2007, p. 101, raccontando della protezione garantita in carcere dall’organizzazione mafiosa ai propri affiliati (e non solo) rispetto al «rischio di perdere la dignità ovvero la virilità» dietro le sbarre.

5. Un illegittimo ostacolo alla risocializzazione (in violazione dell’art. 27, comma 3, Cost.).

Più in generale, l’operante dispositivo proibizionista incide in profondità sul disegno costituzionale del diritto punitivo, mettendone a rischio innanzitutto la finalità.

Nell’affermare che tutte le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato», l’art. 27, comma 3, Cost. detta direttive vincolanti per l’organizzazione e l’azione delle istituzioni penitenziarie che l’astinenza sessuale coatta elude o elide. «Prescindere dall’espressione anche fisica dell’affettività, parte integrante dell’identità di ogni individuo»81, infatti, allontana inutilmente l’obiettivo che la Costituzione assegna all’esecuzione penale. Così come, ostacolando il mantenimento di relazioni familiari insostituibili nel percorso di recupero del reo, rende altrettanto inutilmente più difficile il suo futuro reinserimento sociale82. In ambedue i casi nasce un problema perché «la pena, quando non riesce nel suo intento di piena “risocializzazione” del condannato, dovrebbe, quanto meno, non rappresentare un ulteriore fattore di desocializzazione»83. È quanto invece accade: vediamo come, vediamo perché.

5.1. La dimensione bilaterale della pena e le sue conseguenze giuridicamente rilevanti.

Bandito ogni rapporto sessuale intramurario con il partner, la detenzione rischia di produrre una desertificazione affettiva e relazionale che lascia sul campo solo vittime: il detenuto, condannato così ad un’ingiustificata solitudine causa di depressioni psicofisiche gravi; ma anche il con-sorte (nomem omen), vittima dimenticata la cui sfera affettiva inevitabilmente si comprime in ragione di un reato che non ha mai commesso, e di una condanna che non ha mai meritato.

Questa «dimensione “bilaterale” della pena»84 è particolarmente devastante nei casi di detenzione a vita: «vista da chi resta fuori, la persona condannata all’ergastolo esiste e non esiste»85 e questa sua

81 M. E. SALERNO, Affettività e sessualità, cit., p. 15.

82 Sull’importanza delle relazioni e del tessuto familiare quale condizione necessaria per il riuscito reinserimento sociale del detenuto, ex multis, cfr. A. CIAVOLA, Profili di diritto processuale e penitenziario in tema di coppie di fatto, in Dir. Pen. Cont., 17 gennaio 2014; F. DELLA CASA, I rapporti del detenuto con la sua famiglia, in Dir. Pen. e Proc., 1999, p. 122 ss.; G. MASTROPASQUA, Esecuzione della pena detentiva e tutela dei rapporti familiari e di convivenza, Cacucci, Bari, 2007. Lo conferma il dialogo letterario tra i due compagni di cella: «- Sai, sono contento di uscire…; - Certo che devi esserlo, ma è il momento più difficile. Ti salvi solo se c’è qualcuno che ti aspetta lì fuori, qualcuno che ti vuole bene. Se ce l’hai, puoi andare, sennò puoi anche rimanere qui. Perché, se fuori sarai da solo, è qui che tornerai» (S. BONVISSUTO, Dentro, cit., p.

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