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Strategie politiche dietro gli accord

STRATEGIE GEOPOLITICHE DIETRO GLI ACCORDI CINA EMIRATI ARABI UNIT

4.2 Strategie politiche dietro gli accord

BRICS: dietro questo acronimo, non unico del suo genere, ma emblematico di un'inedita situazione macroeconomica, si celano le iniziali di alcuni Paesi emergenti che, già da alcuni anni, sembrano essere diventati i protagonisti di un nuovo corso, di una svolta, negli assetti economici e politici del mondo industrializzato. E' importante citare qui il Brasile, la Russia, l'India, il Sudafrica che, con la Cina, sono nella così detta top- ten dei Paesi in fortissimo e crescente sviluppo. Ed è ancor più importante non sottovalutare una recente loro iniziativa che può avere più di un significato se la si considera dal punto di vista degli equilibri economici già esistenti e consolidati.

Si tratta di questo: al vertice di Durban di qualche settimana fa i suddetti Paesi hanno stabilito che entro il 2014 dovranno avere negoziato tutti i dettagli per il lancio di una nuova banca internazionale al servizio di progetti di sviluppo infrastrutturale a

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favore delle realtà povere ed emergenti. L'iniziativa fa capire che lo scopo dell'informale associazione dei cinque Paesi non è solo quello di migliorare gli scambi commerciali e di aumentare il prestigio e l'influenza dei suoi singoli membri, ma anche quello di rimodellare l'ordine globale. La nuova banca, infatti, viene pensata come un'alternativa alla Banca mondiale, considerata espressione degli interessi degli Stati Uniti e dei Paesi industrializzati dell'Occidente. Il summit di Durban per il momento non si è concluso con decisioni finali molto ben definite in quanto non ha detto nulla su temi fondamentali come la capitalizzazioni della banca, la portata delle sue attività, i criteri per l'individuazione e la distribuzione dei progetti e il luogo dove la centrale della banca dovrà essere collocata. E' invece agli atti che il Sudafrica si è candidato a ospitare la banca e che il finanziamento iniziale dovrebbe ammontare a 50 miliardi di dollari. Per avere un'idea della portata della cosa, si deve tener presente che la Banca mondiale impegna attualmente circa 30 miliardi di dollari all'anno per progetti infrastrutturali. Si è anche preso l'impegno per la creazione di un meccanismo di riserve valutarie comuni del valore iniziale di 100 miliardi di dollari che dovrebbe permettere ai BRICS di far fronte ad eventuali mancanze di liquidità e di rafforzare la stabilità finanziaria. Altro elemento importante da sottolineare è l'accordo firmato tra la Cina e il Brasile per l'accettazione reciproca delle rispettive valute, ed essendo l'interscambio fra i due Paesi di circa 75 miliardi di dollari, ciò significa che quasi la metà dei loro scambi commerciali uscirà dalla zona di influenza del dollaro. Il risvolto politico di tutto ciò è notevole: l'assetto economico e politico mondiale avrà un nuovo volto quando tutto questo fermento attualmente magmatico avrà contorni meglio definiti.

Nei confini del quadro che si è appena proposto si inserisce anche l'evoluzione del processo di contatti ed accordi tra la Cina e gli EAU, accordi che si collocano in un contesto geografico che presenta altre sfaccettature per le mire strategiche dell'influenza statunitense verso i Paesi mediorientali, ricchi di quelle materie prime che garantiscono i necessari approvvigionamenti ai fini della crescita industriale.

La Cina è da millenni universalmente riconosciuta come culla di una civiltà meravigliosa, una protagonista fondamentale del cammino dell'umanità. Tuttavia, solo di recente il Paese ha rotto quell'isolamento che è sempre stato una caratteristica della sua identità assieme alla sua potenziale e prevedibile forza di espansione derivante dal potenziale demografico. L'isolamento ha portato per millenni la Cina a non essere

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esportatrice della propria civiltà e, pur essendo i cinesi un popolo dalle grandi capacità di esplorazione, essa non ha mai avuto la vocazione alla colonizzazione. Inoltre, escluse le sue note sfere di influenza (si pensi, ad esempio, al Tibet), non può essere taciuto il continuo stato di inimicizia e di conflittualità con altre Potenze straniere, con l'impero del Giappone, solo per fare un esempio. Spostando poi lo sguardo verso il bacino del Mediterraneo e al Medio Oriente, si nota che queste aree non sono mai state nel passato punti nevralgici degli appetiti cinesi. Paradossalmente, è dal Mediterraneo alla Cina che è partito il primo embrione dei contatti, almeno culturali, e Marco Polo è un esempio di come la così detta Via della Seta sia stata frequentata dai viaggiatori occidentali verso l'Oriente piuttosto che viceversa. Nel secolo scorso, nel pieno della adozione dell'ideologia comunista e con la nascita della Repubblica Popolare Cinese, il governo di Pechino concentrò la propria attenzione sull'Africa. Inutile dire che l'attenzione cinese aveva tra gli obiettivi la propaganda del credo marxista in quel continente agevolata anche dal fatto che , da poco indipendenti dal colonialismo europeo, quelle regioni potevano essere l'approdo ideale delle idee di giustizia sociale, di emancipazione dalla povertà e dal sottosviluppo. Ma va aggiunto un piccolo particolare tutt'altro che trascurabile: l' Africa si collocava perfettamente nella teoria del “non allineamento” con nessuna delle due superpotenze emerse alla fine della seconda guerra mondiale: gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Come si può notare, ci si trova di fronte a un qualcosa che non ha fini esclusivamente ideologici o economici: siamo di fronte ad un primo abbozzo di strategia macropolitica, ad un tentativo, se pur embrionale, di costituire una sorta di contrappeso nei confronti di quelle Potenze che la guerra aveva evidenziato. Così almeno la pensano molti osservatori.

Da anni, ormai, è sotto gli occhi di tutti come l'invasione dei prodotti “made in China” sia massiccia su tutti i mercati dell'Occidente, ed è noto che tale invasione sottende molti fattori che riguardano non solo l'esiguità del costo della mano d'opera in quel Paese, abilmente sfruttata anche da imprenditori nostrani, ma anche dallo scarso rispetto di quella economia verso le elementari regole che dovrebbero essere alla base del diritto del lavoro. Ne fa testimonianza la denuncia delle autorità di Pubblica Sicurezza del nostro Paese che spesso porta alla luce situazioni di assoluto degrado in fabbrichette clandestine avviate in ambienti malsani con lavoratori sfruttati e totalmente privi di qualsiasi forma di tutela igienica e sanitaria. E' una situazione ormai

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generalizzata: la Cina sta invadendo dal basso i nostri mercati con le merci dai marchi più o meno contraffatti prodotte a prezzi stracciati e quindi appetibili per gran parte dei consumatori. Tutto ciò ha come conseguenza un notevole arricchimento della stessa Cina, ma c'è da sottolineare che non tutta la ricchezza prodotta è finalizzata alla risoluzione di antichi ed endemici mali sociali. Infatti, nella realtà cinese esiste questa grossa zona d'ombra: nonostante i principi comunisti volti al perseguimento della giustizia sociale, lo Stato non garantisce quasi nulla e tutti i servizi fondamentali, come istruzione e salute, si pagano a caro prezzo.

Quindi, nella questione della ricchezza cinese rientra ben altro. Grazie alle sue enormi riserve di valuta pregiata, solo per fare un esempio, la Società Cinese di Investimento qualche anno fa ha acquistato grosse quote azionarie di alcune grandi banche occidentali, come la Morgan Stanley e la Barclays e si è infiltrata in una delle più grandi imprese dell'area euro-americana. Ben diecimila imprese cinesi lavorano in 160 Paesi nel mondo ed il governo di Pechino si è dato da fare ed ha acquisito quote proprietarie in aziende-leader nel settore dell'energia e dell'agricoltura, due settori strategici alla luce della crescente necessità nazionale di fonti energetiche ed alimentari. Questa “pacifica” infiltrazione sta portando e producendo a poco a poco, un forte cambiamento di rapporto tra l'influenza occidentale e quella orientale, guidata, appunto, dal colosso cinese, in aree del mondo laddove l'influenza occidentale faceva da padrone e, soprattutto, nell'area medio orientale e africana. Ne è testimonianza questo evento: qualche anno fa l'allora presidente cinese Hu Jintao ha ricevuto in visita ufficiale vari capi di Stato africani e ha offerto loro fondi economici consistenti, ottenendo in cambio un solido impegno a non sollevare obiezioni riguardo al riconoscimento di alcuni diritti umani, di fatto ignorati in Cina, e a non far pressioni in sede ONU circa la richiesta di riforme democratiche.

Altre cifre consistenti vengono spese per gli armamenti. Alcuni osservatori13 sottolineano un aspetto inedito: nel 2007 la Cina ha ufficialmente annunciato di aver aumentato del 15% le sue spese militari e si crede che l'aumento sia molto maggiore di quello portato a conoscenza dell'opinione pubblica. Questa minaccia, relativamente modesta considerata la cifra, viene dagli stessi osservatori vista come un pericolo da non sottovalutare, in quanto essi temono che, in caso di momenti di tensione o di conflitto, i

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Paesi che si sono legati alla Cina con impegni particolarmente stretti rifiuterebbero sicuramente di mobilitarsi contro di essa. Tra l'altro, le potenze che gravitano nell'area geografica della Cina denunciano che si starebbe verificando, sul suo territorio, un notevole rafforzamento del potenziale atomico e missilistico, nonché l'allargamento delle unità navali militari. Ma ci sarebbe di peggio, e questo pericolo è soprattutto evidenziato da tutti coloro che non dimenticano l'antica vocazione comunista della Cina. Ci riferiamo alle nazioni che gravitano, per varie ragioni, nell'orbita dell'influenza americana e a chi teme un riaffermarsi di quelle teorie che per motivi storici sembravano accantonate per sempre. In breve, la Cina è tuttora percepita non solo come il Paese che più di ogni altro era riuscita a difendere l'ideologia marxista e la sua purezza in un mondo che prendeva atto dell'ufficiale fine della stessa, ma anche come la potenza che oggi sembra indicare una nuova via che consenta a quella ideologia di sopravvivere coniugando una nuova prospettiva di comunismo-capitalismo. Questi due termini antitetici trovano una loro giustificazione in un dato di fatto. Infatti il riferimento è ad una notizia trapelata nel 2006 e riportata dai giornali: il Ministero della Cultura di Pechino ha varato una gigantesca campagna di catechizzazione politica ed ha impegnato gli attivisti del Partito Comunista Cinese nella rilettura delle opere di Mao dalle quali ricavare che i termini “comunismo” e “capitalismo” non sono assolutamente antitetici ma, convivendo perfettamente fra loro, sono in grado di offrire soluzioni molto più efficaci, dal punto di vista dei risultati, del capitalismo occidentale. Questa che, come si è detto, è considerata dagli osservatori una vera e propria minaccia agli equilibri consolidati nello scacchiere internazionale, ed è prevista come realtà effettuale non a breve termine ma fra qualche decennio. Si ipotizza, in particolare, il 2030: “ C'è chi si sta preparando a un nuovo anno e chi a una nuova era. Nei palazzi del National Intelligence Council, il più importante centro di studi strategici americani, non guardano al 2013 ma al 2030. L'anno in cui avverrà ciò che si ripete da anni a ogni vertice internazionale, nelle convention dei grandi investitori, nelle aule universitarie e nelle redazioni dei giornali: la Cina supererà gli Stati Uniti. […] Sarà l'anno del sorpasso. Il punto non è se il passaggio avverrà, piuttosto come verrà gestito. Lo scenario è delicato: la grande transizione sarà segnata dall'esplosione della classe media globale e dalla scarsità delle risorse di base. Per questo a Washington stanno organizzando per tempo e

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in maniera oculata la cessione graduale della leadership”.14

L'analisi dettagliata della Faggionato prende le mosse dall'affermazione che dalla crisi che ha colpito il mondo occidentale non si tornerà indietro, in quanto l'Occidente difficilmente riuscirà a riappropriarsi del benessere che aveva contraddistinto gli anni antecedenti la crisi se non, forse, tra non meno di dieci anni. La crescita a così lunga scadenza per i Paesi della vecchia economia sarà invece appannaggio veloce dei Paesi emergenti e, in primis, della Cina.15 Secondo i modelli e le previsioni della World Bank, dal 2030 Stati Uniti, Europa e Giappone messi insieme faranno meno della metà della crescita globale, mentre la Cina si dovrebbe attestare su livelli che costituiscono un terzo della crescita mondiale. Per chiarire meglio la portata di questo fenomeno, si deve far riferimento alla situazione demografica di ciascun Paese. Gli studiosi del settore hanno determinato dei parametri: molti Paesi occidentali saranno completamente fuori dalle opportunità a causa del fatto che la loro popolazione registrerà una percentuale inferiore al 30% di giovani tra lo 0 e i 14 anni e di più del 15% di ultra sessantacinquenni. Condizione, questa, che, con il PIL, le spese militari e la tecnologia, vede la Cina superare gli Stati Uniti nel 2030. Ma c'è un'altra situazione che non sfugge agli analisti di questo campo di indagine: la crescita della classe media che raggiungerà i 3 miliardi di persone su 8,5 miliardi di abitanti della Terra, classe media che, solo tra cinesi e indiani, si prevede raggiungerà la cifra di 1 miliardo e mezzo di persone. Questo avrà come conseguenza che l'urbanizzazione porterà ad un boom edilizio altissimo e ad un'equivalente portata delle infrastrutture. Aumenterà sensibilmente la domanda di cibo, acqua ed energia: “Con tutta probabilità, Paesi come Russia, Cina e India affronteranno la scarsità frenando l'export e manovrando la valuta per evitare l'inflazione. Come già previsto dall' Earth Policy Institute di Lester Brown, le impennate dei prezzi delle derrate agricole sono destinate a ripetersi. Arabia Saudita, Emirati Arabi e Cina continueranno la politica di acquisizione di terreni agricoli all'estero. Ma tutto questo potrebbe avere un impatto pesante sull'economia globale”.16

La crescita demografica in genere e in particolare quella della Cina che, tutto sommato, sfugge ad un vero e proprio controllo, costituisce uno dei fattori in grado di modificare gli equilibri del pianeta. Un

14 Giovanna FAGGIONATO, 2030, Il mondo che verrà, http://www.lettera43.it/economia/macro/2030-il-mondo-che-

verra_4367578418.htm 06/01/2013 06/03/2013

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E' tuttavia recente la notizia di piccole crepe nel complesso dell'economia cinese dovute al calo verticale degli ordinativi dall'Europa e dagli Stati Uniti.

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grande punto interrogativo è se il Paese sarà in grado di sfamare tutti i suoi abitanti, posto che il suo territorio stesso presenta caratteristiche che, dal punto di vista agricolo, non garantiscono un adeguato approvvigionamento. La superficie coltivabile del suo territorio è ridotta al 7% delle aree mondiali, mentre la quasi totalità della popolazione è concentrata nelle aree del Sudest, fertili ed economicamente avanzate, mentre si registrano zone pressoché deserte in Tibet e nella Mongolia.

Dopo il 1981 è stato registrato un calo notevole nella produzione di cereali, legato alla perdita di terreni coltivabili per l'erosione dei suoli e la conversione a usi non agricoli di grandi aree. Il fenomeno riguarda in generale tutto il pianeta, ed in particolare le zone industrialmente avanzate dove, come si è detto, tende a concentrarsi la maggior parte della popolazione (fenomeno non recente se solo si volge lo sguardo al fenomeno dell'urbanizzazione legato all'affermarsi della rivoluzione industriale in Inghilterra), ma, considerato che la Cina è uno dei Paesi più popolati al mondo, il problema si pone in termini particolarmente gravi per essa, soprattutto perché alla questione alimentare si affianca il problema delle risorse d'acqua. Su gran parte del pianeta le falde acquifere sotterranee sono in esaurimento per lo sfruttamento eccessivo e per il regredire dei ghiacciai; senza l'acqua non ci può essere produzione di alcun alimento e questa situazione, combinata con la crescita demografica, ha portato molti Paesi, un tempo autosufficienti, a diventare pesantemente dipendenti dalle importazioni di cereali. Non c'è dubbio che i consumi attuali, se non regolamentati o razionalizzati, possano produrre un grave handicap per le generazioni future.17

E' dunque proprio il problema demografico a rientrare a pieno titolo in questo discorso, in quanto si è convinti che non solo c'è una drammatica connessione tra la sovrappopolazione e l'inquinamento, ma anche il clima ne risulta irrimediabilmente compromesso, così la Cina si trova di fronte ad una situazione drammatica che sta cercando in tutti i modi di arginare.

Risale al 1995, al culmine dell' ottavo Piano Quinquennale, un rapporto della dirigenza del Paese che mise in evidenza le conseguenze prodotte dal modello di crescita eccessivamente rapido nell'aumento della disparità delle entrate , nelle differenze di vita tra le varie regioni cinesi, nella diminuzione dei prodotti agricoli e in una grave tendenza inflazionistica. Le leggi vigenti sul controllo delle nascite (non più

17 Lester BROWN, Piano B 4.0. Mobilitarsi per salvare la civiltà, ed. Ambiente, Città di Castello, 2010 in

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di un figlio a famiglia) cominciava tuttavia a dare i suoi frutti.18 Molte accuse venivano allora rivolte dalla Cina all'Occidente, colpevole di consumare più del lecito e di utilizzare enormi quantità di cereali per la produzione di biocarburante, e questo mentre gran parte del mondo sottosviluppato moriva di fame. Poiché il problema era tutt'altro che marginale, le grandi potenze decisero di discuterne per giungere a delle conclusioni condivise che potessero essere a beneficio di tutti. Alla fine del 2007 si tenne a Vienna un incontro finalizzato, appunto, a concordare le politiche e gli obiettivi da adottare per scongiurare il pericolo del riscaldamento planetario e, in genere, dei cambiamenti climatici prodotti dalle emissioni dei gas-serra. Perfettamente consapevole dei meriti delle scelte politiche del suo Paese, il delegato cinese Su Wei non accettò passivamente le critiche e le accuse che gli altri delegati gli rivolgevano, di essere cioè uno dei Paesi maggiormente responsabili del surriscaldamento del pianeta a causa di un non adeguato sistema di tutela dell'ambiente, ma ha ribaltato il suo ruolo di rappresentante di una potenza sotto accusa ed è diventato a sua volta accusatore: ha esposto i dati ufficiali ed i risultati ottenuti riguardo alle misure ecologiche adottate dal governo di Pechino. I dati statistici esposti riguardavano in particolare la così detta politica del figlio unico che, partita trent'anni fa, ha dato un enorme contributo, secondo l'esponente cinese, alla riduzione dell'inquinamento mondiale. Senza la la politica limitativa di Pechino a quella data la popolazione cinese sarebbe stata di 1 miliardo e 600 milioni di abitanti invece di quella attuale attestatasi sulla cifra di 1 miliardo e 300 milioni. Cioè, la politica cinese avrebbe evitato che una massa umana, equivalente alla popolazione degli Stati Uniti, aggravasse la situazione. Su Wei indicava una riduzione di circa 1,3 miliardi di tonnellate nelle emissioni di anidride carbonica in un solo anno, una riduzione che è assolutamente superiore a quella, mai realizzata, dai governi occidentali. Molti osservatori non mancarono di notare che ad alcuni rappresentanti non restò che prenderne atto e annuire. Il delegato cinese concluse ritorcendo l'accusa contro i suoi accusatori: è l'Occidente che consuma i tre quarti del petrolio e del gas mondiale e che inquina la terra, per motivi di profitto, con le emissioni velenose. Non si può tacere, tuttavia, che se la Cina consuma attualmente il 10% dell'energia mondiale, a paragone degli Stati Uniti che ne consumano il 26%, è la Cina ad emettere gas di scarico ben superiori a quelli della potenza occidentale, se sono fondate le notizie che sui nostri cieli

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aleggiano le polveri velenose provenienti da quella parte del pianeta.

Economia e politica viaggiano strettamente collegate. Non c'è dubbio che di fronte alle analisi appena evidenziate ci si prepari a reperire soluzioni adeguate che, in linea di massima, vertono su prospettive di dialogo e di relazioni diplomatiche in cui anche l'influenza culturale reciproca potrebbe portare buoni frutti. Il ruolo giocato dalla Cina in questo quadro causa qualche preoccupazione in più a causa, e lo si è già evidenziato, dell'orientamento ideologico di quel Paese e del retaggio politico del suo non remoto passato. Ci si chiede, infatti, se il suo orientamento sarà democratico o non democratico, se la spinta neocomunista si evolverà in un socialismo dal volto umano, se