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II. La giustizia in Aristotele Etica Nicomachea V

3. Struttura

Nell’economia dei trattati di etica, al tema della giustizia è dedicato uno spazio particolare e unico. Ad essa è riservato un intero libro, il V dell’EN. Situazione che non si verifica per nessuno degli altri argomenti dell’etica, ai quali è sempre dedicato più o meno di un libro (ad esempio, in EN ad ogni virtù etica è dedicato qualche capitolo dei libri III-IV, mentre al tema dell’amicizia è dedicato più d’un libro – il IX e parte del X). Questo libro, cui spesso in letteratura ci si riferisce semplicemente

156 Aristot., EN, X 10 1179b 31-32;1180 a 27-30. 157 Aristot., EN, X 7, 1177b 27-28.

158 Aristot., EN, I 5, 1097b 11. Per collocare con precisione il valore della prassi nel pensiero di

59 chiamandolo “il libro della giustizia”,159 coincide con il libro IV dell’EE. EN ed EE condividono infatti tre libri, detti “libri comuni”. Si tratta dei libri V-VII dell’EN che corrispondono ai libri IV-VI dell’EE. È una redazione che risale almeno ad Andronico di Rodi: nella sua versione dell’EE, nei ventun manoscritti che la compongono (tutti dipendenti dal Laurentianus 81.15), dopo il libro III si ritrova un testo identico a EN V-VII, o solo gli incipit dei tre libri, o un rimando diretto all’EN.160 Diverse ipotesi sono poi state formulate per cercare di stabilire l’appartenenza originaria dei libri comuni all’EN o all’EE. I cataloghi delle opere aristoteliche poco ci aiutano a risalire alla collocazione originaria dei ‘libri comuni’: Diogene Laerzio161 cita un’etica in 4 o 5 libri la cui identificazione con l’EN o EE non è certa. Esichio di Mileto (n.39) parla di un’etica in dieci libri e, in appendice (l’Appendix Hesychiana, in cui cita opere non presenti nella lista di Diogene Laerzio), di uno scritto titolato Sull’Etica Nicomachea (n. 174), ma non vi è accordo tra gli interpreti nell’identificazione di questi testi in elenco con quelli pervenutici. Non è quindi possibile risalire all’originaria collocazione dei libri comuni a partire dai cataloghi aristotelici.

In generale i ‘libri comuni’ presentano delle differenze sia con i restanti libri dell’EN che dell’EE tali da permetterci di identificare comunque con buona sicurezza il ruolo della giustizia nel progetto etico aristotelico, ma non di tracciare necessariamente continuità stilistiche o metodologiche tra questo gruppo di libri e gli altri, autorizzandoci a trattarli in maniera parzialmente indipendente. Il libro sulla giustizia in particolare presenta un procedere metodologico di difficile ricostruzione, uno stile frammentato, un’apparente incoerenza lessicale tra i capitoli e una serie di osservazioni varie non chiaramente collocate all’interno dello sviluppo del discorso. Già Drago162 aveva notato le differenze presenti tra il libro sulla giustizia e entrambe le opere di etica, finendo per ritenerlo un insieme di appunti presi durante le lezioni. Anche se non è possibile determinare la provenienza originaria dei ‘libri comuni’, grazie anche

159 Cfr. Laurenti 1977. 160 Cfr. Natali 2017, p. 91.

161 Diog. Laerth., Vite dei filosofi, V 23, n. 39. 162 Drago 1963.

60 all’analisi complessiva di EN e EE ci è comunque possibile identificare con buona sicurezza il ruolo della giustizia nel progetto etico aristotelico.

Si è visto che la giustizia (dikaiosynē) è una virtù etica. Anticipando alcuni concetti che verranno spiegati in seguito più nel dettaglio, giustizia è una disposizione abituale dell’animo umano unita a una libera scelta e a una volontarietà dell’agire. Il termine

dikaiosynē indica una disposizione psicologica stabile nel tempo, detta genericamente hexis, a volere e a compiere azioni giuste. C’è una connessione inscindibile in

Aristotele tra eticità del carattere e permanenza dello stesso nel tempo, coerentemente con la connessione indicata tra virtù etica (ethikē) e abitudine (ethos):163 una disposizione etica non si dà in seguito a un evento occasionale. Come l’uomo che esercita una virtù è detto essere virtuoso, così l’uomo che esercita la giustizia sarà detto giusto. La giustizia in quanto virtù etica è un’eccellenza relativa alla parte desiderativa dell’anima umana, ed è connessa a piaceri e dolori. Non è solamente una disposizione ma necessariamente deve esplicarsi in azioni giuste. Affinché vi sia la virtù della giustizia non è sufficiente compiere un’azione virtuosa una sola volta, ma deve trattarsi di un’abitudine, al cui sviluppo contribuisce l’educazione ricevuta.

Attorno a dikaiosynē si trova un lessico specifico atto a designare ciò che sta in rapporto con questa virtù etica, che è opportuno vedere sin da subito. Ta dikaia sono le azioni giuste, che concretizzano la disposizione etica della giustizia. Essendo la giustizia come si è precisato una disposizione abituale, è possibile che esistano alcune azioni giuste che avvengono per accidente, senza che ad esse corrisponda uno stato di

dikaiosynē. Si dà invece la relazione inversa, e si può affermare che dalla virtù della

giustizia si generano sempre azioni giuste. Il soggetto della giustizia è “l’uomo capace di compiere le azioni giuste”, e il termine tecnico che lo individua è ho dikaios, l’uomo giusto. Ho dikaios possedendo dikaiosynē non si limita a “volere ciò che è giusto”, ma la sua disposizione interiore deve per quanto gli è possibile concretizzarsi in azioni giuste “agendo giustamente”.164 A questa stessa area semantica appartiene anche il

163 Cfr. Aristot., EN, II 1, 1103a 15-19, dove questa connessione è segnalata anche in chiave etimologica.

Gli studi etimologici hanno smentito l’affermazione aristotelica, che resta tuttavia valida sul piano concettuale per lo Stagirita.

61 sostantivo to dikaion, “il giusto.” Esso è utilizzato con elevata frequenza nel quinto libro sin dal secondo capitolo. Indica in generale ciò che è giusto ed è l’oggetto della disposizione della giustizia, anche se non necessariamente inteso nella sua concretezza di azione. Vi è anche un’ampia gamma di termini dedicati allo stato abituale contrario alla giustizia: hē adikia, l’ingiustizia. Hē adikia è il sostantivo che indica la disposizione stabile e ta adika sono le azioni ingiuste. Nozioni chiave sono anche ho

adikos, l’uomo ingiusto, e to adikon, l’ingiusto. Tra queste nozioni intercorrono le

stesse relazioni che si sono esaminate per i termini positivi: mentre to adikon indica l’ingiusto in quanto tale e ta adika la sua concretizzazione fattuale, il rapporto tra queste ultime e ho adikos e hē adikia non è di corrispondenza diretta, poiché possono accadere azioni ingiuste anche per accidente, mentre una disposizione stabile di ingiustizia (hē adikia) rende l’uomo ingiusto (ho adikos) e genera azioni ingiuste (ta

adika).

Queste distinzioni terminologiche sono fondamentali per la discussione della giustizia. Nel primo capitolo vengono introdotte semplicemente tramite la definizione nominale di giustizia generale in quanto evidenti per il linguaggio comune. La loro rilevanza è testimoniata anche dalla seconda parte del capitolo decimo,165 che le ripete e le utilizza per delle precisazioni sul tema della volontarietà.

Il libro sulla giustizia può essere diviso in due parti. La prima va dal primo al nono capitolo, ed è quella più ordinata e organizzata delle due. In essa Aristotele inizia l’analisi cercando la definizione di giustizia utilizzando il metodo della definizione scientifica. In seguito divide la giustizia in due, generale e particolare, e dopo qualche breve osservazione sulla giustizia generale volge la sua attenzione completamente alla giustizia particolare. Cercandone la definizione specifica, procede analizzando due tipi di giustizia particolare, il giusto “distributivo” e il giusto “relativo alle relazioni sociali”, che analizza nel dettaglio. Sempre all’interno dell’analisi del giusto particolare Aristotele fa emergere la figura del “contraccambio”, che dagli esempi sembra essere un tipo di giustizia particolare relativa agli scambi commerciali, ma che

62 non trova accordo degli interpreti riguardo alla sua collocazione rispetto alle altre due specie di giusto particolare già nominate.

La seconda parte del libro, che comprende i capitoli dal decimo al quindicesimo, è invece meno ordinata e si occupa di chiarire alcune questioni varie presentate in ordine sparso, la cui trattazione talvolta non si conclude all’interno del capitolo stesso ma viene ripresa dopo l’esposizione di un altro argomento. Probabilmente si trattava di problemi che Aristotele riteneva opportuno discutere rispetto alle posizioni tradizionali o in riferimento ad altre fasi di rielaborazione della sua teoria. Il cap. 10 è dedicato al “giusto politico” e alla distinzione terminologica tra giusto e azione giusta, e ingiusto e azione ingiusta, in relazione al tema della volontarietà. Il cap. 11 si interroga sulla distinzione tra compiere e subire ingiustizia. Il cap. 12 riguarda l’impossibilità di commettere ingiustizia contro se stessi, tema ripreso anche nel tredicesimo capitolo in relazione all’ambito politico. Il cap. 14 è dedicato all’equità, il 15 riprende ancora una volta il tema del subire ingiustizia volontariamente mettendolo in rapporto al caso particolare del suicidio.