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La struttura di una vita

Educazione, passione e menzogna in Des Aveugles

Fotografo per passione, e pagiste per professione, Guibert non smette di confrontarsi con quello strano fenomeno che è la cattura della luce, la registrazione delle immagini. La fotografia non è del resto che una certa misura di luce e ombra, l’equilibrio instabile tra le parti; cosa succede se questo equilibrio viene a mancare, se le due parti si annientano, se nulla cioè viene registrato? Già ne L’image fantôme, nel testo omonimo che apre la raccolta di scritti sulla fotografia, il giovane scrittore affronta l’angosciante quesito, l’ansia dell’attesa dello sviluppo, la scoperta che nulla è stato registrato, che un gioco sinistro ha impedito alla luce di fissarsi sulla pellicola. Non sappiamo bene se l’interesse per i non-vedenti viene da li, da quel testo, da quella esperienza ma sappiamo, perché è lui stesso a raccontarcelo, quale atteggiamento gli deve aver ispirato la madre nei loro confronti: «c’étaient des gens vis-à-vis de qui devait se manifester une bienseance absolue, morale, comme une loi de pitié, conduisant à faire comme si on ne les voyait pas. Du fait qu’ils ont eux-mêmes privés du regard, il faut leur offrir notre absence de regard, nous mettre devant eux, à niveau de leur regard»261. Atteggiamento etico o ipocrisia? Guibert saprà pervertire questo comandamento offrendo a se stesso e ai lettori un supplemento di sguardo sui non- vedenti.

Come la maggior parte dei testi Guibertiani, anche Des Aveugles nasce dall’esperienza reale, quotidiana, rivestita da un velo più o meno spesso di finzione. Guibert incrocia dei non vedenti al carrefour Duroc in un ristorante dove egli stesso ha preso l’abitudine di consumare i pasti; a forza di guardarli deve aver pensato: «ils doivent avoir des secrets terribles»262; scrivendo, «ce sont ces secrets que j’ai eu envie d’imaginer»263. L’interesse come spesso gli capita diventa ossessione e facendo valere i

suoi diritti di giornalista chiede di poter fare un reportage presso l’Istitut National des jeunes aveugles. Guibert vi si reca più volte, curioso ai limiti del voyeurismo verso

261

H. Guibert, “Les messagers des morts”, L’Autre journal, n.4, avril 1985, in F. Buot, Hervé Guibert, cit, p. 189.

262 Ivi, p. 190 263 Ibid.

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quelle vite chiuse in un vecchio liceo-caserma del XIX secolo, verso quella struttura che si ripete immutabile. Il reportage, come afferma Buot, «est conçu comme un véritable repérage, un espionnage, pour passer à la fiction»264. In effetti, ritroveremo molti elementi nel romanzo che sono già presenti nel reportage; dal bac à sable, all’humour dei non-vedenti, dalla tenerezza fino a immaginare delle storie d’amore passionali e terribili. Il reportage comprende cinque pezzi pubblicati ne Le Monde nel luglio 1983: “Le droit au toucher”, “Topographie d’un enseignement général”, “Propositions” “Musique”, “Vive le braille!”. Il reportage, non privo del registro grottesco, lascia Guibert insoddisfatto ma con la curiosità intatta. Chiede di diventare lettore presso l’Istituto. Des Aveugles vedrà la luce un anno dopo. Secondo Andrau, Guibert avrebbe già iniziato a scrivere il libro durante l’estate del 1983 all’Isola d’Elba; «un travail imaginaire dans un premier temps. Puis, de retour à Paris, il s’était propose comme lecteur à l’Institut, afin d’approcher le quotidien des aveugles et de renforcer son écriture»265. Guibert vi legge soprattutto Flaubert; Un cœur simple, Légende de Saint-

Julien l’Hospitalier, poi in teoria anche articoli di cronaca e reportages. Il giovane

scrittore si stupisce del fatto che i suoi auditori sembrano interessati soprattutti dai racconti di catastrofi di ogni tipo. In che modo il terribile agisce su di loro, cosa di quelle storie estreme riesce ad affascinarli, e ancora: in che misura si pone il loro il problema della distanza, della percezione, della luce e dell’ombra? Vedremo che nel romanzo Guibert si sforzera di offrire delle risposte.

Des Aveugles viene dato alle stampe nell’aprile 1985 e segna un passaggio

importante : è il primo libro a essere pubblicato da Gallimard e non da Minuit ed è il primo testo ad avere un’esplicita indicazione di lettura: roman. In effetti, la versione finale, redatta dopo l’esperienza di lettore, si compone di due parti giustapposte, «il adjoint à la première mouture très documentaire des épisodes plus symboliques»266. Il

roman deve la sua riuscita all’equilibrio sempre instabile tra verità e menzogna, il

documentario e la fantasmagoria, alla contaminazione tra questi opposti : «parfois, là où on croit à la fantasmagorie, c’est du documentaire et là où on peut croire à du documentaire, c’est une pure affabulation que la vérité démentirait. C’est un jeu qui m’interesse plus que jamais dans ce que je fais»267

. Alcuni espisodi sono copiati parola

264 Ibid. 265

F. Andrau, Hervé Guibert, cit, p. 156.

266

F. Buot, Hervé Guibert, cit, p. 192.

267 H. Guibert, “Les messagers des morts”, L’Autre journal, n.4, avril 1985, in J–P. Boulé, Hervé Guibert,

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per parola dal reportage, si riconoscono quelli riguardanti la fotografia e la topografia dell’istituto, mentre altri sono inventati o scritti seguendo la logica del risultato da ottenere. Le service de presse di Gallimard, a cui si deve la paternità con tutta probabilità della quarta di copertina definisce Des Aveugles «un récit d’épouvante » e qualche riga dopo «un livre sans pitié»; Jean–Pierre Boulé preferisce parlare di roman noir268. Ancora qualche parola prima di rileggere qualche passaggio importante.

Des Aveugles è dedicato «A l’ami mort» e se ancora nel 1985 la maggioranza dei lettori non sapeva di chi si trattasse, oggi possiamo certamente affermare che l’amico morto è Michel Foucault, scomparso nel giugno del 1984. Diversi studiosi guibertiani ammettono l’importanza di quella dedica e ancor di più l’influenza diretta del filosofo sulla costruzione del testo ; Sarkonak nel suo Angelic echoes ne parla come di un supplemento a Histoire de la folie e a Surveiller et punir; Smith come di una riflessione sull’insegnamento dell’amico, Smyth sottolinea invece l’influenza capitale di

Surveiller et punir e alla magistrale descrizione del ruolo dell’asilo nella cultura del

XVIII e XIX secolo269. Rileggendo il libro, del resto, non è difficile confermare l’infleunza di quest testo, forse l’influenza più diretta e riconoscibile dell’opera del filosofo sullo scrittore. Tra le influenze occorre non dimenticare alcuni film come Les

Diabolique di Coluzot o la copertina di un numero di «Qui Police» dove si narrava di un

crimine perpetrato da un non-vedente all’interno di un ospizio.

In Surveiller et punir dobbiamo ricercare non solo la fonte di ispirazione ma un incessante dialogo con l’amico e la sua opera, un omaggio : «le dernier signe amoureux qu’Hervé envoie à Michel Foucault»270

. Des Aveugles, sosterrò, può essere letto come un roman noir, il piu riuscito dei testi guibertiani prima de A l’ami qui ne m’a pas sauvé

la vie ma anche come una lunga postilla al testo foucauldiano dove si racconta tutto ciò

che la storia ha inteso cancellare, che non ha visto o trascritto. Non più e non solo dei corpi docili rinchiusi ma dei corpi amanti «rompus aux jeux de l’amour et du sexe, de ses odeurs et de ses fantasmes ! Même capables d’être cruels»271. Ancora delle vite infami, insomma, ma dall’interno di un sitema chiouso che osserva eppure non vede.

Robert e Joesette, i protagonisti, sono due non vedenti e formano una coppia all’interno dell’istituto, lei ha perso la vista all’età di tre anni, misteriosamente:

268

J–P. Boulé, Hervé Guibert, cit, p. 151.

269

Cfr. A. Genon, Hervé Guibert, cit, p. 105.

270 F. Buot, Hervé Guibert, cit, p. 193. 271 Ibid.

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en trois jours le beau bleu de ses iris avait fondu, avait coulé tout doucement, comme attiré vers les paupières, sans lui faire aucun mal […]. Les bonnes femmes dirent que c’était parce que sa mère avait basculé jeune fille dans une fosse à purin. Josette ne disait jamais qu’elle avait vu un jour, elle disait qu’elle était née aveugle, en fait elle n’avait que quelques souvenirs vagues et monstrueux, que sa pensee s’acharnait davantage à effacer qu’à retenir272

Robert, al contrario, non aveva mai visto, o meglio :

le sort avait cruellement percé, dès sa naissance, ses deux globes, de deux minuscules trous d’aiguilles symétriques […] qui imprimaient sur sa conscience à vif des taches de lumière, des éclaboussures de couleurs, qui ne lui donnaient aucune information, mais qui le blessaient, car les deux trous […] laissaient passer les impressions les plus cruelles et les plus inutiles, il souffrait en permanence d’un éblouissement d’éclipse, il aurait voulu que ses yeux soient voilés, toujours, revêtus, d’une glaise apaisante ou d’une emplâtre parfaitement opaque273

Essi sono dunque de non-vedenti imperfetti, come se un supplemento di crudelta fosse stato inflitto loro dalla natura; è il caso soprattutto di Robert. Egli avrebbe preferito murare del tutto quello spiraglio senza sperare di poterlo allargare, di vedere e dopo avere abbandonato del tutto la speranza di poter decifrare il suo volto. «Quand il était enfant, il avait essayé de déchiffrer son visage, par un formidable effort de mémoire, comme un peintre au souvenir d’une figure […] mais sa tête avait tant et tant de fois roulé sur elle-même […] au point de se cogner, à toute volée, contre la glace, se rompant le cou»274 e qui Guibert cambia registro; «son père était accouru pour arracher au débris la pauvre tête décroché et sanglante, encore agitée, faiblement, par son mouvement de roulis. Et Robert n’avait pu rien constituer de son visage; il n’avait vu que la tête d’un loup, in n’avait vu que des vagues de sang, un cyclone de chair vive et de morves»275.

272

H. Guibert, Des Aveugles, Paris, Gallimard, 1985, pp. 17-18.

273

Ivi, p. 18.

274 Ivi, p. 19. 275 Ibid.

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Il narratore fin dalle prime pagine è in una posizione di superiorità fin troppo evidente. Letteralmente vede tutto, spia i suoi protagonisti, vittime del suo sguardo, si allea con chi vede contro chi non vede; basti pensare all’episodio dell’acquisto dei quattro topi bianchi. Josette li vuole solo di quel colore e la signora è costretta ad ammettere, lei che vede, che «le blanc parfait n’existe pas dans la nature : comment voulez-vous qu’un naturaliste vous vende des souris vraiment blanches»276. Ella, d’altronde, ella non ha capito che Josette non vede, «vous ne voyez pas? Non, je ne vois pas, a dit Josette»277. Una volta rientrata a casa a Robert dice: «qu’est-ce qu’ils sont tous aujourd’hui à pas voir qu’on voit pas?»278 e Robert contrattacca : «moi, tu sais ce que j’ai entendu aujourd’hui? Un type qui disait dans mon dos : j’aime pas ces jeunes qui portent des lunettes noires, ça fait pas franc»279.

Anche il lettore meno accorto avrà fatto caso alla dose massiccia di humour noir che caratterizza questo scambio di battute e che sosterrà sempre la narrazione. Qualche pagina più in là, Robert dice di voler diventare pittore o geometra – è evidente che gli è impossibile – e tocca al professor Kunz riportarlo alla sua realtà : «que sais-tu de la couleur et de la perspective, dis-moi, et de l’infini?»280. Il nostro calca la mano sulla dis- abilità dei due : «ils ne lisaient pas, ni l’un ni l’autre. Ils préféraient descendre au foyer regarder la télévision, enfin regarder, plutôt écouter, et voir, par transmission de pensee»281. Leggere è un passatempo per vedenti; per loro assume le sembianze di un lavoro il cui piacere si scioglie nella lunga mediazione tra la decodifica del testo e la costruzione delle immagini. Il loro professore di filosofia, più per stupidità che per malizia, è solito proporre discussioni che hanno a che fare con la vista: «le soleil comme la mort peut-il se regarder en face?»282 o, « ìla beauté est-elle dans le regard ou dans l’objet regardé ?»283.Nella biblioteca un cartello beffardo, che d’altronde nessuno era in grado di leggere, impone: «ici soyez aveugle et muet».Descrivendo il loro passatempo serale, il narratore non può fare a meno di notare la passione paradossale per il Mikado «ce jeu de voyants, qui ne pouvait pas être plus difficile que pour un aveugle. Ils l’appelaient le jeu du massacre […]. Les couleurs leurs étaient inutiles au moment des comptes, alors

276 Ivi, p. 15. 277 Ibid. 278 Ibid. 279 Ibid. 280 Ivi, p. 32. 281 Ivi, p. 34. 282 Ivi, p. 36. 283 Ibid.

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ils avaient entaillés d’encoches différentes pour les distinguer»284

. La superiorità dei vedenti, lo scandalo che questa posizione suscita nei due protagonisti sembra esplodere nell’episodio della fotografia: «à qui était donc destinée la photo? Qui pouvait donc se permettre de les voir, eux qui ne pouvaient même pas se voir ?»285. Il narratore continua diffusamente a raccontare episodi che li vedono abusati dai vedenti; nella loro camera, la 114b, sopra i letti gemelli messi accanto, dovrebbero esserci dei poster di David Bowie e Mick Jagger «mais qui étaient en réalité tous les rogatons que le marchand n’arrivait pas à écouler : une jument avec ses poulains, un chalet suisse au bord d’un lac, une calèche, un chimpanzé et une horloge»286. Perfino nel direttore dell’istituto si manifesta la superiorità dello stato di vedente «la maladresse des aveugles lui donnait une sensation agréable de sa propre force physique»287.

E’ arrivato però il momento di giustificare le parole educazione, passione e menzogna, partendo propria dalla prima, e dal rapporto con il già citato Surveiller et

punir. Badin, in Malattia e altrove, sottolinea come gli spazi in cui si svolgono le

vicende narrate in Des Aveugles, «anche se non propriamente ospedalieri, assumono le caratteristiche dello spazio clinico : razionalità nell’architettura, funzionalità, costante visibilità di chi la abita, controllo»288 e aggiungerei costrizione doppia dettata dalla natura del posto in cui vivono e dalla loro condizione. Purtroppo non si sofferma sull’aspetto educativo correlato a tali spazi, correlazione su cui ritorna più volte Michel Foucault nella sua opera. Né si sofferma sul ruolo sovversivo che Robert e soprattutto Josette si ritagliano nell’Istituto anche grazie alla cecità degli altri abitanti e alla rarità dei vedenti. Su questo credo occorra puntare la nostra attenzione e su questa fedeltà- infedele al suo maestro riflettere.

L’Istituto rappresenta un sistema chiuso, razionale. Formato da quattro edifici disposti a croce, per sua stessa natura impedisce la libera circolazione delle persone; solo al quarto piano dei corridoi uniscono i quattro edifici ma a questi non può accedere che il personale. Al centro della croce una sala concerto monumentale, «avec un orgue, des colonnades de marbre blanc, un balconnet et des soupiraux ornés de vitraux […]. Le sous-sol abritait une gigantesque salle de bains en forme d’étoile»289. Il bagno

284 Ivi, p. 45. 285 Ivi, p. 69. 286 Ivi, p. 76. 287 Ivi, p. 83. 288

A. Badin, Malattia e altrove, in Malattia e separazione. Itinerari di scrittura della patologia nella

letteratura, a cura di A.–M. Babbi e A. Melchiori, Verona, Cierre Grafica, 2013, p. 191.

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sotterraneo e l’audiotorium testimoniano dell’eccezione in un Istituto la cui architettura come sottolinea lo stesso Guibert è votata alla simmetria. Completa l’istituto uno spaccio gestito dalla portiera e i cui articoli «avaient pour fonction d’éviter les accidents de circulation»290 o qualche vestito dai colori sgargianti «car les aveugles étaient censes adorer porter des couleurs vives»291. L’Istituto è ubicato tra la campagna e la città, alla frontiera ; «l’aile nord, avec ses écuries, débouchait directement sur une fôret ; l’aile sud sur une carrefour»292. Questa posizione gli garantisce un carattere anfibio e fa del luogo uno spazio etero-topico293, sì impermeabile ma non del tutto. Qualcuno, come vederemo, può avere accesso dall’esterno, un accesso occasionale :

l’Institut était le lieu d’une inéluctable circulation : les élèves aveugles devenaient des professeurs aveugles, les fainéants atterrissaient aux cantines […]. La plupart des aveugles y restaient toute leur vie et commentaient avec ironie le passage du monde enfantin au monde adulte par le simple traversee d’un couloir […]. On ne rejoignait le monde de voyants qu’à la toute fin de sa vie, et rares étaient ceux qui arrivaient au grand âge, car l’Institut rejetait ses vieillards, ils étaient placés dans des hospices communs. On redoutait beaucoup, parmi les aveugles, cette intrusion tardive dans le monde des voyants, qu’on appelait, sinistrement, le Paradis294

Da dove viene l’idea di un Istituto come questo descritto da Guibert? Quando, la separazione, la costruzione di un luogo altro è apparasa la soluzione migliore per i non vedenti e prima per gli ammalati, i carcerati, i mendicanti, le donne sole e gli anormali di ogni sorta? Michel Foucault, nel suo Surveiller et punir offre la genealogia di questi spazi. Alla fine del XVIII secolo e in qualche decennio soltanto è potuto scomparire il corpo – suppliziato, esposto – come segno maggiore della repressione penale e con esso scompare lo spettacolo punitivo, il suo cerimoniale e la sua violenza, il suo pubblico e il

290 Ivi. p. 27 291 Ivi. p. 28. 292 Ibid. 293

A. Badin, Malattia e altrove, cit, p. 201. Cfr. M. Foucault, Des espaces autres, Conférence au centre d’Études architecturales, 14 mars 1967, pubblicata postuma in “Architecture, Mouvement, Continuité” n. 5, octobre 1984 pp. 46-49, ora in M. Foucault, Dits et écrits II 1976-1988, cit, pp. 1571-1581.

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suo disordine, sostituito da una punizione più discreta ma anche più continua295: «la punition tendra donc à devenir la part la plus cachée du processus pénal»296. Ciò che deve essere conosciuto nel nuovo paradigma che si va costituendo non è la punizione ma i mezzi correttivi, la rieducazione, la guarigione. Il corpo non deve essere annientato, mostrato nella sua fine più ingiuriosa ma «pris dans un système de contrainte et de privation, d’obligation et d’interdits»297

. Questo è un passaggio essenziale per capire la nuova economia dei corpi che verrà perfezionata lungo il XIX secolo. Insomma, si chiede il filosofo, la storia del diritto penale e quella delle scienze umane, il carcere e le altre istituzioni non sono due serie distinte e parallele ma hanno forse una matrice comune e chissà «si elles ne relèvent pas toutes deux d’un processus de formation «epistemologico-juridique» ; bref, placer la technologie du pouvoir au principe et de l’humanisation de la pénalité et de la connaissance de l’homme»298

. Fare in modo che l’analisi porti a leggerte la dolcezza delle pene comme una tecnica di potere e capire come questa ha dato i natali all’uomo come oggetto di sapere per un discorso a statuto scientifico299.

La riforma dei sistemi punitivi dunque è da collocare entro una certa economia politica del corpo: «les rapports de pouvoir opèrent sur lui une prise immédiate; ils l’investissent, le marquent, le dressent, le supplicient, l’astreignent à des traveaux, l’obligent à des cérémonies, exigent de lui des signes»300

. Questo investimento è naturalmente legato alla possibilità del suo utilizzo economico, anzi del suo uso economico migliore. Un corpo utile è un corpo produttivo e un corpo produttivo è un corpo assoggettato; assoggettamento e produttività che si ottengono da una strumentazione multiforme, da discorsi disparati e quasi mai sistematici, di tutta una microfisica del potere «que les appareils et les institutions mettent en jeu, mais dont le champ de validité se place en quelque sorte entre des grands fonctionnement et les corps eux-mêmes avec leur materialité et leur forces»301. Il potere è quindi l’effetto di queste posizioni strategiche et «ne s’applique pas purement et simplement, comme une obligation ou une interdiction, à ceu qui ne l’ont pas; il les investit, passe par eux et à

295 L’exécution publique est perçue maintenant comme un foyer où la violence se rallume», M. Foucault,

Surveiller et punir, cit, p. 15

296 Ibid. 297 Ivi, p. 16. 298 Ivi, p. 28. 299 Ivi, p. 29. 300 Ivi, p. 30. 301 Ivi, p. 31.

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travers eux»302. Ciò detto, e Foucault lo chiarisce subito dopo, queste relazioni possono sempre essere messe in crisi ma non più secondo la vecchia formula del tutto o niente ma attraverso l’inversione transitoria dei rapporti di forza; attenzione: «en revanche

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