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L’Homme blessé

All’inizio fu il caso; potrebbe essere questo l’incipit del secondo capitolo della scrittura guibertiana. L’Homme blesse, film scritto da Guibert et Patrice Chéreau e diretto da quest’ultimo nel 1983, ha in realtà una storia lunghissima, accidentale e accidentata, una storia che è già un film. Un giovane che ha appena fallito il concorso all’IDHEC vede La Dispute di Marivaux à la Gaîté lyrique e rimane sconvolto; decide di mettersi sulle tracce del regista – deve assolutamente conoscerlo – e, visto che nel frattempo è diventato giornalista per 20 ans, intervistarlo. È il gennaio 1975211 e alla fine dell’intervista, fuori dagli studi di Boulogne-Billancourt mentre il regista aspetta un taxi, il giovane gli avrebbe detto: “je voudrais écrire un film pour vous”. Otto anni di lettere, note, pause e scoramenti mentre le loro vite scorrono parallele e la loro scrittura e le loro immagini prendono forma. Finisce che La Mort propagande viene pubblicato nel 1977, che altri libri lo seguono mentre il film aspetta di nascere. La genesi del film è fortunatamente disponibile e leggibile nelle abbondanti note pubblicate in coda alla sceneggiatura del film; scelta non scontata e che i due autori giustificano in qualche modo:

au lieu d’écrire une préface ou une postface […] nous avons pense qu’il serait mieux d’y faire entrer le lecteur de plain-pied, un peu comme dans un roman, puis de lui dévoiler certaines des notes que nous avons prises l’un et l’autre, pendant ces six ans, pour lui montrer comment l’histoire s’était construite […]. En publiant ces notes, souvent intimes, nous ne voulons pas être les prestidigitateurs qui retournent leurs accessoires, mais plutôt laisser à la surface de la toile les quelques coups de pinceau qui ont fait le travail212.

Le note si aprono con un lungo paragrafo scritto da Chéreau nel ’75; dovrebbe trattarsi di un film sulla formazione, dove il protagonista fa degli incontri con delle

211 Cfr. F. Buot, Hervé Guibert, cit, p. 162.

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persone che traducono la sua voglia di amare, uccidere o imparare; si chiede se forse non devono essere degli incontri che avvengono in viaggio «mais, si on fait voyager, le film coûte cher)213»; il viaggio inteso come ricerca di qualcosa, come rivolta contro un mondo che sfugge al suo desiderio. Nel paragrafo successivo il protagonista ha adesso 16 anni, si aggira tra i porti d’Europa – Barcellona, forse - le toilettes e i bar; ha un amante che uccide: «chacun tue ce qu’il aime». A un tratto l’idea dell’assassinio, di un ragazzo che uccide, per amare, appare come la soluzione, l’idea del film. In filigrana appare le Journal du voleur di Genet, il problema sociale – il sottoproletariato omosessuale – la bidonville, il rapporto tra il vero e il falso, la proliferazione dell’immaginazione, la disperazione della realtà. Non è difficile seguendo queste prime note capire quanto la versione finale sia debitrice di questo abbozzo iniziale di Chéreau, ivi compresa la scena finale: «comment tue-t-il? Il l’étouffe»214. Nel 1976 pensa di ambientare il film a Roma, il protagonista si nutre di incontri e si racconterà la sua voglia infinita d’amore; a margine compare una domanda, di capitale importanza: «est- ce quelqu’un qui n’est pas lucide ou quelqu’un qui regarde toujours ce qu’il fait?»215

. Nelle successive note dello stesso anno Chéreau precisa alcuni elementi chiave: l’estate, la centralità della stazione, la notte e i nomi dei personaggi principali: Jean et Henri, Henri Borowiecki ma soprattutto «ne pas savoir ce que fait Jean»216.

Nelle note scritte da Guibert nel 1978 la città dove ambientare i fatti non è ancora stata scelta: Monaco o Palermo; sopravvive l’idea di adattare un romanzo di Genet – Miracle de la rose – mentre già si delinea che il film ruoterà attorno al tragitto appartamento-stazione, tra questi due estremi i cessi pubblici, il peep-show, le strade di periferia, il garage: «Henri irait, errerait d’un lieu à l’autre à la recherche de Jean qu’il ne trouve pas»217. Il romanzo di formazione di tre anni fa è adesso una storia d’amore? Per Chéreau,

Ce qui compte dans ce scénario toujours recommencé, jamais fini, c’est l’histoire d’amour. L’envie folle du petit d’avoir un modèle. L’envie d’aimer quelqu’un et ce quelqu’un qui se refuse […]. Il se refuse à faire l’apprentissage. Et le petit le fait quand même218.

213 Ivi, p. 154. 214 Ivi, p. 158. 215 Ivi, p. 161. 216 Ivi, p. 167. 217 Ivi, p. 182. 218 Ivi, p. 182.

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I due autori, che non sempre hanno immaginato lo stesso film, sembrano essere d’accordo sulla centralità della stazione, ombelico del desiderio, luogo dell’immaginario e della scoperta ma serve ancora una causa, un perchè e all’inizio del 1980 è Guibert ad averlo trovato: «La gare. Une autre possibilité : que les parents accompagnent leur fille à la gare. Elle part à Francfort pour être jeune fille au pair. Henri ne veut pas accompagner sa sœur, mais ses parents l’obligent (comme une marque délibérée et dérisoire de leur pouvoir, qui n’a plus cours et qui s’effiloche dans le laisser-aller)219. Dal canto suo, Chéreau mette a fuoco la relazione tra Jean e Henri ; il colpo di fulmine, decidere di appartenere a lui, di dipendere da lui, senza spiegazione possibile, senza via d’uscita, senza sapere perchè «un film sur l’amour, un amour envahissant»220

. Un film sull’omosessualità ? Per Chéreau non sembra così scontato ; nelle note la questione omosessuale scompare : e essa del tutto normale e quindi risulterebbe superfluo parlarne o è invece la causa taciuta della follia dei personaggi ? La genealogia della loro anormalità ? In un punto Chéreau specifica : «ne pas parler de l’homosexualité de Jean : il ne l’admettrait jamais»221

. E questo non sapere, non ammettere che fa di lui un personaggio tragico, del film, una pièce ? Avremo modo di ritornare su questa ipotesi. A ben vedere questa ipotesi può essere già parzialmente confermata dalle ultime note dello stesso regista.

A l’exception – notable – des scènes de gare, il se resserre – le film – et se concentre autour de très peu de personnes : il est impensable de commencer à le tourner sans l’avoir répété au préalable trois semaines, un mois – dans un lieux neutre ou l’on puisse regarder puis faire grandir les émotions et les blessures, observer le choc de ce texte avec la fragilité des comédiens222.

Chéreau pensa al film in termini di pièce da provare e riprovare, da mettere anzitutto in scena per vedere cosa funziona del meccanismo, per olearlo, nutrirlo senza saturarlo. Sarà un film sull’amore, sulla ricerca di qualcosa che non si può dire, un duro apprendistato sul sapere di sé. Un film «terriblement réel et en même temps comme au

219 Ivi, p. 188. 220 Ivi, p. 195. 221 Ivi, p. 195. 222 Ivi, p. 198.

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bord de la réalité […], des scènes très normales et d’autres où l’on décollera»223

. Un film su «le coup de foudre comme initiation au malheur»224.

Se le note mettono in luce l’importante partecipazione di Chéreau, il film finirà per assomigliare incredibilmente all’opera di Guibert, alle cose che aveva scritto sino ad allora e alle cose che sarebbero venute dopo; ritroviamo temi, ossessioni, figure che come una costellazione si spalmano sui cieli della sua scrittura : il tradimento, l’amore come assoluto, la coincidenza della scoperta con la morte, l’ossessione labirintica, l’omoerotismo e la sua componente esoterica, il mondo degli infami, degli ultimi, degli anormali.

E ancora; la questione di sé – esiste una verità di sé? – il riferimento implicito ai classici, il rapporto con la menzogna, la continua altalena tra la realtà e la finzione. Fin dall’arrivo in stazione – sappiamo che Henri accompagna la sorella al treno, treno che è in ritardo – egli cerca qualcosa, sa e non sa. Un uomo, grasso, pachidermico lo fissa, lo segue e Henri sa e non sa perchè lo segue, ne è sollecitato e impaurito. Nelle toilettes, dove si è momentaneamente fermato incontra Jean. In effetti egli non sa chi è ; al momento è solo un ragazzo «qui donne des coups de pied à un homme âgé au pantalon baisse et dont le corps bascule sur le dallage»225. Jean finisce per parlargli, per invitarlo persino a imitare il suo ruolo, «j’ai une crampe. Aide-moi, allez, tape-lui dessus, avec le pied, tu te salirais. Allez, vas-y. vas-y, je te dis, tape ! il aime ça, l’enflure, allez, fous- lui ton pied dans la gueule. Tape ou c’est moi qui tape»226

. Jean rivela il suo carattere e in poche battute il fondo della relazione che sarà ; egli è il signore, clui che da ordini, che incita e si accanisce ; Herni quello che ubbidisce, esegue, ora per assenza di volontà ora per paura ;«Henri se laisse faire»227: questa pare essere la cifra della sua abdicazione. Ci accorgeremo presto che il mondo della stazione, per metà sommerso e per metà visibile ruota attorno a un silenzio complice : ci si riconosce, non ci si saluta. Questo mondo si interroga solo a partire da una novità, una nuova figura che si aggira : è la legge del gruppo chiuso. A Jean Bosnas, il vecchio pachidermico, chiede : «tu le connais ?»228. Mentre ritornano verso casa, sul bus, sarà la madre Borowiecki, rappresentante analogo di un altro mondo chiuso, a chidere al figlio : «tu le

223 Ivi, p. 198. 224 Ivi, p. 199. 225 Ivi, p. 26. 226 Ivi, p. 26. 227 Ivi, p. 28. 228 Ivi, p. 29.

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connais ?»229 riferendosi a Bosnas. Abbiamo quindi una prima coppia che interroga a cui si oppone la coppia degli interrogati, Jean e Henri : il primo finge di conoscere il secondo, e il secondo tace.

Accanto a questa coppia vi è quella che abbiamo già conosciuto di Jean e Henri. Il rapporto tra i due viene chiarito da alcune battute didascaliche affidate a Jean, mai dei veri e propri dialoghi, nessun approfondimento possibile sulla relazione, sulla psicologia. E Jean che a un passante rifiuta di cedere Henri : «je le donne pas. Je peux pas. Je veux pas»230, è ancora lui che alla donna con la quale divide la ‘appartamento e forse la vita sentimentale, dichiara, «je l’ai ramené, c’est tout, il peut dormir dans un coin. Je lui demande rien»231. « je lui demande rien » lo dirà ancora mentre la sua donna lo incalza per sapere cosa c’è tra i due e sarà lei stessa a utilizzare questa formula quando cercherà di capire ancora cosa c’è stato tra Jean e il ragazzo che ha di fronte :

«et il t’a rien demandé à la gare ?»232

. Lei vuole sapere cosa gli ha chiesto ; perchè lo segue, lo cerca questo ragazzo, perchè proprio Jean ? Henri non è in grado di rispondere ; pare proprio che non gli ha chiesto nulla.

O non lo sa o non lo vuole sapere ? Chi è che dei tre sa qualcosa ? Se torniamo alla scena precedente, quando i tre si ritrovano per la prima volta nello stesso spazio, scopriamo che anche le parole non aiutano loro ad avanzare nella conoscenza, lasciano intatta l’ambiguità ; Elisabeth chiede a Jean, «tu veux qu’il dorme avec nous ?»233

e Jean la guarda «sans savoir ce qu’il doit comprendre»234. All’opposto abbiamo Henri

che guarda Jean spogliarsi o meglio lo immagina essendo nella penombra, «il devine la silhouette de son corps»235. Jean si lascia indovinare ma non conoscere, il suo corpo rimane un mistero, «il ne se laisse pas voir nu»236. Henri invece vuol conoscere, sapere ; sapere se i due hanno fatto l’amore: domanda a cui Jean non può e non vuole rispondere preferendo passare al contrattacco.

Jean

Qu’est-ce que tu regardes ? tu voudrais dormir avec moi ?

Henri 229 Ivi, p. 32. 230 Ivi, p. 46. 231 Ivi, p. 53. 232 Ivi, p. 82. 233 Ivi, p. 54. 234 Ivi, p. 54. 235 Ivi, p. 54. 236 Ivi, p. 58.

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Je ne comprends pas

Jean

J’aime pas qu’on me regarde dormir

Henri

Je te regardais pas

Jean

Tu peux bien me regarder, si ça te plait. Moi, je vais te donner mon couteau. Comme preuve. C’est mon premier couteau. Je te le donne […] et toi, qu’est-ce que tu me donnes ?

Henri

J’ai rien à te donner. Tu veux quoi ?

Jean

Mais t’a rien à faire, tu sais ? je te demande rien. Je te montrerai… -Henri le regarde sans comprendre. Jean reprend

Jean

…la gare c’est rien. Ça marche tout seul. T’as rien à faire. Je serai avec toi. Je te suivrai.

Gli scambi si articolano attorno ad alcune coppie di parole: donner/demander, comprendre/regarder, rien à donner/rien à demander, coppie che ruotano a loro volta su un silenzio eloquente, attorno a quel regarder sans compredre di Henri, attorno al suo corpo mai nominato. Jean chiede una rendita sul corpo di Henri, vuole che si prostituisca e allo stesso tempo nega che sia la prostituzione il suo enunciato. Il corpo di Henri è paradossalmente quel rien à faire?

Col primo cliente va male; Henri riesce a scappare ma non ha i soldi da dare a Jean; la soluzione è andare dalla madre, dalla famiglia da cui non è più tornato

Henri

J’ai besoin d’argent. Je me suis fait avoir. Je dois rembourser. Donne moi tout ce que tu as […]. Deux cents !

[…]

La mère

Je te préviens, c’est la dernière fois […]. Ton père…il ne doit pas savoir. Ne parle plus […] On est bien, on est ensemble. Pourquoi tu viens comme ça nous déranger?237

Nelle parole della madre tutto ha il sapore dell’ultima volta: c’est la dernière fois/il ne doit pas savoir/ne parle plus. Henri non risponde alle domande della madre, a

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Henri servono duecento franchi da mettere nelle mani di Jean. Jean non è nell’appartamento della prima notte. Elisabeth spiega che Jean passa, se ne va, non serve aspettarlo ; resta nell’appartamento il tempo di una doccia, il tempo di rivestirsi ; «il s’habille des vêtements de Jean qui traînent par terre. Il en reconstitue l’habillement habituel; une vieille veste de cuir râpé, un tee-shirt noir, un jean, des bottes, mais tous ces vêtements sont un peu grands pour lui […]. Il reprend l’argent dont Elisabeth n’a pas voulu et sort précipitamment de l’appartement»238

. Henri vuole confondersi in Jean? Che i suoi vestiti possano miracolosamente portarlo da lui? Henri vagabonda alla ricerca dell’uomo del suo destino ; incontra ancora Bosmans, a dei clienti di un peep- show chiede di Jean ; poi torna alla stazione, pensa di partire per Francoforte ma non ha abbastanza soldi ; ancora vaga tra la stazione e il passaggio sotterraneo, incontra un ragazzo, «Henri fait face au garçon et l’embrasse. Pendant qu’il l’embrasse, on voit Henri sortir son couteau et le pointer stupidement contre le ventre du garçon. Le garçon le sent et rit»239. Il bacio annuncia forse il suo destino, la sua verità?

Torna di nuovo a casa, trova anche il padre

La mère

Tu vois, on te demande même pas d’où tu viens, ni ce que tu fais. On pourrait te poser des questions.

Henri

Posez des questions

Le père

C’est pas la peine

Henri

Eh bien…j’ai rencontré…

Le père

Oh, écoute, parle d’autre chose.

Vorrebbero sapere ma non osano chiedere, vorrebbe raccontare ma non sopportano ascoltarlo; i loro enunciati scorrono paralleli senza possibilità di incontro alcuno. Henri è solo di fronte alla coppia formata dal padre e dalla madre, gli adulti, la famiglia. Non vogliono essere disturbati, non vogliono sapere. Ancora una volta è fuori, sulla strada, alla ricerca di Jean ; ancora una volta incontra Bosmans. Dopo un lungo vagare lo porta a casa sua dove quasi miracolosamente appare Jean. Sembra che abbia

238 Ivi, p. 84. 239 Ivi, p. 102.

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voglia di Henri, voglia di fare presto anche, desiderio di rimanere maitre della situazione, di scongiurare ogni reciprocità : «ne me touche pas. Ferme tes yeux»240.

Bosmans rimane nella pensombra, si nasconde come può tra le statue, guarda e suda ; poi si avvicina e scopre che la realtà che vedeva da lontano, da una distanza diversa è solo simulazione : «c’est sa propre main collée sur la bouche d’Henri que Jean embrassait tout à l’heure, et maintenant ce n’est que son pouce dresse sur le ventre blanc d’Henri qu’il suce et mastique avec soin»241

. Bosmans non accetta la simulazione e li invita bruscamente a smettere. Sono ancora sulla strada, insieme ; Henri chiede spiegazioni

Henri

Pourquoi tu as fait semblant ?

Jean

Quoi, semblant ?

Henri

L’autre jour, chez Bosmans…

Jean

Lache-moi un peu tu veux

E ancora qualche scena dopo ;

Henri

Je peut t’embrasser ?

Jean

Je suis pas pédé, moi.

Jean non vuole rispondere del suo desiderio ; si può rispondere del resto ? Si può dire la verità ? Si può simulare o si può mentire. È questo l’apprendistato di Henri, questo il suo romanzo sentimentale implacabile. Henri non riesce a fare a meno di Jean e Jean è sempre più lontano. Su un pratone, alla periferia della zona industriale, di buon mattino, tra le giostre già smontate, incontra ancora Bosmans «ensemble, ils traversent avec lenteur le grand rideau au fond de la salle et descendent un escalier à travers une espèce de long parking souterrain, dont les boxes en parpaings sont aménagés en chambres […]. Bosmans s’arrête devant le dernier box»242.

240 Ivi, p. 117. 241 Ivi, p. 118. 242 Ivi, p. 147.

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Bosmans

Regarde comme il dort, allongé sur le ventre. Tu peux le prendre, mais tâche pas de le réveiller. Il dort si bien…Vas-y, prends-le, prends-le doucement…Surtout, ne le réveille pas, il a tant besoin de sommeil. Il ne sait plus dormir. Le soir, il prend des comprimés243.

Henri riceve degli ordini, ordini ambigui : prends-le/tâche de ne pas le réveiller, ordini che saranno poi definitivi ; parole che passeranno tra qualche minuto dall’ordine della contingenza a quello dell’eternità. Henri si corica accanto al corpo addormentato di Jean, vi si incolla, comincia ad accerezzarlo : «il lui caresse le dos, les fesses […], les larmes lui montent aux yeux, il voudrait étreindre ce corps et se perdre en lui, il le caresse plus vite, il le saisit, il le redresse […]. Il le retourne de toute sa force, car ce corps endormi reste offert et pèse lourd, il le retourne jusqu’à en atteindre le sexe, avec une frénésie grandissante se colle à lui»244. La scena che si offre è paradossale: il corpo di Jean è disponibile ma inerte, sotto il suo imperio ma non più come persona; un corpo esposto ma pesante, un corpo morto dentro il quale è impossibile perdersi. È questa verità, folle verità, a scatenare l’istinto in Henri? La certezza che quel corpo non griderà mai la verità? Che quel che ha finalmento saputo non ha che il volto della simulazione e della morte? Che la sua formazione non approda da nessuna parte? «Et soudain, Henri l’étrangle. Il lui serre le cou de toutes ses forces. En larmes et en criant, il secoue la tête de Jean dans ses mains et la cogne au bois du lit. Un râle étouffé qui décroît dans l’oreiller, puis un craquement, une retombée, un silence. Henri, perché sur Jean, ne bouge plus»245, poi:

A bout de force il rallume la lumière. Le corps de Jean repose inerte et tordu sur le lit. Henri regarde les vêtements de Jean poses sur une chaise. Il regarde la table de nuit, le tube de somnifères pose près d’une bouteille de whisky […]. Vite, il prend le tube, en verse quelques comprimés dans sa main, puis tout le contenu. Décidé, il en prend un, l’avale, puis un second, l’avale, puis un troisième qu’il avale plus vite avec le whisky au goulot. Mais il

se ravise et repose fébrilement tout le contenu de sa paume sur la table de nuit en en faisant

243

Ivi, p. 147.

244 Ivi, p. 149. 245 Ivi, p. 149.

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