• Non ci sono risultati.

I dettagli e le problematiche affrontati fino ad adesso risultano ancora più caratteristici ed accentuati nel caso di terreni torbosi, come quelli che circondano il lago di Massaciuccoli e che sono oggetto di studio in questo lavoro di tesi.

Questo tipo di terreno si forma in natura dalla decomposizione incompleta di tessuti vegetali in ambiente saturo di acqua, in condizioni anaerobiche ed a basse temperature.

Il processo di formazione dell’humus inizia quando il grado di accumulo della sostanza organica è maggiore del grado di decomposizione della stessa; il processo iniziato circa diecimila anni fa va avanti ancora oggi.

E’ possibile distinguere tre tipologie di terreni torbosi, differenziabili in base al tipo di processo che subisce la sostanza organica e all’ecosistema che si instaura (Tassinato S., 2011):

• zone umide (Wetlands), aree soggette a periodiche inondazioni, sature di acqua e con vegetazione idonea a svilupparsi in queste condizioni;

• torbiere (Peatlands), zone con o senza vegetazione che presentano uno strato superficiale di torba accumulatosi nel tempo. Questi strati presentano una profondità minima di 30-60 cm, ma nella maggior parte dei casi arrivano tra i 2 e i 12 m;

• torbiere attive (Mires), aree in cui i processi di formazione e accumulo della torba sono ancora in atto.

I terreni da noi studiati sono esempi di torbiere e, in particolare, di torbiere basse o di palude (Fen bogs). Questo tipo di torbiere si forma, a seguito di processi di interramento, nei bacini lacustri alimentati dalla falda acquifera sotterranea o dalle acque ricche di minerali che arrivano per ruscellamento dalle alture circostanti. Sono presenti in molte parti del mondo fra cui, appunto, in Italia.

Generalmente hanno un colore molto scuro, variabile dal bruno al nero e presentano un alto contenuto di sostanza organica e di nutrienti, in particolare azoto (rapporto C/N compreso tra 15 e 30) e calcio.

Sono, inoltre, caratterizzati da un alto grado di comprimibilità, da bassa stabilità e da valori di pH neutri o leggermente acidi.

Queste caratteristiche rendono particolarmente favorevole l’adsorbimento del fosforo da parte di tali terreni, sebbene l’entità totale de fenomeno possa essere ridotta dalla competizione con la sostanza organica.

I terreni torbosi oggetto di studio negli articoli riportati presentano i valori più alti di Smax , non

inferiori a 700 mg/Kg (Janardhanan L. and Daroub S. H., 2010; Litaor M.I. et al, 2005; Richardson C.J. e Vaithiyanathan P., 1995; Indiati R. et al, 1995; Zaharah R., 1979).

Più del 70 % del fosforo rimosso in suoli di natura torbosa è dovuto all’accumulo di sostanza organica, ma l’immobilizzazione a lungo termine e la ritenzione coinvolgono, comunque, fenomeni di adsorbimento. Il contributo più importante è dato dalla formazione di complessi metallo- sostanza organica: il Fe-umico, rispetto ai complessi di natura amorfa, non dà origine a polimeri e la superficie risulta distribuita più uniformemente, portando ad un aumento del numero dei siti di adsorbimento. Nei complessi di natura umica il rapporto Pad/Fe è uguale a 1, mentre è più basso in

quelli di natura amorfa.

In questo contesto l’adsorbimento dovuto ad Al risulta in un eccesso di carica negativa e quindi, probabilmente, si ha assenza di precipitazione.

Reddy K.R. et al (1998) e Richardson C.J. e Vaithiyanathan P. (1995) riportano una prevalenza di adsorbimento superficiale e valori di S0 ed EPC0 maggiori che in altri contesti.

L’alto grado di ritenzione del fosforo, accompagnato a fenomeni consistenti di mineralizzazione della sostanza organica, aumenta la quantità di fosforo trattenuta dal terreno che, con il tempo, può aumentare il rischio di perdita del nutriente verso i comparti idrici.

Per i terreni che circondano il Lago di Massaciuccoli (terreni, come è stato detto, di natura torbosa ad alto contenuto di sostanza organica) il fenomeno della mineralizzazione assume notevole importanza e risulta, infatti, la principale fonte di rilascio di fosforo nel terreno e conseguente rilascio nelle acque del Lago.

La quantificazione degli inputs dovuti a questo processo è stata effettuata utilizzando due metodologie di stima (Pistocchi C. et al, 2013).

Nel primo metodo, comunemente utilizzato in agronomia, è stato preso in considerazione il coefficiente di mineralizzazione della sostanza organica (in ambiente mediterraneo il dato può essere considerato costante e compreso tra 1,5% e il 2,0%), secondo la seguente equazione:

Cmin = Vt * BD * SO * Kmin *C/SO

dove le sigle rappresentano:

Cmin (Kg/ha anno) la quantità di carbonio organico mineralizzato in un anno,

Vt (m3) il volume di un ha di terreno spesso 0,4 m (spessore corrispondente alla profondità media

dello strato lavorato),

BD (t/m3) la densità apparente del terreno,

SO (%) il contenuto di sostanza organica del terreno,

Kmin (%)il coefficiente di mineralizzazione (in questo contesto fissato a 1.8 %)

C/SO (%) il contenuto di carbonio nella sostanza organica, costante pari a 0,58%.

Il secondo metodo si basa, invece, sull’ipotesi (sperimentata in contesti analogamente caratterizzati da suoli torbosi) che la mineralizzazione della sostanza organica sia correlata con il grado di subsidenza del terreno e, quindi, quantificabile attraverso la stima di quest’ultimo processo. Si ottiene, pertanto, la seguente equazione:

Cmin = Sa *BDt *Im *C/SO

dove

Sa (m/anno) rappresenta il tasso di subsidenza annua,

Im (%) l’incidenza della mineralizzazione sul compattamento (parametro fissato nel range 30-40% da

dati di letteratura in ambienti analoghi).

Dal valore di Cmin calcolato è possibile ottenere una stima del fosforo, o dell’azoto, mineralizzati

conoscendo il rapporto C/P o C/N che c’è nella sostanza organica del suolo.

Mentre nel caso dell’azoto il dato può essere considerato costante alle nostre latitudini, il rapporto C/P risulta più variabile, aumentando proporzionalmente al contenuto di sostanza organica.

Analisi eseguite su suoli campionati hanno permesso di fissare tre valori di rapporto C/P, in base al contenuto di sostanza organica: 80 per suolo con SO < 5%, 250 per quelli con SO compresa tra 5 e 10% e 300 per terreni con SO> 10%.

Utilizzando il primo metodo di stima è stato ottenuto un valore medio annuo di P mineralizzato pari a 27 kg/ha (Fig. 20, per i dati spazializzati), mentre nel secondo caso sono stati ottenuti valori tra 26 e 34 Kg/ha, al variare del valore assegnato all’incidenza della mineralizzazione sul fenomeno complessivo. I risultati ottenuti con i due metodi sono risultati, pertanto, in accordo, permettendo di stimare la quantità di fosforo mineralizzato in seguito alla mineralizzazione della sostanza organica.

In Fig. 23 è evidenziata (cerchio rosso) la zona di campionamento dei terreni analizzati in questo lavoro di tesi che, come si vede, ricadono nelle aree a più alto grado di P mineralizzato (23.1-44 Kg/ ha anno).

Conclusioni

Da quanto detto fino ad adesso si evince non solo l’importanza dello studio delle