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Utilizzo di strumenti chemiometrici per lo studio delle capacità di adsorbimento di terreni torbosi nel comprensorio del Lago di Massaciuccoli (LU)

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

UNIVERSITA’ DI PISA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

CHIMICA

Curriculum: Analitico

Utilizzo di strumenti chemiometrici per lo studio delle capacità di

adsorbimento di terreni torbosi nel comprensorio del Lago di

Massaciuccoli (LU)

Relatore Interno: Prof. Fuoco Roger

Relatore Esterno: Dott. Silvestri Nicola

Controrelatore: Prof.ssa Domenici Valentina

Candidato: Cantini Valentina

Anno Accademico:

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Introduzione

Stato dell’arte

Chimica del fosforo

▪ Il fosforo nelle acque

▪ Il fosforo nei microorganismi ▪ Il fosforo nelle piante

▪ Il fosforo nel suolo

Equilibri del fosforo

▪ Erosione

▪ Mineralizzazione della sostanza organica ▪ Assorbimento

• Natura dei complessi di Fe, Al e Ca • Contenuto di sostanza organica • Contenuto di argilla

• Effetto del pH

• Effetto della temperatura • Effetto della forza ionica

Mobilità del fosforo

▪ Fenomeni di dilavamento e lisciviazione • NY Phosphorus Runoff Index (NY P Index) • Grado di Saturazione Fosforica (DPS) • Apporto da parte di fertilizzanti

Studio del fenomeno dell’adsorbimento

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▪ Equazioni e parametri • Equazione di Langmuir

• Equazione di Langmuir multi-superficie • Equazione di Langmuir modificata • Equazione di Freundlich • Equazione di Temkin • Equazione di Dubinin-Radushkevich • Equazione di Sips • Equazione di Brunauer-Emmet-Teller • Equazione di Hill • Equazione di Redlich-Paterson • Equazione di Toth • Equazione Lineare

▪ Fitting linearizzati e non-linearizzati ▪ Regressioni

Studio del fenomeno di adsorbimento di fosforo su suoli

▪ Effetto della natura della soluzione • Entità della forza ionica

• Presenza di biocida • pH della soluzione

• Effetto del range di concentrazioni analizzato • Effetto del rapporto suolo:soluzione

• Effetto del tempo di agitazione • Effetto della temperatura ▪ Scelta del modello di regressione ▪ Stima dei parametri di adsorbimento

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• Costante di Langmuir (KL-l/Kg) o forza di adsorbimento fosfatico (PSS) • Costante di Freudlich (KF – l/Kg)

• Costante di eterogeneità dei siti di adsorbimento (α) • Coefficiente di ripartizione Kd (l/Kg)

• Quantità di fosforo adsorbita inizialmente sul terreno (S0 – mg/Kg) • Concentrazione di fosforo all’equilibrio (EPC0 – mg/l)

• Massima capacità tampone (MBC – l/mg)

▪ Correlazioni semplici e Regressioni lineari multiple

Caso studio: i terreni torbosi

Conclusioni

Materiali e Metodi

Caratterizzazione dei terreni

Costruzione di isoterme di adsorbimento

Risultati e Discussione

Caratteristiche chimico-fisiche

▪ Stima del grado di saturazione fosforica (DPS)

Isoterme e parametri di adsorbimento

▪ Fitting Lineare

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▪ PCR e Regressioni Lineari Multiple 

Conclusioni

Bibliografia

Allegato 1

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Introduzione

L'idea di questo lavoro di tesi nasce in seno ad un progetto più ampio rivolto ad affrontare le problematiche ambientali che si sviluppano intorno al Lago di Massaciuccoli. Il Lago, situato a cavallo delle province di Pisa e Lucca, si estende su una superficie di circa 700 ha, con un bacino di circa 93,5 Km2. Nella parte settentrionale è circondato per 1200 ha da un'area

umida palustre marginale (canneti e fragmiteti solcati da canali e costellati da chiari di caccia), che, prima della bonifica, si estendeva anche nell'area meridionale. Le zone bonificate (quella meridionale e a Nord e ad Est al di fuori della zona umida) sono oggi destinate alle coltivazioni intensive di colture a pieno campo, principalmente di mais, frumento e girasole (Fig. 1).

Fig. 1 Il Lago di Massaciuccoli e il suo comprensorio: Panoramica .

Nel bacino idrografico del Lago ricadono numerosi centri abitati e la zona di pianura si trova quasi interamente sotto il livello del mare (in alcuni punti fino a -3 m.s.l.m.), fatto che la rende soggetta ad opere di bonifica idraulica con sollevamento meccanico delle acque, gestite dal Consorzio di

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Bonifica (Fig. 2).

Fig. 2 Il Lago di Massaciuccoli e il suo comprensorio: altezza sul livello del mare. In Figura è indicata l’area di studio di

questo lavoro di tesi che, come si può vedere, risulta interamente sotto il livello del mare.

L'area, di rilevante interesse naturalistico, è fra le più importanti zone umide della Toscana ed è parte integrante del Parco Naturale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, istituito con Legge Regionale nel 1979. Nel 2013 è stata dichiarata (insieme alla Macchia di Migliarino e alla Tenuta di San Rossore) “zona umida di importanza internazionale” ai sensi della convenzione RAMSAR, trattato internazionale siglato a Ramsar in Iran nel 1971 sulla conservazione e sull'uso razionale delle zone umide e delle loro risorse.

Si tratta di una laguna di origine retrodunale di acque dolci e salmastre che presenta una elevata diversità biologica con presenza di specie rare.

Data la sua posizione geografica e le attività che vi si sono sviluppate attorno, soprattutto nel corso del XX secolo, le problematiche di quest'area sono molteplici e tali che nel 2002 la Regione Toscana ha collocato il bacino del Massaciuccoli tra le aree a criticità ambientale e successivamente inserito il relativo dossier nel Piano di Azione Ambientale 2004-2006.

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I fattori di criticità del comprensorio possono essere catalogati in fattori strutturali di primo e di secondo tipo (distinguibili in relazione al loro livello di modificabilità) e riassunti come segue (Paglialunga S. e Gorreri L., 2013, Bonari E. et al, 2013).

Eutrofizzazione delle acque. Il problema principale del lago è l'eutrofizzazione, cioè la ricchezza delle sostanze nutritive (principalmente fosfati), che creano profonde alterazioni della catena trofica dell’ecosistema lacustre. L'apporto di tali nutrienti è causato principalmente da tre fattori: scarichi di tipo puntuale (in particolare dalla rete fognaria, pur dopo la depurazione delle acque nere, e dalle acque reflue di alcune attività produttive) e sorgenti diffuse, che derivano dai fertilizzanti usati in agricoltura e dalla mineralizzazione dei suoli torbosi, largamente presenti in questo comprensorio (Pistocchi C. et al, 2012).

Il grado di eutrofizzazione di un corpo idrico è rilevabile, tra le altre, dalla concentrazione della Clorofilla a nelle acque, variabile indicativa della presenza di alghe e, quindi, sensibile alla loro proliferazione in seguito all’apporto di nutrienti. In base a questo parametro, nel 2002 al Lago di Massaciuccoli è stata assegnata classe trofica 5 (qualità delle acque sufficiente, D.Lgs.152/99). Tale caratteristica di ipereutroficità ha prodotto un incremento abnorme di fitoplancton con una diminuzione di scambi gassosi e limpidità delle acque e conseguente scomparsa delle macrofite sommerse, fioritura di complessi microalgali (tra i quali alcuni risultano tossici per la fauna ittica) e riduzione della diversità biologica.

Salinità. La salinità delle acque dipende da diversi fattori, uno dei quali è l’ingresso di acqua salmastra dal canale Burlamacca che connette il lago al mare, ed ha subito un forte incremento nel corso del tempo.

Interrimento. E' un fenomeno tipico delle zone umide, accentuato dalla presenza di zone agricole nelle quali le lavorazioni del terreno, con conseguenti rimescolamento e spostamento di terra, aumenta la quantità di materiale terroso che viene dilavato e confluisce nelle acque del lago. Scarso ricambio idrico e Bilancio idrico. L'utilizzo delle acque delle sorgenti e delle falde per fini idropotabili ha ridotto l'apporto di acque limpide al lago di Massaciuccoli, riducendo il ricambio necessario a garantire la qualità delle acque.

In questi ultimi anni il bilancio idrico ha evidenziato uno scompenso tra i quantitativi di acqua in uscita e quelli in entrata. Questo deficit idrico determina, nel periodo caldo, l'abbassamento del livello delle acque e la reimmissione delle acque della falda superficiale (alimentata dalle acque di irrigazione) arricchite di nutrienti e, nel periodo autunno-invernale, fenomeni di innalzamento (data la piovosità sempre più concentrata in brevi periodi) dei livelli delle acque con rischio di esondazione.

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Subsidenza. La bonifica meccanica, attuata negli anni trenta del secolo scorso, ha innescato un progressivo fenomeno di subsidenza dei terreni, accentuato dalla natura torbosa degli stessi. L'abbassamento dei terreni ha raggiunto livelli tali da rendere del tutto inefficace, in alcune aree la cui estensione sta progressivamente aumentando, l'opera di bonifica, e rende i terreni non utilizzabili per le coltivazioni. A questo fenomeno è associato anche quello della mineralizzazione della torba con conseguente rilascio di fosfati che vengono, poi, immessi nelle acque del bacino. Sovrasfruttamento della falda. Nel bacino di Massaciuccoli e nelle aree contermini è presente una grande quantità di pozzi a scopo prevalentemente irriguo e potabile, che favoriscono il richiamo del cuneo salino.

Paglialunga S. e Gorreri L., 2013 riportano, infine, altre problematiche che affliggono il Lago di Massaciuccoli, come la presenza di specie alloctone e il rischio di scomparsa di specie floristiche di particolare interesse, che esulano, però, dalle questioni affrontate in questo studio.

Come si evince da quanto scritto sopra, il rilascio di nutrienti, in particolare di fosforo, che confluiscono nelle acque del lago (sia che il processo avvenga per dissoluzione delle sostanze nelle acque sia che sia associato al trasporto solido delle particelle terrose) rappresenta, appunto, una delle problematiche principali del comprensorio del Lago di Massaciuccoli.

In passato la responsabilità di questa contaminazione è stata attribuita in maniera sostanziale al mondo agricolo e all’utilizzo di fertilizzanti, ma studi effettuati nell’ambito di progetti volti a monitorare e migliorare la situazione inerente il Lago e il suo comprensorio (Bonari E. et al, 2013) hanno accertato che la migrazione del fosforo nel lago trae origine sia dell'esercizio delle diverse attività umane (agricoltura, scarichi civili, bonifica meccanica ecc) sia dal verificarsi di fenomeni naturali (mineralizzazione della sostanza organica), i cui effetti possono risultare amplificati dall'esercizio continuativo delle suddette attività.

Grazie alla valutazione che i fattori di attenuazione producono sia sulle quantità di fosforo solubile presente nel suolo (assorbimento da parte delle piante, adsorbimento sui colloidi del terreno, formazione di sali insolubili con Ca, Fe e Al che determinano una parziale immobilizzazione dell'elemento) sia sulle concentrazioni di quello veicolato dalla rete scolante (azione di fenomeni di ritenzione come organicazione algale, sedimentazione, precipitazione ecc) è stato possibile quantificare, con le inevitabili approssimazioni che una tale stima comporta, le variazioni ponderali che il nutriente subisce nel suo percorso dalle sorgenti (depuratori, concimazioni e mineralizzazione della sostanza organica) al bersaglio (lago) per i tre sottobacini meridionali del comprensorio del lago di Massaciuccoli (Bonari E. et al, 2013). Nel 2013 il carico totale di fosforo che raggiungeva le acque del lago è risultato essere di circa 8.7 t/anno di cui circa il 45%

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proveniente dalla mineralizzazione della sostanza organica, il 35% ascrivibile all'utilizzo di fertilizzanti (valore che trova riscontro anche in letteratura, Bergström L. et al, 2007) e poco meno del 20% in conseguenza degli scarichi dei depuratori .

La dispersione ambientale del nutriente è, comunque, la risultante di processi complessi e in parte interagenti tra loro, di cui non è immediato definire i singoli contributi.

Certo è che un accumulo di fosforo nel terreno aumenta il rischio di fenomeni di dilavamento e lisciviazione che sono alla base del trasferimento di questo nutriente ad altri comparti ambientali e, pertanto, uno degli obiettivi principali in agricoltura deve essere quello di ottimizzare l’assorbimento del P da parte delle colture e minimizzarne le perdite, anche nell’ottica di esaurimento di una risorsa non rinnovabile. E’ stato, infatti, stimato che ai ritmi attuali di consumo l’esaurimento delle riserve minerali di fosforo avverrà entro la fine di questo secolo (Fink J.R. et al, 2016, Manahan S.E., 2010, Gilbert N., 2009). Fink J.R. et al, 2016 riportano che secondo uno studio l’estrazione delle rocce fosfatiche raggiungerà il suo picco nel 2030, con un successivo declino e parallelo aumento del prezzo. Emblematico è il caso del piccolo stato di Nauru, isola equatoriale nell’oceano Pacifico, dove le riserve di fosforo che hanno fatto la fortuna dell’isola si sono praticamente esaurite e l’economia dell’isola è crollata (Rancan C., 2012).

Stimare la concentrazione di fosforo presente nel suolo per valutare la necessità e l’entità della fertilizzazione da utilizzare può non essere sufficiente se non si valutano altre caratteristiche del terreno, come la capacità e l’affinità di assorbimento e la riserva di fosforo organico libero presente, che regolano l’efficienza del terreno a sopperire alla necessità delle piante.

Avere una conoscenza più chiara e accurata possibile della mobilità e della disponibilità di fosforo può evitare l’uso eccessivo di fertilizzanti e l’accumulo del nutriente in tipologie di terreni che, per le loro caratteristiche chimico-fisiche, possono possedere naturalmente un potenziale di dilavamento e lisciviazione più alto che in altri contesti.

In quest’ottica con questo lavoro di tesi abbiamo voluto indagare le capacità di assorbimento dei terreni del territorio circostante il lago di Massaciuccoli (terreni di natura torbosa), che, come sottolineato dal mondo agricolo, nonostante le alte concentrazioni di fosforo, necessitano di fertilizzazione per ottenere gli obiettivi di resa prefissati.

I risultati ottenuti sono stati correlati con le caratteristiche chimico-fisiche dei terreni ed è stato elaborato e validato un modello predittivo che permettesse, date le caratteristiche del suolo, di ricavare i principali parametri di assorbimento (capacità massima Smax, costanti di affinità, capacità

di buffer EPC0) e la tipologia di assorbimento (omogeneo, monosuperficiale ecc.).

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robusto e significativo, è stata posta particolare attenzione alla parte statistica con l’intento di scegliere la metodologia di fitting che meglio rappresentasse le evidenze sperimentali.

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Stato dell’arte

Chimica del fosforo

Il fosforo (P) è un elemento essenziale per la vita ed è presente negli acidi nucleici, nelle membrane cellulari (dove svolge un ruolo critico nella crescita cellulare e nella formazione del DNA), nei sistemi di trasporto di energia in quanto componente fondamentale dell’ATP, nelle ossa e nei denti. Il ciclo di questo elemento (Fig. 3), e la sua conoscenza, risultano di fondamentale importanza, in quanto nutriente limitante nei vari ecosistemi e in quanto fortemente influenzato dall’attività umana (Fig. 4).

L’emissione nell’atmosfera avviene attraverso processi di combustione ed è veicolata da polline e polveri derivanti dall’erosione del vento. L’entità dell’impatto del fenomeno di deposizione sui vari ecosistemi non è chiara e l’incertezza sulla quantificazione è dovuta, in primo luogo, alla facilità di contaminazione di questa fonte di fosforo.

Non ne esistono, comunque, forme gassose stabili ed il ciclo biologico di questo elemento ha, pertanto, natura tipicamente sedimentaria.

Fig. 3 Ciclo del fosforo in natura. Sono indicate le fonti di accumulo, i meccanismi di perdita e gli equilibri che ne

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Fig. 4 Ciclo del fosforo prima (in alto) e dopo (in basso) l’avvento delle attività umane. In Figura sono indicate le

quantità di fosforo presenti come riserva (Tg) nei vari ambienti e l’entità dei flussi tra i vari ecosistemi (Tg/a). E’ importante sottolineare come l’intervento umano abbia raddoppiato l’entità del flusso verso i corsi d’acqua (Filippelli G.M., 2002).

Nella biosfera non subisce reazioni di ossidoriduzione e risulta meno mobile di altri nutrienti come carbonio, azoto e zolfo.

Si trova, principalmente, in combinazione con l’ossigeno, come fosfato, la cui forma più semplice è rappresentata dall’ortofosfato PO43-. La forma completamente protonata, acido ortofosforico

H3PO4, presenta valori di pKa pari rispettivamente a 2.17, 7.31 e 12.36. Dato l’elevato valore di pKa3

lo ione ortofosfato si trova principalmente nelle forme bi- e mono-protonata (H2PO4- e HPO42-), di

cui la prima prevale in condizioni debolmente acide e la seconda in condizioni debolmente basiche. 200 Suolo 120000 Organismi 2600 Disciolto 1 Input totale da fiumi 2 – 3 Riserva oceanica 92000 Flusso sotterraneo 2 - 3 Riserva sdimentaria 8.4 * 108 Erosione 1- 2 sol Fertilizzanti 0.5 Deforestazione e perdita di suolo 2 Scarichi e rifiuti 2 Disciolto 2 2 – 4 solubile Input totale da parte dei fiumi

4 - 6 Riserva degli

oceani 92000

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La principale riserva di fosfati nell’ambiente è costituita da minerali primari scarsamente solubili come i sali di calcio idrossiapatite (Ca5(PO4)3(OH)) e fluoroapatite (Ca5(PO4)3F), erosi dalla reazione

con anidride carbonica:

Ca5(PO4)3OH + 4CO2 + 3H2O 5Ca 2+ + 3HPO42- + 4HCO3

1-La caratteristica peculiare del fosforo è rappresentata dalla sua scarsa disponibilità dovuta alla scarsa mobilità, alla scarsa solubilità e alla alta affinità con il suolo (il tempo di residenza medio naturale del P nel suolo è di circa 600 anni (Filippelli G.M., 2002).

Il fosforo nelle acque.

Negli ecosistemi acquatici il fosforo rappresenta uno degli elementi chiave e il nutriente limitante nella crescita delle alghe. Valori eccessivi di fosforo sono una delle principali cause dei fenomeni di eutrofizzazione: concentrazioni pari a 0.03 ppm di P disciolto e 0.1 ppm di P totale risultano potenzialmente pericolosi.

Negli ambienti acquatici si può trovare in forma disciolta (9-90% del fosforo totale) o come particolato nei sedimenti. Le due forme sono in equilibrio e la cinetica di tale equilibrio è influenzata dalle condizioni ambientali quali pH, temperatura, ambiente riducente, azione di microorganismi (Mesnage and Picot, 1994).

La frazione sedimentaria può essere classificata nelle seguenti quattro tipologie: • fosfati minerali, in particolare idrossiapatite (Ca5(PO4)3(OH));

• fosforo non occluso, ortofosfati legati alla superficie di silicati o carbonati. Generalmente questo tipo di fosforo risulta più solubile e in conseguenza più disponibile di altre forme; • fosforo occluso, ortofosfati racchiusi dentro la struttura amorfa di ossidi idrati di ferro e

alluminio o di alluminosilcati. Questo tipo di fosforo risulta meno disponibile della forma non occlusa;

• fosforo organico, incorporato all’interno della biomassa acquatica.

La frazione di fosforo solubile in acqua è suddivisibile in due diverse forme, distinguibili in base alla reattività e, quindi, alla biodisponibilità per piante ed organismi. La frazione reattiva (DRP, dall’inglese Dissolved Reactive P) è costituita da fosfati inorganici, mentre quella non reattiva (DUP, Dissolved Unreactive P) può essere costituita da fosforo organico e specie inorganiche polimeriche. Gli ortofosfati inorganici possono derivare da reazioni di idrolisi di fosfati polimerici, secondo l’equilibrio:

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Ovviamente anche in questo caso l’equilibrio della reazione è influenzato dalle condizioni ambientali, come il pH. Alcuni studi hanno, inoltre, dimostrato, che le alghe e alcuni microorganismi sono in grado di catalizzare tale reazione di idrolisi (Manahan S.E., 2010).

Il fosforo nei microorganismi.

I microorganismi del suolo contengono tra 30 e 120 Kg P/ha ( Bergström L. et al, 2007).

Poiché questa frazione di fosforo viene degradata più velocemente di altre (lo scambio tra i microorganismi e i suolo è piuttosto rapido, con un tempo di residenza medio di 13 anni), può costituirne un’importante riserva per le piante.

Il fosforo nelle piante.

Insieme a ossigeno, idrogeno, carbonio, azoto, calcio, potassio, magnesio e zolfo il fosforo rappresenta un macronutriente essenziale per le piante, che lo assimilano, come già detto, sotto forma di ortofosfato e lo immagazzinano nei composti organici. La maggior parte delle piante contiene lo 0.2% di P in peso, ma nonostante questo risulta di fondamentale importanza. Gioca un ruolo fondamentale nella fotosintesi, nella respirazione, nella fissazione dell’azoto, nello sviluppo delle radici, nella maturazione, nella fioritura, nella fruttificazione e nella produzione dei semi. Un’insufficienza di P nel suolo (terreni con concentrazioni minori dello 0.10% di P totale sono classificati poveri di fosforo e la soglia di sufficienza del fosforo assimilabile misurato con la metodologia Olsen è data tra 30 e 60 ppm di P2O5, 6.6-13.2 ppm di P) può determinare un ritardo

nella maturazione delle colture, una riduzione della crescita dei fiori, un abbassamento della qualità dei semi e una diminuzione della quantità di raccolto.

La zona di interazione tra piante, suolo e microorganismi è la rizosfera.

Data la scarsa solubilità e mobilità nel suolo, il fosforo può essere consumato molto rapidamente nella rizosfera attraverso l’assorbimento radicale, creando un gradiente di concentrazione in direzione radiale dalla superficie delle radici (Sheh J. et al, 2011). Il ricambio di P solubile in questa zona può avvenire dalle 20 alle 50 volte al giorno, per venire incontro alla domanda da parte delle piante.

In caso di deficienza di P le piante possono sviluppare meccanismi per migliorare l’efficienza non solo di acquisizione e di trasporto di P inorganico, ma anche di utilizzo del fosforo immagazzinato, attivando sistemi interni di riciclo dell’elemento, limitandone il consumo e trasferendolo da tessuti vecchi a tessuti giovani o in fase attiva di accrescimento (Shen J. et al, 2011).

Il fosforo nel suolo.

Nel suolo il fosforo è naturalmente disponibile, in concentrazioni variabili in base alla natura del suolo stesso, e rappresenta circa il 98% del totale contenuto nel sistema suolo/esseri viventi

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(Filippelli G.M., 2002). Il contenuto di fosforo totale in un suolo non fertilizzato può variare fra i 200 e i 2000 mgP/Kg (equivalente a 800-8000 kg/ha di strato superficiale), aumentando con il contenuto di argilla (le concentrazioni di fosforo totale in suoli a tessitura prevalentemente argillosa possono essere fino a dieci volte più alte di quelle riscontrate in suoli prevalentemente sabbiosi) e il contenuto di sostanza organica (Espinoza L. et al; Bergström L. et al, 2007; Cornforth I.S., 1981).

Il fosforo esiste nel suolo in diverse forme che possono essere raggruppate in quattro tipologie: fosforo inorganico disciolto, fosforo organico, fosforo adsorbito e fosforo minerale primario. Di queste, la prima risulta immediatamente disponibile per l’assimilazione da parte delle piante mentre le altre tre rappresentano forme di fosforo non printamente biodisponibili.

Le quantità relative delle diverse forme presenti dipendono, chiaramente, dalle condizioni ambientali, dalle caratteristiche chimico-fisiche del suolo e dall’utilizzo del terreno stesso (Stutter et al, 2015) e possono variare anche notevolmente.

Il fosforo inorganico rappresenta fra il 35% e il 70% del fosforo totale nel suolo, distribuito tra le forme disciolto, adsorbito e minerale (Shen J. et al, 2011).

Il fosforo inorganico solubile si trova disciolto nel contenuto di acqua naturalmente presente nel terreno ed è costituito prevalentemente (per i valori di pH tra 4.5 e 6.2 che si trovano generalmente nei suoli) da H2PO4- e HPO42-, forme in cui viene adsorbito dalle piante.

L’acqua presente nel suolo contiene generalmente 0.1-1 mg/l di fosfato inorganico in soluzione, che equivale a pochi grammi di fosforo in soluzione per ettaro di terreno. Il massimo di disponibilità di fosforo inorganico solubile si ha per pH leggermente acidi (pH 6-7) (Fig. 5): per valori di pH più bassi tende ad essere adsorbito sul suolo in composti di Fe, Al e Mn, mentre a valori più alti tende a precipitare con il Ca.

I minerali fosfatici primari sono rappresentati da fosfati scarsamente solubili di Ca (apatiti, fra cui idrossiapatite Ca5(PO4)3(OH)e fluoroapatite Ca5(PO4)3F) e di Fe e Al (rispettivamente strengite

FePO4·2H2O e variscite AlPO4·2H2O). Il rilascio di fosforo disponibile per erosione di questi minerali

è generalmente troppo lento per sopperire direttamente alla domanda di fosforo da parte delle colture.

Minerali fosfatici secondari, come fosfati di Ca, Fe e Al, invece, differiscono in solubilità in base al pH e alla grandezza delle particelle.

Il fosforo organico rappresenta il 50-80% del fosforo totale nel suolo, presentando concentrazioni maggiori nei suoli acidi e nei suoli torbosi, ricchi di sostanza organica; anche in questo caso può presentarsi in forma precipitata e in forma disciolta.

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Rispetto ad altri elementi componenti la sostanza organica (N, S) i composti del fosforo sembrano accumularsi per tempi più lunghi, cosicché il contenuto di fosforo nella sostanza organica del suolo risulta molto più variabile rispetto ad altri elementi.

Il fosforo organico può essere suddiviso in due frazioni: una che si trova combinata con C, N e S nell’humus e una come composti organici di fosforo indipendenti.

Fig. 5 Influenza del pH sulla disponibilità del fosforo.

L’identificazione specifica dei diversi composti di fosforo organico presenti è di difficile realizzazione, principalmente perché le metodologie di estrazione possono alterarne la composizione chimica.

L’utilizzo della spettroscopia NMR 31P, in soluzione e a stato solido, ha permesso di fare dei passi in

avanti in tal senso (Cade-Menun B.J., 2015; Vestergren J., 2014; Turner B.L. et al, 2012; Dougherty W.J. et al, 2005; Turner B.L. et al 2003).

La presenza nel suolo è dovuta principalmente a gruppi fosfatici ossidanti legati alle molecole organiche attraverso legami esterei, che possono avere natura mono o di-esterea.

I monoesteri (fosfolipidi, DNA, RNA, inositol fosfati, in cui ogni gruppo fosfatico è impegnato in un solo legame estereo) rappresentano dal 83% al 95% del fosforo organico presente (Cornforth I.S., 1981) mentre i diesteri (fosfonati, polifosfati, per cui in ogni gruppo fosfatico sono presenti due siti di legame) ne occupano una frazione più piccola (4-9%, Cornforth I.S., 1981). Fino ad un 12% può essere rappresentato da acido teicoico (forma di fosfato diestereo in cui unità di zuccheri sono unite da gruppi fosfatici).

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Il legame estereo può essere facilmente rotto con l’intervento di specifici enzimi, la cui attività è regolata principalmente dalla quantità di ioni fosfato disponibili, aumentando al diminuire di quest’ultima.

Le varie classi di composti organici possono, pertanto, essere classificate, anche in base alla reattività, dividendosi in composti stabili (inositol fosfati e fosfonati) e composti attivi (ortofosfati mono e di-esterei, polifosfati).

Fra le famiglie indicate la più abbondante risulta essere quella degli inositol fosfati, che può rappresentare fino al 50% del fosforo organico totale presente in un suolo. Sono stati identificati vari stereoisomeri di questi composti (Kruse J., 2015; Cade-Memum B.J., 2015; Vestergren J., 2014; Turner B.L. et al, 2002, 2003, 2007, 2012) tra i quali il più abbondante (e l’unico ad essere stato individuato nelle piante) risulta essere il myo-inositolhesakisfosfato, congenere myo con sei gruppi fosfatici.

Gli inositol fosfati sono generalmente stabili in condizioni alcaline e tendono a reagire con composti a più alto peso molecolare.

I fosfolipidi rappresentano tra lo 0.5% e il 7%, con predominanza di fosfogliceridi (Cornforth I.S., 1981). Data la maggiore presenza nelle piante di questa famiglia di composti, rispetto a quella degli inositol fosfati, è ipotizzabile che i primi vengano mineralizzati più velocemente dei secondi.

Equilibri del fosforo

Il rapporto tra le forme di fosforo precedentemente descritte è regolato sostanzialmente da tre meccanismi:

• erosione/precipitazione (P inorganico disciolto – P minerale),

• adsorbimento/desorbimento (P inorganico disciolto - P inorganico adsorbito), • immobilizzazione/mineralizzazione (P inorganico disciolto - P organico).

Erosione, desorbimento e mineralizzazione aumentano la quantità di fosforo disponibile per le piante mentre i processi contrari la diminuiscono.

Erosione

Per erosione si intende la dissoluzione da parte degli agenti atmosferici del fosforo contenuto nei minerali presenti nel suolo, mentre il processo contrario, la precipitazione, avviene quando il fosforo inorganico reagisce con Fe, Al, o Mn disciolti (in caso di terreni a pH acido) o con Ca (per pH basico) a formare minerali fosfatici. Nei terreni neutri e basici il trattenimento del fosforo è

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dominato da questo tipo di processo (Shen J. et al, 2011). La precipitazione con il Ca porta alla formazione di fosfato dicalcico (DCP CaHPO4, ancora disponibile per le piante), che può essere

trasformato in forme più stabili, come fosfato octacalcico (Ca8H2(PO4)6.5H2O) o idrossiapatite (non più disponibili per le piante).

Mineralizzazione della sostanza organica

Per mineralizzazione, o decomposizione, della sostanza organica si intende il processo biologico durante il quale composti organici vengono trasformati in forme inorganiche di nutrienti (per il fosforo H2PO4- e HPO42- ai pH ambientali) e carbonio (principalmente CO2 e CH4) e composti organici

più semplici. Come molti altri processi biologici, tale trasformazione può essere intesa come una reazione ossido-riduttiva durante la quale gli organismi rilasciano l'energia immagazzinata sotto forma di composti organici ridotti, convertendo questi ultimi in forme più ossidate (con la CO2 che

rappresenta il termine ultimo di ossidazione) ed utilizzando l'energia per la crescita. Si tratta di un processo stechiometrico durante il quale gli organismi ricevono elementi come carbonio, azoto e fosforo in proporzione alla composizione elementare dei propri tessuti.

I cicli del carbonio e dei vari nutrienti sono, pertanto, intimamente correlati nel corso del processo di mineralizzazione (Bridgham S. et al, 2013). I microorganismi eterotrofici che sono responsabili della decomposizione mantengono in equilibrio i processi di mineralizzazione (conversione dei nutrienti e del carbonio dalle forme organiche alle forme inorganiche) e di immobilizzazione dei nutrienti (assorbimento dei nutrienti per la costruzione di biomassa) (Fig. 6).

Il grado lordo di mineralizzazione e di immobilizzazione rappresenta il grado effettivo dei singoli processi, ma risulta difficile da misurare poiché i due processi avvengono simultaneamente. Ciò che, invece, è possibile misurare è la variazione netta della concentrazione dei nutrienti e, pertanto, il grado netto di mineralizzazione o di immobilizzazione. Naturalmente si assiste al fenomeno della mineralizzazione nel caso in cui il grado lordo di mineralizzazione sia più alto di quello di immobilizzazione e viceversa. Nonostante i due processi avvengano simultaneamente, le relative proporzioni variano drasticamente nel corso della decomposizione, con importanti implicazioni sul ciclo dei nutrienti e sulla loro biodisponibilità.

I microorganismi competono con le piante per il consumo di P quando la materia organica presente è ricca in carbonio e povera di azoto e fosforo; se il contenuto di P nella materia organica è sufficiente a soddisfare il fabbisogno dei microorganismi il processo di mineralizzazione prevale su quello di immobilizzazione. La percentuale di fosforo rilasciato in questo modo è influenzata dall’umidità del terreno, dalla temperatura (temperature tra i 18 e i 40 °C favoriscono il processo

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di mineralizzazione), dalle caratteristiche chimico-fisiche della superficie, dalla concentrazione di ossigeno, dal pH, dal valore di potenziale di riduzione e, ovviamente, dalla composizione e dal contenuto di sostanza organica.

Fig. 6 Andamento dei processi di mineralizzazione. Quello che viene osservato è la risultante netta dei due processi

lordi.

Assorbimento

L’assorbimento è il fenomeno per il quale l’analita si lega chimicamente alle particelle del suolo; il fenomeno contrario si indica desorbimento.

Il primo avviene più velocemente del secondo, che è un processo generalmente lento, e porta all’instaurazione di legami chimici reversibili e a cambiamenti delle proprietà chimiche del fosforo meno permanenti rispetto alla precipitazione.

I processi di assorbimento/desorbimento sono i fenomeni principali che regolano la mobilità del fosforo nel terreno.

Con la parola assorbimento si possono intendere due processi (e in generale l’insieme dei due processi):

adsorbimento, quando l’elemento viene rimosso dalla soluzione, attaccandosi alla superficie del

suolo,

absorbimento, nel caso in cui si manifestino fenomeni di diffusione delle particelle adsorbite

all’interno del suolo.

Massima Immobilizzazione netta G ra do d i i m m ob ili zz az io ne lo rd a O m in er al iz za zi on e lo rd a Massima mineralizzazione netta Pe rc en tu al e di C o P o rig in al e % Di N o P Originale % Di C Originale Mineralizzazione Lorda Mineralizzazione Netta Immobilizzazione Lorda Immobilizzazione netta Tempo

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Il fenomeno di absorbimento rende da un lato meno disponibili le molecole di fosforo penetrate all’interno della superficie e, dall’altro, libera nuovi siti di adsorbimento.

Analogamente il processo di desorbimento presenta una fase più veloce di desorbimento delle particelle adsorbite sulla superficie ed una più lenta che interessa le particelle absorbite all’interno. Quest’ultimo fenomeno si manifesta nel caso in cui siano esaurite le molecole adsorbite in superficie, e ciò avviene piuttosto lentamente.

Data la cinetica e la specificità delle reazioni di absorbimento e desorbimento delle molecole absorbite, in generale, ed anche in questo lavoro di tesi, quando si parla di assorbimento si intende il fenomeno di adsorbimento. In assenza di inputs esterni che ne modifichino la distribuzione si considera che il raggiungimento dell’equilibrio tra la fase solida e la fase liquida avvenga in 16 h. Le particelle adsorbite possono venire intrappolate sulla superficie del suolo, nel caso siano presenti strati di ossidi di Fe e/o Al precipitati sul minerale. Questo processo viene indicato con il nome di occlusione (Fig. 7).

Risulta di difficile attuazione la distinzione tra i fenomeni di adsorbimento e precipitazione del fosforo (promosse dagli stessi cationi), tanto che è comune che i due fenomeni vengano raggruppati insieme. Le forme ottenute nei due casi presentano, infatti, similare stabilità e confrontabilità delle concentrazioni di equilibrio raggiunte in soluzione.

Patrick W.H. (1991) riporta che sia stato postulato che i due processi siano in pratica lo stesso meccanismo e che l’adsorbimento possa essere considerato un caso speciale di precipitazione in cui il catione reagisce con il fosforo senza che avvenga scambio tra gli anioni.

Il fenomeno dell’adsorbimento può essere descritto da alcuni parametri fondamentali, come la capacità massima di adsorbimento (Smax), la forza del processo di adsorbimento (K), la

concentrazione all’equilibrio (EPC0, concentrazione in soluzione quando l’assorbimento netto è pari

a zero) e la concentrazione di fosforo inizialmente adsorbita sul terreno (S0).

Suoli diversi presentano diverse capacità di adsorbimento, in base alla natura del terreno, al valore di pH, alla temperatura, alla concentrazione e alla natura dei complessi di Fe, Al e Ca, al contenuto di sostanza organica.

Natura dei complessi di Fe, Al e Ca.

Suoli con alto contenuto di Fe, Al e Ca presentano maggiori potenziali di adsorbimento.

In suoli acidi, infatti, può essere assorbito in maniera dominante da ossidi e idrossidi di Fe e Al, come gibbsite (Al(OH3), ematite (Fe2O3), goethite (α-FeOOH) e ferridrite (formula variabile in base

al grado di idratazione), con affinità di adsorbimento decrescente secondo l’ordine ferridrite > goethite > ematite, sul quale incide l’ampiezza dell’area superficiale specifica del minerale (SSA).

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Fig. 7 Assorbimento del fosforo da parte del terreno: a) adsorbimento (molecole di fosforo adsorbite sulla superficie

del terreno) e absorbimento (penetrazione delle molecole adsorbite verso l’interno della superficie), b) occlusione.

L’adsorbimento da parte degli ossidi e idrossidi di Fe e Al può avvenire con una reazione di scambio tra lo ione fosfato e l’anione precedentemente adsorbito (formazione di complessi outer-sphere con presenza di molecole di acqua, Fig. 8) o attraverso la formazione di complessi superficiali (senza la presenza di molecole di acqua, Fig. 8 e Fig. 9) adsorbiti in maniera specifica (Fink J.R. et al, 2016). I complessi così formati prendono il nome di complessi inner sphere, ad indicare, appunto, l’assenza di molecole di acqua e la formazione di forti legami covalenti con superfici minerali altamente strutturate.

Il fosforo è adsorbito in maniera preferenziale dai gruppi superficiali idrossilici, presenti sulla superficie degli ossidi, portando, pertanto, allo spostamento di molecole di OH2 o OH-. La natura

precisa delle reazioni che intercorrono dipende dal valore di pH, che influenza la presenza relativa dei gruppi OH2 o OH- (i gruppi idrossilici sono protonati per valori di pH al di sotto di 7-9) e, di

conseguenza, la carica superficiale del suolo.

Nel caso in cui il fosfato interagisca con un gruppo acquo alla superficie viene aggiunta carica negativa, ma non vi è aumento della concentrazione degli ioni idrossilici in soluzione. Nel caso in cui l’interazione avvenga, invece, con un gruppo idrosso la carica superficiale non viene alterata, ma viene liberata in soluzione una quantità equivalente di ioni OH-.

Soluzione

Del suolo Minerali delSuolo

Rivestimento di ossidi Di Fe o Al P intrappolato Dal rivestimento Minerali del Suolo

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Fig. 8 Meccanismi di reazione del fosforo in soluzione.

Come mostrato in Fig. 9, il legame dei gruppi idrossilici sulla superficie può essere di natura A (il gruppo idrossilico è coordinato da un solo atomo di Fe, Fe-OH-0.5), C (il gruppo idrossilico è

coordinato da due atomi di Fe, Fe-OH0) e B (gruppo idrossilico coordinato da tre atomi di Fe,

Fe-OH+0.5). Il legame di tipo A è quello più facilmente protonabile, in quanto l’ossigeno risulta più

elettronegativo che negli altri tipi di legami, portando alla formazione di Fe-OH2+0.5, complesso

instabile altamente reattivo con la sostituzione della molecola OH2 con anioni organici o inorganici

presenti in soluzione. Il processo di protonazione idrossilica favorisce, pertanto, l’adsorbimento fosfatico sia perché l’anione fosfato sostituisce il gruppo OH2 sia perché viene attratto dal campo

elettrico positivo che viene a formarsi.

Il legame che viene a formarsi può essere di natura monodentata o bidentata, in base al numero di gruppi idrossilici del fosfato impegnati nel legame con atomi di Fe, e mononucleare o binucleare, a seconda che i legami interessino lo stesso atomo di Fe o atomi diversi (Fig. 10).

Reazioni di precipitazione

Ioni disciolti Forma precipitata

Reazioni di scambio anionico (outer-sphere)

Reazioni di con le superfici di ossidi di Fe e Al (inner-sphere)

Reazioni di ponti stabili binucleari (inner-sphere)

Superficie di argilla Ione adsorbito

Ioni disciolti

Superficie di argilla Ione adsorbito

Ione disciolto

Ione disciolto Superficie di idro-ossidi

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Quest’ultimo legame, tipico della fase di absorbimento, presenta maggiore stabilità degli altri e il fosforo così legato è meno disponibile al desorbimento; il legame monodentato, al contrario, è da considerarsi un legame reversibile e il fosforo così adsorbito più prontamente biodisponibile.

Fig. 9 Formazione di complessi inner sphere durante l’adsorbimento di P da parte di ossidi e idrossidi di Fe e Al. In

Figura è riportato l’adsorbimento sulla superficie di goethite. A, B e C indicano la tipologia dei gruppi idrossilici, rispettivamente coordinati con una, tre o due molecole di Fe (Fe-OH-0.5, Fe-OH0, Fe-OH+0.5). Sono riportati legami

mondentati-mononucleari e bidentati-binucleari.

Fig. 10 Modelli di adsorbimento del fosforo. Sono illustrati i complessi che si possono ottenere: Bidentato-binucleare (a

sinistra) in cui due gruppi fosfatici sono legati a due diversi atomi di Fe o Al, Bidentato-mononucleare (a destra in alto) in cui i due gruppi fosfatici sono legati ad un singolo catione e Monodentato-mononucleare (a destra in basso), dove il legame è univoco (Giancarlo Dessì).

A B

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Studi di letteratura riportano che il meccanismo di adsorbimento su minerali allumino-silicati è analogo a quello appena riportato per gli ossidi e idrossidi di Fe e Al (Patrick W.H., 1991).

Nei suoli calcarei, invece, la ritenzione del fosforo è attribuita in maniera prevalente all’adsorbimento su CaCO3 e alla coprecipitazione con il carbonato. L’adsorbimento è considerato

avvenire per mezzo dello scambio di molecole d’acqua, ioni bicarbonato o idrossilici con ortofosfati, con le particelle di CaCO3 che fungono da centri di nucleazione per la precipitazione di

composti di Ca non apatitici come, fosfato dicalcico e fosfato octacalcico (Olila O.G. and Reddy K.R., 1993).

Uno studio del 1965 (Amarh F., 2012) indica le possibili reazioni che possono condurre all’adsorbimento di P in suoli calcarei:

• precipitazione di fosfati di calcio insolubili;

• precipitazione superficiale con carbonato di calcio libero; • fissaggio del fosfato da parte dell’argilla saturata con Ca.

La reazione implica uno stadio iniziale di adsorbimento di piccole quantità di fosfato seguito dalla precipitazione di quantità alte di Ca-P.

Amarh F. (2012) riporta uno studio del 1974 in cui viene mostrato come il processo di adsorbimento nei suoli calcarei possa essere suddiviso in tre fasi:

• adsorbimento chimico del fosfato da parte di nuclei eterogenei di Ca amorfo; • lenta trasformazione in apatiti cristalline;

• crescita dei cristalli delle apatiti precipitate.

Studi di letteratura (Amarh F., 2012) concludono che il processo si differenzi in base alla concentrazione di fosforo in soluzione. A livelli di concentrazione bassi (< 9 mg P/l) il grado di adsorbimento risulta direttamente proporzionale alla concentrazione di CaCO3 e il fosforo

adsorbito quasi interamente disponibile (scambio isotopico con 32P), mentre a concentrazioni di P

maggiori meno di un terzo del fosforo fissato subisce lo scambio isotopico, evidenza che indica la formazione di complessi di Ca meno solubili (fosfato dicalcico, fosfato octacalcico).

Contenuto di sostanza organica.

Come abbiamo visto parlando del processo di mineralizzazione della sostanza organica, il contenuto di quest’ultima influenza fortemente le proprietà chimico-fisiche e biologiche del terreno, anche per quanto riguarda la disponibilità dei nutrienti.

I gruppi funzionali carichi negativamente, presenti nelle sostanze organiche (come, per esempio, carbossili e fenoli), interagiscono, appunto, con i minerali carichi positivamente (ossidi di Fe e Al) alterandone le capacità di adsorbimento, secondo i seguenti meccanismi, illustrati in Fig. 11:

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I. formazione di ponti cationici (Fe3+ e Al3+);

II. inibizione della crescita cristallina dei minerali con il conseguente aumento della SSA;

III. alterazione delle cariche superficiali;

IV. competizione con gli altri anioni per i medesimi siti di adsorbimento; V. spinta al desorbimento di anioni già adsorbiti sulla superficie.

Risulta chiaro che i meccanismi I e II portano ad un aumento della capacità di adsorbimento, mentre i processi III, IV e V la riducono.

Il legame che si instaura nella formazione di ponti cationici risulta, comunque, reversibile, nel momento in cui diminuisce la concentrazione fosforica in soluzione.

Sebbene la presenza di anioni organici aumenti l’area superficiale specifica e di conseguenza la capacità di adsorbimento fosforico, Fink J.R. et al (2016) riportano uno studio in cui è stato verificato che la presenza di citrato blocca i pori del minerale goethite prevenendo la diffusione del fosfato all’interno della superficie, mantenendolo, quindi, più disponibile per le piante e riducendone l’assorbimento.

Giesler R. et al (2005) riportano, comunque, uno studio in cui il fosforo legato al Fe-umico risulta da sei a sette volte maggiore di quello legato agli ossidi di Fe amorfi e ciò grazie alle formazione di complessi ternari Fe-sostanze umiche-P.

L’alterazione delle cariche superficiali avviene attraverso l’adsorbimento di anioni organici che conferiscono alla superficie del minerale carica negativa che respinge la carica dello stesso segno dello ione fosfato.

L’effettivo manifestarsi del meccanismo V è oggetto di dibattito e di studio; Fink J.R. et al (2016) riportano uno studio del 2014 in cui è stato verificato che l’aggiunta di citrato al suolo promuove il desorbimento di fosforo.

E’ stato dimostrato in diversi studi (Gerke J., 2015; Gielser R. et al 2005; Turner B.L. et al, 2002; De Groot and Golterman, 1993; Helal and Dressler, 1989) che anche la presenza di inositol fosfati nella sostanza organica modifica le capacità di adsorbimento degli ortofosfati inorganici del suolo, portando al desorbimento delle molecole già adsorbite e all’inibizione dell’ulteriore adsorbimento, in particolare per quanto riguarda gli isomeri più fosforilati.

L’effetto complessivo della sostanza organica sulle capacità di adsorbimento dipende dal meccanismo prevalente e, pertanto, dalla natura dalla composizione della sostanza organica stessa (Patrick W.H. 1991).

Fink J. R. et al (2016) riportano che mentre alcuni studi hanno riscontrato che l’aumento della sostanza organica non porta ad una diminuzione del parametro Smax, altri riportano che la sostanza

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organica influisca sull’energia di legame del processo di adsorbimento, aumentando l’efficienza di utilizzo di fertilizzanti, in particolare portando a legami con minore energia e, quindi, più facilmente scindibili.

Fig. 11 Meccanismi di interazione della sostanza organica con le capacità di adsorbimento del fosforo degli ossidi di Fe.

I meccanismi I e II ne aumentano la capacità, mentre i meccanismi III, IV e V la riducono.

Contenuto di argilla.

La tessitura del terreno è un’altra caratteristica che influenza in maniera sostanziale il processo di adsorbimento. Suoli ad alto contenuto di argilla (particelle con d < 2μm) presentano maggiori capacità di adsorbimento di quelli non prevalentemente argillosi, e vari studi mostrano correlazioni significative tra i due parametri. (Amarh F., 2012, Patrick W.H., 1991).

Le argille sono silicati idrati di Al a struttura lamellare contenenti anche ioni Na, K, Mg, Ca e Fe in proporzioni variabili. I legami che si instaurano intorno ai vertici dell’unità strutturale silice-allumina danno origine a cariche non sature che vengono bilanciate da ioni adsorbiti, i quali possono a loro volta adsorbire o subire reazioni di scambio con altri ioni presenti. Questi meccanismi forniscono all’argilla la capacità di adsorbimento di ioni, come lo ione fosfato.

Il grado di adsorbimento è influenzato dalla composizione del minerale argilloso, dall’ampiezza della SSA e dal tipo di struttura lamellare.

Quest’ultima è composta da due unità strutturali caratteristiche:

• un foglietto di tetraedri silicatici , costituito da due strati di atomi di ossigeno contenenti silicio in coordinazione tetraedrica;

Modifica della carica superficiale Catione a ponte Desorbimento di ioni adsorbiti Aumento della SSA Competizione Legenda Ossigeno Fosforo Carbonio Metallo Fe Idrogeno

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• un foglietto ottaedrico, formato da due strati di atomi di ossigeno o di ossidrili ai quali sono legati Al, Mg e Fe in coordinazione ottaedrica.

La differente combinazione degli strati tetraedrici e ottaedrici da origine a differenti gruppi minerali (1:1, 2:1, 2:1:1) che adsorbono in maniera specifica lo ione fosfato.

Studi di letteratura (Fang H. et al, 2017, Amarh F., 2012, Patrick W.H., 1991) riportano risultati contrastanti su quale struttura presenti maggiore capacità di adsorbimento, fatto che conferma la dipendenza delle capacità di adsorbimento da un insieme complesso di fattori.

Patrick W.H. (1991) riporta, ad esempio, uno studio in cui si dimostra l’influenza delle ione principale adsorbito sulle argille, con il Ca che porta ad un adsorbimento del 10% in più rispetto al Na.

Amarh F. (2012) riporta, invece, la dipendenza dal rapporto SiO2/R2O3 (dove R2O3 rappresenta gli

ossidi di Fe e Al), indicando che le argille con bassi valori del rapporto adsorbono di più di quelle che presentano valori alti.

Effetto del pH.

Essendo un processo determinato dalle cariche superficiali in gioco, il fenomeno dell’adsorbimento è, chiaramente, influenzato dal pH del terreno, presentando un massimo nel range 2-4 (Patrick W.H., 1991). In generale, da un lato aumentando il pH del terreno aumenta la carica negativa superficiale e quindi la repulsione nei confronti dell’anione ortofosfato, e dall’altro l’innalzamento del pH può portare alla precipitazione di complessi di Al3+, accrescendo il numero di siti disponibili

per l’adsorbimento del fosforo.

Anche in questo caso l’effetto netto è da valutare in base alle condizioni ambientali. Effetto della temperatura.

In quanto processo di equilibrio, il fenomeno dell’adsorbimento è, chiaramente, influenzato dalla temperatura.

In questo caso gli studi effettuati dimostrano in maniera univoca (Patrick W.H., 1991) un aumento delle capacità di adsorbimento all’aumentare del valore di temperatura, sia per l’aumento del numero di siti disponibili, sia per l’aumento della costante legata all’energia di legame. La prima affermazione è spiegabile ipotizzando un incremento dell’entropia delle molecole di acqua che circondano lo ione fosfato e i siti di adsorbimento, mentre la seconda indica che il processo è un processo endotermico (Patrick W.H. et al, 1991).

Effetto della forza ionica.

La capacità di assorbimento aumenta, inoltre, all’aumentare della forza ionica della soluzione, aspetto che sarà trattato in maniera più approfondita successivamente.

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Data l’importanza del processo di adsorbimento sugli equilibri del fosforo, sulla disponibilità per le piante e sul potenziale di perdita del nutriente verso i sistemi acquatici, e data la forte dipendenza dalle caratteristiche chimico-fisiche del terreno, molti studi si sono concentrati sullo studio e la comprensione dei meccanismi di tale fenomeno in vari contesti ambientali.

Mobilità del fosforo

La mobilità del fosforo all’interno del sistema suolo è regolata dai meccanismi sopra descritti, ma la quantità di fosforo presente nel suolo subisce anche l’incidenza di fenomeni esterni.

In particolare sorgente esterne di fosforo possono essere l’utilizzo di fertilizzanti (minerali e organici) e la degradazione dei residui colturali non rimossi dal terreno, mentre le possibili vie di rimozione sono rappresentate dai fenomeni di dilavamento e lisciviazione.

Fenomeni di dilavamento e lisciviazione

Dilavamento e lisciviazione sono i fenomeni principali tramite i quali il fosforo raggiunge l’ambiente acquatico dal terreno, sia che si consideri il fosforo disciolto sia che si faccia riferimento a quello particolato.

Il trasporto può avvenire, infatti, in molte forme, da grandi aggregati di composti organici a sottile particolato argilloso e colloidi, o completamente disciolto in forma di ortofosfato.

Con il fenomeno di dilavamento superficiale si intende il trasporto di materiale da parte di quella porzione di acqua piovana o di irrigazione che non riesce a penetrare nel terreno perché il terreno è saturo. L’energia delle gocce di pioggia o dell’acqua che scorre muovono le particelle di suolo o di concime causando perdita di fosforo tramite erosione delle particelle che lo contengono o dissoluzione dell’analita nella acque di dilavamento: la percentuale di fosforo trasportato per drenaggio cade nel range 12-60%, mentre quello trasportato per erosione può arrivare fino al 90% (40-90%, Bergström L. et altri, 2007).

Alcuni studi hanno dimostrato una forte correlazione tra il grado di dilavamento e la concentrazione di fosforo trasportato, tra il grado di dilavamento e la concentrazione di fosforo nelle acque superficiali di terreni agricoli (R2 =0.86, Wang X. Et altri, 2010) e tra la concentrazione di

fosforo solubile nel terreno e la concentrazione di fosforo disciolto nelle acque di dilavamento (Wang X. Et altri, 2010) .

I sedimenti trasportati per dilavamento possono avere diverse dimensioni e questo incide, naturalmente, sulla loro velocità di sedimentazione. Le particelle più fini e meno dense presentano una minore velocità di sedimentazione e rimangono sospese nelle acque per più tempo; il fosforo

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particolato su questo tipo di sedimenti rappresenta, come il fosforo disciolto, una fonte di inquinamento ad ampio raggio, che può raggiungere luoghi anche molto lontani dal punto di partenza.

Per lisciviazione si intende, invece, la rimozione dal suolo di un nutriente (in questo caso del fosforo) disciolto dovuta a movimenti verticali delle acque di drenaggio.

E’ solo negli ultimi anni che il fenomeno di lisciviazione ha iniziato a ricevere lo stesso grado di attenzione di quello di dilavamento come possibile fonte di dispersione dei nutrienti.

L’entità dei due fenomeni dipende dall’intensità dei fenomeni atmosferici e dalle caratteristiche del terreno: in terreni con bassa capacità di infiltrazione (con prevalenza di limo e argilla) si assiste prevalentemente a dilavamento ed erosione, mentre il fenomeno della lisciviazione assume particolare interesse in terreni ad alto contenuto di fosforo e in suoli prevalentemente sabbiosi (Bergström L. et al, 2007). Le capacità di adsorbimento del terreno possono influire sul grado di lisciviazione (perdite sostanziali di fosforo sono state verificate in terreni a bassa capacità di adsorbimento), mentre non sono determinanti per quanto riguarda il fenomeno di dilavamento. NY Phosphorus Runoff Index (NY P Index).

Il problema della perdita di fosforo verso il comparto idrico è di tale importanza tanto da aver spinto alcuni ricercatori (Wang X. et al, 2009; Czymmek K. et al, 2005; Hyland C. et al, 2005; Czymmek K.J. et al, 2003) ad elaborare un indice (NY Phosphorus Runoff Index, NY P Index) che permettesse di identificare terreni o porzioni di terreno che potessero contribuire in maniera più significativa al rilascio di fosforo verso l’ambiente acquatico. Non si tratta di una misura della perdita reale di P da parte del terreno, ma piuttosto di un indicatore della perdita potenziale dell’elemento. Valori alti o molto alti dell’indice NY P indicano la necessità di indagarne le cause, mentre valori bassi significano un minor rischio di rilascio di fosforo da parte del terreno ma non un’eliminazione del fenomeno. Il NY P Index assegna ad ogni terreno due punteggi basandosi sulle caratteristiche del terreno e sui trattamenti effettuati su di esso (utilizzo di fertilizzanti, ecc): a)

Dissolved P Index, che riguarda la perdita da parte del terreno di fosforo solubile in acqua, b) Particulate P Index, relativo, invece al rischio di rilascio di fosforo assorbito su particelle di suolo o

di concime. Entrambe le forme di fosforo sono legate alla qualità dell’ambiente acquatico e gli indici devono essere considerati unitamente. Alla stima di entrambi gli indici contribuiscono due fattori: le sorgenti potenziali di fosforo (source score) e il potenziale trasporto di fosforo (transport score); il risultato finale è ottenuto moltiplicando i due fattori tra di loro.

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In base al valore ottenuto è possibile classificare i terreni in quattro classi a diversi livelli di vulnerabilità: basso, medio, alto e molto alto.

Il calcolo del NY P Index può risultare di difficile attuazione per la complessità delle informazioni necessarie alla stima del valore, in particolare per quanto riguarda il calcolo del transport score. Comunemente vengono accettati come stima della potenziale perdita di fosforo verso le acque anche parametri più semplici come la concentrazione di fosforo estraibile dal terreno (STP), la concentrazione di fosforo estraibile in acqua (PH2O) e la concentrazione di fosforo all’equilibrio di

adsorbimento, ognuno con le sue criticità (Pӧthing R. et al, 2010). Grado di saturazione fosforica (DPS).

Il grado di saturazione fosforica (DPS), infine, può essere utilizzato come indice del rischio di perdita di fosforo da parte del suolo (diversi Stati degli Stati Uniti lo hanno adottato come indice in tal senso, Fisher P. et al, 2017; Bortolon L., 2016; Hongthanat N., 2010; Pӧthing S. et al, 2010; Casson J.P., 2006,), e presenta una maggiore facilità di calcolo rispetto al NY P Index, sebbene manchi totalmente dell’informazione riguardante la connessione idraulica del terreno con i possibili bacini idrici bersaglio e, di conseguenza, la facilità di trasporto del nutriente verso le acque.

Bortolon L. et al in uno studio del 2016 riportano, comunque, buoni coefficienti di correlazione (0.54-0.95) tra il DPS e la frazione di fosforo idrosolubile (PH2O, frazione di fosforo in primo luogo

soggetta ai fenomeni di dilavamento e lisciviazione e per la quale vari studi hanno riscontrato buoni coefficienti di correlazione con la concentrazione di P nelle acque di dilavamento, Bortolon L. et al, 2016; Casson J.P., 2006), in accordo con quanto riportato anche in altri articoli (Torpner J., 2018; Pӧthing R. et al, 2010 ; Casson J.P. et al, 2006; Nair V.D. et al, 2004, Tab. 2). La curva costruita riportando in grafico la concentrazione PH2O e il DPS permette di individuare il

valore di change point, punto in cui l’andamento delle due variabili cambia diventando molto più ripido. DPS maggiori di questo valore indicano un rischio di perdita di P molto alto.

Il primo studio a proporre l’utilizzo del DPS è stato uno studio del 1995 (Bortolon et al, 2016), in cui veniva definito come il rapporto tra il fosforo estratto con ammonio ossalato (Pox) e la capacità di

adsorbimento fosfatico (PSC). Più in generale può essere definito come il rapporto tra i siti di adsorbimento fosfatico occupati (fosforo adsorbito, mg/Kg) e la capacità di adsorbimento fosfatico (PSC, mg/Kg)

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e indica, pertanto il numero di siti di scambio del suolo effettivamente occupati dal fosforo.

Già da quanto appena detto si intuisce che la problematica principale legata all’utilizzo di questo indice è la varietà dei modi in cui possono essere misurate le due grandezze in gioco.

Il fosforo adsorbito sul terreno può essere determinato con svariati metodi di estrazione (Torpner J., 2018; Fisher P. et al, 2017; Bortolon L. et al, 2016; Hongthanat N., 2010; Renneson M. et al, 2010; Casson J.P. et al, 2006; Nair V.D. et al, 2004): Olsen (Olsen S.R., 1954, fosforo assimilabile), Mehlich I (comunemente utilizzato in Brasile), Mehlich III (Mehlich A., 1984, adottato comunemente in America), Bray e Kurtz (Bray e Kurtz, 1945, fosforo assimilabile), PCAL (calcio acetato lattato, adottato comunemente in Germania), PDL (lattato doppio), OX (ammonio ossalato, adottato comunemente in Olanda e in Europa in generale), AL (ammonio lattato, comunemente utilizzato in Svezia). I vari metodi possono essere applicati in base alle diverse caratteristiche dei terreni (per es. suoli acidi o alcalini) e portano all’estrazione di frazioni diverse di fosforo, pertanto il calcolo del DPS avviene in maniera non univoca e il confronto tra i risultati ottenuti va condotto con cautela (Tab. 2).

Vari studi hanno, comunque, dimostrato una buona correlazione tra i risultati ottenuti utilizzando i diversi metodi di estrazione.

Bortolon L. et al, 2016 confrontando i valori di DPS calcolati utilizzando tre metodi di estrazione diversi (OX, Mehlich I e Mehlich III) hanno riscontrato buoni coefficienti di correlazione (0.75-0.95, p = 0.05 e 0.001) tra le estrazioni Mehlich I e Mehlich III e tra la stima di DPS e i valori di fosforo idrosolubile utilizzando tutti e tre i metodi (0.64-0.93, p = 0.01), con l’estrazione Mehlich I che presenta i valori di correlazione più alti (0.76-0.93, p = 0.01).

Precedentemente Nair V.D. et al, 2004 e Hongthanat N., 2010 avevano analogamente rilevato ottimi coefficienti di correlazione tra i dati ottenuti con gli stessi tre metodi di estrazione (rispettivamente 0.94-0.97, p = 0.001, e 0.82, p = 0.01) e tra i valori di DPS così calcolati e i livelli di fosforo idrosolubile (solo nello studio di Nair V.D. et al, 2004: 0.88-0.91, p = 0.001).

In maniera del tutto analoga, la problematica si riflette sulla stima della capacità di adsorbimento fosforico. Come è possibile vedere in Tab. 2, generalmente il parametro viene considerato come la somma delle concentrazioni di Fe e Al (che, come abbiamo visto, rappresentano la principale fonte di adsorbimento fosfatico, in particolare nei suoli acidi), estratti con diverse metodologie (OX, Mehlich I, Mehlich III).

Per quanto gli studi presenti in letteratura confermino, anche in questo caso, buoni livelli di correlazione tra i risultati ottenuti (Bortolon L. et al, 2016: 0.76(p = 0.05)-0.92(p = 0.001);

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Hongthanat N., 2010: 0.82 (p = 0.01); Nair V.D., 2004: 0.94-0.97 (p = 0.001)), rimane limitata l’indipendenza dalle caratteristiche dei terreni in esame.

Tab. 2 Metodi di calcolo dell’indice DPS in letteratura. OX = estrazione con ammonio ossalato, M1 = estrazione con il

metodo Mehlich 1, M3 = estrazione con il metodo Mehlich 3, STP = soil test phosphorus, PSI = single-point phosphorus sorption index, TP = fosforo totale, PSI75 = single-point phosphorus sorption index calcolato a concentrazione pari a 75

mg/l, Smax = capacità massima di adsorbiento. Risulta evidente come lo spettro dei valori calcolati e, soprattutto, dei

change point ottenuti risulti molto ampio. I coefficienti di correlazione sono riportati con il relativo livello di probabilità p: *** = 0.001, ** = 0.01, * = 0.05, ns = non significativo.

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Tab. 2 Continua

Rimanendo nell’ambito dell’adsorbimento da parte di Fe e Al, la prima ambiguità sorge nell’utilizzo o meno del coefficiente empirico di saturazione (α), che indica la proporzione di Fe+Al associate all’assorbimento fosfatico, e nel valore da attribuirgli.

Il valore pari a 0.5 spesso utilizzato (Hongthanat N., 2010; Renneson M. et al, 2006; Nair V.D. et al, 2004) si adatta in particolare a suoli sabbiosi e può non essere rappresentativo in terreni con caratteristiche diverse e in base alle condizioni sperimentali.

Renneson M. et al (2010) hanno calcolato, per esempio, per i suoli da loro analizzati, un range di valori compreso tra 0.43 e 0.93 (media 0.66), con i suoli a carattere argilloso che presentavano i valori più alti (media 0.83).

In base a questo studio, pertanto, è da considerarsi errato anche il valore α = 1, solitamente attribuito ai suoli non sabbiosi; l’utilizzo di valori sbagliati del parametro α può comportare errori anche sostanziali nella stima del DPS.

In più, i composti di Fe e Al non sono le uniche fonti di adsorbimento di fosforo nel terreno e, quindi, sono state proposte varianti che prendessero in considerazione altri possibili contributi alla capacità di adsorbimento o altri parametri che ne potessero stimare la grandezza, indipendentemente dalle caratteristiche del terreno.

Nello studio di Hongthanat N., 2010 il DPS è stato calcolato non solo utilizzando i valori di P e Al+Fe ottenuti con due diversi metodi di estrazione (OX e Mehlich3), ma anche sostituendo al denominatore il valore di concentrazione del Ca estratto con il metodo Mehlich 3 (Tab. 2). I valori ottenuti utilizzando quest’ultimo metodo hanno mostrato buona correlazione con quelli ottenuti utilizzando al denominatore (Al+Fe)ox (0.78, p = 0.01).

Casson J.P et al, 2006 e Bortolon L. et al, 2016 hanno utilizzato le formule presentate in Tab. 2, ricorrendo all’utilizzo del parametro PSI, indice di adsorbimento fosfatico ottenuto dallo studio di un singolo punto dell’isoterma di adsorbimento, generalmente a livello di concentrazione pari a 75 mg/l, mentre Pӧthing R. et al, 2010 sono ricorsi alla stima del parametro Smax (adsorbimento

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fosfatico massimo) con la costruzione di isoterme di adsorbimento. I risultati ottenuti nei tre studi presentano range di DPS confrontabili e buoni coefficienti di correlazione con la concentrazione di PH2O.

Bortolon et al, 2016 hanno, inoltre, verificato che i dati ottenuti con l’utilizzo del parametro PSI correlano bene con quelli ottenuti utilizzando la somma della concentrazioni di Al e Fe (0.85, p = 0.01, e 0.95, p = 0.001 per quanto riguarda l’estrazione Mehlich I e 0.92 e 0.94, p = 0.01, per l’estrazione Mehlich III).

Pӧthing R. et al, 2010, infine, con l’intento di ridurre le fonti di errore e di ambiguità fino ad adesso elencate e di eliminare la dipendenza dei parametri utilizzati dalle caratteristiche del terreno, hanno elaborato un’equazione (in gergo della scienza del suolo una pedotransfer function, PF) che legasse il grado di saturazione fosforica alla concentrazione di P estraibile in acqua. L’equazione, utilizzata successivamente in letteratura (Fischer P. et al, 2017), permette il calcolo del valore DPS a partire da un solo parametro di facile misurazione e la cui relazione con le capacità di adsorbimento e di rilascio del fosforo è indipendente dalle caratteristiche del terreno.

L’equazione è stata elaborata a partire dalla definizione di DPS DPS (%) = 100 * TP/PSC

dove TP indica il fosforo totale e PSC la capacità di adsorbimento fosfatico, e dalla definizione di PSC

PSC = Smax + TP

per cui:

DSP (%) = 100 * 1/(1 + Smax/TP)

Considerando gli andamenti è possibile verificare che, mentre la relazione tra PH2O e TP e Smax varia

con la tipologia di suolo, quella tra PH2O e il rapporto Smax/TP ne risulta indipendente.

Smax/TP può essere, pertanto, espresso come f(PH2O) da cui deriva l’equazione:

DSP (%) = 100 * 1/(1 + 1.25 * WSP-0.75

Da quanto detto fino ad adesso risulta evidente quanto la scelta dei parametri adeguati per la stima del grado di saturazione fosforica debba essere ben ponderata, in quanto di fondamentale

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importanza per la stima di un parametro quanto più accurata possibile e rappresentativa della realtà.

Apporto da parte di fertilizzanti.

Data la scarsa mobilità dell’elemento, la sua elevata affinità per il terreno e i bassi livelli di concentrazione presenti in soluzione (raramente la concentrazione di P inorganico disponibile supera i 10μM Shen J. et al, 2011) , per favorire lo sviluppo delle coltivazioni il fosforo viene aggiunto al terreno sotto forma di fertilizzanti minerali (fosfati di ammonio, superfosfati) o di concime organico.

L’uso dei fertilizzanti è diminuito negli ultimi anni ( Bergström L. et al, 2007), sia perché la pratica di utilizzo ad alti livelli di concentrazioni (anche superiori a 8-10 mgP/100 g di suolo) non ha fornito i risultati sperati in termini di resa delle coltivazioni (Bergström L. et al, 2007 ), sia per le problematiche legate all’accumulo di fosforo nel terreno.

E’ noto da tempo, infatti, che l’aggiunta di alte concentrazioni di fosforo porta ad un accumulo dell’elemento nel terreno e, in conseguenza, alla perdita attraverso i fenomeni di trasporto verso i sistemi acquatici, con il rischio di insorgenza di fenomeni di eutrofizzazione.

La concentrazione di P nelle acque di dilavamento può aumentare fino a 300 volte sopra i valori standard appena dopo l’applicazione di fertilizzante (Czymmek K.G. et al, 2003). Mentre l’aggiunta di fosfati altamente solubili contribuisce all’aumento della perdita di P disciolto, nel caso dell’applicazione di fertilizzanti meno solubili aumenta la perdita di fosforo totale. La quantità di fosforo dilavata è più alta subito dopo l’applicazione del fertilizzante e diminuisce rapidamente con il tempo. I valori reali di concentrazione di P dilavato variano al mutare del tipo e della quantità di fertilizzante aggiunto e del tempo che passa tra l’applicazione ed il fenomeno di dilavamento, ma in generale la possibilità di perdita del P aggiunto per dilavamento dura dai 50 ai 100 giorni dopo l’applicazione. Anche il tipo di applicazione influisce sull’entità della perdita di P: è stato dimostrato che applicazioni diffuse portano a perdite maggiori (fino a 100 volte maggiori) a quando il fertilizzante viene incorporato in qualche modo, per esempio applicandolo alcuni centimetri sotto la superficie del suolo (Czymmek K.G. et al, 2003).

Creando una situazione di aumento della quantità di ioni fosfato disponibili in soluzione, l’applicazione di fertilizzanti conduce, inoltre, ad una diminuzione dell’attività enzimatica mirata alla dissoluzione dei legami esteri che trattengono il fosforo organico, e, pertanto, ad un minore sfruttamento delle riserve di P già presenti nel terreno.

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